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Autore: Coffee_Time    14/08/2015    2 recensioni
Cosa si prova scoprendo che in cinque anni di relazione, la persona che hai provato ad amare non ti ha mai amato?
E se, analizzando gli splendidi ricordi che ti sono rimasti – evidentemente illuminati solo da luci artificiali, false –, scoprissi che neanche tu avevi mai provato amore? E che, forse…
Forse sei una gran testa di cazzo a non capire certe cose.
~
Aveva sempre creduto di essere la causa di quella sensazione – l’amore riesce a fare strane magie.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Lindsey Ann Ballato | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I personaggi non mi appartengono, non li conosco, e spero che nella realtà siano più intelligenti di come li ho resi io.

Ho scritto questa cosa nell’arco di tre giorni, abbastanza impulsivamente – ho anche usato un pezzo che avrei dovuto usare nella long-fic che sto elaborando, ma qui ci stava sicuramente meglio.
Se avete intenzione di leggere, non aspettatevi troppo.
Il titolo è ispirato da un’opera di Renè Magritte, se non la conoscete, be’ è una pipa con la scritta Ceci n’est pas une pipe.
Leggendo capirete il perché, forse. Se ha un perché.
La citazione è presa da una canzone che con la storia non c’entra niente, ma quelle quattro frasi ed il titolo secondo me completano la fanfiction.

Se non capite qualcosa, è per dare l’effetto sfocato della mente di Gerard.
La fine è meno noiosa dell’inizio, lo giuro.

Buona lettura.
:)

 

 

 

 


Ceci n’est pas une romance.

 

 

So please forgive what I have done
No you can’t stay mad at the setting sun
Cause we all get tired, I mean eventually
There is nothing left to do but sleep

No lies, just love, Bright Eyes

 

 

 

La maglietta che stava indossando, era nera. Così come i pantaloni.
E questo era un bene, perché non vedendo le proprie lacrime macchiare quella stoffa scura poteva provare ad illudersi di stare bene, perché gli sembrava di piangere meno. E così poteva piangere ancora di più.
La verità era che stava male, molto male. Altrimenti perché cazzo avrebbe pianto?
Per gioia? I pianti di gioia non esistono. Solo chi è stato infinitamente male e miracolosamente riesce a salvare la propria vita piange di gioia, e Gerard non riusciva a salvare proprio un cazzo. Giusto i file al computer, se gli andava bene.
E poi i pianti di gioia si fanno in compagnia, altrimenti ci si sente stupidi. E se Gerard era solo come un cactus, su degli scalini, a piangere in silenzio per non farsi notare – da chi, poi? – significava che tutta ‘sta gente con cui piangere neanche ce l’aveva.
Perché sì, se nessuno avrebbe pianto per la felicità con lui, chi diavolo avrebbe consolato un suo pianto triste?
La verità era proprio questa, stava piangendo da almeno dieci minuti, da solo, e forse non era neanche triste.
Va bene, non scherziamo. Triste lo era, tanto. Ma più che altro era confuso.
Insomma, dopo cinque anni di relazione in cui all’improvviso scopri che la persona con cui sei stato per una cosa come, appunto, sessantatré mesi non ti ha mai amato, un po’ male ci stai.
In dieci minuti aveva pensato alle cose più strane, cose che in cinque anni non avrebbe mai pensato di poter pensare.
Sicuramente, la prima cosa che si chiese fu per qualche cazzo di motivo una persona che non ti ama dovrebbe mai baciarti una notte contro il muro di un bar, senza essere ubriaca, senza avere l’intento di scoparti più tardi, senza che tu sia un bel ragazzo o particolarmente simpatico; se poi cinque anni dopo salta fuori dicendo che non ti ha mai amato e, per carità, mica è colpa tua. Che sei solo un povero idiota che – evidentemente – per cinque anni ha ascoltato solo bugie.
E sì, aveva detto proprio così: “Non ti ho mai amato, Gerard. Lo vuoi capire? Mai.”
E mai significa che quel bacio, che aveva fatto iniziare tutto – prima erano solo buoni amici –, non aveva avuto un motivo sensato.
Un’altra cosa rilevante, era che Gerard neanche era sicuro di amarla, quella persona.
Una piccola cotta l’aveva sempre avuta, e qualche fantasia ogni tanto si era anche messa a saltare nella sua testa – colpa degli ormoni magari –, ma era da quando aveva dodici anni che temeva di essersi innamorato di qualcun altro.
Quando sei innamorato di qualcuno da più di dieci anni, capisci che le cotte sono veramente inutili, e più che altro si tratta solo del tuo cervello che è stanco di vedere la tua vita sociale morta, sepolta, e già divorata dai vermi.
E fu così che iniziò a piangere un altro po’, e rischiò di singhiozzare più forte di quello che sarebbe stato opportuno – opportuno? Era su dei cazzo di scalini, di una casa che neanche era sua, dovevano essere le due di notte e la luce dei lampioni gli avrebbe difficilmente permesso di riconoscere il corpo di persone potenzialmente pericolose in avvicinamento.
Pianse perché in realtà dei potenziali assassini non gliene fregava un cazzo, 'ché tanto pensava di essere morto pochi anni dopo essere nato. E per cinque anni aveva sprecato il proprio tempo con una persona che non lo amava, e tutti quei giorni erano stati riempiti solo da bugie. Forse, l’aveva anche tradita un paio di volte. Magari, nella propria testa – o nel cuore, lo stomaco, quello che volete – l’aveva tradita anche più di un paio di volte al mese.
Cazzo, un po’ avrebbe potuto provare a sentirsi meno in colpa per non essere stato l’unico stronzo della relazione, ma era anche arrabbiato perché per tutto quel tempo si era sentito in colpa a fare certi pensieri, quando la sua relazione era solo una bugia – perché le cose fatte di bugie sono bugie, no?
Si pulì gli occhi con la maglietta, si asciugò anche la faccia e davvero, non gli interessava sapere che chiunque, passeggiando alle due e mezza di notte, avrebbe potuto vedere tutti quei peli scuri che aveva sulla pancia, o gli occhi che brillavano anche se non per la felicità.
Insomma, la dignità l’aveva persa molto tempo prima – più recentemente, piangendo sulle scale della casa di Frank.
Sicuramente quell’idiota stava dormendo.
Poi ricominciò a piangere, chiedendosi quale ragione spingerebbe mai qualcuno a fingere così bene da farti sentire il cazzo di amore che però non prova davvero.
All’improvviso, come in un flash-mob mentale, sbucò un ricordo, poi un altro, e altri mille, e diventarono millenovecentoventuno – uno per ogni cazzo di giorno falso.
Un po’ sorrise pensando a quella volta in cui erano andati a pattinare, e lui era completamente negato per quel genere di cose – anche se aveva delle belle gambe, e i pattini gli stavano divinamente. Poi sorridendo gli venne da piangere: quel giorno, cazzo, pensava davvero di essere felice. Anche con il culo a terra, perché quando hai qualcuno che ti tira su puoi sempre sperare di alzarti, e la notte non pensi ai lividi sul sedere se hai qualcuno da abbracciare nel sonno.
In quel momento, seduto lì, si sentiva svuotato, apatico. Non aveva senso sorridere di un ricordo felice, se non l’avrebbe mai più vissuto, se non avrebbe mai dovuto viverlo, se si era trattato solo di illusione.
Quasi duemila ricordi che ballavano al ritmo di una canzone che probabilmente serviva a deriderlo, e in quasi ognuno di quei ricordi erano presenti un paio di occhi castani che brillavano, e lo scrutavano. E secondo lui brillavano un po’ troppo per essere disonesti, perché ogni volta che li aveva guardati sentiva che il proprio sguardo – che quello sì che mentiva – veniva assorbito da quel marrone, e tutto ciò che riceveva era serenità. Aveva sempre creduto di essere la causa di quella sensazione – l’amore riesce a fare strane magie.
Era questo che l’aveva fatto resistere cinque anni, dandogli l’illusione che la bellezza delle proprie menzogne, riflessa in quegli occhi stupendi, in realtà fosse amore – o potenziale amore. Non si spiegava come, se il proprio sguardo mentiva, e lo specchio in cui si affacciava non lo distorceva, plasmandolo in qualcosa di migliore, quei cazzo di occhi castani facessero a guardarlo trasmettendogli cose belle.
Forse esisteva un principio per cui, ad esempio, un oggetto brutto davanti ad uno specchio rotto si vedesse bello.
Aveva davvero creduto che i progetti iniziati a fare negli ultimi mesi, sarebbero poi diventate cose tangibili, traguardi raggiunti.
Aveva davvero creduto di poter dimenticare l’amore per Frank, cambiare i ricordi del tempo trascorso al suo fianco per illudersi che invece di amore, aveva provato solo immenso affetto. E che avrebbe provato “solo” immenso affetto – non tenendo conto del fatto che talvolta l’affetto sincero è più potente dell’amore fasullo.
Ormai aveva smesso di piangere, ma sentiva di avere il viso umido ed appiccicaticcio. Si chiese quanto sarebbe sembrato patetico a suonare il campanello che si trovava a pochi metri da lui, alle tre di notte, con gli occhi quasi in fiamme. Ma almeno, i pantaloni e la maglietta nera – con la stampa bianca di una band, non ricordava quale – sarebbero sembrati a posto. Un po’ sgualciti, forse, ma sicuramente Frank avrebbe notato solamente i suoi occhi distrutti.
In un’ora aveva provato a cercare tutte le farfalle che avrebbe voluto nel proprio stomaco per cinque anni, e i sorrisi immotivati di Lyn-Z, i giorni e le notti passate a credere di amarla e di essere amato.
Ma che senso aveva avuto ricambiare il bacio, cinque anni prima?
Che senso aveva avuto dichiararle un amore spacciato per sincero e sapere di essere amati?
Che senso aveva avuto costruire un impero di carta insieme, un impero in cui alla fine nessuno dei due era interessato? Un impero bruciato dalla scia di fuoco che univa i sentieri di Gerard e di Frank.
Che senso aveva avuto andare a casa sua, quella sera, con del cibo cinese in una sportina?
Se invece di coccole e discorsi sconnessi aveva ottenuto solo parole inaspettate, intrise di accecante indifferenza che in fin dei conti serviva solo a creare ombre che celavano il dispiacere.
E Gerard l’aveva visto, il dispiacere, perché a vivere nell’oscurità come aveva imparato a fare da tempo, ormai si era abituato a vedere al buio, a scovare le cose nascoste.
Aveva associato quel sentimento al fatto che chiunque sarebbe stato dispiaciuto, dopo aver ingannato qualcuno per così tanto tempo.
Una persona egoista sarebbe stata dispiaciuta di aver sprecato così tanto tempo; una premurosa di averlo fatto sprecare a Gerard.
Ma una egoista non avrebbe mai fatto una cazzata, e una dolce non avrebbe ingannato nessuno.
E Lyn-Z non era egoista – su questo non c’erano dubbi, perché poteva anche avergli distrutto un pezzo di vita, ma egoista non lo era mai stata – ma neanche dolce, e a lui piaceva anche perché era una ragazza romantica a modo suo.
Quando Gerard nuotava troppo tra le nuvole, lei gli afferrava i piedi e lo scaraventava sulla Terra. E per questo le sarebbe sempre stato grato.
L’aveva sempre vista come un’amica, in effetti. Non erano fatti per essere una coppia, non come entrambi avrebbero voluto.
Non tornava, non tornava proprio un cazzo. Altro che conti, era tutta la vita di Gerard a non tornare.
Aveva passato cinque anni al fianco di una donna che non lo amava, e che sperava di riuscire ad amare, un giorno. Cinque anni a non capire nulla di sé, con una donna che avrebbe preferito considerare solo un’amica, cinque anni a pensare a Frank.
E c’erano stati anche i momenti in cui era riuscito a pensare solo a lei, in cui si era impegnato ad amarla con lealtà.
Aveva provato ad essere un buon ragazzo, e in realtà spesso c’era anche riuscito. Ma dimenticando la cosa più importante: amarla.
Un sentimento non si può forzare.
Si tirò i capelli indietro con una mano, e cercò la felpa con lo sguardo solo perché non fumava da troppe ore, ed il fumo avrebbe potuto smuovere qualche pensiero nella sua testa, offuscarne un po’, incastrarne altri.
Il fumo prodotto dalla combustione del tabacco rimase sospeso sopra la sua testa, e più che pericolosamente grigio i lampioni lo facevano sembrare pericolosamente arancione, come il fuoco.
Voleva riuscire a capire cosa avesse spinto Lyn-Z a mentire così tanto, e così bene.
Inizialmente considerò il fatto che, come lui, stesse provando a dimenticare un’altra persona. Magari era lesbica, oppure era da sempre innamorata di un uomo sposato.
Tenne per buona l’ipotesi dell’omosessualità, ma non era ancora convinto.
Passò una cosa come venti minuti ad immaginare i pensieri di Lindsey, e arrivò a pensare che lei lavorasse per il Governo – o che fosse un alieno – e che il suo compito fosse stato quello di scoprire cose sulla sua vita.
Ma anche così, non capiva perché l’avesse lasciato in quel modo, confessando di non averlo mai amato.
Che poi, erano ancora amici?
Lui le voleva bene comunque. Le aveva sempre voluto bene.
Iniziava a sentirsi meglio, forse aveva capito di essere sollevato.
Cazzo, finalmente non doveva più fingere. L’aveva ascoltata parlare, sentendosi chiamare “deficiente” più e più volte. Aveva sentito le sue scuse.
E aveva sostenuto il suo sguardo vuoto.
Anche se, ovviamente, nella discussione di quella sera non le aveva detto di aver sempre amato Frank
Ed eccolo, il senso di colpa, che tornava a galla come una pallina piena d’aria in piscina.
Però, pensò, il giorno seguente gliel’avrebbe raccontato, e magari avrebbe riso con lei sulla loro stupidità.
Frank.
Iniziava ad avere molto sonno, e tanto non sarebbe riuscito a produrre pensieri più sensati.
Si alzò, stiracchiandosi un po’. Prese la felpa per puro caso e si sistemò i capelli, poi suonò al campanello.
Nel luogo dove si trovava la casa di Frank, era un orario compreso tra le tre e le quattro del mattino, o di notte. E Gerard pensò solo dopo il terzo starnazzare del campanello che forse – forse – Frank non aveva ancora aperto perché aveva il sonno più pesante di sette cazzo di macigni e sì, ecco, stava dormendo.
Rimase lì comunque, a fissare la porta come considerandola alquanto intrigante.
Era curioso il fatto che dopo la discussione con Lyn-Z – che era stata veloce, lui non aveva voglia di parlare, basito e senza palle com’era, e lei non aveva molto da dire – avesse cercato rifugio sugli scalini di Frank, non a casa propria. E come non l’avesse neanche disturbato, aspettando l’orario più sconveniente per farlo.
Era lì. A chilometri dalla propria casa, in attesa di vedere apparire quasi per magia la faccia incazzata del ragazzo per cui provava cose indescrivibili.
Non fu neanche sorpreso quando la porta si aprì, l’unica cosa che lo sorprese fu la mancanza di fumo e di luci colorate – le apparizioni magiche hanno sempre le luci colorate ed il fumo.
Si chiese se fosse stato il campanello a svegliarlo, o se Frank semplicemente sapesse della sua presenza. A volte erano allarmanti, loro due. Più di una volta avevano palesato casi di telepatia involontaria, si erano incontrati in luoghi improbabili o si erano chiamati al momento giusto.
“Ehi Frankie. Non è che potrei dormire sul tuo divano? È… complicato, domani ti racconto.” Chiese Gerard, quasi in un unico sussurro, provando a guardarlo negli occhi. Si accorse di essere più stanco di quello che avrebbe immaginato, e non notò i capelli spettinati di Frank, le calze azzurre e la maglietta arancione.
“Hai pianto.” Rispose l’altro, anche se come risposta non era poi molto attinente alla domanda.
“Già, non è una cosa molto strana.” Gerard si stropicciò l’occhio sinistro ed entrò in casa, dirigendosi sul divano senza dover accendere nessuna luce. Conosceva quella casa quanto la propria, e credo di aver già parlato delle sue capacità di vedere al buio. “Buona notte Frank.” Si accovacciò sul divano.
“Non devi dormire lì per forza, se vieni su stai più comodo.”
“No, grazie. Ho bisogno di stare da solo. A domani.”
Frank si avviò verso le scale sussurrando “Notte” al nulla, o a Gerard, che si sentiva come il nulla.
Pensò a Lyn-Z, sapeva che quella notte Gerard l’avrebbe passata a casa di lei, e aveva avuto difficoltà ad addormentarsi proprio per quel motivo. Poi, intorno alle tre si era svegliato con i capelli attaccati al cuscino ed alla faccia, le gambe attaccate tra loro, la maglietta attaccata al petto. Tutto attaccato da sudore nervoso.
E gli era sembrato di sentire qualcuno piangere, e conosceva bene i pianti di Gerard.
Aveva creduto si fosse trattato di un’allucinazione, ed era rimasto a rigirarsi tra le lenzuola fino a quando il campanello non suonò. Le prime due volte gli erano sembrate un’allucinazione.
Era andato ad aprire la porta con calma, sapeva che Gerard non se ne sarebbe andato, non si era stupito trovandolo ancora davanti alla porta, non si era stupito neanche delle linee rosse che deturpavano il bianco intorno a quelle iridi mutevoli, e non si era stupito quando Gerard era andato sul divano come se ogni giorno, alle quattro del mattino, bussasse alla porta di un amico per poi occupargli il divano senza neanche vederlo prima di stendercisi sopra.
Aveva sempre saputo della mancanza di interesse di Gerard nella distinzione tra cose opportune ed inopportune, e che spesso aveva anche dato l’impressione di possedere qualche superpotere.
Frank si era addormentato poco tempo dopo l’arrivo di Gerard, forse perché averlo in casa lo rendeva più tranquillo.
E avrebbe ringraziato Dio, se solo non avesse perso la fede anni prima, perché Gerard era arrivato alle quattro di una domenica mattina – non doveva preoccuparsi di lasciarlo solo in casa per andare a lavoro, o di svegliarlo e portarlo a lavoro.

Frank si svegliò alle dieci e sapeva che Gerard stava ancora dormendo: in tal caso se lo sarebbe ritrovato nel letto, o la questione doveva essere parecchio seria.
Si lavò solo la faccia e i denti, dopo aver fatto la pipì. Scese le scale con volontà pari a quella di uno zombi e alla propria destra vide il divano su cui dormiva Gerard – lo stesso divano che gli impediva di vedere Gerard.
Lo raggirò e lo vide, a pancia in su, con le mani incrociate sul ventre coperto da una felpa rossa. Sapeva della presenza di Frank nella stanza, ma ancora non si era degnato di guardarlo o salutarlo.
Intanto, Frank osservava i suoi capelli scompigliati e la gamba piegata, che aderiva allo schienale. Fu sollevato vedendo i suoi occhi più limpidi e meno umidi di qualche ora prima. Si chiese se fosse o meno il caso di spostare la tenda per illuminare di più la casa, ma evitò.
Anche dopo essersi schiarito la voce, le parole uscirono un po’ roche: “Hai dormito?”
Gerard voltò piano la testa, come per riconoscere la fonte di quelle parole dal volto e non dal tono. Rispose con un singolo hm.
Allora si avvicinò al divano, e si inginocchiò vicino alla testa di Gerard, che allungò una mano per appoggiarla sulla guancia di Frank.
Frank gli toccò i capelli, iniziò a sistemarglieli senza guardarli, perché lo stava guardando negli occhi. Morivano dalla voglia di baciarsi, non c’era dubbio, ma prima – forse per la stanchezza – pensarono bene di contemplarsi un po’ a vicenda.
Frank non osava, perché ancora non sapeva.
Gerard non osava e basta, invece.
Passarono quasi un minuto a guardarsi negli occhi, come dei cretini, e in quei sessanta secondi scarsi Gerard vide qualcosa negli occhi di Frank, che vedeva sempre negli occhi di Lyn-Z.
E gli venne in mente che Frank non gli aveva mai detto di amarlo, ma come Lindsey gliel’aveva dimostrato più di una volta in diversi modi.
E forse, per tutto quel tempo, in realtà nessuno l’aveva amato.
Aveva senso, no? In fondo chi cazzo si innamorerebbe di un disastro come lui?
Stava per girarsi e ricominciare a piangere, ma Frank parlò appena in tempo.
“Perché hai pianto, ieri?” Chiese.
E non c’erano dubbi, Frank era troppo premuroso, troppo vicino, troppo dispiaciuto e quasi arrabbiato per essere solo un amico.
Finalmente, dopo saghe di film mentali inutili, insensati, capì che l’unico bugiardo, era lui.
Che l’unica cosa falsa detta da Lyn-Z era stata la confessione della notte prima.
Se prima si era sentito idiota, confuso, completamente solo… be’ in quel momento si sentì molto peggio. Ma proprio un fottio.
Possibile che fosse nato nell’unico universo in cui esisteva una persona come Lindsey? Che ti ama così tanto, da lasciarti andare fingendosi una gran stronza, dopo aver capito che tu sei innamorato di un ragazzo da così tanto tempo da aver perso le palle e la speranza per averci una cazzo di relazione.
Riuscì a stupire Frank, voltandosi. Ma non riuscì a piangere.
Frank avrebbe potuto aspettare anche un’ora la risposta di Gerard, tanto non aveva un cazzo da fare quel giorno. Però ora che si era girato cosa stava provando a comunicargli? Che non aveva l’intenzione di rispondergli?
“Sono un idiota, Frank.”
Aveva pianto perché era idiota?
“Hai pianto perché sei idiota?”
“No, cazzo. Sì. Certo che lo sono. Lyn mi ha lasciato perché non mi ama, dice. Ho pianto perché non mi dispiaceva per le ragioni per cui avrei dovuto essere triste. E dovrei piangere ora… che ho capito che, porca puttana, mi ama troppo quella povera ragazza. Sai cosa, Frank? Mi faccio prete. E non un fottuto prete protestante, no. Uno cattolico, così non posso sposarmi. Non sono fatto per le relazioni.”
“La smetti di dire cazzate? Credi di non poter avere una cazzo di relazione seria solo perché non amavi la donna con cui sei stato per anni?” La rabbia di Frank un po’ spaventò Gerard, che provava a rifugiarsi continuando a rivolgersi allo schienale del divano. Era rabbia che formava grosse nuvole, nere, che minacciavano di sbrandellarsi in una pioggia furiosa, di far muovere il cielo per produrre lampi accecanti. Tutte queste nubi, che presto si sarebbero unite per coprire il cielo in un unico oscuro batuffolo, coprivano la luce del sole, la paura, che bruciava e viveva di amore.
“Lo dico perché sono stanco, non si capisce?”
“Sei stanco perché è da cinque anni che agisci pensando con i gomiti, cazzo! E pensi a me? Io non sono stanco, vero? Che non riesco neanche a dormire per colpa tua. Sei proprio un coglione, Cristo. È da anni che non ho relazioni serie perché spero che tu ti accorga di me, che tu faccia qualche cazzo di cosa per stare con me. So che per te è fottutamente impossibile dire ciò che provi, e anche dimostrarlo, e che se io fossi stato fidanzato tu avresti giustificato la tua mancanza di palle proprio con il fatto che ero fidanzato. Ma cazzo neanche così sei riuscito a capire di amare me, c’è voluta Lindsey. Ha dovuto lasciarti lei, sei patetico. Sei un idiota.”
La verità in quelle parole le lasciò sospese intorno a loro; Gerard si arrabbiò, e con uno scatto si girò, sperando di riuscire a mettere insieme qualche argomentazione soddisfacente e qualche contestazione alle tesi di Frank in pochi decimi di secondo.
Frank non si mosse dopo essersi imbattuto improvvisamente nella faccia di Gerard a neanche venti centimetri dalla propria.
Il massimo che riuscì a fare fu provare a contestare cose a caso: “Come fai a giudicare i criteri delle mie scelte? Come fai a dire che io non mi accorga di te? Come fai a sapere quello che provo io?”
“Davvero… Davvero vuoi provare a dirmi che servono le parole per confermare cose come quella? Solo tu sei tanto coglione da non capire l’evidenza di alcuni gesti.” Frank si alzò. “Se Lindsey ti ha detto di non amarti e tu le hai creduto davvero non significa che gli altri non capiscano certe cose.” Si allontanò dal divano, fermandosi praticamente al centro del salotto, infine strofinò una mano contro la fronte.
Fu strano il pesante silenzio che seguì, fu ancora più strano il borbottio dello stomaco di Frank.
“Vado a fare il caffè, tu intanto pensa alle cazzate che stai dicendo.”
“Non sono cazzate, Frank!” La voce di Gerard gli arrivò alle spalle, mentre attraversava il buco senza porta che permetteva l’ingresso in cucina.
“No, certo, sia mai che Gerard Arthur Way abbia torto, o che ammetta i propri sentimenti.”
“Frank-”
E Frank si voltò, ed evidentemente la rabbia con cui stava fabbricando le frasi che avrebbe detto era quella quasi completamente repressa di una decina di anni, perché non si soffermò ad apprezzare il viso di Gerard che sbucava dal divano, e la sua mano che si aggrappava alla stoffa scura.
Fece finta di non notare la lucentezza dello sguardo stupito che lo stava implorando. Implorando di fare cosa, poi, non si sa.
“Smettila di essere così fottutamente orgoglioso, cazzo! Lo so benissimo che mi vuoi, ma non lo ammetti. Sei… come una persona che deve aprire un pacco di pasta, ecco! Sì. Sai benissimo che potresti usare le forbici ma non hai voglia di cercarle, così decidi di aprirlo da solo.” Frank gesticolava peggio di un personaggio stereotipato italiano dei Griffin. “Cerchi di fare piano e ci stai riuscendo, poi ti accorgi che hai le forbici proprio sotto al naso ma non le vuoi usare perché ormai hai deciso che dovrai aprire quel fottuto pacco da solo, così continui ad aprirlo e quando hai quasi finito sei così sicuro di te e sei felice di avercela fatta che fai troppo velocemente e boom! Pasta ovunque. Per terra, sul tavolo. E il pacco è tutto strappato e tu sei un coglione. Come faccio ad amare qualcuno che non sa neanche aprire un fottuto pacco di pasta? Eh? Potevi usare le forbici, ammettere almeno a te stesso che ti servivano, che non tutto si fa meglio da soli. Ma no, tu devi essere orgoglioso e spargere pennette per la cucina! E poi chi le deve raccogliere? Io! Perché tu, povero coglione, fai finta che sia tutto a posto quando invece ci sono pennette sulle sedie, nel lavandino.” Tutti, in quella casa, finsero di non aver sentito la dichiarazione d’amore di Frank coperta di pasta. A parole, così tanto chiaramente, Frank non l’aveva mai detto a Gerard. “E sai una cosa? Le forbici si sono stancate. Non ci saranno più quando vorrai aprire quel fottuto pacco di pasta. Quindi farai meglio ad abituarti ad avere pasta anche nelle mutande.” Si girò e andò in cucina a fare il caffè. Un’uscita proprio ad effetto. Mancava solo il fumo colorato.
Tornò con due tazze in mano, che appoggiò sul piccolo tavolo vicino al divano.
Successivamente tornò in cucina a prendere zucchero e altre cose da aggiungere al caffè.
“Frank, a me neanche piace la pasta.” Frank lo guardò malissimo, come un cane a cui togli il proprio giocattolino a forma di anatra, con tanto di finti versi da anatra.
“Solo perché non la sai cucinare.”
“Appunto, tu invece sei bravissimo. E sono sicuro che riusciresti ad aprirlo anche senza forbici il pacco. Il punto è che non me ne frega niente della pasta.” Me ne frega di te avrebbe voluto dire, ma gli sembrò inutile aggiungerlo. Inutile e ruffiano, poco credibile dopo tutto quello che si era sentito dire.
“Secondo me hai ancora bisogno di pensare, ora che hai dormito e hai il tuo fluido vitale puoi provare a mettere a posto le idee, io vado su. Se vuoi parlarmi, pensaci tre volte prima di bussare.”
E Frank se ne andò, portandosi con sé la tazza e lo sguardo di Gerard.

In realtà erano due ragazzi abbastanza intelligenti.
Non molto svegli per certe cose, però.
Il caffè faceva dei veri miracoli, far connettere i neuroni di quel ragazzo era un’ardua impresa.
Gerard elaborò il fatto che non solo Lindsey lo amava, l’aveva sempre amato e più che probabilmente l’avrebbe amato anche morendo, ma lo aveva lasciato perché, pur amandolo, lei aveva capito che lui non l’amava. Perché era innamorato di Frank, ovvio.
Quindi la chiamò, per dirle che in un’altra vita sarebbe stato felice di nascere femmina, giusto perché aveva l’impressione che le donne fossero più sveglie.
E magari per dirle di aver capito una cosa semplicissima, ringraziarla per la comprensione e… niente, l’avrebbe abbracciata il prima possibile, poi le avrebbe anche sussurrato all’orecchio quanto bene le volesse – forse quei cinque anni non erano stati tanto brutti.
La chiamata non durò troppo, una decina di minuti, e fu il turno di entrambi di essere in imbarazzo, ma alla fine rimisero il telefono in tasca con gli angoli delle labbra leggermente orientati verso gli occhi.
Prese l’atto di Lynz – quello di lasciarlo – come una piccola benedizione, per lui e Frank. Simile a quella che i padri danno ai futuri generi, o gli zii, i fratelli maggiori.
Gerard bussò alla porta della camera di Frank, era arrivato lì spinto dall’istinto.
“Ci hai pensato tre volte?”
Gerard aprì la porta. “Neanche una.”
Ciuffetti mori sfioravano il pavimento notte della stanza, e due grandi occhi colore parquet appena lucidato erano coperti da una mano che si perdeva tra capelli di scarsa lunghezza.
Frank era quasi a metà del letto, a pancia in su, disteso con la testa né sul cuscino né sulla parte in cui di solito riposavano i piedi.
Vide arrivare Gerard, vide la sua mascella dal basso e anche le sue grandi narici, il suo profilo stagliarsi contro il soffitto bianco.
Vide il viso avvicinarsi, sentì le sue mani vicino alle guance, e la prospettiva lo rese sempre più grande mentre si avvicinava.
Poi Gerard gli diede un piccolo bacio sulla bocca, e si abbassò per lasciargliene uno anche sulla fronte. Si abbassò ancora per appoggiarci sopra la propria.
“Gee.” Soffiò, riuscendo in qualche scomodo modo ad accarezzare il collo – o qualcosa lì vicino – di Gerard. “Mi sto drogando io o ti sei drogato tu?”
Sorrise, prima di dire: “Al contrario, credo di essermi disintossicato. Frank, ho… Ho capito un sacco di cose.”
Frank annuì, poi alzò la testa e si girò, giusto per evitare di riempire la testa di sangue ed esplodere. Piano piano i puntini colorati danzanti si dissolsero, lasciando che il mondo prendesse forma. “Tipo?”
“Tipo…” Gerard si sedette sul letto. “Non credo di volerne parlare, non ora.”
Frank annuì. “Adesso o rimani qui o vai via, allora.”
Ed entrambi sapevano che non era riferito solo a quella stanza, ma era un concetto che si estendeva su entrambe le loro vite. Almeno, Frank sperò di essere stato abbastanza ambiguo, perché nella situazione in cui si trovavano iniziava a dubitare di alcune facoltà mentali del ragazzo che lo stava osservando.
“Se mi fai spazio, forse, posso rimanere.”
Gee, è un fottuto letto a due piazze. Ci stiamo.”
Sorrisero e Frank gli tirò la maglietta, per farlo cadere delicatamente con la schiena sul letto.
Si arrampicò sul suo petto fermandosi a metà strada, quel groviglio di arti assomigliava ad un abbraccio.
Gerard posò le mani sulla schiena dell’altro, per spingerselo un altro po’ addosso e ricambiare l’abbraccio.
I loro cuori completavano l’uno il battito dell’altro, il risultato era un brusio indefinito che faceva da colonna sonora al silenzio.
“Se ci stiamo, perché mi sei addosso?”
Frank morse, piano, il primo pezzetto di Gerard che vide. Senza rispondergli. Aveva sopportato troppo per non godersi quel momento, si era fatto troppe domande per poi scoprire che la risposta era semplicissima, sempre lì, alta poco più di lui.
Si baciarono con la delicatezza di chi sa di avere abbastanza tempo, e l’intensità di chi ha aspettato più del necessario.
Frank gli tolse la maglietta usando la scusa: “L’hai usata anche per dormire, dopo te ne do una io.” E Gerard la tolse a lui per solidarietà, poi si ritrovarono a fissarsi, con le tempie appoggiate ai due cuscini bianchi di Frank.
Nessuno ricordava le esatte manovre con cui si erano spostati da una posizione all’altra.
Era strano come in un giorno tutti gli ingranaggi prima disorientati della vita di Gerard, e di quella di Frank, si fossero finalmente uniti per far funzionare un macchinario ancora più grande e complesso. Che funzionava.
Bastava così poco per rendere felici due persone, almeno per un po’, almeno per un’illusione reale?
Bastava un po’ di onestà, spinta da una menzogna?
No, perché a saperlo prima, forse Gerard avrebbe delicatamente spinto via Lindsey la notte del loro primo bacio, forse avrebbe baciato per bene Frank molto, molto tempo prima.
Ma alla fine si riteneva fortunato anche così, perché niente gli garantiva che se le cose fossero andate in modo diverso, in quel momento sarebbe stato lì con Frank. Ed era proprio doveva voleva essere.
“Scusami. Lo so che mi hai già perdonato per essere un idiota.”
“In realtà, lo sei stato. Ora non lo sei, per il futuro non posso dire niente.”
Sorrisero.
“Gerard, vado a cucinare. Tu fatti una doccia e rubami i vestiti che vuoi.” Prima di alzarsi gli spostò un po’ di capelli davanti agli occhi, solo per infastidirlo.
Si sentì in una specie di film porno a cucinare senza maglietta.
Evitò la pasta per non far venire a Gerard strani pensieri in testa. Prese gli hamburger vegetariani dal freezer, e mentre questi facevano scoppiettare l’olio nella padella pensò a Lindsey, a cui doveva molto.
Anche se per colpa sua non aveva mai avuto la possibilità di stare con Gerard.
Ma non riusciva ad odiarla per aver creduto in un amore improbabile, almeno lei si era resa conto della situazione e aveva provveduto a tirare Gerard fuori dal proprio mondo, schiaffeggiarlo verbalmente e dargli la possibilità di vivere quello che avrebbe realmente voluto.

Lindsey non era abituata a sentire il telefono squillare, ma in quella giornata era già la seconda volta che succedeva.
E la chiamata era da Frank Iero. Cosa ancora più strana.
Rispose, incuriosita.
“Hm, ciao. Volevo parlare di Gerard.” Gerard.
L’aveva lasciato andare da appena un giorno, neanche, cazzo. Non poteva mettersi a pensare a lui così presto.
Non se n’era pentita, però. Non l’avrebbe mai fatto.
E non perché era la cosa giusta da fare – le cose giuste non esistono, ciò che è giusto per qualcuno non lo è per qualcun altro – ma perché Gerard non sarebbe stato felice, reale, con lei. E di conseguenza neanche lei lo sarebbe stata, perché dipendeva da lui.
Presto si sarebbe abituata all’idea di rimanere da sola, per un tempo indefinito.
Che poi, le persone sono sempre da sole. Anche in due, si è soli.
A lei non dispiaceva stare sola, le sarebbe giusto mancato Gerard, ma sapeva sarebbe arrivato il momento. Lo sapeva senza saperlo. Era preparata.
Poi, sapeva di essere una ragazza eccezionale, non le mancava praticamente nulla.
“Grazie.”
Lindsey sorrise, un sorriso fatto di lacrime. “Di che? Non l’ho fatto per te. Non voglio dire che non ti voglia bene, ma… capisci quello che intendo.”
“Certo, grazie. Spero solo che ora riesca ad essere felice.”
“Anche io. Prima non lo era.”
“Ehi, Lyn-Z… Non è colpa tua. Anzi,” Frank rise “penso che ci abbia messo tanto a capirlo perché tu sei troppo fantastica.”
Lyn-Z sorrise, un sospiro arrivò fino al telefono di Frank. “Già, forse hai ragione. Fammi solo un favore: fai... hm, fai in modo che la smetta di fare cazzate.”
Non avevano bisogno di dirsi troppe parole, i concetti erano chiari: Gerard aveva bisogno di Frank.
Di qualcuno che oltre a destabilizzarlo con secchiate di acqua gelida in faccia, lo aiutasse ad asciugarsi.
E qualcuno che lo facesse sentire se stesso, così magari si sarebbe capito più facilmente.
“Ci proverò.”

 

 

 

 

 

Ho messo il rating giallo solo per le parolacce – colpa di Gerard. E di Frank.
Ma sono sempre incerta su queste cose quindi se avete obiezioni, fate pure.

Spero che a qualcuno sia rimasto qualcosa da questa storia, anche solo qualche risata.
Più che altro, ho scritto questa OS per me stessa e non mi aspetto che a qualcuno piaccia, ma se succede mi fa piacere.
Ascolterò volentieri le vostre perplessità, o opinioni.
In privato, nelle recensioni, o – se qualcuno è capace – può inviarmi qualche segnale telepaticamente.
Good vibes a tutti!

xoxo Coffee_Time

  
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