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Autore: Briciole_di_Biscotto    16/08/2015    2 recensioni
Cina sentì provenire da dietro di sé un pianto sommesso, e si girò per vedere chi fosse.
Una giovane donna era rannicchiata su se stessa e si dondolava in avanti e in dietro, singhiozzando.
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Okay, ecco un altro piccolo tributo a Nagasaki. Questo è uno spin-off della mia precedente fic, 9 agosto 1945, proprio come dice il titolo.
No!pairing
Con la collaborazione di Giappone
[Cina!centric]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cina/Yao Wang, Giappone/Kiku Honda, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Dedicata a  _Frame_ , che è stata così cara da betarla e aiutarmi a migliorare.



 

  Cina fissava quel cumulo di macerie che un tempo era stato la bellissima città di Nagasaki.
  Se lo ricordava bene, quel luogo: era spesso andato a visitarlo, quando veniva a trovare Giappone. Era una città molto bella ed elegante: le case erano circondate da giardini colorati, i templi erano sempre ordinati, il mercato, sempre pieno di vita, profumava delle mercanzie provenienti da ogni dove, in un continuo fremito di vita ed allegria. Le persone che la abitavano erano tutte simpatiche e cordiali, e l’aria era satura dell’odore del riso appena bollito e del pesce grigliato, mentre un allegro chiacchiericcio si diffondeva senza sosta, dandole l’aria di una città sempre sveglia, attiva.
  Ora, invece, l’unico odore che si sentiva era quello nauseante della carne bruciata e del fumo, gli unici rumori erano causati dal vento che ignaro soffiava tra le macerie e dal rantolio agonizzante dei pochi sopravvissuti, che comunque non lo sarebbero stati ancora per molto.
  Cina sentì provenire da dietro di sé un pianto sommesso, e si girò per vedere chi fosse.
  Una giovane donna era rannicchiata su se stessa e si dondolava in avanti e in dietro, singhiozzando. La pelle era bruciata, ricoperta di piaghe violacee, e in alcuni punti era deformata, come se il calore le avesse sciolto la carne. Cina sentì un conato di vomito quando capì che era proprio così: metà del volto, che un tempo doveva essere stato davvero bello, ora era cadente, deformato, annerito, quasi inguardabile. Il lato sinistro delle labbra era piegato all'ingiù in una smorfia innaturale, e un occhio quasi non si vedeva più, nascosto dalla carne in decomposizione.
  Udì qualche parola provenire dalle labbra della donna: sembrava quasi un canto spezzato dai singhiozzi. La giovane si portò una mano in grembo ad accarezzare un fagotto, che si mosse lievemente, facendo sfuggire un gemito alla donna. Cina ebbe un tuffo al cuore quando, avvicinandosi, vide il corpicino minuto di una bambina di circa cinque anni, deturpata da innumerevoli ustioni, riversa sulle gambe della madre. Il respiro era un rantolio, la bocca spalancata alla ricerca di aria, in uno sforzo quasi sovrumano.
  Cina prese la sua borraccia e con gentilezza, con gesti calmi e misurati, si avvicinò alla madre, che sollevò lo sguardo spaventata. Come darle torto? Del resto la divisa della milizia cinese non aiutava certo ad aumentare la fiducia della donna nei suoi confronti.
  Le sorrise dolcemente e le porse l’acqua, che la donna guardò sospettosa, nonostante si vedesse fin troppo bene quanto volesse afferrare la borraccia e berne tutto il contenuto, qualunque cosa essa contenesse: l'occhio sano correva dalla bottiglia a Cina, e poi di nuovo alla bottiglia, mentre deglutiva in cerca di saliva.
  Cina si portò la borraccia alla bocca e ne bevve un piccolo sorso, come dimostrazione, poi avvicinò l’imboccatura alle labbra della bambina. Sentì la madre irrigidirsi, ma quando cominciò a versare gentilmente l’acqua nella bocca della bambina, questa parve come rianimarsi. Con quello che sembrava uno sforzo sovrumano allungò lentamente le manine tremanti e con un gemito di impazienza le arpionò al contenitore, continuando a bere avidamente.
  La madre si lasciò sfuggire un singhiozzo e sorrise sollevata, carezzando piano il capo della bambina e aiutandola a tenere la bottiglia.
  Quando il contenuto della borraccia fu finito e Cina, dopo un ultimo sorriso, fece per andarsene, la madre accomodò meglio che poté la piccola sul terreno, poi con immensa fatica, cercando di tenere in piedi il debole corpo, si tirò su e si inchinò profondamente, quasi a toccare le ginocchia tremanti con la fronte.
 – Arigatou gozaimashita!
  Si tirò su e di nuovo abbassò il capo. Rimase ferma così per alcuni istanti mentre continuava a ringraziarlo senza sosta.
 – Arigatou gozaimashita! Arigatou gozaimashita! Arigatou gozaimashita!
  Cina, leggermente imbarazzato dalla situazione, le si avvicinò e la prese delicatamente per le spalle facendola alzare, e le sorrise per farle capire che non c’era bisogno. Accarezzò un’ultima volta il capo della bambina, poi si voltò per andarsene.
  Aveva fatto qualche passo, quando si sentì richiamare.
 – Aspetti, per favore!
  Cina si voltò e vide la donna che, arrancando, lo rincorreva con fatica. Si fermò davanti a lui e, senza badare al suo sguardo sorpreso, mise una mano sotto l’obi rovinato che le teneva il kimono. Ne estrasse un piccolo sacchetto di tessuto che gli porse con un dolce sorriso.
 – Sta cercando qualcuno, non è così?
  Aveva il fiato corto, e la bocca si spalancò alla ricerca d'aria, ma continuò a parlare, testarda.
 – Questo è un regalo che ho ricevuto da mio marito. Non è niente di ché, ma la prego di accettarlo come segno della mia gratitudine.
  La voce le tremava per lo sforzo.
 – Del resto, ormai a me non serve più.
  Accompagnò l'ultima frase con un sorriso mesto.
  Cina non conosceva molto bene il giapponese, ma quando guardò il sacchetto, notò che vi era ricamata in ideogrammi, la scrittura che lui stesso aveva tramandato al popolo giapponese, la parola “ritrovo”.
  Scosse il capo e porse nuovamente il sacchetto alla donna.
 – Io… Io non posso accettare. Posso immaginare che per lei questo sia un oggetto importante, io non...
  La donna sorrise dolcemente e porto le mani ustionate a quella che le porgeva Cina. La prese fra le sue e facendogli dolcemente piegare le dita, chiudendogli il pugno intorno al portafortuna.
 – Mio marito... Lui me l'ha donato prima di partire per il fronte, nella speranza di poterci ritrovare tutti insieme una volta che la guerra fosse finita. Ma ormai per me è inutile.
  Un sorriso malinconico le si disegnò in volto, mentre gli occhi le si inumidivano
 – Ho ricevuto l'altro giorno la lettera che annunciava la sua dipartita, ed è probabile che né io, né mia figlia resisteremo in vita ancora a lungo.
  Sul suo volto e nella sua voce c'era una sorta di serena rassegnazione.
  Cina spalancò gli occhi e fece per parlare, ma la donna non glielo permise. Gli rivolse un ultimo sguardo incoraggiante.
 – Buona fortuna.
  Poi, senza attendere risposta, si voltò e tornò arrancando verso la figlia.
  Cina aprì il pugno fissando sorpreso il portafortuna. Prese il cordoncino che teneva chiuso il sacchetto e lo sollevò, facendolo dondolare davanti agli occhi. Il tessuto aveva un complicato ricamo di fiori di ciliegio e paesaggi innevati che si fondevano tra loro come a formare una connessione fra le due stagioni, come a simboleggiare che dopo l’inverno viene sempre la bella stagione, che dopo un periodo di dolore ce ne sarà sempre uno di gioia.
  Lo lanciò in aria e con uno scatto fulmineo lo riprese al volo. Delicatamente, lo mise nella tasca sinistra della sua divisa, quella vicino al cuore.
  Poi si voltò e cominciò a correre giù dalla collina.

 

9 agosto 2015, Giappone, Nagasaki
Memoriale Nazionale della Pace per le vittime della bomba atomica di Nagasaki
ore 20.15

Il parco è avvolto dal silenzio. La manifestazione in ricordo del settantesimo
anniversario dal lancio della bomba atomica su Nagasaki si è appena concluso,
e le ultime persone si stanno allontanando stancamente dal parco,
le spalle chine e il passo strascicato.
Una figura slanciata si avvicina piano al monumento memoriale.
Si inginocchia in silenzio, e lentamente posa due mazzi di rose rosa scuro ai piedi del monumento,
insieme a tutti gli altri.
Una voce rompe il silenzio.
– Yao, che fai? Sbrigati, prima che si faccia buio.
Cina sorride nel sentire Giappone avvicinarsi alle sue spalle, ma rimane inginocchiato.
Giappone lo guarda incuriosito.
 – Mi spieghi perché non hai voluto partecipare alla manifestazione,
se alla fine sei comunque voluto venire qui?
– Dovevo salutare una persona, e non mi andava di farlo in mezzo a tutta quella gente. Sai...
Sorride dolcemente osservando il mausoleo, mentre gli occhi si riempiono di una luce malinconica.
– Credo fosse una che amava la tranquillità.
– Di cosa stai parlando?
Cina ridacchia e si tira su. Poi, con uno scatto improvviso, avvolge le spalle di Giappone
con un braccio e lo attira a sé, facendo sfuggire dalle labbra del ragazzo un'esclamazione.
– Ma cosa- ?!
Cina lo ignora. Con il suo giapponese stentato, si rivolge dolcemente al mausoleo.
– Hai visto? L'ho ritrovato.
Giappone si scrolla il suo braccio dalle spalle e lo guarda scocciato.
 – Si può sapere che ti prende? Con chi stai parlando?
Cina ridacchia e gli fa l'occhiolino.
– Segreto.
Volta le spalle al mausoleo e comincia a camminare,
seguito a poca distanza dal giapponese che lo guarda confuso.
La luna piena, proprio come quella sera, illumina un piccolo portafortuna 
legato ad un mazzo di fiori.

  
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