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Autore: Lost In Donbass    17/08/2015    3 recensioni
Una casa infestata.
Cinque emanazioni dello stesso ragazzo.
Un amore ossessivo.
Specchi e sangue.
Un ragazzo tornato dall'oltretomba.
Cosa potrà succedere a Harry Styles, semplice notaio di provincia, finito in questo orrore?
Genere: Dark, Horror, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Sorpresa, Tom Kaulitz
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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I’M HAUNTED BY YOUR SHADOW

Quando Harry si trovò di fronte all’immenso portone della villa vittoriana, non riuscì a reprimere un brivido. Due gargoyle di pietra bruna sormontavano due colonne ellenistiche ai lati della porta di mogano finemente scolpita con delicati fiori. Le imponenti finestre a bovindo si affacciavano come ciechi occhi sul parco che si estendeva per miglia nella proprietà dei MacGregor, ricchissima famiglia che da generazioni viveva in quella casa che da sola governava le Highlands scozzesi lì attorno. Come un orrendo corvo che si divertiva a osservare crudelmente la regione sottostante, a governare con i suoi occhi ciechi qualunque cosa vi fosse lì sotto. Sola, terribile, inquietante, la Crow Manor era rimasta vuota, senza diretta discendenza da parte dei MacGregor, abbandonata al suo piovoso destino scozzese, come rudere dimenticato da Dio e dagli uomini, lasciata alle intemperie, al freddo, all’umido, senza padrone e senza servi, esule nella sua oscurità.
Harry sospirò rumorosamente, e si accinse una buona volta a suonare il campanello appeso a un angolo della casa. Ne avrebbe fatto volentieri a meno, sarebbe rimasto a Holmes Chapel in pace, sentendo i suoi amici, rilassandosi, occupandosi dei piccoli problemi di quartiere, senza doversi incastrare in problemi simili. Ma quando gli si era presentata l’occasione, suo padre lo aveva mandato di filato alla Crow Manor a risolvere il problema; “Guadagneremo un botto di soldi” gli aveva detto. Non che a Harry interessassero più di tanto, ma si doveva pur mangiare. E suo padre non aveva tutti i torti quando gli diceva che se si fosse presentato un caso simile, non si poteva lasciarlo sfuggire, ma prenderlo al volo, finché si fosse potuto. E quello sembrava proprio il caso adeguato: la vecchia, decadente, maledetta Crow Manor comprata da un tizio tedesco per non si sa quale misterioso motivo. Harry, nonostante la giovane età, era un bravo notaio, degno erede di una famiglia di notai da generazioni e generazioni; anche se in quel caso avrebbe preferito essere tutt’altro. Tossicchiò, stringendosi nella giacca di montone e sfregandosi le mani sui jeans nel tentativo di riscaldarle. La Scozia d’inverno era dannatamente fredda, troppo per i suoi gusti. E umida. Così i suoi capelli andavano tranquillamente a farsi benedire.
Non aveva nessuna voglia di incontrare il crucco; sarà stato sicuramente un vecchio baffone nazistoide fissato con la magia e le arti oscure. Sinceramente, per comprare la Crow Manor bisognava essere necessariamente un po’ tocchi di cervello. Harry non conosceva bene le storie di sangue, tradimenti e macabri omicidi che circolavano su quella villa maledetta, solo che eterna dannazione vi regnava e che nessuno sano di mente vi avrebbe piantato le tende, nemmeno per una settimana. Tantomeno trasferirvicisi!
Batté i piedi sul selciato scuro, infreddolito e stufo di stare lì in piedi come un mammalucco con le pratiche in mano e un fazzoletto nell’altra, colpevole la secchiata d’acqua che quel cretino di Louis gli aveva buttato in testa prima che partisse.
Stava quasi per appendersi nuovamente al campanello, quando, con uno scricchiolio che faceva letteralmente accapponare la pelle, il pesante portone si aprì, roteando su se stesso come dotato di vita propria, mostrando al ragazzo un antro completamente buio. Harry non poté trattenere un fremito nella voce quando disse
-Ehm, c’è nessuno? Sono il notaio …
-Avanti, signor Styles, si accomodi.
Una voce melodiosa, deliziosamente acuta, si sparse per la sala, facendo accapponare la pelle a Harry. Da dove veniva quella specie di canto celestiale? E soprattutto, come avevano fatto le luci del candelabro ad accendersi di colpo, illuminando un’ampia sala vittoriana, dal soffitto alto e meravigliosamente affrescato?
Harry sobbalzò di colpo, incapace di trattenersi. Si guardò attorno, alla ricerca del padrone di casa o perlomeno del proprietario della voce. Notò l’enorme tappeto persiano coprire il pavimento di legno scuro, gli arazzi alle pareti raffiguranti scene di caccia medioevale , l’enorme lampadario dorato con più di 50 candele, un grosso appendiabiti di ferro a forma di albero incombeva sopra il giovane, pronto a ghermirlo con i suoi bracci accuratamente rifiniti con delicate foglioline di bronzo. Una grossa cassa di legno chiaro dipinto stava vicino a un arco di pietra scurita dal tempo, aperta, da dove si vedevano altri arazzi accuratamente piegati a regola d’arte.
Harry ebbe da un lato voglia di scappare fuori, sotto la pioggia battente che si stava riversando sulle Highlands quella sera invernale, mentre dall’altro avrebbe voluto rimanere in quella casa calda e straordinariamente intrigante, a studiare quei grandissimi arazzi evidentemente pregiati.
-Scusi l’attesa.
Di nuovo la voce melodiosa si ripercosse sulle pareti di pietra scura, come fossero fatte apposta per far rimbombare quella voce magica, farla rimbalzare su quelle pareti e avvolgere lo sfortunato ospite.
Harry si guardò attorno e solo in quel momento, con suo grande orrore, si rese conto che il padrone di casa era davanti a lui, apparso non si sa in quale momento e da non si sa dove, come uno sbuffo di nebbia nell’aria.
Harry alzò la testa di scatto, con il solito sorriso a trentadue denti che solitamente sfoggiava in qualunque occasione, per presentarsi bene ai clienti, con serietà ma con gentilezza e disponibilità. Sorriso che però gli morì pian piano sul bel viso non appena vide il padrone di casa. Non si era aspettato un ragazzo. E non si era aspettato un dio.  Osservò, per un momento in un silenzio pesante l’uomo  che lo guardava con un sorriso cortese, la pelle candida riluceva alla luce delle candele come se fosse vera e pura porcellana cinese, gli enormi occhi neri più del nero sembravano perle preziosissime perse negli oceani dimenticati di Atlantide annegati in un trucco talmente pesante da ricordare a Harry una nuova Morticia Addams; i capelli corvini, quasi viola per il riflesso, ricadevano sulle spalle del ragazzo, a incorniciargli quel viso da bambola, da geisha, talmente bello da sembrare finto. Seguì la linea del corpo slanciato, sottile, femmineo, avvolto in una vestaglia di flanella rosso amaranto, come le sue labbra sottili, accuratamente dipinte di rosso, delineate con maestria.
-Ah, si, non si preoccupi, io … - Harry non si raccapezzava più.  Lui non boccheggiava mai, mai e poi mai. Eppure in quel momento sembrava non ricordarsi più nemmeno mezza parola del vocabolario inglese. Niente di niente, solo nebbia nel suo cervello.
-Voglia scusarmi per averla accolta al buio, ma sa, ho un grosso problema agli occhi. Non posso stare alla luce.
-Si figuri. Harry Styles, al suo servizio- il notaio gli tese la mano, tremebondo.
-Bill Kaulitz, onorato.
La mano del tizio era gelida, di un pallore mortale, ornata da una quantità spropositata di anelli di ogni dimensione e forma, le unghie lunghe, acuminate, dipinte di blu notte. Harry si sentì congelare il sangue nelle vene non appena gli strinse la mano, un freddo così intenso come non l’aveva mai provato. Come se dentro il ragazzo vi fosse una temperatura pari allo zero assoluto.
-Sono venuto per la questione dell’acquisto della villa, vede …
-Si, certo, la stavo aspettando infatti. Voglia accomodarsi in salotto.
Bill chinò cortesemente il capo, lasciando frusciare i capelli e introdusse Harry in un gigantesco salotto di pietra scura, con un gigantesco camino e due finestre a bovindo con tende rosse di velluto. Il notaio si guardò attorno stupito. Sopra il camino era inciso lo stemma dei MacGregor, un enorme corvo che teneva nel becco una croce, elegantemente rifinito da foglie di bronzo. Anche lì un grande tappeto persiano copriva il pavimento di assi di legno scuro, e un lampadario di candele pendeva dall’alto soffitto. Il divano e le poltrone, accuratamente disposte attorno al camino, erano di stoffa rosso sangue e in mezzo a loro vi era un elegante tavolino di mogano con sopra una scacchiera e una bottiglia contenente un liquido trasparente. Enormi librerie ridondanti libri di ogni tipo ricoprivano le pareti.
-Prego, si accomodi.
Harry venne fatto sedere sul divano, particolarmente morbido e confortevole. Bill gli si sedette davanti, sulla poltrona, con il sorriso apparentemente incancellabile sulle labbra rosso fuoco.
-Ehm, arredamento pesante, non crede?- attaccò il notaio, notando suo malgrado un grosso pavone impagliato che sembrava fare la guardia a chiunque entrasse nella stanza.
-No, perché? È originale, lo ammetto, ma per chi vuol dimenticare i demoni del passato è perfetto.
-Capisco.- rispose Harry, anche se non capiva per niente.
-Le posso offrire qualcosa?
Bill si alzò ondeggiando, sfarfallando gli occhi e dirigendosi ancheggiando leggermente verso la credenza di legno inciso vicino alla porta, dove si intravedevano un delicato servizio da the in porcellana e alcune bottiglie di liquori.
-Ehm, beh, un whisky, se non è un problema.- disse Harry, a voce bassa. Forse con un bel whisky si sarebbe corroborato lo spirito e sarebbe stato in grado di affrontare la situazione alquanto angosciante.
Bill prese dalla credenza una bottiglia di vetro spesso contenente un liquido ambrato e due calici di cristallo che per il riflesso delle candele parevano emanare una tenue luce bluastra. Il ragazzo si risedette sulla poltrona e riempì i due bicchieri, porgendolo quindi a Harry con un sorriso che aveva un che di inquietante dietro. Come se quel rossetto non fosse propriamente rossetto, ma qualcosa di più vivo, di pulsante.
Il notaio bevve immediatamente un sorso, e si sentì invadere da una deliziosa sostanza  rinvigorente, profumata di spezie, qualcosa che cominciò a cullarlo dolcemente, come un abbraccio trascinante e protettivo.
Cercò di risvegliarsi dal torpore indotto da quello strano whisky, scrollando i capelli e attaccò, con un tono stranamente incerto.
-Bene, signor Kaulitz, allora, ho fatto molte e approfondite ricerche e ho riscontrato che effettivamente non c’è traccia di eredi della casata dei MacGregor. Ho cercato in ogni ramo possibile, ma ho la certezza che nessun discendente potrà venire da lei a riscuotere la villa degli avi.
-Meglio. Anzi, perfetto. Allora abbiamo la certezza che ora la villa è solo ed esclusivamente di mia proprietà!- sorrise Bill, lisciandosi la vestaglia e accavallando le lunghe gambe. Harry si rese conto solo in quell’istante che sotto la vestaglia evidentemente non aveva niente. Oh dannazione. Quello sì che non andava bene, per il giovane e la sua sanità mentale: un ragazzo così bello non poteva stargli davanti con addosso solo una vestaglia come se nulla fosse!
-Ehm, si, certo, la certezza, sì … - balbettò Harry, distogliendo meccanicamente lo sguardo da Bill e cominciando a cercare disperatamente le pratiche da fargli firmare. Ne acchiappò alcune a casaccio, con gli occhi ancora in ficco, la testa un po’ sballata, non sapeva se dall’alcol o dalle gambe del padrone di casa e dal suo sorriso. Gliele porse con un penna smangiucchiata, maledicendosi mentalmente per aver preso così sottogamba la cosa. Avrebbe fatto meglio a mandarci qualcun altro, al suo posto.
-Non vorrei sembrarle maleducato, signor Styles, ma queste pratiche riguardano un appartamento a Edimburgo. Niente a che vedere con la Crow Manor.
La voce zuccherina di Bill gli fece venir voglia di seppellirsi nel divano e non uscirne più. Ma che idiota! Aveva preso i primi fogli che aveva trovato senza rendersi minimamente conto di cosa trattavano! Li riprese con un sorriso stiracchiato e la scusa piuttosto campata in aria del
-E’ vero, mi scusi tanto, è che c’è un po’ buio e non vedevo molto, mi sembrano tutte uguali, io …
Tacque, arrossendo vistosamente, mentre cercava le pratiche corrette nella vecchia borsa di pelle.
-Le ripeto, mi scuso per la poca luminosità, ma non posso assolutamente stare troppo al chiaro, per gli occhi sa …
-Certo- rispose nuovamente Harry, anche se non aveva la più pallida idea di quello che stesse dicendo.
Gli tese finalmente le pratiche giuste e una penna non mangiucchiata con un sorriso il più possibile serio, indicando a Bill dove firmare.
Il ragazzo le lesse velocemente, sfarfallando ogni tanto le lunghissime ciglia truccate, e cominciò a firmare con grandi svolazzi e gesti larghi. Uno spettacolo, per gli occhi di Harry, abituato ai modi grezzi e volgari dei suoi compaesani e soprattutto dei suoi squinternati amici.
-Le posso chiedere com’è venuto a conoscenza dell’esistenza di questa villa? Intendo dire, addirittura dalla Germania a qua …
Bill alzò la testa, scostandosi i fluenti capelli dal viso, riempiendo ancora i due calici di whisky dorato, che brillò sinistramente alla luce delle candele.
-Per caso. Per una serie di motivi piuttosto delicati, ho preferito andarmene da casa mia e ho trovato questo posto.
-Veramente l’ho trovato io. Tu non hai fatto altro che comprarlo.
Una nuova vocina, più acuta, fanciullesca, si aggiunse alla voce di Bill. Harry si girò di scatto, non riuscendo a trattenere un urletto strozzato e stringendo spasmodicamente le mani attorno al bracciolo del divano.
Bill rise, una risata argentina e fresca, come una cascata di qualche foresta vergine sconosciuta all’uomo e disse
-Vieni, tesoro, e saluta il signor Styles. Non è educato rimanere sulla porta.
Harry si voltò verso l’arco di pietra che introduceva al salotto e vide sopraggiungere un ragazzino, che avrà avuto suppergiù 15 anni, efebico, con un ciuffo di capelli corvini che gli copriva il visino delicato, gli occhi neri e truccati, molti orecchini che pendevano dall’orecchio lasciato scoperto dai capelli. Assomigliava in maniera impressionante a Bill, forse troppo. Bello e etereo, sottile come un giunco, che sembrava essere sul punto di prendere il volo. Il ragazzino venne avanti, e Harry si accorse che era praticamente nudo, se non fosse che si teneva stretta addosso una specie di buffa vestaglia semi trasparente. I piedi pallidissimi sembravano chiazze di latte sul pavimento. “Ma come fanno a stare mezzi nudi col freddo che fa?” pensò Harry, che tentava di riscaldarsi con l’ausilio del maglione di lana spessa che si era previdentemente portato da casa.
Il ragazzino osservò il notaio con un certo astio dipinto nei grandi occhi, la bocca piegata in una smorfia arrabbiata e annoiata allo stesso tempo. Si sedette in braccio a Bill, accoccolandosi come un gatto tra le braccia del ragazzo e borbottò un mezzo saluto all’indirizzo di Harry.
-Lo scusi, signor Styles, ma è molto timido.- disse Bill, accarezzando i capelli del ragazzino.
Harry fece un cenno di non preoccuparsi, con un sorriso piuttosto tirato. Più passava tempo in quella casa, più si sentiva osservato da occhi che non riusciva a vedere, ma che percepiva fissi sulla sua nuca. Anche il grosso corvo sopra il camino sembrava squadrarlo con un sadico ghigno predatore.
-Allora l’ha scelta lui, questa casa?- chiese.
-Sì. Di noi, è quello più pratico, in fondo.
“Di noi? Ma quanta gente c’è in sto posto da incubo?” si chiese il notaio, bevendo un sorso di quel delizioso whisky. E poi, chi era il ragazzino? Il fratello minore di Bill? O il figlio? Ma no, Bill avrà avuto suppergiù venti, ventun anni!
-Senta, ho sentito che circolano strane leggende su questa magione. E’ vero, oppure ho capito male?- Bill sorrise più dolcemente, facendo fare una capriola al cuore di Harry.
-Diciamo che sulla Crow girano storie piuttosto cruente, di tempi passati. Le solite leggende macabre che circondando i casati più longevi.- iniziò Harry, memore di tutte quelle inquietanti storie che i vecchi raccontavano a loro da bambini, davanti al fuoco delle sere d’inverno, racconti di terribili avvenimenti che si erano succeduti lungo la maledetta stirpe dei MacGregor. Le ricordava, le favole di sangue, omicidi, tradimenti, amori sbagliati, che si erano incrociati nella Crow Manor dagli inizi del tempo.
-Racconta!- il ragazzino alzò di scatto la testa, spalancando gli occhi brillanti della classica, morbosa, curiosità da quindicenne.
Harry non riuscì a nascondere un sorriso, rivedendo lo stesso interesse suo e dei suoi amici quando erano piccoli. Anche se sicuramente questo ragazzetto tedesco era molto più inquietante di loro, con la sua vestaglia trasparente e il trucco troppo pesante.
-Tesoro, è meglio di no. Poi ti suggestioni, e non riesci a dormire.- sussurrò Bill, accarezzandogli i capelli e pettinandolo con le dita.
-Ma è tanto che non sento storie … - piagnucolò il ragazzino, mettendo il broncio.
-Ho detto di no.- lo sguardo di Bill si fece immediatamente più duro, freddo, le iridi nere divennero due abissi galattici nei quali Harry ci si sarebbe perso volentieri, lasciandosi allo spazio infinito di quegli occhi, come un astronauta perso nel firmamento.
-Ti odio! E’ tutta colpa tua, hai capito?! Solo colpa tua se lui è …
Il ragazzino saltò in piedi, lasciando cadere per terra la vestaglia, sbattendo un piede per terra, prima di venire afferrato per il polso da Bill.
-Zitto.
Harry, che in quel momento aveva distolto lo sguardo per pudore (“un bravo notaio non interferisce mai nelle questioni familiari, Harold. Siamo lavoratori, non pettegole” diceva sempre suo padre), si voltò sentendo la voce glaciale del padrone di casa. Non aveva mai udito un tono così gelido, da congelare gli animi, da far sentire freddo addirittura agli estranei. Mostruosa, in un corpo così bello.
Il ragazzino cominciò a piangere forte, lasciando grosse lacrime colargli lungo le guanciotte pallide e corse via dalla stanza, talmente veloce che Harry quasi non si rese conto della fuga.
Bill  lo guardò mestamente, il sorriso malinconico piegato all’ingiù, come se fosse una marionetta triste. Si scostò i capelli dal viso, raccogliendo la vestaglia del ragazzino e appendendola sullo schienale della poltrona, volteggiando nella sua vestaglia rossa con grazia inaudita, come appunto una marionetta guidata da fili invisibili.
-Ci scusi davvero, ma come le ho detto siamo andati via dalla Germania per dimenticare, e come penso anche lei saprà, non è facile per nessuno.
-Non si preoccupi assolutamente, signor Kaulitz, anzi, forse mi sono trattenuto fin troppo. Ha firmato le carte, abbiamo appurato che è tutto perfettamente in regola, senza il minimo problema; è meglio che io torni a casa mia.
Harry balzò in piedi, veloce come non lo era da anni, scostandosi i riccioli dalla fronte, acchiappando i fogli con foga e ficcandoli nella borsa. Non voleva trattenersi in quella casa maledetta un minuto di più.
-E’ sicuro? Il tempo mi pare piuttosto … - non fece in tempo a finire la frase, che un tuono esplose lì vicino, rimbombando nelle pareti della casa, seguito a ruota da un fulmine che illuminò a giorno l’atrio. Ma … non erano i tuoni che seguivano i fulmini? Harry guardò Bill, cercando di nascondere il terrore, che si leggeva fin troppo chiaro nei suoi occhi verde smeraldo, brillante nota di colore in quella casa buia.
-Un temporale- commentò con una risatina Bill, ancheggiando fino a Harry e posandogli una mano ingioiellata sulla spalla. – Spero che abbia la macchina coperta, signor Styles.
-Ehm … veramente sono venuto in moto … - balbettò, pensando alla povera moto scassata che attendeva sotto la pioggia battente. Come minimo era caduta per terra, con il vento che soffiava impetuoso e che penetrava fastidiosamente dalle fessure della casa.
Bill assunse un espressione dolcemente dispiaciuta e Harry si trovò a dover combattere contro una serie di vocine che gli dicevano “bacialo”. E avrebbe davvero voluto baciare quella bocca rosso fuoco, e stringere tra le sue quella splendida mano che si ostinava a non lasciargli la spalla, congelandogliela e infuocandogliela allo stesso tempo.
-Oh, mi dispiace molto, con questa pioggia andare in moto può essere pericoloso- disse Bill, passandosi una mano tra i capelli e ridendo al sobbalzo del notaio quando un tuono si abbatté
 nuovamente sulla casa.
-Anche a me, comunque non si preoccupi, so cavarmela. La saluto e la ringrazio del whisky- Harry non vedeva l’ora di andarsene. Gli porse la mano, tenendo ancora il sorriso finto.
-Ma di cosa, anzi, mi scuso ancora per le luci e il piccolo, ma sa com’è, i ragazzini …
-Davvero, non si preoccupi. Capisco benissimo.
-Allora grazie di tutto, e a presto. Se vuol venire a trovarci, qualche volta, sarà più che benvenuto!
“Sì, col cavolo che torno” pensò Harry, ma si limitò a un neutro
-La ringrazio, vedrò con gli impegni se riuscirò a fare un salto. Arrivederci.
-Arrivederci, signor Styles.
La porta si aprì nuovamente da sola e Harry si precipitò fuori, incurante delle intemperie, correndo sotto la pioggia battente fino alla moto che puntualmente era caduta per terra e giaceva in un pantano. Harry sbuffò e la tirò fuori, montandola e tentando di accenderla con scarsi risultati.
-Dai, diamine, parti!- sbottò a denti stretti, girando per l’ennesima volta la chiavetta dell’accensione senza risultati apparenti. Guardò la spia della benzina e … oh Cristo! Era vuota, completamente a secco! Eppure era sicuro di aver fatto il pieno prima di partire, non era mica uno sprovveduto! Diede qualche calcio alla moto, nella speranza di aver visto male, che fosse solo uno scherzo dell’agitazione, eppure la moto era evidentemente senza benzina. Dannazione. E ora come avrebbe fatto? Senza benzina la moto non sarebbe partita e senza la moto non sarebbe potuto tornare a casa. Non voleva tornare nella Crow Manor, ma non voleva nemmeno rimanere sotto l’acqua battente nel bel mezzo di un temporale di prima categoria. Era messo veramente male. Starnutì rumorosamente, e osservò il profilo della casa stagliarsi cupo nel cielo nero, quando un lampo illuminò la facciata, facendola risplendere sinistramente. E al notaio parve di intravedere un volto a una finestra del secondo piano. Un volto che lo guardava fisso, alla luce del temporale. Harry cacciò un urlo, nascondendosi dietro la moto inservibile, ma il volto era scomparso, così com’era apparso, una fugace visione della tempesta. Il ragazzo sospirò rumorosamente e si arrischiò a suonare nuovamente alla porta della casa. Non avrebbe potuto  chiamare aiuto, siccome aveva brillantemente scordato il cellulare. Sospirò nuovamente quando la porta si aprì con un sordo gemito, rivelando l’inquietante interno illuminato solamente dai lampi. Si arrischiò a entrare dicendo:
-Mi scusi, signor Kaulitz? Sono sempre io, volevo …
-Che vuoi?- la stessa voce di Bill lo accolse, con una nota però più sarcastica, amara. Non era quella del quindicenne, era più matura, una voce nuova.
-Ehm, io … - Harry non fece in tempo a finire la frase, che il lampadario di candele si accese, rivelando davanti a lui un ragazzo identico a Bill, se non fosse che aveva i capelli, invece che sciolti sulle spalle, tirati su in una cresta assurda, gonfia, perfetta. E che aveva un’aria ostile, molto da “diva con il ciclo” come lo avrebbe chiamato Louis se fosse stato lì. Indossava una specie di casacca verde scuro completamente aperta, che fece arrossire Harry come un’aragosta.
-Smettila- un’altra voce si aggiunse, sempre identica, solamente poco più soffocata. Harry stava cominciando a capire tutte le diverse sfumature di un’identica voce.
Il ragazzo con la cresta venne spinto da parte da un altro ragazzo, sui venticinque. Anche quello assomigliava terribilmente a Bill, anche se aveva gli occhi truccati stanchi e provati, il colorito smorto, e una cascata di capelli biondo platino intrecciati in una treccia malfatta. Anche questo aveva addosso una vestaglia blu notte con il colletto di piume azzurre. Chiusa, fortunatamente per Harry.
-Lo scusi, è piuttosto indisponente verso gli estranei- continuò il biondo, lanciando un’occhiataccia a quello con la cresta, che si limitò a sbuffare e a incrociare le braccia.
-Si figuri, ma … il signor Kaulitz? Sono il notaio, e me ne sarei dovuto andarmene poco fa, ma ho scoperto che la moto è rimasta a secco completo e mi chiedevo se …
-Non abbiamo benzina, qui- grugnì quello con la cresta.
-Vorrei poterle dire che le prestiamo noi il telefono, ma sfortunatamente ne siamo sprovvisti.- aggiunse il biondo, con un sorriso cortese incredibilmente stanco e vecchio. Era affascinante, come Bill e come Cresta. Eppure metteva addosso a Harry un’incredibile tristezza, come se da lui scaturisse tutta la depressione di questo mondo. Come se bastasse fissare quegli occhi neri per precipitare nella tristezza più assoluta, senza china di risalita.
-Signor Styles, è successo qualcosa?
Bill scese glorioso dallo scalone di marmo della casa, ondeggiando nella vestaglia amaranto. Ma perché in quella casa giravano tutti semi nudi, o in vestaglia? Pensò Harry.
-Salve, mi scuso dell’intrusione, ma la moto è rimasta a secco. Mi chiedevo se per caso non aveste un telefono, ma il suo … ehm … beh, mi è stato detto che non l’avete- concluse, cominciando a sudare freddo.
Bill lo raggiunse con un sorriso che aveva un che di perfido.
-Ma che sfortuna!- miagolò – Eppure, siamo così isolati che non so proprio come aiutarla.
Harry scosse i ricci, e vide con un certo orrore che il biondo e Cresta erano scomparsi. Ma da dove e in quale momento?
-Se vuole potremmo ospitarla per questa notte. La casa è grande.
Harry alzò lo sguardo su Bill e sul suo sguardo sbarazzino, arrossendo. Fermarsi a dormire lì? In quella casa degli orrori? Nemmeno per sogno! Però, se gli avessero detto di dormire con Bill ci sarebbe stato volentieri … era tanto che non beccava un ragazzo così splendido. E dormirci sarebbe stato una cosa splendida, magari anche farci qualcosa di più … cercò di zittire il coro di vocine che gli roteavano in testa.
-Non vorrei disturbare- disse, con voce strozzata.
-Ma lei non disturba assolutamente, signor Styles.
Bill gli girò intorno, ancheggiando, leccandosi le labbra come una pantera affamata.
-Ma mi dia pure del tu, anzi, mi chiami Harry. Abbiamo la stessa età, no?
Harry rimaneva immobile, sotto lo sguardo magnetico del ragazzo.
-E allora tu chiamami Bill, Harry.
Il modo in cui diceva il suo nome era assolutamente eccitante, con un leggero accento straniero, melodioso. Veramente seducente.
-Allora ti fermi a dormire da noi?- miagolò Bill.
-Beh, se siete così gentili da invitarmi, penso che rimarrò qui a dormire e me ne andrò domani presto.
-Perfetto!- Bill fece una giravolta e batté le mani, spingendo delicatamente Harry verso l’imponente scalone di marmo bianco rovinato dal tempo.
-Ti faccio vedere la tua stanza. Spero ti vada bene.
Harry si avviò con Bill al fianco su per la scala, sentendo il suono dei suoi tacchi rimbombare sul marmo, e osservando i piedini del padrone di casa che sembravano quasi non toccare terra. Bill si avviò lungo un grande corridoio illuminato da qualche candela e dai lampi, con le pareti decorate con delicati fiorellini gialli e verdi, qualche cassettone chiuso di legno, una statua di marmo rosa di un corvo con una chiave in bocca faceva la sua bella figura davanti a una finestra, rilucendo alla luce dei fulmini e sembrando quasi vivo. Alcuni uccellini impagliati stavano in una teca posata su un cassettone rifinito d’alabastro. Harry guardò i grossi dipinti alle pareti, tutti raffiguranti gli avi dei MacGregor
-Pensi di tenere tutti questi quadri?- chiese, sobbalzando davanti al ritratto di una grassa donna dal cipiglio severo, avvolta in pizzi e merletti color perla.
-Credo di sì. Ci piacciono molto, i quadri. E comunque non saprei dove metterli.
-Vendili a qualche antiquario.- Harry aveva sempre adorato i quadri antichi, si interessava puntualmente alla loro fine, qualunque situazione notarile dovesse risolvere che implicasse dei ritratti dei tempi che furono.
-No, fanno caratteristico. Sono pregiati.
Bill gli sorrise, le labbra deliziosamente truccate. Solo in quel momento Harry si rese conto degli orecchini che gli ornavano le orecchie e del piercing al sopracciglio che brillò sinistramente alla luce delle candele appese al muro.
Percorsero qualche altro corridoio, in silenzio, l’atmosfera temporalesca che sembrava non voler mai smettere, finché Bill non si fermò di fronte a una porta di mogano con una maniglia di bronzo rifinita.
-Questa sarà la tua stanza. Per qualunque problema non esitare a chiamarmi.
Bill si fece da parte e Harry entrò in quella che era una gigantesca stanza, grossa quanto casa sua. Due enormi finestre gotiche davano sulla brughiera dietro la casa, un letto a baldacchino con le coperte verde scuro e le colonne scolpite a fiori occupava mezza camera, con a lato un piccolo comodino con un grosso candelabro dorato a cinque bracci. Una bacinella di porcellana bianca e verde su un trespolo di ferro battuto dall’altro lato del letto veniva sinistramente illuminata dai lampi. La tappezzeria era verde scuro, come il letto, e un enorme libreria occupava un’intera parete; tre cassapanche di nocciolo aperte aspettavano di essere riempite, e un morbido tappeto verde ricopriva parte del pavimento di pietra. Una piccola porticina dava su un bagnetto privato. Una vera meraviglia per Harry, abituato in una casa normale e banale.
-Ti piace?- cinguettò Bill.
-E’ … è incredibile, non so … non ho mai visto niente del genere!
Il notaio si avvicinò al letto e vi si sedette, sprofondando dolcemente tra le coltri e i cuscini verde smeraldo ricamati d’oro.
-Bene, tra mezz’ora noi ceniamo. Ti aspetto in sala da pranzo.
Bill volteggiò come una ballerina fuori dalla stanza, ma si bloccò quando Harry gli disse:
-Ehm, sì, ma non so dove sia la sala da pranzo!
-Oh, è vero!- Bill rise dolcemente – Ma la troverai, non preoccuparti!
Harry non fece in tempo a ribattere che quando era piccolo agli scout lo bocciavano sempre in “orienteering” che Bill era scomparso, chiudendosi la porta alle spalle senza far rumore. Harry rimase immobile, seduto sul letto, a bocca spalancata, incapace di capacitarsi del luogo in cui era finito. Non era tranquillo, in quella casa maledetta, con gente che girava in vestaglia, e un temporale che impazzava fuori. Ma bastava guardare Bill e i suoi occhi, il suo viso, il suo corpo, per sprofondare in qualcosa di metafisico, di magico, in una dimensione paranormale dove non vi erano più corpi o anime, ma solo sensazioni. Dove non esistevano nomi, ma solo il richiamo del cuore. Harry chiuse gli occhi, lasciandosi cadere a peso morto su quel letto morbidissimo, avvolto nelle coperte più calde e sicure che avesse mai provato, lasciandosi cullare da un canto soffocato che non riusciva a capire se fosse un parto malato del suo cervello sovraeccitato o qualcosa di reale e tangibile, sentendo qualcosa di caldo sul viso, qualcosa di vero, di bollente. Si lasciò accarezzare da quella cosa, rilassando i muscoli del viso, tirati e stanchi, cominciando ad aprire gli occhi annebbiati, distinguendo nel buio un viso … quel viso … un viso?! Balzò a sedere con un urlo atterrito, staccandosi da quella mano che gli stava accarezzando la guancia.
Davanti a lui, l’ennesimo ragazzo sputato identico a Bill. Questo era poco più giovane, gli avrebbe dato suppergiù diciotto, diciannove anni, pelle candida, occhioni truccati gonfi di gioia e desiderio, luminosi di qualcosa di intellegibile, di misterioso. Truccato come una geisha, i capelli corvini e bianchi sparati in aria come un’aureola demoniaca, le mani inanellate e le unghie dipinte di rosso fuoco, le labbra ricoperte da un rossetto viola prugna, una vestaglia nera addosso.
-Scusa … ma che … - balbettò Harry, arretrando istintivamente verso la testata del letto, fissando terrorizzato quella bambola splendida e inquietante.
-Non ti piace?- sussurrò il ragazzo, con la stessa voce di Bill, solamente più acuta, con una nota cantilenante in fondo.
-Io … - Harry si ritrovò spalle al muro, aggrappandosi ai cuscini.
-Ma Tom, tesoro, mi avevi detto che ti piaceva il rossetto viola. Non te lo ricordi? Volevi sempre che mi mettessi il rossetto viola e lo smalto rosso. Stanno bene insieme, vero?
-No, temo ci sia un equivoco, io non sono Tom, mi chiamo Harry, Harry Styles, sono solo il notaio, non ci conosciamo.- tartagliò il notaio, spalancando gli occhi terrorizzato. Follia. Luce folle negli occhi di questo finto Bill.
-Dai, Tom, ho voglia di stare con te, vieni amore mio.
Il ragazzo cominciò a salire sul letto, levandosi la vestaglia nera, ondeggiando, strisciando verso Harry, leccandosi le labbra viola.
Harry cacciò un urlo e rotolò giù dal letto, inciampando nei suoi stessi piedi, caracollando all’indietro, mentre il ragazzo lo fissava allucinato, seduto sul letto come un bambino triste, ciucciandosi il labbro inferiore, sbavandosi il rossetto, gli occhi gonfi di lacrime trattenute.
-Tom, mi abbracci?- frignò , fissando Harry.
-Ti ripeto, io non ho la più pallida idea di chi sia Tom, mi chiamo Harry, non ti conosco. Non sono Tom!
Harry strinse convulsamente il cuscino che si era trovato in mano, mettendoselo davanti a mo’ di inutile protezione.
-No, aspetta, lascialo stare!
Il quindicenne entrò di corsa nella camera, la vestaglia trasparente svolazzante negli spifferi gelidi della casa, l’aria preoccupata mista alla noia tipica di ogni ragazzino di questo secolo. Harry lo fissò con gli occhi fuori dalle orbite, mentre si arrampicava sul letto e abbracciava il più grande in lacrime, rimettendogli addosso la vestaglia nera, accarezzandogli le spalle che tremavano incontrollate, scosse dai singhiozzi.
-Lui non è Tom, ok?
-Voglio Tom. - la geisha fissò il piccolo, tirando su col naso.
-Devi smetterla di dire quel nome. Vieni con me.
I due ragazzi si alzarono, uno tremante, l’altro che lo reggeva nonostante fosse più basso, tenendolo stretto per la vita, mentre gli chiudeva la vestaglia.
-E’ colpa sua, non potevi saperlo. Andiamo giù.- il piccolo spinse dolcemente il più grande fuori dalla porta, per poi girarsi da Harry e dire, con voce atona – E’ pronto, se ti interessa.
Harry non si mosse, fissandoli ancora, incapace di dire una sola parola. Un folle e un ragazzino erano appena stati in camera sua parlando di un certo Tom. Chi era? Che fosse quello che dovevano dimenticare, quello di cui parlava velatamente Bill?
Il notaio scosse la testa, riponendo il cuscino, sciacquandosi la faccia in bagno, cercando di lavare via con l’acqua gelida le assurdità grottesche a cui aveva assistito.
Dopo essersi infilato nuovamente il maglione di lana, si avviò nel corridoio malamente illuminato, cercando di ricordare che strada aveva fatto con Bill, per non perdersi in quel castello degli orrori, sentendosi osservato dagli occhi dei dipinti che lo sovrastavano. Si muoveva con circospezione, lentamente, guardandosi attorno cercando di focalizzare i punti che aveva individuato prima, ma che sembravano irrimediabilmente scomparsi. Si fermò un attimo, convinto di aver sentito delle voci. Tese l’orecchio, e proprio in quel momento un lampo illuminò il corridoio a giorno, rivelando davanti agli occhi del giovane un quadro diverso dagli altri. O meglio, sarebbe potuto essere identico agli altri, se non fosse che il ragazzo raffigurato aveva molto poco di settecentesco. Harry si soffermò ad osservarlo, come se una forza invisibile lo costringesse lì davanti. Vi era abilmente dipinto un ragazzo sulla ventina, bello, sorridente, semi sdraiato su un letto con quello che sembrava un fumetto in mano, quelli che sembravano lunghi dread sciolti sulla schiena. Harry si avvicinò di più a quel magnetico dipinto, scrutando quel viso allegro e solare, talmente reso bene da sembrare una fotografia. Vide che il fumetto era Spiderman. L’altra cosa assurda del quadro era che il tipo era a torso nudo, con addosso solo un paio di braghe sformate. Insomma, un ragazzo di quel secolo trasportato in un dipinto dalle pennellate settecentesche.
Si riscosse di colpo quando avvertì con la coda dell’occhio una vera fonte di luce. Si voltò di scatto, e si avvide che Bill lo fissava dall’uscio di una porta con un sorriso smielato:
-Vedi che l’hai trovata, Harry? Accomodati.
Il notaio, seppur un po’ sballato, lo raggiunse e venne introdotto in una grande sala da pranzo, con un gigantesco camino uguale a quello del salotto fortunatamente acceso e crepitante, un tavolo di noce lunghissimo seppur fosse apparecchiato solo per due, alcune poltrone e un tavolino davanti al fuoco. Una stanza accogliente, tutto sommato, nonostante il palco di corna sopra la canna del camino e le teste di animali appesi come trofei alle pareti.
-Spero che ti piaccia la sheperd pie.- disse Bill, invitandolo a sedersi a tavola e servendogli un bicchiere di vino eccessivamente rosso.
-Assolutamente sì- rispose Harry, dando un’occhiata in giro. Gli sembrò di vedere, sulle poltrone accanto al fuoco scoppiettante, il ragazzo biondo che teneva in braccio in ragazzino e lo cullava mentre silenziose lacrime gli colavano lungo le guance smunte; il ragazzo con la cresta che giocava a scacchi da solo e poi buttava per terra la scacchiera e i pezzi imprecando; il ragazzo geisha che stava raggomitolato per terra a fotografare ripetutamente lo stesso riquadro di pavimento canticchiando. Tutto questo lo vide come un lampo, rapido e velocissimo, eppure tangibile. Anche se, quando si rigirò, non c’era più nessuno, solo cinque poltrone vuote.
La sheperd pie che gli venne servita da Bill era squisita, molto più di quella che faceva Louis quando aveva la brutta idea di mettersi ai fornelli. La mangiò senza parlare, quando decise di rompere il silenzio, esordendo:
-Ho visto un quadro molto particolare, in corridoio.
-Quale?- Bill si leccò le labbra, scostandosi un ciuffo corvino dal viso che alla luce delle candele sembrava ancora più pallido.
-C’era un ragazzo con i dread con un fumetto di Spiderman. Mi chiedo chi abbia potuto farlo.
Lo sguardo languido di Bill scomparve improvvisamente, lasciando il posto alla stessa smorfia malinconica che gli aveva visto in faccia qualche ora prima. Il sorriso divenne triste, gli occhi si opacizzarono come vetri bagnati, l’intero corpo del ragazzo sembrò afflosciarsi come una marionetta usata, dopo che lo spettacolo è finito. Alzò le palpebre appesantite dal trucco su Harry, squadrandolo come da dietro a una grata.
-Gli avevo detto di non farlo, sai? Gli avevo detto che si sarebbe cacciato nei guai, ma non mi ha ascoltato. Era cocciuto, sì, davvero cocciuto. C’era la luna, vero? Luna calante.
-Temo di non capire.- sussurrò Harry, cercando di trovare lo sguardo di Bill, perso in una qualche dimensione lontana della sua psiche contorta, a parlare di cose che solo lui sapeva.
-Non c’è niente da capire. C’è solo da chiedersi perché ci eravamo legati così, a doppio filo con la morte e la dannazione. Ti sei mai legato a qualcuno, Harry?
Bill concentrò lo sguardo sul notaio, che si trovò ad ansimare, levandosi il maglione per prendere tempo. Ma cosa diavolo stava vaneggiando?!
-Per legato cosa intendi?
-Eravamo talmente avviluppati uno all’altro da non poter più sciogliere il nodo. Non farlo mai, Harry. Ricordati sempre come sciogliere i nodi, non dimenticarti mai di come li allacci.
-A cosa serve parlare ora, tesoro mio? Perché ti ostini a rimescolare le carte che hai giocato e che tutti hanno potuto vedere?
Il ragazzo biondo apparve, come se fosse uscito direttamente dalle fiamme, passando oltre a Harry senza degnarlo di uno sguardo e andando a posare le mani esangui sulla mano fremente di Bill.
-Non sto rimescolando le carte!- frignò Bill, stringendo spasmodicamente le mani dell’altro.
Il biondo gli accarezzò la guancia dolcemente, fissandolo con i suoi occhi depressi, bui, spenti.
-Invece sì. Accettalo, per favore. Non puoi fare altro che ricordare, perché qualunque cosa farai lui non sarà mai più con te. Ed è solo colpa tua, lo sai bene. Sei costretto a vivere nel suo eterno e doloroso ricordo, ed è niente in confronto ai tuoi errori. Non si torna indietro, amore mio, e lo sapete entrambi.
Harry vide con orrore Bill cominciare a singhiozzare in silenzio, il biondo sospirare e sedersi su una sedia, lasciando che Bill gli si accoccolasse in braccio. Erano così strani in quella casa, si trovò a pensare Harry, alzandosi istintivamente da tavola e allontanandosi a passi incerti verso il camino.
-E lo consoli anche, questo figlio di buona donna?!- strepitò Cresta, apparendo alle spalle di Harry, e dirigendosi a passo di carica verso gli altri due, la vestaglia verde sempre aperta.
-Non è stata del tutto colpa mia!- urlò Bill, il viso prima così dolce e malizioso ora sconvolto e piangente.
-E di chi?! Vuoi farmi anche credere che lui c’entrava qualcosa?!
Il ragazzo con la cresta afferrò Bill per il mento, tirandogli su la testa. Harry rabbrividì, desiderando per un momento scappare sotto il temporale e lasciarsi alle spalle quella famiglia promiscua e assurda che abitava in quella casa.
-Glie l’avevo detto mille volte ma lui si è impuntato!- strillò Bill, scacciando la mano dell’altro ragazzo.
-Piantatela!- sbottò il biondo, mettendosi le mani tra i capelli che alla luce delle candele apparivano come magici fili di argento puro. – A cosa serve litigare?! È già tutto finito, finito per sempre, lo volete capire?!
-Tom mi amava- il ragazzo geisha entrò in quel momento, silenzioso, con una vecchia Polaroid stretta in mano – E io amavo lui.
-Ciò non ti ha fermato dal fargli quello che gli hai fatto!- grugnì Cresta, fulminando l’altro ragazzo.
-Io non ne posso niente!- pianse la geisha.
-Tu no, piccolo, ma lui – e Cresta puntò un dito accusatore verso Bill – ha sbagliato! E non lo riconosce.
-Basta! Non ne posso più delle vostre continue litigate, voglio dormire! Dormire, capito?!
Tutti tacquero, all’ingresso del piccolo della compagnia. Un silenzio quasi innaturale, opprimente per le orecchie di Harry, che sentiva quasi il rumore del suo cuore che batteva all’impazzata.
-Sì, tesoro, scusa.- il biondo si alzò dalla sedia, guardando Harry senza vederlo, ma catturandolo nella sua malinconia depressiva che scaturiva a fiumi dai suoi occhi troppo neri. Prese in braccio il ragazzino, afferrò dolcemente per il polso la geisha e gli sussurrò, con una dolcezza nella voce che fece tremare il notaio, facendogli quasi sembrare di non aver mai ricevuto affetto in vita sua, da quanto pareva amorevole e affettuosa quella voce soffocata  - Vieni a dormire, stella. Sei stanco.
La geisha annuì, attaccandosi al braccio del biondo con possessività, posandogli la testa sulla spalla e lasciandosi trascinare fuori dalla sala insieme al ragazzino.
Quello con la cresta si limitò a stampare un bacio sulla fronte di Bill e grugnire:
-Forse la colpa è di tutti. Forse la colpa è della nostra stessa anima. Forse noi non  ne possiamo niente.
Bill ricambiò il bacino con un timido sorriso, torcendosi le mani in grembo e anche l’ultimo ragazzo scomparve fuori dalla porta.
Harry rimase spiazzato, con una mano aggrappata a una poltrona, le gambe tremanti, lo sguardo vacuo. Non riusciva a credere a quello che aveva visto, sentito. Cosa stava succedendo lì dentro? Perché dicevano quelle cose? Ma soprattutto, chi era Tom? E cosa gli avevano fatto di così grave?
-Harry, ti senti bene?
La voce soave, maliziosa, di Bill lo riscosse di scatto. Il ragazzo lo guardava dalla tavola, tranquillo e rilassato come se non fosse successo nulla, la forchetta ancora in mano, una leggera ed educata perplessità nel fondo delle pupille.
-Ehm, io … non so … loro- balbettò Harry, indeciso se ritornare a tavola o rimanere lì, con la schiena scaldata dalle fiamme che continuavano a ardere. Ma nessuno attizzava il fuoco.
-Siediti, forza. Qualcosa non va?
Bill gli fece segno di riaccomodarsi, e Harry obbedì in silenzio. Sembrava che non fosse successo nulla, che si fosse immaginato tutto. Ma come avrebbe potuto immaginarsi quello che era accaduto pochi minuti prima? Con che mente malata? Eppure tutto sembrava come prima. Bill, le luci, la porta, la sedia rimessa a posto. Tutto esattamente uguale, intoccato. Puro come il cristallo, insanguinato come un diamante.
-Stavamo parlando di quel quadro?- ritentò Harry, cercando di darsi un tono da persona seria e non da un visionario fifone, scostandosi i lunghi ricci dalla fronte e tentando per un sorriso tranquillo. Ma che gli uscì distorto dalla paura e dal disagio.
-Oh, sì. È l’unico che abbiamo portato via dalla Germania; sai, l’abbiamo dipinto noi, non ci andava di lasciarlo là.
-Oh, complimenti, che mano.-  si complimentò Harry. Noi? Parlava di tutta la masnada? E come facevano a dipingere un quadro in cinque?!
-Grazie, Harry. E oltretutto raffigura una persona a noi cara. Molto cara.
Bill si alzò, ondeggiando nella vestaglia illuminata di bagliori rossastri e si avvicinò all’immensa finestra gotica, appoggiandosi al vetro, come se fosse una fonte vitale, aggrappandosi all’ intelaiatura di ferro battuto. Un lampo lo illuminò di colpo, rischiarando il viso da morto, e tingendo la vestaglia di un orrendo rosso sangue, e sembrò che dalle labbra gli colasse qualcosa di troppo rosso per essere rossetto. Harry si ritrovò a sobbalzare a quella visione, celestiale e demoniaca al tempo stesso, in un quadro di una bellezza tossica, accecante, maligna, mostruosa. Un mostro di splendida forma, troppo bello per poter essere umano. Troppo etereo per poter essere davanti a Harry.
-Harry, che ne dici di questo anello?
Bill gli si avvicinò, e tutto sembrò normale di colpo. E non aveva tracce rosse da nessuna parte, così come il rossetto era impeccabile. Forse era un effetto della luce, di tutto quel rosso.
Gli mostrò la splendida mano sottile e aggraziata, indicandogli con la destra uno splendido anello infilato all’anulare, di argento massiccio. Harry lo studiò attentamente, incantato. Una pietra blu come il mare, come il cielo notturno, come i non ti scordar di me, sembrava pulsare di vita propria sulla sommità dell’anello,  tenuta da una complessa rete di fili d’argento che sembravano formare una rete di rami. Fissò la pietra, splendente, profonda come l’oceano più selvaggio, infinita come lo spazio intergalattico, pura come un fiore, quasi liquida come l’acqua, rilucente dell’argento sotto, che la avviluppava quasi muovendosi in delicati cerchi concentrici. Harry non ne avrebbe più staccato gli occhi, se Bill non avesse tolto la mano, facendolo precipitare di nuovo al suolo. Dove c’era rosso. Sangue. Appassionato.
-E’ splendido … Cristo, splendido è dire poco … è eccezionale, pazzesco … non trovo la parola giusta …
-Sì, è straordinario.- Bill accarezzò l’anello sfarfallando gli occhi.
-Come l’hai avuto?
-Me l’ha regalato Tom. Per il fidanzamento. Per il matrimonio. Per il nostro futuro.
Bill sospirò, alzando lo sguardo su Harry, avvicinandosi pericolosamente, con movenze da pantera, accarezzandogli la spalla quasi lascivamente, facendo rabbrividire Harry.
-Tom era il tuo … ehm, fidanzato?
Però che strano, pensò il ragazzo. Se Tom era il ragazzo di Bill, come poteva essere anche quello della geisha? Non osava pensare al triangolo e ben che meno ai tradimenti.
-No.
Bill cominciò ad accarezzargli il collo, piano, facendolo rabbrividire, eppure non riusciva a staccarsi dal suo tocco magico. Gli piaceva, essere toccato da Bill, essere vittima delle sue malefiche e dolci attenzioni, costringersi a guardarlo, a sentirselo addosso, sentirsi soffocare dal suo profumo intossicante, lasciarsi andare nelle sue iridi e nelle sue parole melliflue, aggrappandosi a quel corpo e a quei capelli fino a perdercisi dentro e non trovare più la via di casa. Erano un’ancora di salvezza, l’ultimo stelo d’erba in un pantano di sabbie mobili.
-Era la mia vita.
L’ultimo sospiro che emise Bill sul suo viso, che lo fece raggelare, prima di posare le sue labbra troppo rosse sulle sue, bianche dall’ansia.
Harry non capì più nulla. C’era Bill, e solo Bill, e sempre Bill. C’erano i suoi occhi, le sue mani, la sua bocca, c’erano i suoi capelli corvini che gli accarezzavano il viso, c’era il suo corpo splendido che si aggrappava al suo, c’era il suo respiro freddo e bollente allo stesso tempo nella sua bocca. Zero assoluto e fiamme infernali sembravano sprigionarsi da lui, avviluppando Harry nella loro morsa. Lo abbracciò goffamente, stringendo la vita sottile tra le braccia, incastrandosi alle sue gambe da modella, affogando nella sua lingua, nel suo sapore di rossetto, sangue, e ciliegia. Faceva tutto Bill, senza preoccuparsi, lo manovrava come voleva, come una marionetta. Sembrava che non dovesse più respirare, tanto il bacio era intenso e appassionato, e stranamente non si sentiva male. Più lo baciava, più respirava meglio nella sua bocca, sulle sue labbra carnose. Le mani gelide di Bill lo stringevano sempre più forti, e pian piano lo spingevano su qualcosa di morbido. Harry si rese conto di essere in qualche modo finito su un grosso letto a baldacchino nero pece, circondato da pesanti velluti neri che pendevano strappati dal baldacchino. Ma come diavolo erano finiti in quella camera dalla sala da pranzo? E perché tutto girava come una trottola? Cosa diavolo stava succedendo?
Bill gli gattonò a cavalcioni continuando a baciarlo, quasi come fosse una specie di belva che si accaniva sulla povera preda inerme. Eppure era tutto così bello, così metafisico, così unico per Harry che non se ne preoccupò minimamente, lasciando che Bill facesse quello che voleva di lui. Come un semplice pedone bianco in balia della regina nera. Chi detta legge, negli scacchi? La regina.
Bill continuava a baciarlo, ad accarezzargli i capelli, aggrappandosi a lui come se fosse una roccia nell’oceano e lui il naufrago che tenta di salvarsi  dalla furia degli elementi.
Harry gli accarezzava i capelli a sua volta, il collo, la schiena pallida e gelida al tatto, quando si rese conto, nel momento in cui Bill gli voltò la testa, che in quella dannata stanza non erano soli. Perché se i suoi occhi non lo ingannavano, e non era un’ipotesi peregrina, la geisha era seduta di fianco al letto e li stava fotografando con la vecchia Polaroid, un sorriso soddisfatto stampato sul viso; il biondo li guardava piangendo lacrime silenziose, seduto compostamente in poltrona, pettinandosi i lunghissimi capelli; quello con la cresta sedeva semi sdraiato su una poltrona vicino al biondo sorridendo sardonicamente, schiacciandogli l’occhio quando lo sguardo di Harry lo sfiorò; il piccolo rimaneva in piedi vicino al fotografo fissandoli stupefatto, come chiedendosi cosa stessero facendo e perché.
Harry sobbalzò. Gli dava irrimediabilmente fastidio essere fissato, fotografato, osservato, mentre baciava una persona. E soprattutto in quel frangente, avvinghiato a Bill, che sembrava tranquillissimo del fatto che i suoi fratelli, o che diavolo erano, li guardassero. Era una cosa quasi … sporca, perversa, promiscua, per Harry. Avrebbe volentieri pregato quei ragazzi in vestaglia ad andarsene,  a lasciarli in pace da soli, a fare quello che volevano senza nessuno. Ma a Bill sembrava non importare minimamente, anzi. Sorrideva, mentre facevano tutto quello. Sorrideva malinconicamente, maliziosamente allo stesso tempo. E Harry cominciò a viaggiare in mezzo ai suoi baci, alla sua stretta, si sarebbe sollevato da quanto si sentiva leggero se non fosse stato proprio per gli sguardi degli altri quattro che lo tenevano legato a terra.
Quando sentì una voce. Diversa. Non era di Bill e degli altri. Era nuova, leggera, melanconica. E parlava in tedesco; la cosa stranì alquanto il notaio. Lui non sapeva quella lingua, eppure lo capiva alla perfezione. Per quale scherzo della natura?
-Ehi, cucciolo, vedo che ti sei dimenticato in fretta di me.
Harry percepì Bill staccarsi di colpo, con un mezzo urletto e saltare in ginocchio sul letto, scostandosi i capelli dal viso arrossato, con la bocca semi aperta dallo stupore e dall’orrore.
Harry si tirò a sedere, riallacciandosi i primi bottoni della camicia, rosso come un pomodoro. E ora che diavolo sarebbe successo in quella casa del diavolo?
Sulla soglia, appoggiato allo stipite, c’era il ragazzo del quadro. I dread gli ricadevano mollemente sulle spalle larghe, i pantaloni sformati, il torso nudo e muscoloso, il viso dolce, con un sorriso triste, un viso buono, tenero. Che fosse quello il fantomatico Tom? Harry deglutì rumorosamente incapace anche solo di aprire bocca, pietrificato su quel letto.
Bill boccheggiò per un secondo, prima di scattare in piedi e buttarsi a peso morto addosso al rasta, scoppiando in lacrime di trucco che gli colarono sul viso tornato pallido.
Il ragazzo lo abbracciò, stringendolo tra le sue braccia, accarezzandogli i capelli spettinati.
-Tom … io … amore mio, non … Tom, torna da me …
-Non posso, Bill. Lo sai che non posso.
-Oh, Tom, mi manchi, mi manchi da impazzire.
-Sei già impazzito, tesoro mio, sei già impazzito.
Harry guardò terrorizzato, incatenato al letto da corde invisibili, gli altri quattro avvicinarsi a Tom. Il ragazzino rise forte:
-Sei sempre lo stesso, Tomi. Non sei cambiato.
Il ragazzo geisha gli scattò una foto piagnucolando:
-Era settembre, te lo ricordi? Era la fine dell’estate, e la mia fine. E c’era qualcosa, oltre al fiume.
Quello con la cresta sorrise veramente per la prima volta.
-Forse è stato tutto una sbaglio, avremmo dovuto fare quello che ci era stato detto di fare almeno quella volta.
Il biondo sospirò, accarezzandogli la guancia.
-Sei sempre splendido, tesoro. Sei sempre mio. Anche sottoterra.
Tom scoppiò a ridere, e sotto lo sguardo sconvolto di Harry, li baciò appassionatamente tutti e cinque.
-Le cinque facce dello specchio. Del mio specchio.
Poi ci fu un boato, qualcosa di inascoltabile per le orecchie del notaio, qualcosa di antico, di primitivo, di arcano. Quel terrore archetipico che da sempre pervade l’essere umano, quello da cui vorresti scappare, ma da cui sei costretto a resistere.
Harry urlò, ma il suo urlo si perse nel boato e nelle risa sempre più sguaiate e inumane dei sei ragazzi davanti a lui, lasciandogli le orecchie sanguinanti e doloranti. Tentò di tapparsele con le mani, ma le risa, le urla, gli strepiti e i tuoni perforavano qualunque tappo, raggiungendogli i canali uditivi e distruggendogli i timpani. Il vento gelido che cominciò a soffiare gli bloccò l’urlo a metà,  ghiacciandogli le labbra e la lingua, incendiandogli gli occhi e il naso, congelandolo lì sul letto.
Vide attraverso la brina che gli ricopriva gli occhi i quattro ragazzi fondersi con Bill, entrargli dentro come se fossero fantasmi, stralci della sua anima, rimasugli del suo cuore.  E Bill rideva sempre più forte, quando gli altri quattro si furono fusi con la sua persona. Tom rideva a sua volta, prendendolo per mano e baciandolo. Un bacio che aveva qualcosa di demoniaco, di malevolo, ma che profumava di amore. Di amore oltre la morte.
Harry chiuse gli occhi per non vedere, ma sentì una mano stringergli il polso e costringerlo a guardare. Era Tom, sorridente, tranquillo, con Bill appeso al braccio che sghignazzava istericamente, ricoperto di sangue che gli scorreva giù dalle labbra, dagli occhi, dalle orecchie, che gocciolava dai capelli. La vestaglia cadde per terra, e Harry vide il sangue colargli in mezzo alle cosce, da sotto le unghie, dal petto, dal collo. Bill e il sangue. Il sangue e Bill. Un’unica cosa.
-Scusa, Harry, ma sono venuto e recuperare il mio fidanzato.- disse Tom, scostandosi i dread dal viso e prendendo Bill in braccio, come una sposa.
-Tom, amore mio, cosa succede ora?- sussurrò Bill, e il vento si placò di colpo, lasciando Harry sconvolto, dolorante e terrorizzato sul letto, a fissare la pelle di Tom tingersi del sangue che continuava a colare dal corpo di Bill.
-C’è lo scambio delle fedi, cucciolo.
I due ragazzi si guardarono amorevolmente, come se fosse tutto un gioco, come se non ci fosse niente di strano.
-Bill, mi hai ucciso?- chiese dolcemente Tom.
Harry strabuzzò gli occhi, incapace anche solo di sillabare un urlo. Come se fosse in una chiesa.
Il viso di Bill divenne triste all’improvviso, si morse il labbro, abbassando lo sguardo.
-Io non volevo. L’evocazione è andata male.
-Evocare un demone non è semplice, tesoruccio. Te l’avevo detto, ma non mi hai ascoltato.
-Pensavo di essere in grado di farlo. Ci avrebbe aiutato.
-Invece mi ha annientato. Sei così cocciuto, Bill. Perché non mi hai dato retta?
-Perché ti amavo troppo per poter pensare anche solo alle conseguenze. Avrebbe dovuto risolvere i problemi.
-Mi ha ucciso, meraviglia. E ti ha dannato. Di chi è la colpa?
-Mia.
Bill nascose il viso nell’incavo del collo di Tom, che si limitò a sospirare, scuotendo la testa, accarezzandogli la schiena insanguinata.
-Bravo amore! Vedi che l’hai ammesso? È colpa tua, e di nessun altro.- Tom gli diede un bacio sul naso e Bill pigolò piano. Sembrava così sottomesso, così debole tra le braccia di Tom, a differenza di come si era presentato al notaio, malizioso e sicuro di sé. Le due facce dello specchio.
-E Harry cosa ci fa qui, Bibi?
Harry alzò la testa, sentendosi chiamare in causa. Spiriti dei dannati nel loro osceno tribunale. E lui l’innocente testimone chiamato a testimoniare verso qualcosa di cui non sapeva l’esistenza.
-E’ mio. Ci gioco. Ma ora che sei tornato non ho più bisogno di lui.
-Potremmo giocarci insieme, come facevano da bambini con le bambole.
Bill annuì e si girò verso Harry, riprendendo lo sguardo magnetico e bellissimo.
-Forza, Harry, ti va di restare ancora un po’ con noi?
-No! Per favore, non capisco più nulla, non so cosa devo fare, perché sono qui, chi siete voi! Lasciatemi andare, vi scongiuro!
Harry si rese conto di aver ripreso sensibilità al corpo e alla voce, e scoppiò in lacrime, tempestando di pugni il cuscino, urlando terrorizzato. Voleva solo tornare a casa. Voleva solo la vita che gli spettava. Voleva tornare dalla parte giusta dello specchio, quella palpabile, quella che si distrugge. Non voleva rimanere dalla parte maledetta e indistruttibile. Non voleva restare nel mondo onirico del vetro.
-Shh, zitto Harry, non piangere.- lo rimproverò dolcemente Tom, posando Bill sul letto – Non puoi più tornare indietro.
-Ma cosa vi ho fatto?!- Harry urlò, talmente forte da farsi male alle corde vocali.
-Legati a doppio filo.- citò Tom, sorridendo a Bill.
-Con gli errori che abbiamo commesso- completò Bill, asciugandosi il sangue che scorreva sulle guance.
-Sei dalla parte sbagliata dello specchio, Harry.- miagolò poi, tirandosi Tom accanto, accarezzando gli anelli gemelli che avevano al dito.
-E stai certo, che non ci ricordiamo come sciogliere i nodi.- disse Tom, mettendosi Bill sulle ginocchia – L’Amore Malato è questo, ragazzo. Non ricordarsi più come sciogliere i nodi, e rimanere intrappolati oltre la lente.
-Ma io non vi amo!- Harry pianse piano.
-Però io ti piacevo- obiettò Bill, ridendo di gusto.
-Cosa c’entra?!
-Lo specchio è fatto di due parti. Non di tre.- sussurrò Tom – E’ tardi, Harry. Lo specchio è già completato.
Harry ebbe voglia di urlare, di scappare, di buttarsi giù dalla finestra gotica, giù nella brughiera sotto la tempesta incessante, di scomparire all’istante. Ma non poté fare nulla, quando Bill prese dal comodino una vecchia Polaroid e gli scattò una foto sorridendo come un angelo.
Harry sentì un forte contraccolpo, dopo la fotografia, e si ritrovò seduto su una poltrona rossa, con un fuoco immobile accanto, un gatto addormentato ai suoi piedi, guardò sotto di sé, e si rese conto che c’era un muro di pietra, sopra di sé, una testa d’alce.  E non poteva muoversi, immobile, seduto in poltrona, pietrificato al suo posto. Muoveva solo la testa, piano, su e giù. Ma dove era finito? In che diavolo di … ?
-Ciao Harry.
Alzò la testa, e di fronte a lui c’era Bill, nudo, senza sangue addosso, di nuovo truccato alla perfezione e ben pettinato, in braccio a Tom, anche lui di nuovo perfettamente pulito, i dreadlocks sciolti sulle spalle, anche lui nudo, sorridente, tranquillo.
-Dove sono?- sillabò, senza riuscire effettivamente a pronunciare parole vere, ma solo mute.
-Nel quadro. Sei dentro a un nuovo quadro- sorrise Tom.
-Cosa?!
-Sei il nostro dipinto. Regalo di matrimonio.- ridacchiò Bill.
E Harry si ritrovò immobile, fermo, congelato in quel salotto finto, e l’ultima cosa che sentì e che vide, furono Bill e Tom abbracciati sulla poltrona che si baciavano in santa pace, come se lui nemmeno esistesse, e sentì le voci in coro dei due ragazzi che ripetevano, con una leggera ironia nelle voci sottili:
-Lo specchio è formato  da due parti. Non c’è spazio per una terza.

***
Hail Aliens! Storia nata in un momento di follia, che mischia horror, dark, amore oltre la morte (tema che mi piace un casino) e un bel cross over …  sinceramente shipperei Tom e Bill, ma siccome sono gemelli mi pare una ship altamente improbabile, quindi mi rifaccio shippando Bill e Harry Styles, che penso sappiate è quello dei One Direction (che oltretutto io non seguo più, ma l’Harold è l’Harold e la barry è realtà!)
Basta, vi ringrazio tantissimo di aver letto, e che non abbiate vomitato (chi te lo dice?!). Se volete lasciare un commento, fate pure che non mi offendo, sia chiaro. E se c’è qualcuno che shippa Barry me lo dica, che mi sento l’unica ;)
Charlie.
  
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