Jane cresce e con lei crescono
anche i problemi da affrontare.
Grazie a chi stia leggendo,
commentando e segnando questa serie.
I personaggi non sono miei, ma di
Sir Arthur Conan Doyle e della premiata ditta Steven Moffat-Mark Gatiss al
soldo della BBC.
Questo racconto non ha scopo di
lucro.
Se dovesse esserci qualcosa che
richiami altre storie, chiedo scusa, ma sarebbe involontario.
Buona lettura! J
I ragazzi sono tutti stupidi
La colazione al 221B di Baker
Street aveva assunto la forma di un rito.
John si alzava per primo e
scendeva a preparare il tea ed apparecchiava la tavola.
Mentre l’acqua si scaldava,
faceva la doccia, poi andava a svegliare Jane.
La figlia si appropriava del
bagno, mentre John finiva di mettere in tavola quello che avrebbero mangiato ed
andava a svegliare Sherlock.
Questa fase, alcune mattine,
poteva rivelarsi veramente complicata.
Sherlock dormiva poco, da sempre,
ma quando si addormentava diventava quasi impossibile svegliarlo.
John aveva adottato diverse
tecniche, ma, chissà perché, se finiva per baciarlo, Sherlock apriva
immediatamente gli occhi e cercava di riportare il dottore sotto le lenzuola.
John doveva lottare per qualche
minuto per convincere il marito a lasciarlo andare ed ad alzarsi.
Quindi, si ritrovavano tutti e
tre a tavola a fare colazione insieme.
Generalmente Sherlock spiluccava
il cibo, sperando che John non si accorgesse che mangiava pochissimo e di
evitare la solita ramanzina sulla necessità di nutrirsi correttamente.
Jane parlava dei suoi programmi
per la giornata.
John sorvegliava che tutti
avessero quello di cui avevano bisogno.
Queen inclusa.
Finita la colazione,
sparecchiavano insieme, poi o John od Alex accompagnavano Jane a scuola.
Erano molto rare le occasioni in
cui fosse Sherlock a portare la figlia di John a scuola.
Dopo alcuni piccoli “incidenti”
con i genitori degli altri ragazzini, John aveva stabilito che fosse più saggio
tenere Sherlock alla larga dai parenti dei compagni di scuola della figlia, a
costo di fare i salti mortali.
Jane era perfettamente
consapevole di questa cosa, quindi fu veramente strana la richiesta che fece
quella mattina:
“Zio Sherlock, potresti portarmi
tu a scuola?”
Sherlock alzò uno sguardo
perplesso su Jane, ma fu John a chiedere:
“Perché?”
Jane alzò le spalle:
“Perché no?”
Jane stava cercando di non
guardare il padre, ma sapeva perfettamente che la risposta non gli era
piaciuta.
“Signorina, vorrei una risposta.”
il tono di John era stato normale, ma Jane sapeva che sotto sotto c’era la
pretesa di una risposta.
“Devo ripassare chimica e lui è
più bravo di te od Alex.” biascicò Jane, masticando una fetta biscottata.
Sherlock sapeva che aveva mentito
e sperò che John non se ne fosse accorto.
“Per la chimica che stai facendo
tu, andiamo benissimo sia io che Alex. – ribatté il dottore, decisamente sempre
più irritato – Jane Mary Watson, sai che non mi piacciono le bugie.”
Jane si fece tesa.
Il padre usava il suo nome
completo solo quando la minaccia di una punizione era davvero vicina.
“Ho bisogno di una sua
consulenza.” sbottò la ragazzina, fissando il padre negli occhi e sfidandolo a
convincerla a dire di più.
Padre e figlia si fissarono negli
occhi per qualche minuto.
Sherlock passava lo sguardo da
uno all’altra, in attesa di capire cosa sarebbe accaduto.
“Sherlock, è un problema per te
accompagnare Jane a scuola?” chiese, infine, John.
“No.” rispose subito Sherlock.
“Va bene. Ti accompagnerà
Sherlock. Poi, voglio sapere tutto del ragazzo che ti piace.”
Jane aprì la bocca, ma capì che
era assolutamente inutile negare.
Sorrise, perché, comunque, aveva
ottenuto quello che voleva.
John si alzò da tavola, diede un
bacio sulla testa alla figlia e portò la tazza nel lavandino.
Tornò verso il tavolo e diede un
leggero bacio anche a Sherlock:
“Cerca di non provocare la terza
guerra mondiale, va bene?”
“Cercherò.” sorrise Sherlock.
Una mezz’ora dopo, Sherlock e
Jane erano davanti alla scuola della ragazzina.
Jane cercava di tenere il marito
del padre lontano dai genitori.
Mettendosi davanti a lui, gli
indicò, in modo discreto, un ragazzino moro che cercava disperatamente di non
guardare dalla loro parte.
“Si chiama Paul Anderson. –
bisbigliò Jane, come se fosse un segreto – Voglio sapere se gli piaccio.”
Sherlock sezionò il ragazzino per
qualche secondo.
Tentava di dare un ordine a dei
capelli neri ribelli che non volevano saperne di stare al loro posto, aveva gli
occhi neri, stava sudando ed era visibilmente nervoso.
Guardava Jane cercando un
pretesto per avvicinarsi, ma era intimorito dalla presenza di Sherlock.
“No. – sentenziò il consulente
investigativo – Non gli piaci.”
Jane stava studiando
l’espressione di Sherlock.
Gli sorrise, lo costrinse ad
abbassarsi per dargli un bacio e lo salutò senza drammi:
“Grazie, zio Sherlock. Ci vediamo
a casa.”
Sherlock si aspettava che Jane ci
rimanesse male, ma lei sembrava tranquilla.
Leggermente perplesso, tornò a
casa.
Era pomeriggio inoltrato.
Sherlock era seduto sulla sua
poltrona e stava meditando su un caso che gli aveva sottoposto Lestrade.
John stava leggendo il giornale.
Jane entrò in salotto sbattendo i
libri sulla scrivania:
“I ragazzi sono proprio stupidi!”
esclamò furibonda.
John sospirò, piegò il giornale e
spostò la propria attenzione sulla figlia:
“Signorina, non si entra in casa
in questo modo.” disse in tono severo.
Jane andò da lui e gli diede un
bacio sulla fronte:
“Scusa papà, ma davvero … Paul è
un vero stupido.”
Sherlock alzò un sopracciglio.
Era veramente confuso dalla
reazione tardiva di Jane:
“Ti ho detto stamattina che non
gli interessi.” sottolineò in tono brusco.
Jane sbuffò, facendo un gesto con
la mano, come se volesse cacciare un insetto fastidioso:
“Oh, ma hai chiaramente mentito!
– esclamò con sicurezza – Negli occhi avevi lo stesso sguardo che hai quando la
signora Peel parla con papà.”
John si portò una mano davanti
alla bocca per tentare di celare la risata che gli stava nascendo dal profondo
del cuore.
“Io non ho strani sguardi mentre
tuo padre parla con le persone.” ribatté Sherlock, gelido.
“Certo che li hai, zio Sherlock!
– insisté Jane – Quando papà parla con la signora Peel, tu fai quello sguardo
che sembra dire ‘se quella smorfiosa non la smette di parlare e ridere con John
le taglio la lingua’. Se poi la signora Peel osa appena sfiorare papà, il tuo
sguardo si trasforma all’istante in un ‘ora la uccido e la faccio sciogliere
nell’acido’.”
John iniziò a tossire
convulsamente.
Sia Jane che Sherlock lo
fissarono preoccupati:
“Sto bene. – riuscì a dire senza
soffocare – Sto bene. Mi è andata di traverso della saliva.”
Sherlock strinse gli occhi perché
aveva capito immediatamente che John mentiva.
Il caro marito stava soffocando
una risata perché lui, il migliore consulente investigativo del mondo, era
stato smascherato da una ragazzina di undici anni.
Sherlock fulminò John con lo
sguardo:
“Penso che tu riesca ad arrivare
a prenderti un bicchiere d’acqua anche da solo, vero?” il tono di Sherlock era
veramente offeso.
Jane si era già precipitata in
cucina ed era tornata dal padre con dell’acqua.
“Grazie tesoro. – disse John,
dopo aver bevuto – Sei stata veramente gentile. A differenza di qualcun altro.”
Sherlock non rispose alla
provocazione, ma mise un broncio da uomo oltraggiato, che fece sorridere John.
Jane non capiva cosa avesse detto
di male, ma tornò a parlare con il padre del suo problema:
“Dopo aver avuto la conferma da
zio Sherlock che gli piaccio, ho avvicinato Paul e gli ho fatto capire che mi
sarebbe piaciuto che fossimo andati insieme a vedere il terzo film della
trilogia dello “Hobbit”. Sai che lo fanno in versione integrale, solo domenica,
in quel meraviglioso cinema che ha quel 3D stupendo ed il miglior sonoro di
tutta Londra. E sai cosa ha fatto quello stupido?”
La domanda di Jane doveva essere
solo retorica, ma John rispose ugualmente:
“Ha detto che gli dispiaceva
tanto, ma che aveva un altro impegno e che non poteva venire con te.”
Jane alzò le braccia esasperata:
“Giusto! – sbottò – Dato che gli
piaccio, perché non ha colto l’occasione e non ha accettato di venire al cinema
con me?”
John sorrise alla figlia e le
indicò di sedere:
“Tesoro, devi capire una cosa. –
esordì in tono dolce – I ragazzi della tua età sembrano così spavaldi e sicuri
di sé, ma, in realtà, sono terrorizzati dalle ragazze, soprattutto se prendono
l’iniziativa, come hai fatto tu.”
Jane fissò il padre perplessa:
“Gli ho solo proposto di andare
al cinema insieme, non di sposarlo.”
“Certo, lo so. – ribatté John –
Però hai fatto la prima mossa, mentre Paul avrebbe voluto essere lui a farla
per primo. Vedrai che capirà di avere sbagliato e ti inviterà ad andare al
cinema con lui molto presto.”
Jane diede un bacio al padre
sulla fronte:
“Vedremo. Vado a fare i compiti.”
John e Sherlock rimasero da soli
nel salotto.
John riprese il giornale e lo
aprì di nuovo alla pagina che stava leggendo quando Jane era entrata.
“Non dovresti incoraggiarla.”
Sibilò Sherlock in tono arrabbiato.
“Non ti preoccupare. – ribatté
John in tono tranquillo – Le cotte, all’età di Jane, sono per lo più brevi,
passeggere ed indolore. Vedrai che tra qualche giorno tornerà a casa
perdutamente innamorata di un altro compagno.”
“Non ha senso.” Borbottò
Sherlock.
“È una cosa normale per i
ragazzini in cerca di una loro identità e di gusti loro. – disse John alzando
le spalle – In questo modo, potrà riconoscere la persona giusta con cui
condividere la vita, quando la troverà.”
“Non permetterò mai che qualcuno
che si chiami Anderson entri a far parte della nostra famiglia.” Ringhiò
Sherlock.
John ripiegò il giornale:
“Vogliamo parlare della signora
Peel?” chiese, cercando di celare un sorriso.
“Non penserai che Jane avesse
ragione!” sbottò Sherlock offeso.
“Jane è cresciuta imparando da te
ad affinare le proprie capacità di osservazione. – ribatté John – Quindi, sì,
penso che abbia ragione.”
“Quella donna approfitta di ogni
occasione che trova per toccarti! – esplose, finalmente, Sherlock – Che motivo
ha di metterti sempre la mano sul polso o sulla spalla. Si riesce a parlare con
qualcuno anche senza arrivare al contatto fisico.”
“Sei davvero geloso di Jenny?”
chiese sorpreso John.
Sherlock si alzò di scatto, puntandogli
contro un dito, in un gesto di rabbia:
“La chiami anche per nome!”
John si alzò, circondò il corpo
di Sherlock con le braccia e lo baciò.
Fu un bacio dolce, delicato e
prolungato, che Sherlock ricambiò con trasporto.
“Mi piaci quando fai il geloso. –
bisbigliò John a pochi millimetri dalle labbra di Sherlock – Però dovresti
indirizzare la tua gelosia un po’ meglio. Jenny è lesbica.”
Sherlock si diede mentalmente
dello stupido per non averlo capito e riprese a baciare John.
Alcuni giorni dopo, Jane tornò a casa
elettrizzata ed iniziò a parlare al padre di un nuovo compagno di scuola,
appena arrivato dall’Australia, con il suo accento buffo ed i suoi occhi
azzurri meravigliosi.
John stava ascoltando la figlia e
fece un sorriso a Sherlock che significava:
“Visto? Paul Anderson è già stato
dimenticato.”
Sherlock spedì un messaggio a
Mycroft con il nome e cognome del nuovo ragazzino su cui prendere informazioni.
Jane era andata a fare i compiti
e John aveva notato la mossa di Sherlock:
“Tu e Mycroft sapete che finirete
per indagare su un nuovo ragazzino ogni settimana, vero? – chiese con un
sospiro – Non vi sembra di essere esagerati?”
Sherlock scrollò le spalle:
“Queste ricerche sono un ottimo
allenamento per gli uomini di Mycroft. – rispose serafico – È più difficile
farsi dire qualcosa da un adolescente che da un criminale incallito! I ragazzi
sanno mantenere i loro segreti molto meglio di certi diplomatici.”
John fece spallucce:
“Contenti voi.”
Jane tornò in salotto:
“Papà, posso andare al cinema con
Beth?”
“Siete solo voi due?” chiese
John, fissando la figlia.
“Certo.” Rispose subito Jane.
John continuò a fissarla senza
dire nulla.
“Ed un paio di altre … altri
ragazzi.” Si corresse Jane.
“Chi vi accompagna?” domandò
ancora John.
“Il padre di Beth.” Rispose Jane.
“Ora lo chiamo per accordarci su
chi vi venga a prendere e quando.” Ribatté John, prendendo il cellulare.
Jane incrociò le braccia,
mettendo il broncio:
“Non siamo bambini! – sbottò –
Non abbiamo più bisogno della baby sitter!”
John fissò ancora la figlia che
sbuffò, prendendo il proprio cellulare:
“Ciao Beth, è andata male. –
mormorò Jane andando verso la sua stanza – Mio padre mi ha scoperta subito …
Non sarebbero venuti? E perché? … Hanno avuto paura di mio padre?! … Non ci
posso credere, i ragazzi sono veramente tutti stupidi.”
Angolo dell’autrice
Spero che anche questo racconto
vi sia piaciuto.
Nei prossimi il livello di angst
o malinconia potrebbe salire.
Del resto, Jane sta crescendo.
Ogni commento è sempre benvenuto.
Ciao J