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Autore: Briciole_di_Biscotto    17/08/2015    1 recensioni
Quando infine dovette salutare Euphemia, scoppiò il finimondo: la bambina cominciò a piangere e si attaccò alla sua veste, pregandolo di non andare. E solo dopo tante promesse di andarla a trovare e qualche carezza la piccola si rassegnò, guardandolo andare via in groppa ad Arion aggrappata delicatamente alla veste della donna.
E alla fine era tornato davvero, sì. Tornava sempre.
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Durante il terremoto avvenuto a Pompei nel 62 d.C., il grande Impero Romano salva una bambina, che continuerà ad incontrare nel corso degli anni.
[Impero Romano x Nuovo Personaggio]
[accenni OC Fem!Impero Romano d'Oriente (moglie) e Roma (figlia - mamma di Romano e Veneziano]
Genere: Malinconico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Antica Roma, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~5 febbraio, 62 d.C.
Terremoto di Pompei.

È notte a Pompei. Il cielo è limpido, e si può chiaramente vedere la Luna, Signora della Notte, accompagnata dalle stelle sue ancelle. Soffia il vento, gelido, facendo desistere dall’uscire coloro che sono al caldo dei focolari, e facendo affrettare verso le proprie abitazioni coloro che sono per strada.
In una povera casetta ai margini della città, risuona un richiamo.
- Mamma!
Aurelia, avvolta in nella candida toga* della prostituzione, troppo larga per il suo esile corpo, scosta con grazia la tenda che copre l’ingresso e accoglie nel suo abbraccio la piccola bimba che le è andata incontro. Sorride e le accarezza dolcemente il capo, poi le posa un leggero bacio sulla punta del naso facendola ridacchiare deliziata.
- Mamma, mamma! Sai che giorno è oggi? Eh, mamma? Lo sai?
Aurelia si alza e si incammina verso la propria stanza, seguita dalla figlia che le saltella attorno allegramente. Sorride divertita.
- È martedì, tesoro mio. Che domande sono?
La bambina annuisce, ma non sembra soddisfatta.
- Sì, è martedì. Ma è un martedì speciale, mamma!
- Davvero? C’è per caso qualche festività di cui non ho memoria?
- Sì mamma!
- Non ricordo, tesoro mio. Vuoi dirmelo tu?
Si accovaccia davanti alla bambina, che ha messo su un piccolo broncio.
- È il mio compleanno, mamma!
La donna sorride e si porta una mano alla fronte.
- Oh, che sbadata che sono! Hai proprio ragione!
Si alza e va verso un piccolo vaso di terracotta poggiato su un tavolino di legno. Ne solleva il coperchio e ne tira fuori qualcosa, poi si porta di nuovo di fronte alla figlia.
- Allora dobbiamo rimediare a questa dimenticanza.
La piccola annuisce convinta e guarda speranzosa la madre, che allunga un braccio e apre il palmo della mano, mostrando una piccola monetina di bronzo. La bambina spalanca gli occhi e le afferra la mano, senza però avere il coraggio di toccare quella piccola monetina da pochi soldi, ma che per loro è davvero molto.
- Ecco qua. Domani hai il permesso di andare al mercato e comprarti quello che più ti piace, contenta?
La piccola afferra con un movimento fulmineo la monetina, quasi avesse paura che la madre potesse ritirare da un momento all’altro la mano dicendole che è tutto uno scherzo, e la fissa con gli occhi scintillanti.
- Posso comprarmi anche le stecche di cannella?
Aurelia annuisce.
- Certamente.
La piccola sorride raggiante e salta in braccio alla madre, abbracciandola. La donna ride e la stringe a sé, sbilanciandosi all’indietro e cadendo seduta. Le riempie il viso di tanti piccoli baci schioccanti, mentre la figlia ride deliziata. Rimangono sedute sul pavimento per un po’ scambiandosi le coccole, poi la madre le schiocca un ultimo bacio in fronte e si alza tenendola in braccio.
- Ora, però, a nanna. Altrimenti domani sarai troppo stanca per andare al mercato.
La bimba annuisce e, come a sottolineare il concetto, spalanca la bocca in uno sbadiglio. La madre ride e la adagia sul duro materasso di paglia. Le carezza i lunghi capelli neri, così simili ai suoi, e fa sfregare i loro nasi.
- Avanti Euphemia. Dormi.
La bimba annuisce e si stende. Subito le palpebre si fanno pensanti e, in men che non si dica, cade fra le braccia di Morfeo. Aurelia le lascia un piccolo bacio fra i capelli, poi si alza e si spoglia, preparandosi anche lei per andare a dormire.
Comincia ad armeggiare con la toga e sta per lasciarla cadere in terra, quando uno scossone fa tremare la casa e rischia di farle perdere l’equilibrio. Dal soffitto, nugoli di polvere cadono giù appesantendo l’aria. Aurelia spalanca gli occhi quando una seconda scossa, più forte, la fa addossare al muro.
- Il terremoto?!
Sente un pianto sommesso e una voce chiamarla. Euphemia! Si dirige verso l’altro lato della stanza e cercando di non cadere raggiunge il giaciglio dove la bambina è raggomitolata su sé stessa, spaventata. Aurelia la afferra per la spalla e la scuote.
- Euphemia, alzati! Dobbiamo scappare!
La piccola solleva gli occhioni lucidi su di lei e la chiama in un sussurro, ma non si muove, paralizzata dal terrore. La donna tira un sospiro esasperato e, dopo l’ennesima scossa che minaccia di far crollare tutto, afferra la figlia e comincia a correre verso l’uscita. Sono solo pochi metri, e sono quasi riuscite a fuggire, quando la bambina comincia a scalciare e si libera dalla presa della madre. Poi, sotto il suo sguardo angosciato, torna dentro la stanza e comincia a frugare sul giaciglio.
- Euphemia, cosa fai?! Vieni subito qui!
Un altro scossone la costringe ad appoggiarsi al muro per non cadere, ma la bimba non la sente.
- Ho perso la moneta, mamma! Ho perso il tuo regalo!
La donna corre verso di lei e la afferra per la vita.
- Te ne darò un’altra, ora vieni via!
- No, aspetta! Eccola!
La piccola si butta per terra e afferra il piccolo cerchietto di bronzo. Sorride e fa per andare dalla madre, quando uno scossone più violento dei precedenti scuote il terreno, facendo cadere alcune travi di legno. La bimba grida e si accovaccia stringendo a sé la monetina. Sente le mani della madre afferrarla per un braccio e tirarla in piedi, cominciando a correre verso l’uscita mentre la piccola abitazione continua a crollare.
Sono quasi fuori quando, con uno scricchiolio sinistro seguito da un rombo, la casa collassa su se stessa. Euphemia si sente spinta fuori, e percepisce la fredda consistenza del selciato quando cade per terra. Si alza stordita, alla ricerca della madre, e la vede. È seduta per terra, davanti alla casa, ma c’è qualcosa che non va.
Perché non si alza e non comincia a scappare?
Euphemia si avvicina titubante.
- Mamma…?
Aurelia si volta verso di lei, il viso disperato contratto in una smorfia di dolore.
- Va’ via Euphemia! Scappa, sbrigati!
- Mamma, vieni anche tu!
Cerca di avvicinarsi alla madre che scuote energicamente la testa e cerca di farla andare via. Ad un tratto, nota che la gamba della madre è rimasta incastrata sotto le pesanti macerie e spalanca gli occhi inorridita.
- Mamma!
Le corre incontro ignorando le sue proteste, e comincia a tirare le travi che la imprigionano nel vano tentativo di liberarla. Aurelia cerca di farla desistere.
- Smettila, Euphemia! Smettila subito! Vattene!
La bambina scuote la testa e continua a tirare. Le stanno entrando le schegge nei palmi, ma le ignora. Ha la vista sfocata dalle lacrime e le orecchie invase dalle grida della gente. Ad un tratto, sente un rumore di zoccoli fermarsi alle sue spalle e delle grandi mani afferrarla per le spalle e spostarla delicatamente, mentre una voce calda e gentile le parla.
- Lascia fare a me.
Un uomo, probabilmente un nobile a giudicare dalla toga orlata di porpora, afferra una trave e comincia a tirarla. Euphemia rimane incantata a guardare le braccia muscolose dell’uomo gonfiarsi per lo sforzo. Ci prova per qualche minuto, poi lascia la presa e incontra lo sguardo mortificato con quello di Aurelia, che sembra capire.
Aurelia allunga una mano per afferrare quella dell’uomo.
- La porti via, la prego. La salvi.
L’uomo annuisce.
Aurelia si rivolge alla figlia sorridendole e le prende la manina, poggiandole sul palmo la monetina che si era fatta cadere nel tentativo di liberarla.
- Mangia tante stecche di cannella, capito?
La bambina scuote la testa mentre calde lacrime cominciano a rigarle il piccolo volto.
L’uomo rivolge un ultimo sguardo mortificato alla donna, la quale risponde con un sorriso coraggioso e determinato, poi afferra Euphemia e monta in groppa al cavallo, che comincia a galoppare.
La bambina piange e si dispera, scalcia e tira pugni sul petto muscoloso dell’uomo, ma mai, per nessuna ragione, lascia andare la monetina. Grida, chiama la madre a gran voce, e prima di vederla sparire dietro l’angolo, è sicura di averla sentita cantare.
È quella dolce ninna nanna che intonava quando Euphemia aveva gli incubi.
La voce melodiosa di Aurelia viene coperta dal rombo dell’ennesimo edificio che crolla. Euphemia piange, ma smette di ribellarsi. Appoggia il capo sul petto dell’uomo e si aggrappa alla sua toga bianca orlata del rosso delle fiamme che divampa per tutta la città di Pompei, e oltre.
L’uomo afferra saldamente le redini con una mano e con l'altra la stringe più saldamente a sé: ha fatto una promessa a quella donna, una promessa di sguardi. Le ha promesso che avrebbe salvato sua figlia, e lui in centinaia di anni di vita non ha mai mancato di mantenere una promessa.

Non sa per quanto tempo hanno continuato a cavalcare, se per qualche minuto o per qualche ora. Alla fine, si fermano in una radura sabbiosa tra il mare e il bosco, e Impero Romano d'Occidente fa scendere dolcemente la bambina dalla groppa di Arion. Lei lo lascia fare, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Augusto la guarda dispiaciuto, ma non sa cosa fare per consolarla: se la cava bene con i suoi nipotini, Romano e Veneziano, ma non ha mai avuto modo di prendersi cura di una femmina -­ ha sempre lasciato che fosse Oriente, sua sorella e compagna, a prendersi cura di loro figlia Roma.
Sospira e non dice nulla, lasciandola con il fido Arion, che sicuramente è più indicato di lui nel consolare la piccola. Ed infatti, eccolo già impegnato a sfregare il muso color caramello fra i lunghi capelli neri della bambina, che rimira con aria assente la monetina che le ha dato la madre prima di salutarla per l'ultima volta.
Augusto finisce di raggruppare la legna e si siede per terra, sentendo altri lievi scosse scuotere il terreno, ma niente di troppo preoccupante. Si volta verso la bimba e la chiama.
  - Ehi, piccola. Coma ti chiami?
Lei solleva lo sguardo vacuo su di lui e, dopo qualche secondo, risponde.
- Euphemia.
- Quanti anni hai?
- Cinque.
La voce è atona, lontana, ma Augusto non se ne cura e continua a parlarle.
- Allora, Euphemia, ti va di vedere una magia?
La bambina non risponde, ma si avvicina lo stesso e rimane in piedi osservando Augusto armeggiare per accendere il fuoco. Dopo qualche istante, una piccola fiammella comincia a farsi strada fra la legna, ma ha qualcosa di speciale: non è rossa e arancione, bensì ha una singolare colorazione verde-blu. Augusto la guarda.
- Bella eh?
La fiammella si espande diventando un piccolo falò, e continua a danzare, incantatrice di uomini e guida nel buio. Augusto la guarda soddisfatto, ma la bambina la fissa con sguardo assente. Ad un tratto, come sovrappensiero, fa una domanda ad Augusto.
- Ehi signore. Sai che giorno è oggi?
Lui la guarda un po' confuso, ma risponde lo stesso.
- È martedì.
Euphemia si perde con lo sguardo nelle fiamme per qualche istante, che sembra lunghissimo. Alla fine annuisce, come a convincere sé stessa.
  - Sì. È martedì.

○●○   ○●○   ○●○

Euphemia era rimasta due giorni con Arion e Augusto. Due giorni in cui quest'ultimo aveva cercato di farla reagire agli stimoli esterni in un modo o nell'altro  ̶̶  parlando senza sosta, facendole il solletico e, sì, un paio di volte anche buttandola in mare mentre dormiva, rischiando di farla annegare.
All'inizio Euphemia era rimasta chiusa nel più totale mutismo. Ma, vuoi perché una bambina di cinque anni troppo a lungo ferma non riesce a stare, vuoi perché le femmine hanno l'innato istinto di parlare, vuoi perché davvero il solletico non lo reggeva, alla fine aveva ricominciato a tornare ad essere, un poco per volta, la bambina vivace di un tempo.
Certo, la notte si svegliava più di una volta in preda agli incubi invocando la madre, e non era raro che tutto d'un tratto scoppiasse a piangere facendo impanicare il povero Impero che non sapeva come fare per farla smettere, ma tutto sommato facevano progressi. Euphemia cominciò anche ad affezionarsi ad Augusto ma, se all'inizio l'uomo ne era stato contento, cominciò a capire quanto quell'attaccamento potesse essere fonte di guai.
Guai che cominciarono quando, calmatesi anche le ultime scosse di terremoto, Augusto decise di riportare la bambina a Pompei. Di certo non poteva portarla con sé a Roma, e sperava che qualcuno la prendesse con sé. L'unica persona disposta ad accoglierla fu una donna di una quarantina d'anni: una Lena, la proprietaria di un bordello.
Augusto non era proprio contento del fatto di lasciarla in una casa di tolleranza, ma dovette far presente a sé stesso che una bambina così piccola, orfana e povera non sarebbe potuta andare da nessun'altra parte, se non schiavizzata in casa di qualche nobile. Così, sospirando, decise di affidarla a quella donna che, però, tutto sommato non sembrava così male.
Quando infine dovette salutare Euphemia, scoppiò il finimondo: la bambina cominciò a piangere e si attaccò alla sua veste, pregandolo di non andare. E solo dopo tante promesse di andarla a trovare e qualche carezza la piccola si rassegnò, guardandolo andare via in groppa ad Arion aggrappata delicatamente alla veste della donna.
E alla fine era tornato davvero, sì. Tornava sempre.
E mentre lui rimaneva sempre ugual, identico a sé stesso, Euphemia cresceva, mutava: le forme acerbe del suo corpo da bambina avevano lasciato posto a curve sinuose da donna; i capelli neri come la notte erano diventai più lunghi; il viso si era fatto più sottile ed attraente. E, in men che non si dica, Augusto era caduto in trappola.


5 febbraio, 79 d.C.

Euphemia, distesa sul comodo giaciglio, è avvolta dalle candide lenzuola. Porta una mano sul petto muscoloso di Augusto e comincia a muoverla con dolci movimenti concentrici. Lui la guarda e sorride divertito.
  - Sbaglio o sei diventata ancora più bella?
- Uff, stai zitto.
- E anche più acida.
- Ti ho detto di stare zitto. Non rovinare sempre i bei momenti.
Augusto ride e la stringe a sé.
- Oh, ma io lo so che mi adori!
- Augusto, lasciami! Mi soffochi!
- Suvvia, non fare la preziosa.
La ragazza si libera a fatica e si tira su a sedere, sbuffando senza sapere se essere divertita o scocciata da quel comportamento infantile.
- Davvero, non so come abbia fatto Impero Romano d'Oriente a starti accanto tutti questi secoli. È una santa, quella donna, te lo dico io.
Augusto ride e si alza, cominciando a rivestirsi. Euphemia lo guarda un po' sorpresa e contrariata.
- Vai già via?
- Sei triste?
- Figurati.
Augusto ride di nuovo. Euphemia lo guarda: ride sempre, lui. Ride di continuo. Cosa avrà da essere sempre così allegro, poi, Euphemia proprio non lo capisce.
Augusto apre la sua borsa di pelle e tira fuori una manciata di monete argentate, che le lascia sul tavolo. Lei la guarda contrariata.
- Ti ho detto tante volte che non voglio l'elemosina. Se vuoi spendere così tanto vai a scoparti Caecilia o Livia. Io costo meno della metà di quello.
- Chi te l'ha detta questa stupidaggine? Credi a me, tu ne vali almeno il doppio.
Euphemia sbuffa e si alza, lasciando cadere il lenzuolo. Mostra il suo corpo senza alcun pudore e con movimenti aggraziati va verso il tavolo, raccoglie velocemente metà delle monete e poi le nasconde in un piccolo vaso di terracotta sotto il letto. Poi si fa cadere di nuovo sul giaciglio, troppo pigra per rivestirsi.
Augusto le si avvicina e dalla borsa tira fuori un piccolo involucro, che le porge.
- Cos'è?
- Un regalo.
La ragazza comincia a scartarlo e dal suo interno si sente un delicato aroma che si diffonde per tutta la stanza. Lei lo guarda scettica.
- Stecche di cannella?
Augusto sorride.
- Mi ricordavo che ti piacevano.
- Che regalo inutile.
Augusto ride e si china a darle un bacio.
- La prossima volta allora ti porto a Roma a vedere gli spettacoli.
- Come preferisci. Quando torni?
- Fra qualche mese. Penso verso la fine di agosto**.
Euphemia annuisce e Augusto la bacia un'ultima volta, poi si avvia verso la porta. Sta per chiudersela alle spalle, quando la voce della ragazza lo richiama.
- Ehi, Augusto. Sai che giorno è oggi?
L'uomo sorride e volta leggermente il capo, per guardarla con la coda dell'occhio.
- È martedì.
Euphemia sorride ed annuisce.
- Sì. È martedì.
Augusto chiude la porta, ed Euphemia morde una stecca di cannella.

 

- Ehi fratellone, guarda! Ne abbiamo trovata un'altra!
Lovino sbuffa irritato.
- Questa volta cos'è?
- Amedeo dice che è un bordello... Fratellone?
- Cosa?
- Cos'è un bordello?
Il maggiore preferisce ignorare la domanda e fa un cenno al fratello.
- Lascia perdere, entriamo a vedere.
Si addentrano nella struttura, e Feliciano sembra entusiasta.
- È davvero bello, qui!
Lovino annuisce.
- Hanno già posizionato i calchi. Sembra quasi che il tempo si sia fermato.
Intorno a loro, ci sono calchi in gesso di giovani ragazze intente a fuggire,
altre sono rannicchiate in qualche angolo spaventate.
- Fratellone, guarda! Ci sono dei nomi incisi davanti alle porte.
Lovino legge: Caecilia, Livia, Ottaviana...
Scrolla le spalle.
- Devono essere i nomi delle ragazze a cui appartenevano le camere.
Feliciano annuisce e continua ad esplorare.
Entra in una stanza, dove è posizionato il calco di una ragazza dalla lunga veste
affacciata alla finestra. Feliciano si avvicina, rapito.
- Ehi fratellone. Non è bellissima?
Lovino annuisce, e il minore continua a parlare.
- Secondo te perché non ha cercato di scappare? Sembra che aspetti qualcuno.
Il fratello sbuffa irritato.
- Chi vuoi che aspettasse, mentre il suo mondo stava finendo? Probabilmente
era una depressa che non vedeva l'ora di morire.
Feliciano esce dalla stanza e guarda il pavimento davanti alla porta.
Lovino lo guarda annoiato.
- Come si chiamava?
- Euphemia.

 

 

*le prostitute di epoca romana erano le uniche donne ad indossare toghe maschili, per essere riconosciute.
**secondo Plinio il Giovane, l'eruzione del Vesuvio è avvenuta verso la fine di agosto, più precisamente il 24

N.d.A.
Be che dire. Poco fa sono stata a Napoli a trovare mia nonna, e mio padre mi ha portato a vedere gli scavi di Ercolano, un'altra città romana distrutta durante l'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.
In realtà, essendo andata a visitare Ercolano e non Pompei (anche se ci sono andata), la storia si sarebbe dovuta incentrare per l'appunto ad Ercolano. Ma dato che, dopo essermi informata, ho scoperto che a Ercolano non c'erano bordelli, ho dovuto ripiegare su Pompei.
La storia delle scritte con i nomi davanti alla porta è tutta vera, ho letto da Wikipedia. Solo che non so se anche nei bordelli di Pompei venisse usato questo metodo, quindi nel caso io abbia scritto una bufala perdonatemi.
Che altro dire, mi farete davvero felice se mi lascerete una piccola recensione.
Poche paroline bastano, davvero. Date un sostegno morale a questa povera autrice sfiduciata!
Comunque sappiate che vi amo tanto perché siete arrivati fino a qui! Bravi, vi meritate un biscotto!
*lancia biscotti per aria*
                   BdB

  
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