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Autore: ComeAndPlay    18/08/2015    1 recensioni
Pair: John x Mary
Contesto: Mesi successivi a "His Last Vow"
Gli incubi di Mary le mostrano tutti i fantasmi del suo passato. Persino il primo incontro tra lei e John è avvenuto in una situazione non ordinaria e piacevole.
Nota: Amanda è la figlia di Mary e John, nata da poche settimane.
"« Mary, cosa sta succedendo. »
« John… ti prego. Va tutto bene. Fidati di me. »
« No, Mary. No. » replicò l’altro, ancora prima di sentire la fine della frase: si era acceso – ancora una volta -, quell’inquietante sorriso che John Watson sfoggiava quando non gli restava più nulla a cui aggrapparsi, quando qualcosa gli aveva portato via tutta la sua vita, ma non abbastanza da ucciderlo.
« Non va tutto bene, mh? Perché io sono legato non so dove, non so per quale motivo, in compagnia della donna che ho sposato e che è vestita come una dannata assassina e maneggia un fucile. Questo non è “ANDARE BENE”, Mary! »
« John… ti prego… »
« PERCHÉ DEVI ESSERE L’ENNESIMA ROVINA DELLA MIA VITA?! » "
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mary Morstan
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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"Now your nightmare comes to life"

 
Quella notte le coperte sembravano avvilupparsile addosso come tentacoli roventi: il letto che condivideva con suo marito si era trasformato in un giaciglio infernale, su cui si agitava e rigirava senza sosta, il respiro ansante. Il sonno di John era ancora troppo profondo per potergli permettere di accorgersi del turbamento della compagna, che ora era passata a stringergli la maglia del pigiama e sussultare sulla pelle del suo collo, inumidita dalle lacrime che le scendevano dagli occhi strizzati.
A volte, le braccia di Morfeo erano per Mary una macchina del tempo, l’ingresso agli inferi, la sua condanna eterna.

“Twinkle, twinkle, little star… “

L’ambiente che le si aprì davanti, una volta riaperti gli occhi come se si fosse svegliata, non era altro che uno sfondo dal buio infinito e in confini inesistenti. Ci mise un po’ ad abituarsi all’oscurità, se non altro per mettere a fuoco il suo stesso corpo: era così realistica da incuterle timore.
Girò una volta su se stessa, con il solo intento di trovare un punto con cui orientarsi: non le restava che affidarsi all’istinto per sopravvivere all’ennesima sfida in cui la notte l’aveva gettata.


“How I wonder what you are… “

« C’è qualcuno?! » tentò, mentre una voce melodiosa e femminile riecheggiava per il luogo, rendendole impossibile stabilire da dove provenisse.

“Up above the world so high…”

« Certo che c’è qualcuno. » mormorò a se stessa, deglutendo « Questa è la mia voce. »

“Like a diamond… in the sky…”

Al contrario di molti altri incubi in cui si era trovata inchiodata al terreno, in quell’occasione le sembrò fin troppo facile scattare e correre verso il vuoto: era come se il suo corpo avesse acquistato indipendenza, costringendola a muovere le gambe ed aiutarsi ad acquistare velocità con dei movimenti ben scanditi delle braccia, il respiro che cercava di controllare il battito cardiaco per non perdere troppa aria. L’abitudine alle corse si era affievolita di molto dopo i nove mesi di gravidanza, ma in quella dimensione onirica Mary Morstan sembrava tornata alla sua agilità da assassina. Neanche la totale mancanza d’ossigeno di quel posto senza vita pareva infastidirla: seguiva l’eco della sua stessa voce e l’istinto di affidarsi totalmente ad essa, per superare quella sfida. Ne aveva viste tante, nella sua carriera, ma in nessuna aveva mai sperimentato l’impotenza degli incubi: sapevano essere particolarmente sleali, con lei. A volte, credeva che tutte le colpe del suo passato andassero scontate di notte, quando alle sue difese razionali non era permesso aiutarla.

“Twinkle, twinkle, little star…”

« Sono qui. »
Si fermò in un punto che avrebbe potuto essere lo stesso di prima, se la bionda non fosse stata sicura al cento per cento di essersi spostata; una mano corse alle tasche dei pantaloni, nella vana speranza di trovarvi qualche arma di difesa, ma non sembrava parte delle regole del gioco.
« Fatti vedere. » proseguì, trasformando quel movimento di polso e dita vicino alla tasca, in un pugno stretto: era sempre stata agile e portata per il corpo a corpo.
« … How I wonder…  what you are. »
Mary socchiuse gli occhi e li abbassò sul terreno scuro, quando la sua stessa voce le giunse dalle spalle: si prese qualche attimo per abituarsi alla luce offuscata che si era improvvisamente accesa dietro di lei.
« E’ così tenera. »
Non ebbe bisogno di specificare di chi stesse parlando, visto il versetto acuto che le giunse subito dopo all’orecchio, portandola a rialzare lo sguardo e spalancare gli occhi, il respiro per nulla tranquillo.
“Amanda!”
Avrebbe riconosciuto tra mille altre bambine la sua voce, i suoi versi e persino il fruscio dei suoi vestiti, quando si muoveva entusiasta ad ascoltare quella melodia. Il pensiero che sua figlia fosse in pericolo la fece scattare prima ancora di rendersi conto che la situazione sarebbe potuto sfuggirle di mano: lo spettacolo che le si parò davanti, infatti, le paralizzò ogni muscolo del corpo e questa volta non per colpa delle forze sconosciute che contrastano il protagonista di un incubo.
« Ha gli occhi di John… non la trovi adorabile? »
Mary Morstan o, meglio, la Mary Morstan del passato teneva tra le braccia un fagotto di coperte bianche, da cui spiccava il volto paffuto e le manine di sua figlia, nata da poche settimane. La accarezzava di tanto in tanto, strisciando il dito coperto dalla pelle del guanto, ma non mostrava alcun calore materno, né nel coccolarla, né nel parlarle.
« Guarda la mamma, piccola Watson! »
« È l’ennesimo incubo, vero? » si decise ad interrompere quella scena patetica, ma non poteva impedire al suo istinto materno di controllare che la bambina stesse bene: non sembrava averle fatto alcun male. A quanto pareva, la scena di quella notte avrebbe giocato soltanto su vecchi ricordi e rimorsi… o, almeno, così sperava. Tirò un lieve sospiro di sollievo quando l’altra rimise Amanda nella sua culla, per poi tornare a rivolgersi a lei: indossava la sua vecchia tenuta nera ed attillata, che Mary ricordava come se l’avesse indossata fino a pochi minuti prima. C’erano stati tempi in cui aveva letteralmente vissuto dentro quegli abiti e ricordava la sensazione di sentirli grondare di fango, sudore e sangue alla fine di ogni lavoro.
« Non significa che  tutto questo non sia reale. »
Guardare negli occhi se stessa e ritrovarsi il proprio riflesso a pochi centimetri di distanza sortì un certo effetto in Mary, che non poté fare a meno che difendersi cercando ogni minimo dettaglio di differenza tra lei e l’assassina che era stata in passato.
« Sono molto più sincera e coerente di te, Mary Watson. »
« No. Non lo sei. » replicò senza esitazione, lo sguardo alto e deciso su quello vuoto e freddo della sua “avversaria” « Tu non sai neanche cosa sia, la sincerità. »
Fu il momento di superare quella figura e dirigersi verso la culla, illuminata da un riflettore come se fosse protagonista di uno spettacolo teatrale: era l’unico particolare piacevole di quell’incubo e il piano che la bionda aveva delineato nella sua mente geniale prevedeva l’aggrapparsi alla sua creatura e dimenticare tutto il resto che le sarebbe accaduto. La accolse tra le sue braccia e la appoggiò al suo petto, pronta a proteggerla da qualsiasi attacco; avrebbe persino potuto svanire da un istante all’altro: non doveva calare la guardia per alcun motivo.
« Qualsiasi cosa succeda » le sussurrò all’orecchio « ti proteggerò sempre. »
« Dimmi un po’, Mary… lo hai detto a John? »
Sapeva esattamente a cosa si stava riferendo.
« Il vostro primo… incontro…? »


« John… »  
« Mary? »
L’ex-soldato si era appena svegliato: sua moglie doveva essersi agitata a tal punto da scuoterlo e il suo sonno non aveva retto. Mary sembrava sul punto di scoppiare in lacrime ed era difficile stabilire se potesse sentirlo o fosse ancora addormentata: non era la prima volta che la sentiva muoversi nel sonno, ma non era mai durato così tanto e – soprattutto -, non con tanta insistenza da fargli superare persino la fase del dormiveglia.
« Mary, ehi. Ehi… sono qui. Va tutto bene. » non poté fare a meno di sussurrarle, sperando che la sua voce si insinuasse tra i pensieri negativi: è pericoloso svegliare qualcuno nel pieno di un sogno, per quanto il dottore lo avrebbe di gran lunga preferito.
« John… John, non è stata colpa mia. Io non- non volevo. Perdonami… »

“One, two,
Buckle my shoe…”


« Cosa…? Dove sono…? »
Lo spogliatoio era stato immerso nell’oscurità più totale: lo scenario era cambiato, Amanda era sparita e Mary si era ritrovata in piedi davanti ad un ripiano ricolmo di cartucce e proiettili che – nonostante gli anni trascorsi -, avrebbe saputo riconoscere e catalogare in pochi secondi. Non era altro che una ricostruzione del suo inconscio: si sarebbe potuta muovere con l’agilità di un felino in quella stanza, nonostante il buio e la confusione dovuta al cambio improvviso di scena.
« C’è qualcuno?! »
No. Non ci sarebbe stato nessuno, per John Watson, perché la donna che aveva appena caricato il suo fucile da cecchino non avrebbe mai mostrato il suo volto: conosceva quella scena di molti anni prima. Era stata una missione delicata e maledettamente rischiosa, a partire dalla cattura di quell’ostaggio “finale” con cui Moriarty intendeva concludere la sua sceneggiata.
Mary non si era mai posta domande sul modo di agire del suo capo: preferiva chiudere la mente ed utilizzare solo i suoi sensi fini ed allenati come quelli di un predatore. Non voleva nemmeno contare il numero delle vittime che stava collezionando sulla coscienza: era un’assassina e come tale si sarebbe comportata.


“Three, four,
Open the door…”


« Perché sono legato?! »
Il sonnifero che aveva iniettato nel collo dell’ex-soldato sembrava aver terminato il suo effetto ed il tono iniziava a risuonare piuttosto spazientito, anche se ancora lievemente impastato dalla droga in circolo nel sangue. Mary Morstan – la nuova Mary Morstan, quella affezionata all’uomo accasciato a terra e brutalmente imprigionato-, si stava trovando a vivere quel ricordo terrificante con lo spirito di una donna innamorata, sposata da pochi mesi ed appena diventata madre. Non riuscì, dunque, a ripetere la scena così come era conservata nella sua mente: non fu in grado di rimanere in silenzio, senza dargli le spiegazioni che gli spettavano di diritto.
Che poi… quali spiegazioni convincenti avrebbe mai potuto sperare di trovare?
« Va tutto bene, John. » gli sussurrò, posandogli un dito sulle labbra sottili: non pronunciò quelle parole col tono che si era prefissata, però. Era quasi piatto, come se la mente di Mary fosse inserita nel corpo dell’assassina e non avesse alcun potere su di esso.
« Perdonami. »
« Mary?! »
Mai, mai nella sua vita avrebbe desiderato rivedere lo sguardo deluso dell’ex-soldato che realizzava di aver sposato una maledetta bugiarda. La magia dei sogni e la crudeltà degli incubi fece sì che gli occhi dei due coniugi si incontrassero sotto una luce – spuntata da chissà dove -, e Mary Morstan si sentì morire sotto il peso di quell’espressione incredula e rassegnata, specchio di un’anima vuota a cui era stato tolto tutto.


“Five, six,
Pick up sticks…”


« Mary, cosa sta succedendo. »
« John… ti prego. Va tutto bene. Fidati di me. »
« No, Mary. No. » replicò l’altro, ancora prima di sentire la fine della frase: si era acceso – ancora una volta -, quell’inquietante sorriso che John Watson sfoggiava quando non gli restava più nulla a cui aggrapparsi, quando qualcosa gli aveva portato via tutta la sua vita, ma non abbastanza da ucciderlo.
« Non va tutto bene, mh? Perché io sono legato non so dove, non so per quale motivo, in compagnia della donna che ho sposato e che è vestita come una dannata assassina e maneggia un fucile. Questo non è “ANDARE BENE”, Mary! »
« John… ti prego… »
« PERCHÉ DEVI ESSERE L’ENNESIMA ROVINA DELLA MIA VITA?! »
Non riusciva neanche a piangere: il dolore che provava non poteva esternarsi in quel corpo creato per uccidere. Riuscì a notare il riflesso del suo sguardo negli occhi blu del soldato, ma non vi lesse affatto tutti i sentimenti che la stavano dilaniando. Era il peggior incubo che si fosse mai trovata a vivere: il suo terrore più grande? Essere odiata dall’uomo che amava più di se stessa, che le aveva permesso di ricominciare da capo… e che ora giaceva lì davanti, svuotato di ogni speranza – per la millesima volta.
« Il mirino che ti troverai addosso, sarà il mio. » gli spiegò dopo un momento di silenzio, in cui dovette riprendere il controllo della sua mente e ragionare con lucidità, per quanto possibile. Gli sistemò il parka e vi legò gli esplosivi con rapidità, mentre il fiato caldo dell’altro sembrava schiaffeggiarla laddove non potevano arrivare le sue mani.
« Ma non ti sparerò. Non lo farei mai. »
« Che consolazione. »
Gli sistemò il cercapersone nel taschino interno dell’indumento e sistemò l’auricolare nel suo orecchio, avvertendo dal tremore del suo corpo tutto il ribrezzo che provava nell’essere toccato da lei: gli fece un male indescrivibile.


“Seven, eight,
Lay them straight.”


«Ascoltami, John. E’ fondamentale che tu dica quello che senti dall’auricolare, le parole esatte. Se stai al suo gioco, non ti succederà nulla. » cercò di darsi un tono quanto più rassicurante e professionale possibile, ma finì col sussurrargli ad un fil di voce, mentre gli liberava i polsi dalle manette che lo tenevano imprigionato ad un palo di ferro: si fidava a tal punto di lui da non aspettarsi un attacco a sorpresa, anche se sarebbe stata la cosa più logica da fare. Ma non per John Watson, così abituato a quello stile di vita da ingoiare qualsiasi delusione ed affrontarla a testa alta, in nome dello spirito del soldato che era stato pochi anni prima.
« Ti aspetti che ti ringrazi, non è così? »
« Non mi aspetto nulla. » replicò, abbassando gli occhi sulle sue mani guantate che di lì a poco si sarebbero appoggiate su un grilletto e avrebbero mirato su suo marito: il pensiero le contorse lo stomaco e – in un raptus involontario -, la portò a toccare l’anulare sinistro nel punto in cui era ancora infilata la fede di matrimonio. Avrebbe dovuto toglierla prima di iniziare, visto che le ostacolava la presa sul fucile.
« Quello non è altro che un pezzo d’oro, adesso. » sentì giungerle freddo, come se avesse notato il suo gesto.
 « Perché la donna che ho sposato non esiste più. »
Quando rialzò lo sguardo, l’ex-soldato già le dava le spalle: lo vide raddrizzarsi ed allungare il collo, pronto ad entrare al segnale di Moriarty. Riusciva ad immaginarselo a labbra strette e lo sguardo perso nella sua stessa concentrazione, proprio come quando aveva deciso di perdonarla in quel Natale a casa Holmes.
« Ti amo, John. » gli sussurrò, prima di afferrare il fucile da cecchino e dirigersi alla sua postazione, totalmente distrutta.
« Già. » mormorò il dottore, accarezzandosi la fede, ancora nel suo anulare « Sfortunatamente, anche io. »


« Signora Watson? Ehi! »
John non aveva mai smesso di accarezzarle la guancia: la situazione in cui era ridotta la moglie lo preoccupava, soprattutto per il fatto che sembrava reagire ancora peggio all’udire i suoi sussurri. Mary era ormai completamente bagnata dalle lacrime e pallida in volto: continuava a singhiozzare il suo nome e ad appendersi alla stoffa del suo pigiama, tremando come una foglia.
Mai dall’inizio della loro conoscenza gli era capitato di vederla così terrorizzata: doveva essere un incubo terrificante, che probabilmente l’avrebbe rabbuiata per il resto della giornata.
Le baciò la fronte ed attese qualche secondo, per poi stringerla ancora sé e continuare a sussurrarle frasi rassicuranti: chi meglio di lui poteva capire quanto realistici potessero essere gli incubi e quanto orribili le notti dominate da questi?
« John… Amanda. Amanda è in pericolo… ti prego, John… »

“Mary had a little lamb,
Little lamb, little lamb…”


« Mamma? »
L’ufficio di Magnussen venne scelto come nuovo scenario,ma Mary non badò troppo a quella ricostruzione curata nei minimi dettagli: lo sguardo era concentrato sull’uomo inginocchiato davanti a lei, che aveva smesso improvvisamente di implorarla. Persino il più meschino e viscido dei criminali trema davanti alla canna di una pistola carica.
« Amanda. » mormorò, in un sussurro inafferrabile da chiunque eccetto se stessa, ma le sue labbra furono l’unico particolare mobile in quello scenario.
« Che cosa farai, ora? » la schernì il danese, con un accento fastidioso ed un ghigno beffardo che le dava fastidio « Ci ucciderai entrambi? »
Ancora una volta, Mary provò quella fastidiosa sensazione di assistere al suo corpo che prendeva iniziativa, nonostante i comandi nella sua testa gli ordinassero di sparare a quel bastardo e svegliarsi, una volta per tutte. Quando riuscì a collegare i ricordi e gli avvenimenti a ciò che sarebbe successo di lì a poco, era già voltata verso sua figlia – sembrava avere una quindicina di anni, a giudicare dai lineamenti che mostravano i primi accenni dell’età adulta -, il braccio ancora sollevato e la pistola puntata contro di lei.
« Eccoci di nuovo qui, Mary. » proseguì Magnussen dalle sue spalle, ma sapeva di non dovergli dare troppo peso: era stato un manipolatore nella realtà, figurarsi in un incubo del genere.
« Come hai intenzione di agire, questa volta? »
« Papà è con te? »
Il tono con cui le si rivolse dovette spaventarla a morte, visto che la ragazza aprì la bocca ma non ne uscì alcun suono; Dio… il modo in cui la stava fissando. Era come se si fosse trovata davanti uno dei mostri che la terrorizzavano da piccola e che Mary scacciava con la sua canzoncina preferita: quanto avrebbe voluto stringerla tra le braccia e dirle che andava tutto bene…
« Papà è qui? » ripeté con voce ancora più autoritaria,la mano che non intendeva abbassare la pistola per alcuna ragione.
« È d-di sotto… »
Amanda scoppiò a piangere, mostrandole il raccapricciante spettacolo di quegli occhi che si facevano lucidi ed imploranti: erano gli occhi di John e lei non poté fare a meno di sentirsi morire con tutte le sue speranze di uscire incolume da quell’incubo.
« M-Mamma…  cosa succede? »
“Oh, Sherlock, se fai un altro passo giuro che ti ucciderò.”


“Mary had a little lamb;
Its fleece was white as snow…”


« Oh, Amanda, non provare ad avvicinarti o premerò il grilletto. »
« P-Perché dovresti farlo? » le mormorò, sporgendosi in avanti per fare un passo verso di lei « Sei mia madre. »
«Non costringermi. »
La mano le tremava; lo scatto del grilletto ticchettò nella stanza e Mary era davvero convinta che quella sarebbe stata la sua fine: sua figlia aveva ereditato la determinazione del padre e questo non la aiutava a capire la gravità della situazione. Avrebbe dovuto voltarsi e scappare, lasciandola sola con quel viscido verme ed il privilegio di farlo fuori, almeno in sogno: sarebbe stato l’unico particolare interessante di quella notte.
« Ti prego. » aggiunse, ma senza riuscire ad esprimere ciò che intendeva davvero: una vera e propria richiesta di avere pietà di lei e non metterla nelle condizioni di sottoporsi a quello strazio.
“No, Signora Watson.”
« No, mamma. »
« ... Amanda… »
Quando l’ultima sillaba del suo nome venne pronunciata dalle labbra di Mary, il colpo era già partito e – questa volta -, fatale al cuore. Secco; una questione di millesimi di secondo; già sulla maglia bianca della ragazza era comparsa una macchia rossa e sul volto della bionda, finalmente, una lacrima.
“Mi dispiace, Sherlock… davvero. Mi dispiace.”
“Mary…?”


“And everywhere that Mary went
Mary went, Mary went…”


« Non volevo farlo, Amanda. Perché non mi hai dato retta…? »
« M-Mamma… »
Non seppe mai quale crudele scherzo le fece riacquistare il controllo sui suoi stessi movimenti, ma nello stesso istante in cui il corpo della quindicenne toccò il pavimento, Mary si trovò a scattare verso di lei, dopo aver gettato la pistola chissà dove. Non le importava proprio nulla, che Magnussen avrebbe potuto utilizzarla – era ancora lì, tra l’altro?
« Non sarebbe dovuta andare così… lo giuro, Amanda… lo giuro… » si trovò a sussurrare, mentre la raccoglieva da terra e se la appoggiava al petto, accarezzandole i lunghi capelli biondi.
« Non è stata colpa mia… stai con me, piccola Watson. Ti prego… »
Si lasciò andare ad un pianto liberatorio, con il corpo di sua figlia stretto tra le braccia e la stanchezza di tutte quelle torture psicologiche che la stavano facendo impazzire. Le sembrò persino di avvertire il sangue inumidirgli gli abiti, proprio come l’ultima volta in cui aveva indossato la sua “divisa”: Amanda non dava più segni di vita e quelli sembrarono gli attimi più lunghi di tutto l’incubo che aveva appena vissuto. Non riusciva a svegliarsi e la disperazione l’aveva portata a gridare il nome di suo marito a gran voce, sperando che ci pensasse lui: forse, non sarebbe stata più in grado di guardarlo negli occhi o, comunque, di guardare la loro storia allo stesso modo.
“Dunque, Mary Watson… chi sei?”
« JOHN, TI PREGO! JOHN, AIUTAMI!  »


“Everywhere that Mary went
The lamb was sure to go.”


« JOHN! »
Persino la loro camera le sembrò ostile, quando scattò a sedere sul letto e si guardò intorno, sperduta e confusa; sbatté più volte le palpebre, scoprendosi gli occhi e il volto completamente bagnato, la gola e le labbra secche per i singhiozzi. Si passò una mano sul viso e cercò di rimediare alla situazione nei limiti del possibile, ma la verità era che aveva bisogno ancora di piangere e non era neanche sicura di volere che John la consolasse.
« Va tutto bene. » si sentì sussurrare alle spalle, prima che le braccia dell’ex-soldato la cinsero in un abbraccio protettivo e le lasciarono un bacio fugace sulla tempia.
« E’ tutto finito, adesso. Ci sono io, con te. »
« Johh, ascolta… » cominciò, perdendo lo sguardo sulle lenzuola sconvolte, in parte addirittura buttate giù dal letto: si era agitata davvero in modo esagerato, quella volta. « Dovremmo davvero─ »
« Mary. » la interruppe immediatamente, prima di esortarla a voltarsi verso di lui e prenderle il volto tra le mani: aveva già capito dove sarebbe andata a parare.
« Mi ami? »
« Certo, ma─ »
« C’è una bambina bellissima, in quella culla: sei felice che sia nostra figlia? »
« John, ti prego… »
« Allora va bene così. Il resto non mi importa. »
Ci mise qualche secondo a lasciarsi convincere, ma alla fine decise di tornare a stendersi con lui sul letto, completamente abbandonata tra le sue braccia, lo sguardo lucido perso nel vuoto ed ancora intimorito.
« E tantomeno deve importare a te. » le sussurrò all’orecchio, assicurandosi che non potesse sfuggire a quelle effusioni, di cui sembrava avere un maledetto bisogno.
« Sono io quello degli incubi. Non cercare di rubarmi il ruolo, signora Watson. » ironizzò, mentre le accarezzava i capelli: avrebbe atteso che sua moglie si addormentasse, prima di chiudere gli occhi. Mary lo aveva immaginato e, dunque, cercò di concentrarsi per far sì che ciò avvenisse il prima possibile: lasciò scorrere le ultime lacrime e si fece proteggere da suo marito, che più volte aveva dimostrato di essere forte come un leone, molto più di quanto potesse sembrare a primo acchito.
« Non vi farei mai del male. » sussurrò, sapendo bene a cosa si stesse riferendo: John non avrebbe inteso il senso – completamente collegato alla serie di incubi di poco prima -, ma non era importante.
In quel momento, le premeva solo dimenticare e vivere la sua nuova vita con John e la loro creatura.
Insieme.
Per sempre.
   
 
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