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Autore: Selhen    19/08/2015    0 recensioni
Anni di guerra, territorio conteso e fazioni eternamente in lotta nella terra del dio Aion. Com’è possibile per Selhen nutrire odio verso qualcuno che l’ha risparmiata? Com’è possibile odiare senza conoscere veramente il volto della guerra?
Com’è possibile parlare con un nemico e trovarlo così normale e uguale a se stessi?
Una nuova avventura di Selhen solo per voi. Recensite numerosi. Le vostre recensioni mi danno la carica per scrivere sempre di meglio. Un abbraccio, la vostra autrice.
N.b. avviso gli eventuali lettori che ho postato questa storia più corretta e revisionata su wattpad. Se la preferite con meno imperfezioni sapete dove andare, sono selhene. :)
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lo sferragliare della grande cella mi annunciò che qualcuno era venuto a prendermi. Mi ero rannicchiata in un angolo della stanza buia, con le ginocchia strette in un abbraccio e la testa ricurva, a lasciare che i capelli mi scivolassero avanti a coprire completamente il mio viso.
Non sollevai il capo nemmeno quando i rumori divennero più insistenti e un: "Ehi tu!", tentò di richiamare la mia attenzione.
Fu in quel momento che mi sentii prendere con la forza e strattonare con poca delicatezza. Alzai il viso, tumefatto e rigato da sangue e dalle lacrime.
Non avevo più ferite perchè la mia natura di daeva permetteva subito di rigenerarle, eppure non era un mistero quello che avevo subito in quelle ultime ore.
Benchè fosse vietato prendersela con i prigionieri prima ancora di un responso giudiziario, i soldati della fazione asmodiana non disdegnavano mai le crudeltà verso i loro simili accusati, anche per semplice sospetto, di tradimento.
Mi avevano interrogata, torturata, mi avevano minacciata col fuoco e in certi casi, avevo addirittura desiderato di morire, per quanto io fossi un essere immortale.
Uscii dalla cella a testa bassa, mentre il mio aguzzino continuava a trascinami con poca delicatezza fino ad una cella un po' più grande. C'era un lungo tavolo in legno, e sui due lati di quello, due smilze sedioline che sembravano reggersi appena.
Il soldato mi spinse violentemente contro una delle due sedie.
"Resta qui, feccia", aveva detto sputandomi ai piedi.
Non osai proferir parola. Continuai a tenere la testa bassa, sicura che anche ora, era arrivato il momento degli interrogatori e delle torture gratuite nei confronti di una sporca traditrice come mi consideravano.
Quale personalità importante voleva vedermi oggi per giudicarmi e per tentare di estorcermi inutilmente informazioni sull'altra fazione?
Era stato inutile spiegare loro che non c'era stato nessun secondo fine, nella relazione tra me e quel Generale elisiano. Mai avevamo parlato di fatti di fazione, mai avevamo affrontato discussioni che riguardassero il nostro essere diversi. Tutt'altro, quando eravamo insieme ci rendevamo conto di essere totalmente uguali.
Perchè dovevo considerare nemico un ragazzo che mi aveva trattata molto meglio di come stavano facendo adesso quelli della mia stessa razza?
Un singhiozzo debole e sommesso mi colse di sorpresa ma serrai le labbra e le palpebre per soffocarlo.
Avevo paura, tanta paura, e per quanto potessi sembrare forte quei pochi giorni di prigionia mi avevano devastata.
Piangevo ogni notte, nel buio della mia cella, urlavo il mio dolore che solo io potevo sentire.
Ai traditori erano riservate le prigioni più profonde del Colosseo di Triniel. Ero in totale isolamento, non fosse mai stato che fossi riuscita a sovvertire le menti degli altri prigionieri.
Non esistevano traditori, le cronache di Atreia non ne contemplavano, e se anche c'erano stati, quelle pecore nere erano rimaste schiacciate dal peso delle istituzioni di Pandemonium.
Eliminazione rapida e repentina, chi tradisce non merita di vivere per sempre. Merita l'oblio, una damnatio memoriae eterna.
Mentre pensavo a tutto questo la porta della cella sferragliò ancora. Udii la guardia che mi aveva accompagnata muoversi verso il nuovo arrivato. "La lascio a voi, non fatela scappare", aveva strascicato annoiato, poi era uscito e si era richiuso la grata alle spalle.
Nel silenzio di quel luogo udii solo l'avanzare di passi. Potei scorgere, dal mio sguardo basso, le punte di due pesanti stivaloni in cuoio poi, stranamente, una mano si posò delicata sulla mia testa. 
Mi ritrassi automaticamente, come se mi aspettassi di essere picchiata in qualche modo, ma mi accorsi che non c'era nulla di violento in quel tocco.
Quando levai in alto lo sguardo raggelai. Araziel mi fissava dall'alto. I suoi occhi verdi ricolmi di preoccupazione e compassione stavano studiando ogni centimetro del mio viso tumefatto e martoriato.
"Selhen...", disse sottovoce.
Scostai il viso dalle dita che mi reggevano il mento e guardai altrove. Non avevo la forza di reggere il suo sguardo, che per l'occasione sembrava perfino gelido e arrabbiato. Lui era leale, lui era giusto, non aveva nulla a che spartire con una traditrice come me.
"Che ti hanno fatto?", domandò a un certo punto addolorato, come se la preoccupazione avesse prepotentemente preso il posto della rabbia.
Serrai nuovamente le labbra, forte, chiusi i pugni affondandomi le unghie nei palmi, non dovevo piangere, non davanti ad Araziel...
Ma non ci riuscii. Scoppiai in un pianto a dirotto, scivolai dalla sedie e mi accasciai disperatamente a terra. 
Il tiratore mi si inginocchiò accanto. Il familiare profumo di pelle dei suoi vestiti neri mi giunse alle narici.
"Bimba... non piangere".
Non lo stavo ascoltando. Con le mani legate mi reggevo il viso. Le lacrime bagnavano copiose le mie mani e i singhiozzi mi spezzavano i respiri.
"Perchè lo hai fatto?", mi chiese Araziel infine. Esattamente come tutti. Forse solo un po' delicatamente, ma potei scorgere il disprezzo malcelato anche nella sua voce.
"Perchè mi sono innamorata",mormorai tra un singhiozzo e l'altro. "Non è stata una scelta Araz, te lo giuro... è capitato".
Araziel sospirò. "Guardami negli occhi".
Ubbidii, i miei occhi rossi erano lucidi e gonfi per il pianto, e non potei fare a meno di cercare un mero conforto afferrandogli un polso.
Araziel mi lasciò fare. Sembrava in combutta con se stesso per qualcosa. Il suo viso appariva corrucciato, e nella penombra delle torce di quel posto le cicatrici sembravano essere più profonde e minacciose.
"Per quanto io sia il tuo capo Legione... per quanto tu abbia tradito me per primo e il resto di Asmodae poi... per quanto tu sia stata così sciocca ad innamorarti di un nemico... non riesco ad immaginare una vita da daeva senza la tua presenza".
Lo guardai scuotendo il capo. "E' quello che merito".
"E se quell'elisiano non verrà condannato a morte prima, giuro che sarò io a perseguitarlo in ogni dove..:".
"Araziel..." intervenni fermando il flusso delle sue parole. "Ti prego, lui non ha mai fatto nulla, mai..:".
"Ti ha... insudiciata... ti ha toccata con le sue sporche mani da elisiano. Si è fatto beffe della mia legione... di me!", ringhiò sollevandosi in piedi e iniziando a percorrere la cella a grandi passi.
Rimasi accovacciata sul pavimento senza aggiungere altro. Come potevo pretendere che Araziel mi capisse? Era una Asmodiano tra gli Asmodiani. Odiava l'altra razza esattamente come gli Asmodiani sani di mente.
"Araziel..." pigolai soffocando una nuova minacciosa ondata di pianto.
Lui si voltò nuovamente a a guardarmi. 
"Ti prego...", mormorai ricominciando a piangere.
il suo freddo sguardo si fissò su di me. Sembrava disgustato, deluso... e faceva male, tanto male.
"Voglio... voglio che mi abbracci", dissi. 
Araziel scosse il capo. 
"Non credo di riuscirci".
"Ti prego!", lo supplicai guardandolo dal basso. Il pavimento di pietra lurido e sporco era freddo sotto di me. 
Araziel accennò qualche passo verso di me, stava combattendo con se stesso perchè, immaginai, non aveva nessuna voglia di avere contatti con me, dopo quello che avevo fatto.
"Resta", singhiozzai.
A quella parola, non seppi se per senso del dovere, o per compassione, il tiratore si chinò vicino a me. Potei sentire le sue braccia robuste e muscolose che circondavano il mio corpo e in quel momento non ressi più.
Piansi come non mai, piansi tutte le lacrime che avevo cercato di trattenere fino a quel momento.
Perchè tra le sue braccia riuscivo a sentirmi sempre al sicuro?
Non potevo stringerlo, perchè le mie mani erano legate, eppure premetti la mia guancia contro al suo petto, mi spinsi contro di lui con tutto il peso del mio corpo.
"Bimba", mi chiamò infine sottovoce.
Sollevai lo sguardo ma allargai le narici, per respirare ancora una volta il suo profumo familiare di pelle.
"Mi hai deluso profondamente, lo sai, vero?".
Tirai su col naso. "Mi dispiace", biascicai. Sentivo il mio corpo tremare, i nervi erano tesi fino allo spasmo e mi sentivo stanca e sporca. Tanto stanca.
"Mi condanneranno all'oblio?", domandai vagamente atterrita.
Il tiratore non parlò subito. Si torturò per un po' il pizzetto rosso prima di rispondere.
Appariva nervoso.
Mi allontanai da lui, forse si era stancato di toccarmi.
"A Pandemonium non si parla che del tuo tradimento... credo che le autorità elisiane e asmodiane stiano decidendo per la vostra esecuzione".
Abbassai il capo con un nodo che cresceva al petto. "Capisco".
Avrei avuto bisogno di un po' di conforto. Eppure, io che conoscevo bene Araziel sapevo che aveva anche già fatto troppo nei miei confronti.
Lui non disse altro. Solo scosse il capo prima di allontanarsi da me con un ultima delicata carezza ai miei capelli.
Quando varcò la soglia mi sentii terribilmente sola. Ripresi a piangere, in silenzio, man mano sentivo i suoi passi sempre più lontani e indistinti. Era appena andato via e già mi mancava.
Una vera e propria violenza psicologica, per me, quella di stare in isolamento, lontana da tutti, trattata come la peggiore feccia solo per l'essermi innamorata di un nemico.
Ripensai ai momenti miei e di Araziel. Potei comprendere quanto gli avesse fatto male quel tradimento, nonostante non lo desse a vedere.
C'era lui prima di Velkam, e questa cosa ero sicura che lo offendesse. Avevo letto il ribrezzo nei suoi occhi quando mi aveva guardata.
"Ti ha... insudiciata... ti ha toccata con le sue sporche mani da elisiano. Si è fatto beffe della mia legione... di me!"
Mi rimbombarono nella testa le sue ultime parole. 
Quando vennero a riprendermi seguii ubbidiente il mio aguzzino. Ormai non avevo più nulla da perdere. 
Avevo perso Araziel, avevo perso Velkam,e avevo perso la mia libertà. Quello che mi restava era accogliere la fine della mia vita da Daeva a testa alta. Allo stesso modo in cui aveva fatto mia madre, prima di me, quando mio padre, da semplice essere umano era passato a miglior vita.
Mi chiesi cosa stesse facendo Velkam in quel momento. Se avessimo avuto la possibilità di rivederci.
E se anche in una vita dopo la morte, avessimo avuto la possibilità di vivere lontano dalle paure e dai pregiudizi che fino ad allora ci avevano perseguitato.

...


Velkam era seduto in un angolo della luminosa cella in cui era stato rinchiuso al momento della sua cattura. La sua schiena era poggiata completamente contro la parete in pietra. L'elisiano era pensieroso. Per nulla turbato dal suo destino stava giocherellando distrattamente con una cinghia del suo polsino in cuoio quando la porta cigolò all'improvviso costringendolo a sollevare lo sguardo curioso.
"Ti stavo aspettando", disse infine il giovane elisiano gettando solo uno sguardo distratto alle scarpe del visitatore che aveva prontamente riconosciuto.
"Sei un grosso, grossissimo idiota", disse una voce giovane aggirandosi intorno all'elisiano fin troppo impegnato ad allargare e stringere le cinghie del suo polsino.
"Risparmiati le prediche".
"Sapevo che sarebbe successo", disse il visitatore con un'imprecazione. "E nonostante tutto continui a fare l'arrogante, con un piede alla fossa!".
Velkam sollevò lo sguardo oltre il generoso ciuffo che gli copriva la fronte. "Hai finito?".
"No dannazione! Parlano tutti della tua condanna a morte e il minimo che sai fare e stare in una cella di lusso a girarti i pollici! Sei un idiota!".
"Grazie", disse l'elisiano tranquillo sollevandosi in piedi.
"Velkam...".
"No Gaar, non cominciare anche tu... non voglio scappatoie e non mi interessa scappare, mi è già stata offerta la possibilità".
Il giovane elisiano dagli scompigliati capelli rossi scosse il capo rivolgendo uno sguardo preoccupato all'amico. 
"Velkam, ho parlato con numerosi collaboratori di tuo padre, potrebbero darti la possibilità di scappare... una grossa somma di denaro e le guardie potrebbero essere corrotte".
Velkam gli voltò le spalle, e una debole risata scosse il suo petto, una risata di puro sarcasmo, prima di ritornare faccia a faccia al suo migliore amico.
"Sai che non lo farei, Gaar...".
"E se provvedessi a far liberare anche lei... ?"
Una nuova sonora risata irruppe dalle labbra del cacciatore elisiano. "Andiamo amico, recitare non ti è mai riuscito bene".
Gaar non rispose. Rimase in silenzio per qualche minuto, poi si accomodò sconsolato su una panca a ridosso della parete in pietra. "Perchè sei così convinto?".
"Perchè mi assumo le mie responsabilità, tutto qui...".
"Saresti disposto a morire? A lasciare tutto quello che fin ora ti sei guadagnato con le unghie e con i denti, la tua legione, i tuoi amici... tutto per un' Asmodiana?".
"Sì Gaar... tutto... perchè la amo".
"Tu sei pazzo!", rise l'assassino sprezzante.
Velkam lo guardò ricambiando quel sorriso con uno vagamente più mesto ma sempre deciso.
"Lascio alla mia legione un capo decisamente più valido", mormorò dandogli un leggero colpetto sul braccio.
Gaar deglutì. "No amico... non sono pronto per mandare avanti una legione da solo".
"Dovrai esserlo Gaar, da dopodomani probabilmente sarai da solo...".
L'assassino sembrò rianimarsi, il suo petto aveva iniziato ad alzarsi e abbassarsi più velocemente nella foga. "Non se ne parla, ti tirerò fuori di qui!", disse rimettendosi in piedi per dirigersi celermente verso la grata.
"Gaar", lo aveva chiamato Velkam con tono paziente. "Torna qui".
Gaar scosse il capo. I suoi pensieri galoppavano a quello che sarebbe stato dopo la morte di Velkam. E ripensò ad ogni singolo momento trascorso con lui, ogni bravata che insieme avevano fatto, ogni avventura vissuta. Sempre in due, sempre insieme.
Velkam era stato da sempre il fratello che gli era mancato, e perderlo equivaleva a perdere una parte di se stesso. Perdere il suo migliore amico, il suo compagno di mille battaglie, il suo capo legione, il suo complice.
"Devo parlare con Fasimede".
"Fasimede... è il primo responsabile della mia condanna", aveva chiarito Velkam a voce nitida.
"Velkam, non può non esserci una soluzione... io non... non voglio il tuo posto, non voglio continuare da solo, non mi interessa, lo capisci?".
"Non è una cosa che dipende da te".
"Lo so! Ma da te sì!", aveva esclamato l'assassino rosso in viso per la collera.
Velkam era rimasto impassibile, tranquillo e placido come sempre. Per quei giorni di prigionia e interrogatori era stato in grado di mantenere la massima calma. Del resto non lo avevano poi trattato così male. A migliorare le sue condizioni di prigionia erano venute in soccorso la sua discendenza militare e il suo rango di nobiltà.
D'altro canto nessuno era riuscito a piegarlo ad un'azione di codardia di cui, Gaar stesso, stava cercando di convincerlo.
Non sarebbe scappato. Se avesse dovuto morire con lei, lo avrebbe fatto senza alcun ripensamento. Dopotutto, era una cosa che aveva già messo in conto. Una cosa che gli aveva disturbato la mente ad ogni loro incontro.
Se Selhen avesse dovuto essere condannata, allora sarebbero stati condannati insieme.
"Promettimi soltanto una cosa", aveva mormorato il cacciatore elisiano cercando lo sguardo del suo migliore amico.
Gaar lo fissò interrogativo, ma disposto all'ascolto.
"Sei destinato a fare grandi cose, amico mio...", aveva continuato Velkam, "e quello che ti chiedo è che... un giorno, quando sarai Governatore al posto mio, tu possa fare finire tutto questo".
L'assassino prese a ridere divertito. "Hai dato di matto, rinchiuso qui?".
"Promettimelo", disse solo Velkam con aria decisamente troppo seria e autoritaria.
"Te lo prometto", disse Gaar con poca convinzione nella voce.
"Dico davvero, Gaar... voglio che la mia morte, dopodomani, non venga dimenticata... voglio che... un elisiano possa essere libero di amare un'asmodiana, senza pregiudizi, senza barriere, senza limiti!".
Gaar si morse il labbro con forza. Le parole del suo migliore amico gli facevano male... erano una stilettata al cuore. Aveva ragione, non si era trattato di tradimento. Nessuno aveva tradito nessuno, queste condanne a morte servivano solo a mantenere vive delle leggi ingiuste e obsolete. Ma cosa era stato violato? Che equilbrio aveva potuto rompere l'amore di quei due in un mondo di guerra e morte come Atreia?
"Quanto a Drekan...", aveva proseguito Velkam, "fa in modo che abbia quello che meriti". I suoi occhi verdi avevano assunto una curva sprezzante mentre lo diceva. Lo sguardo da elisiano arrogante era tornato nuovamente nel viso fresco e pulito del cacciatore.
Velkam si scompigliò distrattamente i capelli che piccole perle di sudore gli incollavano alla fronte e poi, in un gesto improvviso e per nulla premeditato, si slanciò a stringere il suo migliore amico in un abbraccio fraterno.
"Non credo di riuscire a diventare quello che speri... ma se è per vendicarti...", disse Gaar ricambiando energicamente la stretta.
"No fratello, nessuna vendetta...", mormorò Velkam con tono pacato, "solo... giustizia".
"Non ti dimenticherò mai... capo".
Il giovane elisiano lasciò andare l'assassino rivolgendogli un sorriso rassicurante. Si pose una mano sul cuore e chinò il capo, in segno di rispetto. "Sei tu adesso, il nuovo capo degli Empyrean, va, e rendimi fiero".
Gaar deglutì nervosamente. I suoi occhi erano vagamente lucidi e un nodo gli serrava la gola. Non fu in grado di parlare quando i suoi neri stivali sbatterono sul pavimento di pietra per un inchino di rimando al cospetto di Velkam. 
Dalle grate della grande finestra inferriata si intrufolavano prepotenti degli arancioni raggi di un sole ormai al tramonto.
"Non ti deluderò, Velkam... sangue per sangue". Fu questa infine, l'unica cosa che riuscì a dire.
"No... non mi piace quel detto. Per Atreia, non per gli elisiani, nè per gli asmodiani... solo per un comune accordo...", era intervenuto Velkam con urgenza.
Gaar sorrise, appena più convinto di prima.
"Tienili tutti in riga, quando li governerai". Terminò il cacciatore con un mezzo sorriso.
L'assassino sorrise a quella lusinga ma non rispose. Velkam aveva dimostrato un fermezza d'animo che lo rendeva degno in tutto e per tutto della carica che fino a quel momento aveva ricoperto.
Gaar si sporse, nell'impeto di un nuovo abbraccio, ma si costrinse a fermarsi. Non era il momento dei sentimentalismi, quindi bastarono un'amichevole pacca sul braccio di lui e un cenno di saluto, prima di uscire definitivamente da quella stanza.
"Agli ordini", disse richiudendosi la porta alle spalle.
Agli ordini... riecheggiarono le sue stesse parole, nell'ampio vano di quella cella. 
Velkam era rimasto a fissarlo in piedi, oltre le grate, mentre si allontanava. Le sue braccia erano conserte e la sua postura ferma. 
Credeva in quell'irruento assassino dai capelli rossi più che in se stesso. E aveva creduto in ogni singola parola che a lui aveva rivolto.


[Eh, lo so, mi sono fatta attendere, ma tra agosto (mese che mi sta tremendamente antipatico quest'anno) e la mia ispirazione che è pari a 0, non sono riuscita a pubblicare prima. E voi? Procedono bene le vostre vacanze? Ditemi, che ne pensate della scelta di Velkam? E dell'atteggiamento di Selhen? Torno ad augurarvi nuovamente buona estate in attesa delle vostre impressioni! u.u Ciaooo]
  
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