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Autore: Achernar    20/08/2015    2 recensioni
Shinigami di professione e sapiente giocatore di freccette, Yami è un mietitore dedito al lavoro con la passione per il latte intero e le targhe a teschietti smaltati. Ma quando l’ultimo incarico dell’anno si rivela mietere l’anima di una ragazzo di nome Mutou Yugi, Yami si ritrova a mettere in dubbio tutta quell’etica professionale che ha accumulato in oltre tre millenni di onorato servizio.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dark/Yami Yuugi, Seto Kaiba, Yami no Bakura, Yuugi Mouto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al contest "La Morte Ti Fa Bello", indetto da La Fe_10 sul forum di efp, con il Prompt n° IV: "A è la morte e di sicuro B non aveva pensato a questa eventualità".

Un grazie speciale a Valerydell95 per aver betato questa storia e avermi dato una mano con i personaggi. Il 'totano decerebrato' e il Baku coniglioso li dedico a lei, con tutto il cuore.

Scremato Ma Non Troppo


Yami aveva sempre preso sul serio il proprio lavoro.

Era uno stacanovista convinto, anche perché sbattere in faccia a Bakura il resoconto dei propri successi settimanali era una soddisfazione a cui non avrebbe rinunciato per nulla al mondo.

Gli sarebbe bastato terminare irreprensibilmente anche quest’ultimo giorno e l’agognato titolo di Mietitore Dell’Anno gli sarebbe spettato di diritto.

Non era proprio il titolo in sé ad attirarlo, anche se quella bella targa in ottone lucidato e iscrizioni a teschietti smaltati avrebbe fatto un figurone sulla sua nuova scrivania, finalmente qualcosa che smorzasse le foto di un lui bambino con le lentiggini e la prima falce stretta in pugno, con tanto di ghigno idiota e riga in mezzo ai capelli. Foto che sua madre per qualche misterioso motivo adorava e che lo obbligava a tenere. No, comunque, anche se sbavava dietro alla targa, la maggioranza relativa dei neuroni di Yami si trovava d’accordo nel dichiarare che quello che importava veramente era battere Bakura, stracciarlo, polverizzarlo, umiliarlo, sbattergli il primato su quel suo visetto bastardo e vederlo tingersi di verde per l’invidia mal repressa. Ah. Yami sospirò. C’era da commuoversi al solo pensiero.

Non sarebbe andata come l’anno scorso, quando era stato a un tanto così dal vincere la sua bella placca d’ottone e quel velenoso pezzo di serpente gliel’aveva soffiata da sotto il naso con un colpo di fortuna degno di Katsuya. Perfino un qualunque mietitore di terza categoria sarebbe stato in grado di totalizzare il record di anime del decennio se si fosse trovato sul luogo di un incidente ferroviario! Ed era proprio quello che era successo a quello psicopatico di Bakura. Tre treni collisi, centoventisette feriti e ottanta anime raccolte.

Yami aveva tutta una sua teoria secondo la quale Bakura aveva strappato più anime del necessario per arrotondare come gli pareva a lui, ma aveva dovuto tenersela per sé: Ishizu non aveva sentito ragioni. “Il grande capo non ama le liti” li aveva rimproverati mentre Yami si apprestava a mollare a Bakura un diplomatico pugno sul muso. “Conservate il vostro spirito competitivo per il lavoro”. Bakura aveva ridacchiato come un sadico (sapeva forse fare qualcos’altro?!) e aveva lasciato andare il colletto di Yami. Anche lui aveva paura del grande capo, come ogni mietitore dotato di senno, ma non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura.

In verità, nessuno lo aveva mai visto il fantomatico grande capo, ma un preventivo timore reverenziale aleggiava per il grattacielo della Undertaking EX: una densa coltre di mistero e terrore che si faceva spessa come un panetto di burro su, negli ultimi piani del palazzo, dove, nell’ultimissima stanza del superattico, si trovava il tetro ufficio del capo. Si vociferava che il solo pronunciare il nome del boss portasse una iella pazzesca ed era uno dei motivi per cui tutti quanti preferivano rivolgersi a lui usando l’appellativo “grande capo” e per cui nessuno aveva mai osato avventurarsi in quei celebri ultimi piani dell’edificio. O almeno nessuno che Yami conoscesse. Ma a Yami non interessava del grande capo: gli bastava la sua placca a teschietti smaltati e l’umiliazione dipinta sul volto di Bakura. E quest’anno ce l’avrebbe fatta.

Fischiettando allegramente, scese con un balzo dall’autobus infernale e si avviò a spensierate falcate verso il luogo a lui designato per l’ultimo lavoro della giornata: un piccolo bar di periferia di una cittadina tranquilla. Visto il posto, immaginava che la morte del malcapitato di turno avrebbe fatto un certo scalpore in città, ma anche volendolo, Yami non avrebbe potuto farci niente: lui faceva solo il suo lavoro. Ogni tanto simili anime avrebbero dovuto ringraziarlo: con una morte del genere finivano spesso e volentieri in prima pagina, ma non c’era mai nessuno che inviasse a Yami uno straccio di bigliettino di ringraziamento. Per non parlare degli accidenti che mandavano puntualmente a lui e ai suoi colleghi. “Mannaggia alla morte” qui, “sei brutto come la morte” là…

Rendendosi visibile agli altri, Yami interruppe il suo consueto rimuginare sull’ingratitudine umana, si avvicinò al bancone e ordinò un bicchiere di latte, come era suo solito. Si sedette accavallando elegantemente le gambe minute e, con un occhio all’orologio e uno al proprio bicchiere, tirò fuori dalla tasca il plico con i dati del suo cliente, l’ultimo ostacolo che lo separava dalla sua agognata targa e dal faccione mesto e umiliato di Bakura. Inforcò i suoi occhiali: mietere anime richiede uno sforzo visivo notevole. Quelle bastardelle delle anime sgusciano via dal corpo appena mietuto che sembrano anguille, se ne vanno dove gli pare e piace e sono dannatamente piccole. A furia di cercarle al buio o nei loro nascondigli, gli occhi di tutti i mietitori si consumavano inevitabilmente. Ma nonostante la miopia, Yami amava il suo lavoro e la sua falce luccicante. Con teschietti neri smaltati sul manico, ovvio.

Questa volta in particolare, si ripeté aggiustandosi gli occhiali sul naso, aveva intenzione di fare le cose per bene: era l’ultima anima della giornata, l’ultima del mese, quella che gli sarebbe valsa il titolo di Mietitore Dell’Anno. Non aveva intenzione di commettere errori grossolani: aveva passato tutto il tragitto sull’autobus infernale a lucidarsi la falce.

Yami srotolò con placidità il plico mentre sorseggiava amabilmente il suo latte scremato. Sì, sapeva di acqua sporca. Quello intero era molto più buono, pensò nostalgicamente, ma erano giorni che cercava di tenersi a stecchetto in vista della festa che avrebbe organizzato per celebrare la sua vittoria, festa alla quale NON avrebbe invitato Bakura. O forse sì, giusto per farlo rodere di rabbia un altro po’… La prospettiva era talmente allettante che Yami dovette trattenersi dal sogghignare: dopotutto era in servizio.

Dunque. Plico.

Aprì la busta color perla e si mise a esaminare i dati del suo ultimo cliente:

Mutou, Yugi. Di anni: 22. Sesso: M. Luogo di nascita: Domino, Giappone, in data 4 giugno 1993. Segni particolari: occhi blu violacei, capelli tricolore disposti a raggera sulla nuca e intorno al viso.

L’ultimo tratto suonava abbastanza familiare. L’unica pecca dei plichi forniti dalla Undertaking EX era che mancavano di fotografie: fino a qualche secolo prima, insieme alle informazioni sui clienti, tutti i mietitori venivano equipaggiati anche di fototessera o ritratto dei proprietari delle anime da raccogliere, ma dopo una serie di processi per violazione della privacy scatenati dal “Caso Pegasus”, l’azienda si era vista costretta a eliminare le foto dai plichi per prevenire ulteriori grane. In compenso, le descrizioni si erano fatte più minuziose grazie alla creazione di una nuova squadra di investigazioni, la S.P.I.O.N.I. (Squadra Preposta a Indagare Ogni Notizia sugli Interessati), che aveva sostituito la buona vecchia sezione fotografica del dipartimento.

Dopo le informazioni anagrafiche, cominciava una carrellata di fatti e fattarelli su Mutou Yugi. Quanti pesci rossi aveva avuto da piccolo, di che colore era stata la sua prima macchina, il suo cibo preferito, amava i calzini viola, quanto frequentemente cambiava lo spazzolino ecc. Tuttavia, dopo aver letto un paio di righe, Yami richiuse il fascicolo come al solito: non amava molto la S.P.I.O.N.I., era anzi dell’opinione che fosse come un branco di psicologi: gente fondamentalmente inutile eppure pagata per farsi i cavoli degli altri. A Yami non interessava impicciarsi della vita delle sue vittime, gli sembrava ipocrita instaurare con loro un legame affettivo subito prima che morissero, e con Mutou Yugi non avrebbe fatto distinzioni. L’anima che gli sarebbe valsa la targa meritava la sua massima professionalità.

Secondo il foglio numero quattro del plico, l’incontro con il cliente avrebbe avuto luogo fra due minuti esatti. Yami bevve un ultimo sorso di latte e si voltò verso l’entrata, deciso ad aspettare l’arrivo di Mutou.

Passarono due minuti, poi quattro, e di Yugi nemmeno l’ombra. Per la porta d’ingresso erano passati una signora col passeggino, un ragazzino col cane, due amici che watsappavano, ma nessun ventitreenne con capelli tricolore. Strano, pensò Yami, gli orari del foglio numero quattro non sbagliano mai.

Proprio mentre stava per estrarre nuovamente il foglio dalla tasca per ricontrollare l’orario, una voce lo chiamò.

«Mi scusi, è libero questo posto?».

Yami annuì distrattamente, continuando a dare le spalle allo sconosciuto e senza mai staccare lo sguardo dalla porta. Mutou sarebbe dovuto entrare prima o poi. Ne andava della sua targa in ottone lucidato.

«Aspetta qualcuno?».

«Sì,» annuì Yami «Un cliente».

«Oh, capisco», anche se non poté vederlo, dal tono di voce dello sconosciuto Yami era sicuro che il ragazzo— sì sembrava abbastanza giovane— stesse sorridendo. «Posso offrirle qualcosa mentre aspetta?».

Un po’ spazientito, Yami decise finalmente di girarsi e mettere le cose in chiaro col giovanotto: insomma, ci stava provando apertamente e in pieno giorno, e con uno shinigami oltretutto, e Yami non aveva intenzione di finire sulla Gazzetta Del Nono Girone perché se l’era fatta con un minorenne. Andiamo: aveva tremila anni.

«Senta, non vorrei sembrarle scortese ma…».

Le parole gli si congelarono in gola.

Eccolo. Capelli tricolore. Ciuffo biondo. Occhi blu violacei. Mutou Yugi.

Mutou…

Yugi…

Occhi blu… violacei…

Chi cavolo aveva detto che i fascicoli non sbagliano mai? Chi aveva scritto il plico di Yugi era senz’altro uno stupido cafone incompetente: come si faceva a definire quei, quei… quei cosi color blu violaceo? Come si faceva a definirli occhi?

Tanto per cominciare erano immensi. Enormi. Troppo grandi per un faccino troppo perfetto come quello di Yugi. E poi non erano blu violacei. Erano blu, della stessa intensità del cielo stellato delle due di notte nel Sahara. Ed erano viola, viola chiaro, come le primule in un giorno di marzo, screziati di quarzo rosa e mercurio liquido. Erano… erano indescrivibili. Yami avrebbe preteso il licenziamento in tronco di chiunque avesse anche solo osato ridurli a un semplice “occhi blu violaceo”. Erano due cieli, erano due galassie scintillanti di ammassi stellari e supernove, erano-

«Mister?» ridacchiò Yugi.

«Ahem, un- un latte scremato grazie» rispose finalmente Yami. «Freddo».

Era un colpo di fulmine.


Yami era al terzo bicchiere di latte scremato quando si ricordò di una cosa importante. Era in servizio.

Conversare con Yugi era terribilmente piacevole e Yami era fin troppo contento di non aver letto fino in fondo il plico e non aver così provato l’impulso di incenerire altri stupidi agenti della S.P.I.O.N.I. Non c’era possibilità che avessero descritto anche solo con un minimo di accuratezza i pregi di Yugi.

Era ancora al secondo bicchiere quando si era reso conto di essere troppo e irrimediabilmente coinvolto.

Yugi era simpatico, intelligente, sincero, divertente, terribilmente istruito e a tratti quasi malizioso. Inghiottì un sorso di latte, pensando che anche l’ultima (e unica) volta che si era innamorato era stato per un colpo di fulmine, e si convinse che il karma, per qualche misterioso motivo, doveva avercela con lui. O forse era solo quel bastardo di Bakura che aveva rispolverato di nuovo le bamboline voodoo e il pentagramma e gli aveva attaccato il malocchio.

Che fare? Yami riconosceva i sintomi: non era una semplice infatuazione, con lui funzionava sempre così a quanto pare. Un paio d’ore in compagnia di Yugi non gli sarebbero bastate e un paio di giorni senza più parlargli non sarebbero stati sufficienti per smettere di pensare a quelle due galassie che gli splendevano intorno alle pupille al posto delle iridi. Ma lui era in servizio, e quella meraviglia del cielo che gli sedeva di fronte era condannata. Yami era uno shinigami, e Yugi Mutou era il suo cliente. Quante chance avrebbe avuto di farlo innamorare di sé se lo avesse ucciso? Ma il ragazzo era perfino interessato a Yami: aveva flirtato spudoratamente per tutto il tempo. Perché il karma era così crudele?

Fece per prendere un’altra sorsata di latte, ma il bicchiere era desolatamente vuoto: non c’era più tempo per temporeggiare. Yugi stava chiacchierando placidamente con il barista adesso, e Yami ponderò le opzioni che gli rimanevano.

Piano A: poteva fingere che nulla di tutto questo fosse mai successo e, come da programma, tirare fuori la sua falce splendida splendente e mietere l’anima di quell’adorabile creatura.

Pro del Piano A: lavoro ultimato, targa assicurata, nessuna multa e nessun regolamento vietato.

Contro del Piano A: un cuore infranto (di Yami) e un’anima troppo bella per essere vera (di Yugi) estirpata prima che Yami potesse conoscerla a fondo.

In tre millenni di carriera, Yami aveva accumulato parecchia esperienza nel campo dell’avere fegato e, in più di un’occasione, aveva visto cose che definire raccapriccianti era un eufemismo. Eppure temeva che il fegato accumulato non sarebbe stato sufficiente per attuare il Piano A.

Il Piano B era l’esatto opposto, il piano che il suo cuore da ectoplasma sbandierava ai quattro venti declamando sonetti d’amore trecenteschi e il suo cervello da impiegato affossava e calpestava con stivaloni pesanti imbrattati di fango.

Piano B: fingere che il plico non fosse mai esistito, violare tutte le regole del Breviario Del Buon Mietitore, finire probabilmente licenziato, offrire a Bakura la targa su un piatto d’argento e scappare via con Yugi.

Pro del Piano B: Yugi avrebbe vissuto, Yami avrebbe avuto tutto il tempo di adorarlo come si deve e finalmente, da tre millenni a questa parte, avrebbe sperimentato di nuovo cosa vuol dire essere innamorati.

Contro del Piano B: il continuum spazio temporale sarebbe stato drammaticamente e irreversibilmente alterato, con conseguenze che neanche il distaccamento S.E.C.CH.I.O.N.I. (Sappiamo E Conosciamo Chiaramente Informazioni su Ogni Nozione Intellegibile) della S.P.I.O.N.I. sarebbe stato in grado di prevedere. Yami sarebbe stato presumibilmente radiato da ogni ordine di mietitori passato presente e futuro dei nove gironi, sarebbe finito sotto processo e poi a testa in su nel lago ghiacciato del Tartaro a congelarsi le chiappe insieme ai traditori della gilda degli shinigami.

Poteva sempre sperare di eludere la sorveglianza facendo perdere le proprie tracce, ma quei suoi capelli tricolore erano difficili da nascondere e la S.P.I.O.N.I. aveva occhi ovunque: non si sarebbe mai liberato di loro. E poi come fare con Yugi? Dove sarebbero fuggiti? Con quale scusa?

L’ombra di un Piano C cominciò a delinearsi nella mente di Yami. Avrebbe potuto giocarsi il tutto per tutto e dire a Yugi come stavano veramente le cose. Peccato che avrebbe voluto dire che sarebbe stato comunque radiato dall’ordine e declassato a galoppino, che sarebbe stato sollevato dal caso di Yugi e il ragazzo sarebbe stato mietuto da qualcun altro. E poi che dire della sua reazione? Gli avrebbe riso in faccia se Yami gli avesse detto chiaro e tondo “Mi fa tanto piacere conversare con te ma purtroppo sono un cupo mietitore. Sì, i tipi con la falce e il mantello. Sì, quelli dei manga. I mantelli non li usiamo più perché si impigliavano sempre nella falce, ma qualche mietitore vecchio stile li indossa ancora nelle serate di gala. Comunque sì, sono qui per mietere la tua anima: ti gireresti un po’ più a sinistra così ti centro meglio il cuore? Ecco così, perfetto. Ah, e grazie per i bicchieri di latte, è stato un piacere conversare con te”.

«Tutto bene, Yami?».

No! Gli serviva più tempo, gli serviva un miracolo!

«Sì, certo, solo che, ecco… devo fare un salto in bagno. Torno subito, eh».

«Ok» annuì distrattamente Yugi.

Ah, la tappa in bagno. Le idee migliori vengono sempre nel gabinetto. Era risaputo che Newton aveva intuito l’esistenza della gravità sulla tazza del water: la mela era bacata e il poveretto si era sentito male. Leibnitz non perdeva occasione per sfotterlo a riguardo, e visto che i due erano trapassati da secoli, non c’era anima all’inferno che non conoscesse la storia.

Yami cercò di non pensare alle scazzottate fra Newton e Leibnitz e tirò di nuovo fuori dalla tasca il plico di Yugi.

Mutou Yugi, Sesso: M, Altezza: soldo di cacio, Età… bla bla bla. Gli occhi di Yami vagarono sulle stupide annotazioni del servizio informazioni finché non trovarono la voce che gli interessava.

Cause del decesso: arresto cardiaco.

Ora del decesso: 12.05.

Luogo del decesso: Domino, Via Dei Platani 81.

Nessuna scappatoia in vista.

Yami emise un gemito mezzo piagnucolato.

Era tutto troppo preciso: la morte doveva coglierlo naturalmente, non sarebbe stata colpa di nient’altro. Nessun rapinatore armato di pistola su cui Yami sarebbe potuto intervenire: deviare il corso di una pallottola sarebbe stato facile, ma impedire un arresto cardiaco era troppo palese. Gli arresti cardiaci erano risaputamente causati dal contatto del cuore con la lama di una falce da mietitore. Talvolta i mietitori più inesperti o poco precisi non erano in grado di affondarla come si deve nel petto del cliente, e allora l’arresto cardiaco si rivelava più lieve e la persona interessata non moriva. I mortali in quel caso festeggiavano, ignari del casino combinato dal mietitore, ma per il poveretto che aveva mancato il colpo cominciavano i guai.

I colleghi conoscevano fin troppo bene Yami e sapevano che non avrebbe mai commesso un errore così grossolano. Uccidere Yugi spettava a lui e Yami non sapeva come fare.

Forse avrebbe dovuto raccogliere l’anima di Yugi, in fondo. Probabilmente era pura e bellissima, un piccolo ectoplasma sgusciante, scintillante di galassie. Magari avrebbe potuto convincere Ishizu perché gliela cedesse, come premio per essere diventato Mietitore Dell’Anno: l’avrebbe messa in un bel vasetto di vetro con disegni in murano, sulla sua scrivania, accanto alla targa a teschietti neri. Al posto dei pesci rossi che il gatto di Bakura gli aveva mangiato.

Mentre pensava a una scappatoia, Yami lanciò distrattamente un’occhiata al proprio orologio.

12.07

Cribbio.

L’orario del decesso era passato da ben due minuti. Yami non aveva ancora neanche avvicinato la falce al cuore di Yugi. Yami era ancora qui, in bagno. E Yugi era ancora lì, vivo.

Cribbio alla seconda.

Qualcuno nei piani alti si sarebbe incazzato sul serio se entro cinque minuti un’anima non fosse passata a miglior vita.

Preso dal panico, Yami cominciò a camminare avanti e indietro per il bagno freneticamente e finalmente la vide: una finestra. E un’idea tanto geniale quanto rischiosa gli prese a lampeggiare nella calotta cranica.

Era una finestra di uno squallido bagno di uno squallido bar. Di quelle che danno sulla strada perché il bagno si trova nel seminterrato, di quelle con le sbarre anziché i vetri perché i proprietari del bar sono troppo pitocchi per comprarne uno. E lì, affacciato alle sbarre, a fissarlo con sguardo compiaciuto dalle sue disgrazie, c’era un gatto.

L’ombra di un sorriso si fece strada sul volto del mietitore.

Yami estrasse la falce dalla tasca. In pochi secondi la lama assunse di nuovo le sue dimensioni abituali e, fulmineo, Yami la scagliò contro il felino. Aveva un solo tentativo a disposizione, doveva essere veloce.

La bestiaccia si scansò di lato, miagolando disperatamente, ma Yami non l’avrebbe lasciata andare.

Un altro affondo, una finta, il gatto si buttò a destra ma Yami intuì i suoi movimenti e lo precedette a sinistra. La lama della falce gli si conficcò in pieno petto, dritta nel cuore. Yami non sbagliava mai il colpo: era il campione in carica di freccette e biliardo dell’ufficio.

12.08

Tirò fuori il proprio taccuino e segnò con soddisfazione una x proprio nel punto in cui finiva la pagina. Un altro quadernino completato, un’altra anima spedita all’altro mondo in orario. Sì, era quella di un gatto.

Doveva solo sperare che Katsuya confondesse di nuovo i plichi delle anime consegnate e smarrisse di nuovo i file di Yami. Era già successo, con un minimo di fortuna e magari di aiuto poteva succedere ancora. Peccato solo che adesso il continuum spazio temporale fosse stato indelebilmente alterato, pensò mentre tornava a posto.

Yugi era ancora lì e lo accolse con un sorriso.

A Yami si strinse il cuore e ricambiò il gesto.

Al diavolo il continuum.


Da quel fatidico incontro, passò una settimana intera, che Yami non faticò a classificare come la più bella e insieme la più fottutamente ansiosa della sua vita.

Approfittando della settimana di ferie concessa ogni anno agli impiegati della Undertaking EX al termine dei consueti dodici mesi di mietitura, lui e Yugi si erano visti tutti i giorni tutto il giorno. Per l’intera durata, sempre troppo breve purtroppo, di quei momenti beati e benedetti dalle stelle, Yami non provava il minimo senso di rimorso per l’anima del gatto pulcioso che aveva fraudolentemente mietuto al posto di quella del suo angelo. Con Yugi andava a gonfie vele e Yami non si era mai sentito così vivo come nelle ore che trascorrevano insieme: gli sembrava di essere di nuovo quel giovincello della foto, con tanto di lentiggini e sorriso idiota.

Peccato solo che, alla fine della giornata, Yami dovesse dire addio al faccino idilliaco di Yugi e tornarsene a casa. E tornare a casa voleva dire affrontare il cupo eppur figherrimo mondo degli shinigami col suo enorme peso sulla coscienza. Un grillo parlante oltremodo molesto a cui avrebbe volentieri tirato addosso una ciabatta numero quarantotto.

Il primo giorno dopo il fatidico incontro, in ufficio si erano tutti congratulati con lui per la perfetta mietitura del suo ultimo cliente. Certo, l’anima in questione aveva varcato le soglie dell’aldilà con qualche minuto di ritardo sul programma, ma nulla che potesse essere neanche vagamente sanzionato dal Codice Del Perfetto Mietitore, e neppure Ishizu aveva avuto molto da ridire. Si era limitata a fissarlo impassibile con quei suoi occhi blu iceberg e poi si era allontanata a torturare qualche altro impiegato, facendo sbattere i suoi tacchi dodici sulle piastrelle in marmo sintetico dell’ufficio. Nemmeno Bakura aveva obiettato nulla. Anzi, a Yami era sembrato quasi soddisfatto, con lo stesso sguardo da gattino innocente dell’anno precedente, quando Yami stava per ricevere la targa e quello nevrotico dai deliri di onnipotenza si era presentato con un candido sorriso, di quelli che fanno piangere di terrore i bambini nei loro lettini, e con untuosa grazia aveva sbattuto sulla scrivania del povero Yami il suo rendiconto record di ottanta mietiture. Razza di stronzo. Aveva probabilmente venduto l’anima che non aveva più a qualche leprecauno per garantirsi la fortuna sfacciata di ritrovarsi a essere l’unico mietitore in zona quando i treni avevano colliso.

Bakura aveva sfoggiato esattamente lo stesso ghigno improbabilmente candido ma semicompiaciuto, in parte nascosto dall’enorme frangetta bianca da coniglio. E Yami era terrorizzato perché, sotto sotto, era convinto, anzi era sicuro e arcisicuro, che Bakura sapesse.

Non sapeva come facesse Bakura a sapere, ma sapeva per certo che quel caprone sapeva. E Yami era fregato perché Bakura prima o poi avrebbe parlato, aspettava solo il momento opportuno per sputtanarlo davanti al maggior numero di colleghi possibile e nel modo più crudele e teatrale possibile— era sempre stato un esibizionista incallito— per strappargli sia la targa che Yugi dalle mani.

Yugi che sarebbe stato assegnato a qualche altro shinigami per la mietitura dell’anima senza che Yami potesse fare niente per salvarlo dal suo triste destino. Magari Bakura ci avrebbe ficcato di nuovo le zampacce e sarebbe arrivato persino a persuadere Ishizu a farsi assegnare quel compito. Yami decise che se le cose fossero andate in questo modo, avrebbe mietuto l’anima già mietuta di Bakura e l’avrebbe mandato all’altro mondo una seconda volta. Non gli importava se poi l’avrebbero radiato dall’ordine o l’avrebbero portato al cospetto del grande capo in persona: avrebbe protetto Yugi a ogni costo, anche a quello della sua immortale non-vita.

Non aveva ancora finito di rimuginare su come fare per salvare capra e cavoli e vivere per sempre felice e contento con Yugi, che il momento del tanto temuto confronto arrivò. Le ferie erano agli sgoccioli e l’alba della domenica odiata da tutti gli impiegati, quella domenica seguita da quel lunedì , quello lavorativo, la domenica che precede il grande ritorno a lavoro, era infine arrivata. Yami era in ufficio a riordinare alcune scartoffie in attesa del giorno dell’inevitabile incontro con il fato quando Bakura e i suoi occhi iniettati di sangue fecero capolino dalla porta del suo ufficio.

Yami lo ignorò. Era depresso, irritato, disperato e affamato. Molto affamato visto che era più di una settimana che non si concedeva un bicchiere di sano latte intero come Satana comanda. Forse, se non gli avesse dato corda, Bakura se ne sarebbe andato prima che Yami fosse tentato di sbattergli la falce sul muso.

«Buongiorno» esordì giovialmente la vipera.

No, a quanto pare non aveva intenzione di andarsene.

«Scusa, Bakura, sono occupato ora» mormorò Yami, imitando il tono velenoso di lui.

«Oh vedo, occupato a stivare le pratiche della tua ultima operazione. Davvero un lavoro pulito, non trovi? Hai chiuso in bellezza anche quest’anno, una mietitura da manuale, un colpo dritto al cuore».

«Cosa vuoi, Bakura?» sibilò.

Sapeva, sapeva, sapeva. Quel maledetto sapeva!

«Com’è che si chiamava il tuo ultimo cliente? Muto? Sordo? Scommetto che è andato giù come niente, in fondo sei così preciso quando si tratta di centrare un cuore. L’hai acchiappato subito il piccolo ectoplasma?».

«Fottiti, Bakura».

Stava perdendo la pazienza. La tensione accumulata durante la settimana era troppa: non era in grado di reggere quella faccia da schiaffi col suo consueto aplomb.

«Oh, andiamo. Volevo solo congratularmi con te, come farò di nuovo non appena i dati di Mutou verranno archiviati a dovere, la sua anima registrata e la targa che ti spetta di diritto ti verrà consegnata di diritto».

Diritto, diritto. Yami si fermò a pensare ai suoi di diritti nel caso, probabilissimo in verità, che tutto l’aldilà venisse a conoscenza del fattaccio: aveva il diritto di rimanere in silenzio, il diritto di chiamare un avvocato, il diritto di fare una telefonata, il diritto di riporre a casa la falce, il diritto di dare le dimissioni prima che ci pensasse Ishizu a cacciarlo via a pedate… Il diritto di picchiare a sangue Bakura lo aveva? Perché Yami era sicuro che rientrava nei bisogni fondamentali del cittadino. Il Codice Infernale non poteva non prevederlo. Stabilì tuttavia che lo avrebbe esercitato solo in caso di estrema necessità, così si decise a rispondere, sperando di levarselo finalmente dalle balle.

«Ok, va bene, grazie. Ora, se vuoi scusarmi, gira i tacchi ed esci da quella porta: mi faresti un enorme piacere» disse indicando la porta di vetro del suo ufficio. Bakura ridacchiò.

«Ma quanto siamo nervosi oggi, forse faresti meglio a chiedere un’altra settimana di ferie, sai?» mollando una fetida manata sulla spalla di Yami, l’albino si decise finalmente a uscire. «A domani, collega» mormorò chiudendo la porta. Yami aspettò finché i passi di quell’odioso essere non scomparvero lungo il corridoio e poi si lasciò cadere in ginocchio a peso morto, poggiando la testa sulla scrivania.

Era fottuto, fottuto, fottuto. Così, dannatamente, fottuto.

L’unico modo per evitare che lunedì lo scandalo venisse alla luce, era mietere l’anima di Yugi prima dell’alba e occuparsi personalmente di archiviare la pratica, sostituendola con quella del gatto che aveva già consegnato a Ishizu. Ma anche così, Yugi sarebbe morto.

Ogni volta che Yami pensava a un modo per salvare capra e cavoli— il suo lavoro, Yugi e il continuum spaziotemporale— uno dei tre finiva per rimetterci. Se salvava il suo lavoro e il continuum, Yugi moriva. Se salvava il continuum, Yugi moriva. Se salvava Yugi, il suo lavoro e il continuum sarebbero andati a farsi benedire. Forse il continuum era già andato a farsi benedire visto che un’anima che a conti fatti avrebbe dovuto essere morta e stramorta da una settimana se ne andava ancora a zonzo per il Giappone, ma escludendo il continuum e lasciando solamente il suo lavoro e Yugi in campo, uno dei due avrebbe per forza escluso l’altro.

Tuttavia, esisteva un modo, uno solo, per salvare capra e cavoli, un’intuizione geniale che aveva il sapore della disperazione, perché anche in quel caso Yugi sarebbe comunque dovuto morire e Yami non sapeva se avrebbe avuto abbastanza fegato per prendere la sua anima. Ma soprattutto, non era una soluzione priva di rischi.

Yugi sarebbe dovuto diventare uno shinigami.

Il problema fondamentale era che nessuno sapeva con esattezza come certe anime diventassero shinigami e altre invece se ne andassero verso destinazioni più famose dell’aldilà, come inferno, paradiso, limbo e via dicendo. Alcuni dicevano che solo le anime dei suicidi diventavano mietitori, ma non erano altro che dicerie: anche se il tutto era avvenuto più tre millenni or sono, Yami ricordava perfettamente di non essersi suicidato.

Lui era dell’avviso, come la maggior parte degli shinigami di professione, che fosse il grande capo in persona a scegliere quali anime destinare all’Undertaking EX e quali invece far avanzare nei gironi dell’inferno o altrove. Probabilmente qualche criterio c’era, ma quando Yami pensava a ciò che lui e i suoi colleghi avevano in comune, l’unica cosa che gli veniva in mente era un’insana passione, quasi morbosa, per la morte. Ma questo poteva essere niente più che semplice deformazione professionale, e poi Yugi non aveva mai parlato della morte, argomento che Yami dal canto suo aveva cercato di evitare come la peste. Quindi non c’era alcun modo per sapere se sarebbe stato accolto nelle schiere dei mietitori. Eppure era l’unica possibilità che gli rimaneva.

Non aveva idea di come il grande capo avrebbe accolto la sua richiesta, dopo tutti i pasticci che Yami aveva causato nell’ultima settimana, e tutto per un mortale, ma di fronte all’alternativa di confessare a Yugi di essere uno shinigami, di dover prendere la sua anima e di starsi impegnando per trasformare anche lui in un mietitore, beh ecco che il coraggio cominciava a farsi avanti.

Cercò di ignorare il fatto che anche l’idea di andare a fargli visita era terrificante, senza contare che non lo avrebbe salvato dal confronto con Yugi, lo avrebbe rinviato e basta: Yugi doveva morire, nessuno shinigami poteva essere vivo.

Un passetto alla volta, Yami cominciò dunque a percorrere a piedi le scale del grattacielo della Undertaking EX fino all’ultimo piano, stringendo le sue scartoffie al petto come fossero un orsacchiotto o, meglio ancora, Yugi.

E Yugi? Si sarebbe arrabbiato non appena avesse saputo la verità? L’avrebbe odiato? No. Probabilmente Yugi sarebbe rimasto in silenzio rimuginando su quello che Yami gli aveva appena detto e Yami avrebbe dovuto trattenersi dall’impulso di abbracciarlo e implorare perdono. E Yugi alla fine avrebbe sorriso, magari lo avrebbe perfino ringraziato per averlo risparmiato fino a questo punto e poi sì, finalmente si sarebbe arrabbiato con Yami perché per l’interesse di uno solo aveva compromesso il benessere di migliaia di persone. Sì, probabilmente avrebbe detto proprio così, e poi gli avrebbe chiesto per favore di prendere la sua anima e avrebbe chiuso gli occhi sorridendo, mentre Yami affondava la lama dentro il suo petto senza riuscire a frenare le lacrime e Yugi, mentre la vita abbandonava i suoi occhi color cielo, avrebbe mormorato che sperava di rivedere Yami dall’altra parte e diventare uno shinigami bravo come lui.

Yami si strofinò il dorso della mano contro gli occhi. Non avrebbe pianto, non davanti al grande capo.

Proprio adesso, la porta dell’ufficio del capo in questione si parava di fronte a lui. Nera e maestosa, di vetro decorato a teschietti smaltati. Yami sorrise: almeno in quanto a gusti, lui e il grande capo si trovavano d’accordo.

Inspirando profondamente, Yami si decise a bussare. Non era neanche sicuro che il grande capo accettasse visite: non conosceva nessuno in ufficio che lo avesse mai visto in faccia o avesse mai scambiato anche solo una parola con lui. O lei. Yami non ne era neanche sicuro. Forse era tutta una pessima idea e avrebbe fatto meglio a scappare via con Yugi, rapirlo e far perdere le loro tracce prima che-

«Avanti».

Troppo tardi. Armandosi di un coraggio che non aveva, Yami abbassò la maniglia e fece il suo ingresso nel misterioso e tetro ufficio del grande capo.

Seduto di fronte all’ingresso da cui Yami era appena entrato, su una poltrona di pelle nera tipo quelle delle auto sportive, stava un individuo dai glaciali occhi azzurri, dello stesso frigido color azoto liquido delle iridi di Ishizu. Il suo viso affilato e seminascosto da una frangia marrone stile Beatles era occupato a fissare il monitor del laptop che teneva in equilibrio sulle gambe, mentre ticchettava alla velocità della luce sulla tastiera.

Yami non riusciva a muovere un muscolo e rimase lì impalato per cinque minuti buoni, il cuore che gli batteva a mille e la mano ancora poggiata sulla porta. I polmoni gli stavano scoppiando ed era sicuro che se non avesse respirato entro i prossimi dieci secondi avrebbe cominciato ad assumere un colorito bluastro e sarebbe morto di nuovo. Con un po’ di fortuna sarebbe potuto rinascere in un posto abbastanza vicino a Yugi e avrebbe potuto passare del tempo con il suo angelo nonostante la differenza di età.

Il grande capo, o quello che Yami ipotizzava fosse il grande capo, parve finalmente accorgersi della sua presenza e della sua imminente morte per asfissia, e sollevò per un istante gli occhi dal monitor.

«Sì?» domandò.

Yami tacque.

L’individuo roteò gli occhi e chiuse il laptop, come se fosse abituato a quel tipo di scene e vedesse ogni giorno persone che, in quell’ufficio, cadevano in uno stato semicomatoso dopo una sola occhiata alla sua persona.

«Si accomodi» lo invitò con fredda diplomazia e fece un gesto verso la poltrona di fronte a lui, mettendo via il computer. «Nessuno le farà del male, è già morto in fondo, di cosa ha paura?». C’era qualcosa nel modo in cui le sue labbra si erano piegate in un enigmatico sorriso che diede a Yami la sensazione che un motivo per cui avere paura c’era e come, ma preferì non indagare più a fondo sulla cosa e a piccoli, timidi passi, si sedette sulla poltrona a lui indicata. Di pelle nera anch’essa.

A dire il vero l’intero ufficio era piuttosto cupo. Ora, non è che Yami si aspettasse di trovare orsetti gommosi e unicorni nell’ufficio del grande capo della Undertaking EX, ma tutto quel nero, quell’argento, quelle falci d’annata appese alle pareti e la scrivania di tek scurissima… era decisamente inquietante.

«Allora, le presentazioni innanzitutto» disse l’uomo porgendo a Yami una mano da stringere «Mi chiami Kaiba, Seto Kaiba. E lei è?».

Yami la strinse con riluttanza. «Yami» mormorò.

Kaiba si sedette di nuovo incrociando le dita sotto il mento.

«Allora, qual è il suo problema?» chiese pazientemente. Nonostante l’aspetto inquietante, non dimostrava che qualche anno in più di Yugi, anche se aveva immaginato che il grande capo fosse un vecchio bacucco col cappello a punta. Probabilmente Kaiba era semplicemente morto giovane. Yami si schiarì la voce.

«Io, ecco, mi dispiace di averla disturbata a quest’ora ma vede… e poi è anche domenica, mi spiace veramente, però avevo davvero bisogno del suo aiuto e, insomma, non so, è una faccenda molto delicata…».

Il ragazzo annuì diplomaticamente.

«Se è in mio potere aiutarla, farò tutto il possibile, ma senza conoscere il suo problema mi sarà difficile anche solo cominciare. Cominci ad esporre. Le assicuro che di questioni delicate ne ascolto tutti i giorni da millenni».

Ah, Yami non aveva dubbi che fosse così. Forse aveva sbagliato a diffidare del grande capo: sembrava una persona competente e comprensiva dopotutto, fredda e inquietante nel suo essere eccessivamente educata, certo, ma comprensiva. Se era il capo in fondo un motivo ci sarà pure stato, no? E sicuramente nel suo campo ne sapeva più di chiunque altro, chissà quante altre volte si era trovato ad affrontare problemi simili o magari identici a quello di Yami. Infuso di nuova speranza, Yami si decise a esporgli il proprio problema.

«Dunque, come forse sa, signor grande capo, voglio dire, come sicuramente sa, in fondo lei sa tutto, no?» ridacchiò nervosamente, l’algido individuo che gli sedeva di fronte non fece una piega nell’udire il blando salamelecco. Yami deglutì. «Sono un mietitore di questa azienda da più di tremila anni. Amo il mio lavoro e amo svolgerlo con professionalità, e in trenta secoli di onorato servizio ho riscosso numerose volte la targa di Mietitore Dell’Anno». Yami si fermò, anche questa volta Kaiba non sembrava impressionato e il suo volto non tradiva alcuna emozione se non un neutro accenno di sorriso.

«Una settimana fa, mi apprestavo a terminare i dodici mesi di lavoro. L’ultima anima della giornata doveva essere quella di un ragazzo di ventitré anni, giapponese. La causa della morte un attacco di cuore… e il nome del cliente è Yugi Mutou».

«È?» gli fece eco Kaiba. Per la prima volta da quando era arrivato, a Yami sembrò di vedere il fantasma di un’emozione, sebbene ancora indecifrabile, dipingersi sul volto di quell’uomo.

«Precisamente. È. Perché io non sono stato in grado di compiere il mio lavoro. Io… insomma…».

«Qual è il motivo che le ha impedito di compiere la missione che le è stata assegnata dalla qui presente azienda e di raccogliere l’anima di questo ragazzo?» lo incalzò Kaiba.

«La, ecco, l’avvenuta formazione di un legame affettivo con il cliente in questione».

«Lei ha dunque fraternizzato con Yugi Mutou?».

«Abbiamo parlato» si difese Yami.

«Lei si è recato sul posto con l’intenzione di fraternizzare con Yugi Mutou?».

«No!».

«E pur tuttavia, lei ha positivamente stretto una qual sorta di legame affettivo con Yugi Mutou».

«S-sì, io-».

«Lei era a conoscenza dell’identità di Yugi Mutou?».

«Intende le informazioni contenute nel plico? Sì un po’, ho letto il report della S.P.I.O.N.I. ma-».

«Ha fraternizzato con Yugi Mutou di sua spontanea e pura volontà, pur ben consapevole di tutti i pericoli che la sua fraternizzazione avrebbe causato e pur ben consapevole dell’immane quantità di regolamenti che lei ha dovuto infrangere in nome di tale fraternizzazione e dei regolamenti che lei sta continuando, anche in questo preciso istante, a violare?».

«Sì…?».

«E come ha potuto ovviare alla necessaria mietitura dell’anima a lei assegnatale?».

«Ho… raccolto quella di un gatto».

«Capisco…» Kaiba annuì lentamente. «Che rapporto ha Yugi Mutou nei confronti della sua persona, signor Yami?».

«Suppongo sia attratto da me, signore. È stato lui per primo a-».

«Qual è il suo rapporto con Yugi Mutou, signor Yami?».

«Temo la cosa sia reciproca, signore, temo di… Insomma: sono innamorato di Yugi Mutou. E non so come fare perché-».

«Un colpo di fulmine a quanto pare. Formuli il suo problema puntualmente, signor Yami».

Yami tirò una boccata d’aria per riprendere fiato dopo il mini interrogatorio. Era stufo di essere continuamente interrotto mentre Kaiba mandava avanti il suo terzo grado e poi il volto di quell’uomo sembrava quasi… compiaciuto. Non seccato. Era in combutta anche lui con Bakura per soffiargli la targa?

«Non voglio che Yugi Mutou muoia. Ma sono consapevole del fatto che la sua sopravvivenza rappresenti una minaccia per il continuum spazio temporale, che io ho già alterato contravvenendo al mio lavoro il giorno che ci siamo incontrati. Tuttavia, vorrei poter passare più tempo in futuro con Yugi, perché è una persona incredibile e-».

«Sì, ecco, questo lato della vicenda è alquanto singolare» commentò Kaiba interrompendolo per l’ennesima volta. «Mi parli di più di Yugi Mutou: cosa prova per lui, cosa le piace, quali sono le sue qualità?».

Sì, il grande capo era decisamente in combutta con Bakura: che diavolo gliene fregava a lui di quello che provava per Yugi? La situazione era già abbastanza imbarazzante di per sé, ma Yami pensò che se voleva che il grande capo lo aiutasse avrebbe fatto meglio a stringere i denti e collaborare.

«È una persona genuina, sincera, leale. Sa sempre come prendermi e abbiamo moltissime cose in comune. Si figuri che è un campione di freccette e ogni volta che lo sfido a un gioco finisce per battermi, una cosa che non mi è mai successa» si schiarì la voce e accavallò le gambe sulla poltrona «Sa perfino cucinare: lo scorso mercoledì mi ha invitato a casa sua e abbiamo passato la giornata a mangiare polpette di riso e vedere film di terza scelta. È una persona spontanea, divertente… con lui mi sento a casa. E lo so che è presto per dirlo ma io lo amo: amo lui e amo passare il mio tempo con lui perché la sua presenza lo rende prezioso» Yami tirò su col naso. Troppe emozioni. «Gli ultimi sette giorni sono stati i più belli che abbia trascorso da un millennio a questa parte e non riesco a pensare che tutto questo potrebbe finire. E per mano mia! Vorrei che durasse di più, infinitamente di più. Io… non sono pronto a rinunciare a Yugi… non voglio rinunciare a Yugi, capisce, signore?».

Kaiba gli passò un fazzolettino di carta e Yami si soffiò il naso.

«Grazie» mormorò con voce rotta. «Non sono pronto ad abbandonarlo, abbiamo appena cominciato a conoscerci». Seto lo guardò annuendo meccanicamente. Sembrava soddisfatto di quanto aveva sentito.

«Yugi Mutou è al corrente di questa sua… occupazione presso di noi alla Undertaking EX?».

«Oh no!» si affrettò a negare Yami. «No. Ma non so come fare per dirglielo. Avevo pensato, se lei volesse essere così cortese da accettare la mia richiesta, se Yugi potesse diventare anche lui uno shinigami dopo morto… Magari ne ha le qualità! Chi può dirlo, no? Cioè sì, lei forse può dirlo, ma comunque... Ecco, se ciò fosse possibile io forse sarei in grado di mietere la sua anima senza problemi perché potrei averlo con me qui» Yami lo fissò con uno sguardo da cucciolo bastonato. Kaiba trattenne quello che a Yami sembrò un ghigno.

«Magari ne avrà anche le qualità, ma cosa le fa credere che Yugi Mutou accetterebbe di diventare uno shinigami?».

«Perché Yugi è così! Pensa sempre al bene degli altri! E se sapesse che la sua sopravvivenza mette in pericolo quella del resto dell’umanità mi pregherebbe di prendere la sua anima. E se sapesse che l’unico modo per noi di stare insieme sarebbe quello di diventare anche lui un mietitore allora penso che lo farebbe, perché anche lui mi vuole bene» affermò deciso.

«La ama, sì» Kaiba annuì.

«Appunto» constatò Yami. «Allora? Potrebbe aiutarmi?» aggiunse speranzoso, ignorando che invece che aiutarlo, il grande capo avrebbe piuttosto fatto meglio a sospenderlo e affidarlo ai servizi di polizia infernale.

«Temo non sia in mio potere aiutarla. Tuttavia le assicuro che farò tutto il possibile per sostenere la sua causa».

Il volto di Yami si rabbuiò, e questi abbassò gli occhi rosso granato, fissandosi le mani.

«Quindi non c’è proprio nulla che si potrebbe fare? Devo davvero vedere il mio Yugi morire così?». Devo davvero accontentarmi di rinchiudere la sua anima in un vaso di vetro di murano sulla mia scrivania e guardarla dimenarsi come un pesce rosso tutto il giorno?

«Io non posso fare nulla se non darle un consiglio: ne parli con Yugi Mutou».

«Intende, che deve dare il suo spontaneo assenso per poter diventare uno shinigami dopo morto?».

«Ne parli con Yugi Mutou» ripeté Kaiba.

«Sì ma cosa devo dirgli-».

«Parli con Yugi» disse ancora Seto, un piccolo, diplomatico accenno di sorriso aveva fatto capolino dalle sue labbra e Yami capì che quello era il suo invito ad andarsene. Si alzò dalla poltrona e salutò cordialmente.

«La ringrazio, è stato gentile da parte sua concedermi così il suo tempo».

«Fa parte del mio lavoro. È stato un piacere conoscerla di persona».

«Altrettanto» annuì Yami distrattamente, poi aprì la porta «Arrivederci» salutò.

«A presto».


Yugi era lì, perfetto come sempre. La luce del tramonto che lo circondava come un alone iperuraneo, lo stormire degli uccelli sembrava salutarlo in segno di reverenza, mentre volteggiavano lontano, verso il domani, scomparendo dietro l’orizzonte screziato di arancio.

Anche Yami sarebbe scomparso volentieri, solo che dietro l’orizzonte non era abbastanza: se ne sarebbe scappato alle Antille, in Europa, nel quinto cerchio del paradiso o perfino a congelarsi le chiappe nel nono girone dell’inferno pur di evitare la chiacchierata che si apprestava a fare con Yugi.

Era domenica sera.

All’alba sarebbe stato lunedì.

Se entro stasera non risolveva ogni cosa, Bakura l’avrebbe sputtanato teatralmente davanti all’aldilà intero per aver mietuto l’anima di un gatto e lui sarebbe diventato lo zimbello di tutto l’altro mondo. Tutto perché non aveva saputo resistere a un paio di occhi viola.

Tsk. Come si vedeva che non avevano mai dato un’occhiata da vicino agli occhi di Yugi. 

Tuttavia, non si poteva evitare l’inevitabile e, deciso a togliersi questo dente, Yami tirò un respiro profondo e si avvicinò alla panchina dove sedeva Yugi. Per certi generi di discorsi un ambiente neutro e appartato era sempre da preferire.

«Ciao» esordì.

Yugi si girò verso di lui e sorrise.

Yami perse un battito e per poco non si mise a piangere.

Ne parli con Yugi Mutou.

Come potevano pretendere che gli parlasse di una cosa simile? Era troppo crudele, perfino per l’inferno.

«Ciao» rispose il suo perfettissimo angelo. Yami sorrise e si sedette al suo fianco.

Dopo venti minuti di semplice conversazione, lo stomaco di Yami non si era ancora deciso a calmarsi. Avrebbe volentieri bevuto un bicchiere di latte in questo momento: qualunque cosa pur di prendere tempo.

«Yugi» si decise finalmente «C’è… qualcosa che dovrei dirti».

«Perché sei così serio, è qualcosa di grave?».

Yami annuì. Yugi, stranamente, non sembrò turbato.

«Ti ascolto» disse comunque.

«Probabilmente non crederai mai a quello che sto per dirti, e non dovrei neanche dirtelo, ma visto che a questo punto ho commesso tante di quelle infrazioni che mi radieranno da ogni posto passato, presente e congiuntivo, tanto vale che faccia trentuno e ti dica la verità».

Respirò poderosamente un’ultima volta, poi cominciò a sciorinare nozioni a velocità supersonica.

«Io sono uno shinigami, non nel senso di dio della morte, non siamo dei di nessuno, che credi, anzi ci abbiamo messo secoli anche solo per avere uno straccio di sindacato, e anche adesso non ci riconoscono il diritto di paternità! È una situazione disgustosa e non lo dico perché ho chissà quale fretta di avere figli, non che non mi piacciano i bambini, beninteso, ma perché ci trattano tutti con questa aria di superficialità orrenda come se noi fossimo anime di serie B proprio perché contribuiamo a prendere le anime, ma qualcuno dovrà pur farlo, no? Comunque no, dicevo: sono uno shinigami nel senso che io e i miei colleghi raccogliamo le anime dei mortali e siamo tutti impiegati di una grande azienda nell’aldilà che si chiama Undertaking EX e, sì, usiamo quei cosi lì appuntiti, le falci, e ci sono un sacco di regole e codici da rispettare, tipo: non portare la falce in vacanza con te, non scambiare le pratiche con quelle dello shinigami che ti siede a fianco, non far innervosire Ishizu, non parlare coi mortali del tuo lavoro, cosa che comunque sto facendo adesso, ma comunque ne ho infrante molte altre e soprattutto ho infranto la peggiore di tutte perché il continuum spazio temporale adesso è compromesso per sempre e io non so cosa fare e tutto perché ho accettato un bicchiere di latte! Cioè, solo perché tu mi hai chiesto se volevo un bicchiere di latte, e io ho accettato. E poi da cosa nasce cosa e alla fine io mi sono innamorato di te quindi invece di prendere la tua anima come avrei dovuto fare il primo giorno ho preso quella di un gatto, ma adesso sono nei guai anzi siamo tutti nei guai perché mi radieranno e qualcun altro verrà a prendere la tua anima e io non potrò più proteggerti, e per questo vorrei che anche tu diventassi uno shinigami così potresti vivere nel nostro mondo ma per farlo dovresti morire e io non voglio che tu muoia e non ho idea se tutto questo ha un senso ma so solo che non voglio perderti e mi dispiace, mi dispiace tantissimo!».

Yami riprese fiato, ansimando. Yugi lo fissava. Sorrideva. Yami pensò che Yugi fosse completamente pazzo, o meglio, aveva preso Yami per pazzo, e adesso gli riservava quel sorriso pietoso che si riserva ai bambini e i malati mentali e probabilmente non credeva a una sola parola di quello che Yami aveva blaterato sconclusionatamente, o forse non aveva capito niente e basta.

«Dico la verità» lo implorò «Guarda, ho qui in tasca la mia falce e-».

«Ti amo anche io» disse Yugi.

Yami si pietrificò. Possibile che fosse l’unica cosa che Yugi aveva capito di tutto quel discorso?

«Aspetta, non… cioè, non credi- non sei…?».

Yugi sorrise. Anzi no, si mise proprio a ridere, e di gusto. Dapprima piano, mentre il sorriso si allargava sul suo volto fino ad arrivargli agli zigomi, poi sempre più forte finché non dovette mettersi una mano sulla pancia e asciugarsi gli occhi lucidi di lacrime mentre il piede destro batteva su e giù sui brecciolini bianchi del parco. Yugi sghignazzava e Yami continuava a non capire, ma era sempre più convinto che Yugi avesse perso il lume della ragione.

«Yugi…?» mormorò.

Anche Yugi mormorò qualcosa, ma era troppo semisoffocato dalle risate perché Yami riuscisse a sentirlo. Quando, dopo un minuto buono, Yugi ebbe finalmente cominciato a ricomporsi e a respirare più regolarmente, alzò entrambe le mani per far segno a Yami di aspettare e si rimise a sedere composto, ansimando. Un fremito di risa lo scuoteva ancora di tanto in tanto.

«Scusa» balbettò «Scusami ma non ho resistito e- pfff» ricominciò a ridere di nuovo. «È tutta colpa mia, scusami, però la tua proposta era troppo buffa e allora-».

«Yugi, mi devo preoccupare?».

«No, no non credo» respirò profondamente finché a Yami non sembrò che avesse di nuovo ripreso il controllo di sé. «Ti devo delle scuse, e anche delle spiegazioni» disse.

«Anche tu?».

Yugi sorrise e per un attimo Yami temette che sarebbe scoppiato a ridere di nuovo, ma il ragazzo si limitò ad annuire.

«Vedi, io sapevo che tu eri uno shinigami fin dall’inizio, e sapevo anche chi fossi e, insomma… sì ecco, il fatto è che ti ho spiato un po’… un po’ tanto… Per, ecco, tipo qualche mese».

«Non capisco, come potevi spiarmi se io ero giù all’inferno?».

«È stato Kaiba a dirti di far diventare anche me uno shinigami?» cambiò discorso Yugi.

«No lui mi ha detto solo di parlare con te- Ehi, come fai a sapere chi è Kaiba?».

«Tu sai chi è Kaiba?» rimbeccò Yugi? A sentire quel tono, quasi di sfida, Yami si rese conto di non esserne più tanto sicuro.

«È il grande capo dell’azienda che ti ho detto, la Undertaking EX, e sono andato lì per chiedergli se poteva aiutarmi a farti diventare uno shinigami, così avremmo potuto stare insieme».

«Errore» disse Yugi «Kaiba è il vice grande capo della Undertaking EX. Il grande capo sono io».

Dalla gola di Yami uscì un solo, flebile filo di voce a malapena sufficiente per mormorare un «Cosa?» strozzato. Adesso era positivamente convinto che sia lui che Yugi avessero completamente perso il lume della ragione.

Lo Yugi in questione lo prese per mano: ammesso e non concesso che dicesse il vero, Yami era molto combattuto fra il desiderio di essere arrabbiato con lui per avergli mentito o essere sollevato perché non aveva alterato alcun continuum e non avrebbe dovuto uccidere nessun adorabile ragazzo dagli occhi scintillanti di galassie.

«Il grande capo sono io» ripeté «Il Cupo Mietitore, il mietitore senior, il Grande Mietitore, e tutti quegli altri nomignoli strambi che alla gente e a voi colleghi piacciono tanto. Per via di tutti questi nomi a quanto pare ho una fama terribile e dopo secoli di lavoro ho dovuto imparare a convivere con il fatto che chiunque mi veda o sappia chi sono cominci a tremare e fare scongiuri e se ne scappi via con una scusa. Sono abituato alla diffidenza delle persone ormai, ma il fatto è che… convivere con questa realtà quando si è innamorati di qualcuno risulta un po’… difficile?» ridacchiò passandosi una mano dietro il collo.

«Hai organizzato tutto. Mi hai manipolato» mormorò Yami. Yugi annuì lentamente, fissando il suolo.

«È stata un’idea di un certo Bakura. Kaiba sapeva che avevo una cotta per te, erano mesi che lo assillavo lamentandomi di come sarebbe stato impossibile per me avere mai una storia normale, e così ha pensato di contattare uno dei tuoi amici più intimi per fare da mediatore tra te e me».

«Amici? Con Bakura?».

«In effetti avevo la sensazione che non foste proprio amici, credo che Seto lo abbia scelto apposta: si diverte un mondo a complicare la vita a tutti. Cerca di capirlo in fondo, come mio vice gli toccano sempre le faccende più noiose e se ne sta tutto il giorno dietro la scrivania. Non hai idea di quanto me l’abbia criticata oltretutto, quella scrivania: troppo nero, troppa pelle, che accidenti ci fanno qui queste falci arrugginite, questo ufficio sembra l’ufficio di un morto… Beh, grazie tante: la morte sono io!» esclamò Yugi alzando le mani al cielo «E poi perché il mio ufficio non dovrebbe rispettare i miei gusti?».

In tutto questo blaterare di uffici e complotti alle sue spalle, Yami era riuscito a capire due cose:

Numero uno: Yugi Mutou, l’adorabile creatura di cui era dannatamente innamorato nonostante le sue equivoche macchinazioni, era già morto, e nessuno lo avrebbe costretto a prendere la sua anima e rinchiuderla in un vasetto di vetro come un pesce rosso.

Da qualche parte, ovviamente, Yami era anche incollerito perché in tutta questa storia aveva fatto la figura dell’idiota mentre il resto dei personaggi coinvolti lo manipolavano a destra e manca. Ma era un prezzo che era disposto a pagare pur di avere ancora Yugi al suo fianco.

Numero due: quel bastardo di Bakura aveva passato la domenica a ridere di lui per essersi innamorato come un bambino di dieci anni alla prima cotta e per aver mietuto l’anima di un gatto spelacchiato. E aveva tramato nell’ombra alle sue spalle per incastrarlo. Ma quel malefico albino non faceva mai niente per niente e sicuramente mirava a ottenere qualcosa oltre la semplice soddisfazione da tutto questo. Lui mirava alla targa di ottone coi teschietti smaltati.

Yugi stava ancora blaterando di uffici in pelle nera e scuse per essersi comportato male nei suoi confronti e Yami ne approfittò per sistemare la propria agenda delle priorità perché, visto che la questione ‘mietere l’anima di Yugi’ era finalmente stata risolta, il primo posto poteva finalmente essere occupato da problemi più incalzanti.

«Se la tua non era nell’elenco ed era tutto un imbroglio» lo interruppe «Vuol dire che ho mietuto tutte le anime a me assegnate quest’anno e ho ottenuto la mia targa?».

Yugi si interruppe di colpo. Questo era un problema.

«Vedi, Yami, il valore di uno shinigami non si determina dal numero di targhe sulla sua scrivania. Fidati di me che te lo dico, in fondo ho una certa esperienza-».

«La targa» lo incalzò Yami «La targa è mia?».

«Il fatto è che la tua lista era già stata preparata e per attuare il piano ideato da Bakura abbiamo dovuto sostituire l’ultima anima con me e assegnarla a lui. Se si fosse trattato di riscriverla di sana pianta allora forse… ma Bakura ha detto che non ce n’era bisogno e anche Kaiba era d’accordo così da risparmiare tempo-».

«Quindi?».

«Quindi… quindi ti manca ancora un’anima, e deve essere umana, il gatto non va bene-».

Yami non aveva potuto vincere la sua targa fin dall’inizio. Le carte erano state truccate in partenza. D’improvviso cominciò a sudare freddo.

«Fosse per me non ci sarebbero problemi» si difese Yugi, indietreggiando appena «Ma, vedi, Kaiba è convinto che non possiamo assegnare una targa di Miglior Mietitore a un mietitore che si è innamorato di un umano e ha compromesso il continuum e tre millenni di carriera pur di non ucciderlo».

«Ma tu non sei umano, Yugi».

«No, infatti: è quello che ho provato a dirgli, ma Kaiba e Bakura hanno sostenuto che si trattasse di una questione di etica…».

Quel bastardo. Quel bastardo l’aveva pensata per filo e per segno. Era più sporca della storia dei tre treni collisi. Ovvio che quella mattina in ufficio si era comportato come se sapesse: non poteva non sapere. Era stata tutta una sua idea, una cosa così crudele e machiavellica e umiliante poteva essere ordita solo da una feccia dai capelli bianchi di nome Bakura.

«Yami» intervenne Yugi prendendogli la mano «Le targhe vanno e vengono, l’anno prossimo sono certo che ti rifarai, anzi mi farebbe anche piacere darti un aiutino…» ammiccò, schioccandogli un bacio sulla fronte. Il puzzo di bruciato dell’inganno era tanto forte che Yami avrebbe potuto sentirsi male. «È solo un pezzo di metallo in fondo». Lo sentiva. Yugi stava cercando di prepararlo alla botta finale. Bakura lo aveva giocato come un baccalà. Cosa poteva esserci di peggio?

«Yugi, cosa stai cercando di dirmi?».

«E poi ora possiamo stare insieme, hai detto di amarmi: ti amo anche io, non è forse più importante di una stupida placchetta di ottone?».

«Yugi» ecco cosa c’era di peggio. Yami deglutì. «Yugi, dimmi che non gli consegnerai la targa». Non poteva: dopo tutte le sue subdole azioni, quel totano decerebrato non meritava di… No…

«Non sei sollevato per il fatto che io non debba morire e che non dobbiamo più preoccuparci di nascondere la nostra relazione al mondo?».

«Yugi!».

Yugi sussultò, balbettò qualcosa di troppo confuso perché Yami potesse capirlo, ma lo sguardo assassino che Yami gli lanciò fu sufficiente perché l’altro rielaborasse più coerentemente le parole.

«Era il prezzo che ha preteso per la sua collaborazione: tutta questa faccenda doveva restare super segreta e in fondo era solo una targa, Kaiba era d’accordo-».

«A chi consegnerete la targa di Mietitore Dell’Anno, domani?» ordinò Yami.

Yugi deglutì.

«A Bakura».

La morte è conosciuta con vari nomi.

Tristo Mietitore, Cupo Mietitore, Shinigami, Falce, Grande Mietitrice, Grande Mietitore… Persino Yugi Mutou, per i pochi intimi che erano a conoscenza della sua vera identità. Qualunque appellativo venisse utilizzato, però, su una cosa concordavano tutti: la morte fa paura.

Eppure, l’urlo isterico che squarciò i cieli limpidi della città di Domino appena un istante dopo che il nome di Bakura fu pronunciato, e lo sguardo di puro terrore dipinto negli occhi color quarzo della Morte, sarebbe stato abbastanza perché il sangue di ogni mortale gli si gelasse nelle vene, e persino il più crudele dei cuori avrebbe provato compassione e pena per il povero piccolo ragazzo che adesso, di fronte a Yami lo shinigami, aveva la sfortuna di ricoprire l’incarico di grande capo della Undertaking EX.

Owari       


Note:

  • Il nome Undertaking EX è un voluto riferimento a Kuroshitsuji. Il prompt della miopia invece è stato, come dire... accidentale? Pensavo alle anime che sgusciano via e a quanto è fig- ahem, quanto stiano bene gli occhiali a Yami. Solo dopo un paio di paragrafi che parlavo di Yamuccio miope mi è venuto in mente che anche in Kuroshitsuji gli shinigami usano occhiali. Tutto qui.
  • Il foglio numero quattro del plico si chiama così per via di quel gioco di parole giapponese in cui shi (quattro) suona come morte.

Grazie a chi ha letto fino in fondo queste venti pagine word di oneshot e a chi lascerà un *sempre apprezzato* commentino.
A presto e a nuove storie,

Ache

  
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