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Autore: Lost In Donbass    22/08/2015    3 recensioni
Luci, droga, alcol e l'introspezione di un amore sbagliato. Ovvero, nottata tipica di Tom e Bill.
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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YOU AND ME COULD WRITE A BAD ROMANCE
Liquido, mi scorre veloce nelle vene.
Ingoio il contenuto azzurro del bicchiere come se fosse acqua, sentendomi infiammare le budella, come se stessi per vomitare lingue di fuoco. È buono, sì, è eccitante. Non so bene cosa ci sia dentro, ma di sicuro non fa bene. Ed è quello di cui ho un estremo bisogno: qualcosa che faccia male, che ti scavi dentro come una tenaglia scava la pesca. Qualcosa che mi mandi in palla il cervello per qualche ora. Mi fischiano le orecchie, nemmeno fossi in una stazione ferroviaria degli anni 20, e so che è colpa del liquido azzurro. Ne voglio ancora, ancora, ancora fino ad annegarci dentro e non riuscire più a liberarmene. Chissà com’è affogare nell’alcool, nel paradiso dei sensi meschini … il liquido azzurro che ti ostruisce le vie respiratorie, che ti soffoca i polmoni e tu non senti niente, e continui a bere, bere fino a non poterne più, fino a non cadere con la faccia dentro al bicchiere e morire, morire con il liquido azzurro che esce a fiotti dalla tua bocca fredda, a bruciarti quello che rimane delle tue labbra, che ti rotola fuori dalle narici come un fiume in piena. E tu vomiti liquido azzurro, vomiti il paradiso, vomiti fiamme blu. E ci anneghi dentro.
Droga, mi scivola nella bocca.
La pasticca violetta s’attacca alla lingua, al piercing gelido, si scioglie piano. Sa di menta, io amo la menta. Mi gela la bocca, mi fa sentire così bene, come una scarica elettrica che si diparte dalla pallina di metallo fino ai piedi. Eccitazione mentale. Sballamento temporale. Potresti chiedermi come mi chiamo, e ti risponderei menta. Potresti chiedermi chi sono, e ti risponderei menta. Potresti chiedermi come voglio morire, e ti risponderei menta. Menta violetta che scivola nella gola, che gela ed emoziona. Non vedo, non ti vedo, dove sei? Vienimi a prendere, stringi la mia mano tremante. Dove siamo? Portami a casa, nella casa che non abbiamo, in un mondo che non ci appartiene, in una musica che viene scambiata per qualcosa che non è. Portami dove vuoi, basta che ci sia silenzio. E tanta menta. Non sento, non ti sento, urli il mio nome ma non ti localizzo. Voglio della menta, voglio sballarmi ancora. Non voglio più pensare, non voglio che tu mi chiami, non voglio sentire niente. Non ho nome, non ho identità, sono tutto e sono niente. Sono menta, ne voglio ancora. Non chiamarmi per nome, perché non ce l’ho.
Musica, mi rimbomba in testa.
Lo guardo, come si muove, come ondeggia su una musica che solo lui sente. Non stai andando a tempo, stai sbagliando tutto. Come al solito. I capelli ondeggiano come alghe impazzite, sei drogato, lo sento. Sei bello, quando tieni gli occhi chiusi, ti mordi il labbro inferiore, ancheggi. Sei bello quando non ci stai con la testa, quando non senti, non parli, non vedi. Sei bello quando balli. Le batti tutte, quelle sgualdrine. Le batti in bellezza, in finezza, in abilità. Sei la sgualdrina migliore di tutte. È bello vederti ballare, posseduto da non so quale divinità, su quei tacchi a stiletto, e quei gioielli. Li vedo, come brillano sotto il riflesso delle luci stroboscopiche che girano sempre più veloci; sei un dio. Sei accecante. Lo sei diventato, come avevi sempre voluto: sei diventato la più grande baldracca che possa esistere. Ed è così che ti voglio, così che voglio la tua risata graffiante. Brilli, di glitter, di luci, di paillettes. Bevo ancora, e ancora, il liquido verde prende il posto di quello azzurro. Sei lo spettacolo della serata, devo vederti con questi due occhi. Devo distruggerti con lo sguardo che mi è toccato dalla Natura. Sei lascivo, fratellino. Sei lo sbaglio più bello che possa esistere.
Luci, che mi tingono gli occhi.
Posso anche essere sotto l’effetto della menta violetta, ma ti vedo. Sto guardando te, e so che tu stai guardando me. Goccia. Goccia. Bevi, bevimi, ubriacati, ubriacati di me. Ormai vedo poco e niente, vedo le luci che mi girano in giro, perché io sono un dio, e loro mi si riversano addosso. Loro mi amano, loro pregano, loro si inchinano, e io faccio lo stesso con te. Alzati, balliamo, facciamo vedere alla gente di che pasta siamo fatti. Facciamo vedere che schiavizziamo noi stessi, che siamo al di sopra di tutto. Mostriamoci per gli dei che siamo, per lo spirito ribelle che ci brucia dentro. Dacci dentro con quella chitarra, fratellino. Io urlo. E tu suoni. E io urlo ancora. Senti, ci senti, che melodia perfetta che siamo? Cosa coviamo sotto la pelle? Qualcosa che nessuno è stato ancora in grado di tirare via. Vieni anche tu, unisciti a me. Scorre veloce nelle vene, quella sostanza di cui siamo fatti noi due. Siamo troppo per loro, fratello. E lo sanno bene.
Ehi, c’è qualcuno nell’ombra. Guarda bene.
Mi alzo, barcollo, non mi reggo più sulle gambe. Sei tossico, siamo tossici. Forse sarebbe giusto l’ora di tornarcene a casa, di buttarci sotto l’acqua della doccia, di rinfrescarci le idee, e poi dormire. E dormire ancora, fino a mezzogiorno di domani, riposare la testa, la lingua, il corpo, l’anima. Riposiamo insieme, uno nelle braccia dell’altro, stretti fino a farci male. Dormiamo, fratello. Dormiamo e non pensiamo al resto, per quello c’è sempre tempo. Rimanda a domani i tuoi crucci e i tuoi problemi, lasciati andare tra le mie braccia e riposati. Sospira, fratellino. Respira. Striscio verso di te, nella calca, nel marasma dilagante. Ti prendo per una caviglia, te la stringo forte, ti risveglio dalla tua trance. E mi cadi tra le braccia, leggero come una piumetta, leggiadro come un petalo di Miseria caduto sull’acqua, con il tuo sorriso innocente. Ma tu non sei innocente, parte buia della luna. Ci facciamo largo in mezzo a questa folla drogata di musica e di luci, attenti a non farci vedere che ci dissolviamo nell’ombra, come le ultime due parole di un libro. Come un “Ti Amo” lasciato a sanguinare su una spiaggia. Come due pezzi di legno affondati nell’oceano artico meridionale. Andiamo via, fratellino. Torniamo nella nostra tana.
Pensa a chi ti guarda di nascosto, non a chi si palesa.
Mi aggrappo al tuo braccio, soffoco nel tuo profumo. Andiamocene a casa, hai ragione, rimaniamo in silenzio, uno tra le braccia dell’altro, fino a diventare la stessa cosa, fino a che io non mi fondo con te. Siamo così perfetti insieme, siamo la regina bianca e quella nera, siamo l’asso di cuori e l’asso di picche messi a confronto, siamo le due parti combacianti dello specchio. Siamo come Pincopanco e Pancopinco, ma ci manca Alice. Alice che corre nelle nostre bottiglie, nelle nostre canzoni, nel nostro sangue. Alice che non riusciamo mai a catturare. Usciamo dalla calca, nell’aria gelida di una sera nella pianura tedesca. Mi scompiglia i capelli. Mi sarebbe sempre piaciuto volare, librarmi nel vento e non tornare più a terra, divenire tutt’uno con l’aria e morirne, lassù, sciolto in una tramontana che non ha mai fine. Posarmi su di te, fratello mio. Non essere più me stesso, ma essere finalmente parte della tua anima, non solo fisicamente ma anche moralmente, spiritualmente. Mi prendi per un braccio, invece che per mano. È più sicuro, nessuno avrebbe nulla da dire. Ma la gente ha sempre di che lamentarsi.
Macchine, che mi sfiorano attorno.
Ti trascino in macchina, sul sedile di pelle nera così scomodo e duro. Ti raggomitoli, come il topolino che sei, guardandomi dolcemente, con una punta di stupore nel profondo delle pupille. Delle nostre pupille. Sei così bello, fratello mio. Lui guida, perché sa che noi non potremmo farlo, l’altro ride, perché sa che non ne saremmo in grado. Fanno battute, perché sanno che io e te non le potremmo capire. È un equilibrio il nostro, l’equilibrio precario tra quattro ragazzi che dalla vita hanno avuto troppo. O niente. Io ho avuto te. E forse questo basta e avanza. Scivoliamo veloci nel traffico notturno, lo vedi com’è fuori? Le vedi le luci accecanti della città, le vedi le prostitute agli angoli delle strade? Li vedi i barboni che piangono sotto le luci? Lo vedi il lato luminoso della luna, il giro di vite che si alterna in questa notte al limite dell’osceno? Si nascondono nel buio, i vermi. Si confondono con le luci, gli ipocriti. Vortica tutto attorno a questo finestrino annebbiato, dietro a cui vedo scorrere la città pulsante di vita propria. Sembra tutto così finto, finto come noi.
Cos’è che chiami casa?
A volte mi chiedo perché viviamo insieme. A volte mi chiedo perché dormiamo nello stesso letto. Semplicemente, perché capovolgiamo la normalità e l’assoggettiamo, rendendola perversa, sfrenata, incomprensibile come noi? Io non so camminare da solo, sui tacchi, quando sono ubriaco. Striscio per terra, mi aggrappo alle tue gambe, lascio solamente che siano le tue braccia a tirarmi su, come hai sempre fatto. Mi prendevi tra le braccia, mi tiravi su, come fai con il tuo sorriso accecante che solo io posso realmente vedere. Dillo, fratello, urlalo al mondo. Per chi sorridi? Per me. Per chi tendi le braccia? Per me. Per la carne della tua carne, il sangue del tuo sangue, il tuo specchio unico e inimitabile. Mi porti in braccio fino alla vasca da bagno, e io non faccio più nulla, mi sciolgo come il trucco pesante che mi ricopre il viso, che mi impregna la pelle. La mia maschera perfetta, la mia faccia da pagliaccio triste. Cosa nascondo? Perché il trucco, mi chiedevano? Per nascondere le lacrime, per uccidere la nostalgia, per allontanare la malinconia. Perché il trucco, urlavano? Per cambiare aspetto una volta per tutte. Perché ti rovini così, mi compiangevano? Per l’amore di mio fratello.
Acqua, che lava i peccati.
Ti spoglio di quei vestiti troppo aderenti, di tutti quei gioielli di cui ti soffochi, e ti immergo nella vasca d’acqua bollente, come se fossi una bambola, una bellissima marionetta che ha finito il suo spettacolo. La mia piccola Coppelia viva, ricoperta di tatuaggi che raccontano storie che nessuna potrà mai comprendere, perché solo io e te, i nuovi dei, possiamo capire i segni che ti ornano la pelle pallida. La lettura della tua Bibbia di carne è destinata solo ai due eletti. Scivoli nella vasca, con un sorriso beato, al caldo, mentre l’acqua comincia a lavarti di dosso lo schifo dei nostri giorni e delle nostre notti. Ti guardo, scioglierti nell’acqua, come fossi cera. Apri gli occhi, lo specchio dei miei. Mi basta guardarti al naturale per vedere me stesso, la mia seconda faccia, la stessa luce guizzante nel fondo delle pupille, lo stesso corpo perfetto, lo stesso sorriso peccaminoso, le stesse mani scheletriche. Ti accarezzo i capelli, neri come l’inferno, che ti ricadono lisci fin sotto le spalle, come fossero una cascata di inchiostro che ti scaturisce direttamente dalla testa prodigiosa che ti ritrovi. Viso da bambola, porcellana scolpita. Sei una bambola vera e propria, finto. Lo sai di essere ormai loro vittima, figlio del successo, del mercato, della droga venduta a caro prezzo. Canta per me, fratellino mio. Canta. Mi spoglio e mi immergo di fronte a te, al tuo sguardo infantile, al tuo sorriso da bambino che ha visto troppe cose. Mi accarezzi il viso, sfarfallando gli occhi e nello stesso momento io accarezzo il tuo, come se fossimo una macchina progettata per funzionare allo stesso tempo, con gli stessi identici ingranaggi. Hai la pelle diafana, così pura sotto le mie dita callose. Suono per te, e tu per me canti. C’è reciprocità tra noi due. Ti raggomitoli tra le mie braccia, perché io sono nato poco prima di te, e sono più forte. Ma non credo sia vero, sei più forte tu. Sei sempre stato più resistente dentro, indistruttibile, ma sappiamo bene entrambi cosa hai passato, vero? E cosa passi ancora oggi. Eppure resisti, stai in piedi, sorridi. Ti distruggono fuori, ma mai dentro. E io sono il contrario. Mi spezzo con facilità dentro, ma fuori sono ancora in grado di proteggerti, fino a che per noi sarà la fine.
Buio, ammanta i sensi.
È notte fonda, fuori, ma noi siamo ancora svegli, ammollo nella vasca da bagno. Ho freddo, ma lascio stare. Aspetto che tu ti alzi e che mi prendi in braccio, portandomi in camera; potrei anche stare qui per ore, aspettandoti, come al solito. Non faccio nulla che tu non faresti: cosa farei senza di te, gemello mio? Forse mi hai letto nella mente, perché ti alzi in silenzio religioso, come fossimo in una chiesa sconsacrata e mi prendi in braccio. Nelle tue braccia non sono altro che una bambola di pezza. Mi porti in camera, con un sorrisetto stampato sulle labbra; ogni volta che ti bacio so com’è baciare se stessi allo specchio. Siamo la perfezione. L’Inscindibile. Gli accarezzo i dreadlocks, piano, come se fosse di cristallo e forse è seriamente così. Saliamo le scale, muti, come fossimo due re caduti che risalgono sul trono che non gli appartiene più, in mezzo alle macerie e ai rovi che ci avviluppano le gambe. Mi deposita sul grosso letto della nostra stanza. È morbido. Vorrei soffocare tra le coperte, strozzarmi, affogare tutto quello che canto, che dico, le cose a cui rido per far piacere a qualcuno che non conosco, tutte le bugie che costruisco minuto dopo minuto fino a non saper più distinguere la menzogna dalla realtà. La mia vita è una bugia, da quando sono finito in quel mondo in poi. Fratello, come faremo ad andarcene? Come potremmo anche solo riuscire a pensare liberamente? Quando potrò piangere per strada, senza che nessuno mi dica più niente? Quando potrò sedermi per terra e disegnare con un gessetto tutta la città? Quando potrò ricominciare a vivere, senza droga, alcol, foto? Quando capirò?
Passione, l’unica amica che ho.
Ti rimbocco le coperte, sul tuo corpo nudo e freddo, ti pettino i capelli con le dita, come facevamo da quando eravamo bambini. Spalanchi gli occhi, inevitabilmente perversi, quando ti stringo tra le braccia, accarezzandoti la schiena e tu ti aggrappi alle mie spalle, come se fossi un’ancora di salvezza in un pantano. Ed è vero che quando stai per morire ti attacchi all’ultimo filo d’erba sul bordo. Ti accarezzo il fianco troppo magro, mentre mi baci il collo. Ci sarebbe gente pronta a darci fuoco per questo nostro amore, e forse non avrebbero tutti i torti. Ma chi dice che sia giusto o sbagliato? Chi dice che quello che provo per te non sia semplice, archetipico, spassionato, arcano amore? Quel sentimento vero, che non esiste più se non nei libri. E tra noi due, che siamo gli dei di un nuovo mondo. Cominci a stringerti a me troppo, ad eccitarti troppo, perché tu sei il bambino insaziabile che sei sempre stato e questo nessuno te lo toglierà mai. Sei infantile, gemello tanto amato. Cosa vuoi ancora? Ti strofini troppo su di me, come se volessi tutta l’energia che ancora ho dentro, la riserva che mi aiuta a tirare avanti. L’equilibrio che ci tiene legati come due parti della stessa collana. Hai ancora le forze per farlo? Ma si sa che i bambini non si stancano mai. Sei sempre su di giri, il disco che rotea veloce sul mio giradischi. Dai, fratello, facciamolo finché non ce la facciamo più, fino a che non ci addormentiamo abbracciati. Forza, esauriamo le ultime energie che abbiamo ancora in corpo per la passione carnale. Ti rotolo sopra e posso dire che siamo le due uniche cose vere rimaste sul mercato. Le uniche per cui vale la pena prosciugare la carta di credito.
Sonno, per dimenticare.
Mi appoggio al tuo petto, mi aggrappo alla tua spalla, le gambe avvinghiate alla tua vita sottile. Sono contento, ora, soddisfatto, beato, appagato da te. È bello averlo fatto, dopo tanto che non potevo fare altro che aggrapparmi a te senza poterti nemmeno baciare. L’errore che noi ci divertiamo a commettere sempre, l’errore che nessuno di noi due potrà mai correggere. Ti bacio ancora, mentre dormi. Sei così bello, fratello. Rassicurante come un faro; mi scosto i capelli dal viso e intreccio una ciocca nero corvo con uno dei tuoi dreadlocks. Probabilmente domani, quando ci sveglieremo, ci strapperemo i capelli, e urleremo di dolore, e litigheremo come al solito, come due gatti con un gomitolo di lana. Ma è bello sentire anche le nostre teste legate. Mi piace il dolore fisico che mi provoco da solo e che mi provochi tu. È così elettrizzante che mi dimentico anche dell’incubo meraviglioso che stiamo vivendo. Aspetto che sopraggiunga il sonno, dove non devo sorridere, non devo ridere, non devo sfarfallare le ciglia per una torma di ragazze in calore. Devo solo dormire, abbracciarti, sentirti vicino. Ti ricordi quando avevamo quindici anni e avevamo deciso di provarci? Ma la mamma aveva rovinato tutto, come al solito, con il suo innocente “Ragazzi, ma cosa ci fate sul letto nudi? Non mi sembra il momento di mettersi a fare le scimmie preistoriche”. Avevamo riso, io e te. Riso di cuore, come al solito. Giuro che potrei ridere ancora adesso, se non fosse che sono troppo stanco anche solo per dormire. Sono stufo di tutto, di questa vita. Che vuoi fare, fratellino? Lo so che pensi che io sia una splendida sgualdrina, e io so di esserselo. Foto, gemello mio, foto alla vostra perfetta, pura, e innocente sgualdrina intoccata dagli uomini e dalla donne ma solo dalla copia di se stessa. Siamo una splendida distruzione mentale e corporale, siamo la decadenza di Hollywood, siamo la rovina della società, il declino di questo mondo. E sono orgoglioso di essere tuo, come una nuova copia laica di Brama e Shiva, gli agnelli d’oro da idolatrare. Innalzateci al cielo, amateci, riempiteci di aspettative e doni. Siamo i gemelli Kaulitz, gli dei del decadimento.
Amore, il mio veleno amaro.
-Ehi, Bill, ma che hai combinato ai nostri capelli?!- sbottò Tom, una volta aperti gli occhi, con un cerchio alla testa terribile e il retrogusto amaro del liquido azzurro ingurgitato la sera prima in discoteca.
-Niente.- miagolò Bill, cercando di ritrovare la posizione perfetta assunta prima che il fratello si muovesse con la sua incredibile finezza da portuale e lo svegliasse con la sua ancor più fine voce.
-Niente un corno, sciogli sto benedetto nodo!
Tom afferrò il gemello per le spalle e lo scosse con una smorfia imbronciata, quasi infantile, mentre scuoteva la chioma di dreadlocks legati con la cascata nera dell’altro.
-Buongiorno, eh, Tom. Sempre carino, come vedo.- sbottò acido Bill, cercando di mettersi seduto e di afferrare il groviglio di capelli, lottando contro l’inibizione dei sensi che aveva ancora addosso dopo le pasticche alla menta della notte prima.
-Buongiorno, Lega Capelli A Sproposito.- grugnì Tom, dandogli un bacio tanto per calmarlo. Se Bill si svegliava con la luna storta, erano casini per tutti, soprattutto per il gemello che si sarebbe sentito rovesciare addosso tutti i piagnistei e le frignate possibili e immaginabili.
-Mi sembrava una cosa carina da fare.- si scusò Bill, mordendosi il labbro inferiore nel tentativo, molto vano di sciogliere quel benedetto nodo, che più entrava in contatto con le unghie acuminate del cantante, più si aggrovigliava.
-La prossima volta, pensaci due volte prima di fare ste minchiate!- squittì Tom, dopo uno strattone dolorosissimo al dread incriminato. Ricordava poco della sera prima, solo immagini scattate come fotografie, rapide, luminose, libere anche se dannatamente tristi.
-Senti, Tom, era un segno d’affetto fatto alle quattro del mattino da un drogato ubriaco mezzo intontito, ringrazia che sono così romantico!- strillò Bill, gemendo di dolore e di frustrazione. – Non dobbiamo andare da nessuna parte oggi, vero?
Lo sguardo speranzoso di Bill fece quasi sorridere Tom. Quasi, perché il dolore superava tutto.
-Per grazia ricevuta, oggi e domani siamo liberi.
-Meno male, danno tutta l’ultima stagione di Criminal Minds, non potevamo perdercela, vero Tomi?
-No, figurati, quando mai?- ribatté ironico Tom. A lui faceva paura Criminal Minds, ma non voleva ammetterlo al gemello. Motivo in più per dormire avvinghiati tutta la notte usando come scusa il fatto di proteggerlo da eventuali serial killer trasferiti in Germania per cercar fortuna.
-Ahi!- pianse Bill, dopo essersi tirato ancora una volta i capelli – Non ce la faccio!
Mollò i capelli, ancora più attorcigliati di prima, sconfitto.
-Bill, sei un disastro. Dovremmo tagliare a te una ciocca e a me mezzo dread.
-Non sia mai, Tom Mani di Forbice!
I gemelli si guardarono in cagnesco come ogni volta che entrava in ballo l’argomento “Moda&Capelli”.
-Va beh.- Tom tornò a sdraiarsi, trascinandosi dietro Bill e abbracciandolo – Vorrà dire che per due giorni dovremo stare attaccati per colpa tua.
Bill arrossì un po’, e nascose il viso nell’incavo del collo del fratello, mugugnando.
-Non credo ti dispiaccia troppo, no?- ridacchiò Tom, accarezzandogli la testa.
Bill si limitò a grugnire e a scuotere la testa, raggomitolandosi ancora di più tra le braccia dell’altro.
-Bill …
L’interessato alzò la testa, preparando già le lacrime in attesa di eventuali sgridate a cui non sarebbe potuto fuggire. Tom non poteva resistere psicologicamente ai suoi piagnistei d’ordinanza, figurarsi quelli extra.
-Ti amo, scemo.
Bill ricacciò indietro le lacrime finte, piegando le labbra in un sorriso e, stringendosi al corpo di Tom come una piattola al suo scoglio, gli stampò un sonoro bacio.
-Ti amo anch’io, idiota.

 

  
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