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Autore: pazzamenteViola    23/08/2015    2 recensioni
Questa storia nasce in una notte insonne, la mia.
Un monologo di una donna senza volto, né nome. Potrei essere io, potresti essere tu.
Il racconto di una storia d’amore, la sua. Potrebbe essere la mia, la tua.
Immagina che sia seduta di fronte a te.
Immagina i movimenti delle sue labbra.
Ascoltala in silenzio, senza interromperla e, solo alla fine, se vuoi, giudicala.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Era la prima volta che viaggiavo da sola.
 
In fila per l'imbarco, in attesa dell’aereo che mi avrebbe riportato alla mia vita di sempre, ero persa nei miei pensieri; erano in ritardo di dieci minuti rispetto all'orario indicato sullo schermo e un po' d’insofferenza cominciava a serpeggiare tra i passeggeri. Il fatto che nessun addetto si fosse ancora presentato non lasciava presagire nulla di buono e, infatti, poco dopo, lo schermo con le informazioni del volo divenne nero e a tutti fu chiaro che non saremmo partiti, quantomeno non all’orario stabilito. Quando? I tabelloni dicevano un’ora più tardi, ma crederci era difficile.

Non ricordo la frase che disse, ricordo solo che mi fece sorridere.

Viaggiava anche lui da solo e, accampandoci sul pavimento bianco e freddo dell'aeroporto, abbiamo cominciato a scambiare quattro chiacchere come capita spesso tra compagni di sventure e mentre le ore diventavano due e poi tutta la notte, mi sono ritrovata ad abbassare lo sguardo e sorridere imbarazzata, più di una volta …

Non sapevo neppure quando fosse stata l'ultima volta che mi ero successo.

Solo quando sono tornata con i piedi per terra, in tutti i sensi, ho capito che quella che per me era la destinazione, per lui era solo una tappa: non l'avrei più rivisto.

Mi sbagliavo.

Neanche il tempo di caricare la valigia sulla macchina del mio migliore amico che la notifica di una richiesta di amicizia su facebook ha fatto battere il mio cuore all'impazzata: doveva aver sbirciato il mio cognome sulla carta d’imbarco che era stato il mio ventaglio contro l'incertezza con cui da sempre fatico a convivere.

Abbiamo cominciato a parlare e non abbiamo più smesso, facebook, whatsapp, era come se ci unisse un filo, eravamo distanti eppure vicinissimi. Dormivo con il cellulare in mano, mi addormentavo con la sua buonanotte e mi svegliavo con il suo buongiorno, che non tardavano mai ad arrivare. Sapeva tutto di me, mi aveva chiesto tutto ed io di lui? Sapevo che era ironico, capoccione, spocchioso, a tratti arrogante ma alla fine c'era sempre la parolina dolce, la sorpresa finale. Mi ha scritto che sarebbe salito da me per lavoro e magari, se mi andava, potevamo farci una birra insieme.

Lo avrei rivisto.

Ho passato un pomeriggio davanti allo specchio, provando e riprovando abbinamenti e capi, mettendo a soqquadro l'armadio, non sapevo per cosa mi stessi preparando, un'uscita galante? Una chiacchierata tra amici? Non volevo fare la figura della stupida, dell'illusa.

Un paio di jeans non ti tradisce mai.

Le famose farfalle hanno preso possesso del mio stomaco non appena l'ho visto. Mi ha abbracciato, con un gesto spontaneo, ho conosciuto il suo profumo, non sarei più riuscita a fare a meno. Una pizza e due birre in uno di quei chioschetti con i tavoli spartani in strada, non sembrava fosse solo la seconda volta che ci guardavamo negli occhi, c'era complicità tra noi, imbarazzo quanto basta. Una passeggiata tra le vie della mia città, magica quando la luna é alta nel cielo, mano nella mano, senza bisogno di richieste o giustificazioni. Le avevo notate subito le sue mani, forti, possenti, in grado di avvolgerti, di darti sicurezza e conforto, mani che sanno cosa vogliono e come prenderselo.

Non mi aspettavo quel bacio.

Lo desideravo talmente tanto da averne paura: E se non fosse come ho immaginato? E se lui non volesse? E se non mi piace? E se non gli piace? Non avevo mai incontrato labbra più sensuali, più dolci, più affamate.

Non volevo tornare a casa, ma non volevo dare l'impressione sbagliata, cosa avrebbe mai potuto pensare di me: che fossi una ragazza facile? Disperata? Non so quale sia l’ipotesi peggiore. Ho sognato di essere sua quella notte, che le mie dita fossero le sue.

Non dovetti attendere molto perché il sogno diventasse realtà.

Un piccolo agriturismo a metà strada, immerso nel verde e nell'ombra; sul finire della bassa stagione la tranquillità era ancora più avvolgente. Una cena illuminata da lanterne e candele, un ballo sotto le stelle, baci morbidi e lenti, carichi di desiderio, un quanto ti voglio sussurrato in una pausa e i piccoli dubbi che ancora mi attanagliavano scomparvero.

Mi sono sentita corteggiata e fortunata e felice.

C'era qualcosa in lui che mi rassicurava, che mi faceva sentire bellissima anche senza esserlo davvero. Nella mia testa non c’era più spazio per la paura di non essere altezza, di non essere abbastanza brava, abbastanza esperta e il rossore sulle mie gote non era imbarazzo ma calore, il suo. La leggerezza delle sue dita mentre mi spogliava senza fretta, la solidità delle sue mani mentre mi accarezzava, la naturalezza con cui entrammo in sintonia, uno nell'altro.

Dovevano essere due giorni, sono diventati venti.

Ho preso il telefono e avvisato chi di dovere, invece di tornare a casa mia, alla mia vita, entrai nella sua. Avevo bisogno di viverlo, di vederlo tra le sue cose, tra i suoi amici, nella sua quotidianità per capire davvero cosa stesse succedendo, quale fosse la reale portata di quello che mi era capitato tra le mani.

Mi ero innamorata di lui e lui lo era di me; me lo ha sussurrato una mattina mentre mi svegliavo tra le sue braccia. I suoi amici erano simili ai miei, persone semplici, divertimenti semplici, la sua famiglia era più grande e affettuosa della mia, lui era meno perfetto di quanto immaginassi e proprio per questo era esattamente tutto quello di cui avevo bisogno.

Era il suo turno di entrare nel mio mondo, così provinciale, così banale rispetto al suo.

Non ho molti amici, tanti conoscenti, tante persone della stessa compagnia ma veri amici, pochi, pochissimi, un paio e nonostante i loro iniziali sforzi nel dissimularlo, a loro, lui non era piaciuto, affatto. Non so se fossero spinti dalla paura che mi allontanasse da loro o se fosse solo la paura che mi facesse soffrire come già avevo fatto in passato.

Non lo so e all'inizio non m’importava.

Scendevo da lui tutti i weekend, a volte lui mi raggiungeva a metà settimana, solo per passare qualche ora insieme, solo per fare l'amore. Ogni volta che ero tra le braccia, tra i suoi mobili, tra le sue lenzuola, mi dimenticavo di quello che mi ero lasciata alle spalle, delle mie insicurezze, delle mie fragilità, dei miei amici e ogni volta che tornavo da loro, mi sentivo in colpa. Loro che c'erano sempre stati per me, nei giorni belli e in quelli brutti, che hanno asciugato le mie lacrime tramutandole in sorrisi. La famiglia che mi ero scelta, mi guardava come fossi una pazza, fino al punto di poggiare la mano sulla mia fronte per assicurarsi che non fossi preda di un qualche febbrile delirio, non avevo mai agito di pancia, sempre persa dietro cervellotiche congetture, esposte e perfezionate fino allo sfinimento. Ero divisa a metà, passato e futuro non sembravano in grado di coesistere nel mio presente e ho cominciato a prendere le distanze dall'incertezza, dall'ignoto, da lui.

La prima litigata, telefonica, vera, enorme. Parole al vetriolo, le sue, lacrime, le mie.

Il mattino dopo era da me, voleva chiarire, scusarsi guardandomi negli occhi ma il mio migliore amico si è messo in mezzo e lui è tornato a casa, a mani vuote, solo e ancora più arrabbiato. L’ho raggiunto solo qualche giorno dopo, il mio migliore amico al mio fianco, speravo riuscissero a vedere l'uno nell'altro quello che io vedevo in loro, ma la loro era solo una tregua armata.

Ero spaccata in due, persa a contare i minuti, che passavo con uno e con altro, attenta a non violare la par condicio, più propensa a rimandare una partenza che un ritorno.

Lui non capiva.

Lui viveva da solo, io no, nella sua città avrei potuto fare quello che facevo nella mia e il suo appartamento cominciava a sembrare il nostro: un tappeto comprato insieme, una lampada, il divano nuovo. La mia assenza cominciava a diventare più rumorosa della mia presenza: il mio spazzolino in bagno, i miei vestiti in un cassetto, le mie scarpe tra le sue, il profumo del mio bagnoschiuma.

Mi chiedeva di restare ed io facevo finta di non sentire.

La distanza sembrava doppia, al telefono, i bisticci, i disguidi erano quotidiani.

Lui non saliva più, non ne vedeva il senso: perché pagare una stanza in un albergo? Perché andare in un posto dove non era ben accettato?
I suoi amici hanno cominciato a storcere il naso, i miei non si facevano problemi a dirmi che avrei dovuto lasciare perdere: perché dovevo essere sempre io a correre da lui?

Galanteria portami via.

Io non sono scesa e abbiamo passato dieci giorni senza vederci; poi lui mi ha spiazzato, ancora volta.

Ha invitato i miei amici a scendere con me, li ha ospitati a casa sua, a casa nostra; abbiamo fatto serata tutti insieme, io, lui, i miei amici, i suoi amici, sembrava avesse funzionato. Loro sono ripartiti, io sono rimasta, ma dopo qualche giorno mi ha messo con le spalle al muro: o convivenza o finiva lì.

Lui mi ha spiazzato e io sono corsa dai miei amici, dalla mia normalità.

Era troppo presto, troppo avventato, come potevo lanciarmi nel vuoto così, proprio io? Non potevo abbandonare i miei amici dopotutto quello che avevamo passato insieme.

Forse non ti merita se ti chiede di fare una scelta ...

Parole del mio migliore amico, che mi sono entrate in testa.

Sono tornata da lui, convinta di mettere la parola fine alla nostra relazione, i sacrifici si fanno in due, perché dovevo essere solo io a farli? Abbiamo discusso, se n'é andato sbattendo la porta, l'ho aspettato una notte intera ma non é rientrato, il mattino ho fatto le valigie e me ne sono andata senza lasciare alcun biglietto.

Avevo fatto la mia scelta.

Alla stazione il mio migliore amico ha caricato in macchina i miei bagagli insieme ai miei occhi arrossati e gonfi.

Non ho risposto più risposto alle sue chiamate.

Volevo che alzasse il culo, non il telefono.

Lui ha smesso di chiamare.

La valigia, sfatta a metà, mi osservava ai piedi del mio letto che non mi era mai sembrato così scomodo e vuoto. Non ho più chiuso occhio, mi mancava l'aria, quelle pareti, quella città mi stavano strette.

Ero innamorata di lui.

Sono andata a riprendermelo.

Chi lascia la strada vecchia per quella nuova, sa quella che lascia ma non sa quello che trova.

È vero, ma ora io ho lui che dorme al mio fianco.

E mi basta.
 
  
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