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Autore: Shirokuro    23/08/2015    3 recensioni
{ shinoa centric; onesided?mitsuba/shinoa/guren | one-shot di 3035 parole circa | angst; introspettivo | prima classificata e vincitrice del premio "miglior personaggio" al contest L'arte di morire indetto da — Fear sul forum di efp }
Si avvicinò alla scrivania e cercò gli occhi dell'uomo. Chissà, se questa storia degli errori fosse stata una raccolta punti, magari a molti di più, milioni di volte di più, il premio erano proprio loro.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Guren Ichinose, Mahiru Hīragi, Mitsuba Sangū, Shinoa Hīragi
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Titolo storia: La sua è nera omertà – e vibra nelle ossa.
Nickname sul forum e EFP: zbor liber, Shirokuro.
Fobia utilizzata: amartofobia, paura di sbagliare.
Fandom: Owari no Seraph.
Personaggi + eventuali coppie: Shinoa Hiiragi, Mitsuba Sangu, Guren Ichinose, indirect!Mahiru Hiiragi. Onesided?Mitsuba/Shinoa, onesided?Shinoa/Guren (Mitsuba/Shinoa/Guren).

Genere: angst, introspettivo.
Rating: verde/giallo.
Avvertimenti + note: triangolo?
Introduzione: Chissà, se questa storia degli errori fosse stata una raccolta punti, magari a molti di più, milioni di volte di più, il premio erano proprio loro.
Note dell'autore: in fondo.
La sua è nera omertà – e vibra nelle ossa
   «Hiiragi Shinoa» dalla destra del maestoso corridoio, guardando verso la finestra dalla quale entravano fasci di luce bianca.
   «Ichinose Guren» dalla destra del maestoso corridoio, guardando verso la porta che era l’uscita. «È un piacere vederla, Tenente Colonnello» gracchiò, inclinando il capo.
   «Vorrei poter dire lo stesso» sorrise l’uomo, saldando l’impugnatura sulla sua katana. Shinoa ondeggiò per qualche istante con il bacino, con la sua espressione tipica stampata in faccia – ma sì, dai, quella che le si leggeva in fronte che aspettava solo di sapere cosa stava succedendo, così, per divertirsi a prendere un po’ in giro il malcapitato di turno; tessendo per ogni singola parola un’immane mole di collegamenti per non esagerare ed al contempo per mantenersi nella fiera apparenza. «Hai intenzione di passare la giornata a fissarmi? Torna a lavorare».
   «E che male c’è, Tenente Colonnello Guren? Lei è un così bell’uomo! Ah, un’altra riunione?» azzardò infine. Guren la ignorò e si diresse verso la finestra, poi svoltò a destra sbuffando. La ragazza sospirò e prese la direzione opposta. Viva gli Hiiragi, eh? ed attraversata dal pensiero, per un secondo, il necessario per indispettirla al punto d’interrompere la sua camminata giocosa, strinse i denti. Quasi tutti, almeno. Lasciò che il portone si chiudesse con un tonfo, saltando la scalinata immediatamente fuori dall’edificio e correndo via. Novantotto in tre giorni.

   Shinoa Hiiragi era praticamente estranea al suo cognome. Probabilmente nessuno avrebbe mai pensato facesse parte della famiglia tanto importante se non gli venisse sempre detto di sfuggita – le sue presentazioni non comprendevano quasi mai Hiiragi, tranne se quel qualcuno a cui si mostrava spoglia di macchinazioni non la conosceva già, per evitare trattamenti di favore che l’avrebbero molto limitata nello studio di chi l’ascoltava. E dato che per gli altri era tanto strano associarla a quella parola, aveva deciso di non averci nulla a che fare, abbandonare la compostezza ed urlare al mondo cosa pensava, faceva, vedeva. Si era addossata una strana immagine, odiosa, pestilenziale. A momenti non si sopportava da sola. Però una Hiiragi lo era per sempre, quindi qualcosa in fondo a lei si era fermato appartenente allo spirito fiero dei salvatori dell’umanità. Qualcosa di profondo e radicale, un parassita, una mania pericolosa che dopo la morte di sua sorella Mahiru si era scavato radici anche più profonde. Guren Ichinose diceva che era paranoia, ma Shinoa sapeva che non lo era. L’aveva avvertita attraversare la pelle candida, era la paura più incisiva, una tortura che quel nome l’aveva costretta ad accettare alla nascita che poi divenne la sua sentenza di morte. Strinse quel solitario abbraccio attorno a Mitsuba.
   «Shinoa?» sussurrò la bionda chiudendo il libro che stava leggendo.
   «No, continua a leggere, è più romantico» rispose nascondendo un sorriso di vita breve nell’incavo del collo dell’altra. Lei eseguì l’ordine, ripetendo nella propria mente le parole di quel testo che aveva rivisitato tante volte. La ragazza dai capelli lavanda uscì dal suo nascondiglio e si protese per leggere anch’ella. Tuttavia durante il viaggio una profonda tristezza gli stringeva il cuore: pensava alla giovane e graziosa signorina Bonacieux che avrebbe dovuto dargli il premio alla sua devozione. Distolse gli occhi e dopo una breve riflessione chiese: «I Tre Moschettieri?» Mitsuba annuì.
   «Ti deve piacere tanto, non so quante volte l’hai riletto quel coso. Ne hai di tempo».
   «Ne avrei se una certa persona non mi interrompesse ogni volta con le sue stupidissime scenette romantiche» si lamentò, questa volta chiudendo davvero il libro e liberandosi dalla presa di Shinoa. «Cosa c’è, devi dirmi qualcosa?»
   «Come sei acida! Non posso coccolarti un po’ senza strani secondi fini sotto?»
   Mitsuba si alzò dal divano, dirigendosi verso la cucina. Tornò dopo qualche minuto con una bottiglia d’acqua e due bicchieri di vetro. Hiiragi la osservò silenziosa mentre svitava il tappo di plastica, afferrava con tutte e due le mani la bottiglia, l’inclinava delicatamente, versava il liquido in entrambi i bicchieri e poi la chiudeva prima di appoggiarla sul tavolino vicino al tomo francese. La bionda afferrò e porse uno dei due oggetti in vetro a Shinoa che lo prese e bevve l’acqua in un sorso, sentendosi rinfrescata per un lasso di tempo non superiore a quello necessario per espirare l’aria nei polmoni. Poi lo rimise sul tavolo, sedendosi diritta sul divano. «Quel libro, non ti piace».
   «Non dire nulla, Sherlock» disse prima che Shinoa continuasse. «Non serve che me lo spieghi, ok? Non sbagli mai vicino a me, non serve che te ne approfitti». La paura che conficcava le sue radici nell’anima della sedicenne Mitsuba la conosceva bene. Si sistemò accanto a lei. «Diamine! Va bene, parla».
   Shinoa dispose le sue braccia imprigionando il collo della bionda, inginocchiandosi sui cuscini. Poggiò la testa su quella dell’altra. «E se piuttosto ti baciassi? Tanto sai già cosa ti dirò».
   «Esatto. Ma tu non mi vuoi baciare». Hiiragi chiuse gli occhi, cullandosi fra i capelli gialli e pigramente portò il suo viso davanti agli occhi di chi l’ascoltava. «Però tu sì». Mitsuba annuì di nuovo. «Allora che t’importa di cosa o chi voglio io?»
   «Hai incontrato il Tenente Colonnello?» domandò appena ricevette il bacio dalla viola.
   «Potrei». Obbligò la bionda a distendersi sul divano, adagiandocisi sopra. «Il tuo seno è dannatamente comodo».
   «Hai sbagliato?»
   Shinoa Hiiragi aveva dentro di sé il seme della salvezza, che non era stato indotto tramite esperimenti, lei era parte della nobile famiglia salvatrice dell’umanità! Per questo, anche se era una persona libera e senza obblighi nei confronti di quei caratteri scritti su carta e null’altro, aveva ancora un compito: non sbagliare mai, non sbagliare ed essere perfetta, non sbagliare e splendere; altrimenti, sarebbe morta come Mahiru Hiiragi che pur rimanendo sotto le lettere di suo padre, ha sbagliato ed ha pagato con la propria vita. Aveva sbagliato, Shinoa non sapeva esattamente dove, né come, ma sapeva che la sorella aveva amato Guren Ichinose e che aveva sbagliato. Aveva sbagliato. Guren Ichinose. Aveva sbagliato. Ed il fatto che si fosse innamorata di quello stesso uomo la spaventava. Era terrorizzata dallo sbagliare, dal cadere nel tranello che aveva attirato Mahiru nella sua follia per poi lasciarla cadere in un profondo baratro che l’ha portata da tutt’altra parte. Non c’entravano nulla i vampiri, i demoni e gli esseri umani, semplicemente si era rotta, quella fragile ragazzina riflessa negli occhi del suo Tenente Colonnello. Quell’anima tinta di un lilla, delicata come un fiore e pura come la crudeltà che l’aveva spezzata. Quella povera anima.
   Mahiru Hiiragi aveva lavorato con gli Hiiragi e con Guren Ichinose. Allora lei si era tolta il fardello di essere una Hiiragi e si era resa un piccolo peso per il suo amato.
   Mahiru Hiiragi aveva sbagliato. Allora lei, come Hiiragi e per evitare di incorrere nello stesso destino, non doveva sbagliare. Non doveva. Non doveva. Eppure... «Shinoa?» Eppure...
   «Mi... Mitsuba... Mitsu... ba...»
   «Shinoa?»
  «Novantanove, quasi cento. Quasi... quasi cento volte... in così pochi giorni...» spiegò affondando il viso in lacrime nel petto della bionda. Sarebbe stato bello essersi innamorata di lei invece che dell’uomo di sua sorella maggiore. Ah, eccolo, il centesimo. «Mitsuba, sono cento errori in tre giorni. Cento errori. Cento».
   «Shinoa» la chiamò ancora. «Stai piangendo, lo sai?»
   «Non è... vero! Non sto piangendo» sorrise. «È solo che mi è finito qualcosa negli occhi» asserì, scherzando. L’altra sorrise. «Va bene, va bene».
   Passò la notte da Mitsuba. Si svegliò la mattina dopo sussurrando un triste «Centodue».

   La ragazza dai capelli viola ridacchiò soddisfatta quando posò l’ultimo foglio sulla torre di documenti che doveva evadere – perché in un modo o nell’altro, essendo capo della sua squadra ed essendo la sua squadra molto impegnata a combinare guai, si ritrovava a sbrigare le faccende burocratiche che le assegnava il Tenente Colonnello. Sistemò i fogli che minacciavano di uscire dalla pila oppure semplicemente non erano ben allineati. «E con questo, ho finito, Tenente Colonnello Guren».
   «Sì, ottimo lavoro, ora puoi pure levare il disturbo» rispose monotono l’uomo, mentre scriveva su altri fogli ancora. Era nascosto da un’infinità di registri e documenti, lanciando un’occhiata ad uno, trascrivendo qualcosa e poi rapidamente cercandone un altro per continuare il lavoro. Eh, chissà cosa c’era di tanto importante. Prese il contenitore che Guren si stava apprestando a sfogliare e saltellando dall’altra parte della stanza cercò qualcosa di incriminante, aspettando che il superiore si alzasse e le rubasse le informazioni che teneva in mano. «Cambiamenti nel corpo umano a contatto con un demone... tutta roba da manuale, mi aspettavo qualcosa di più specifico e particolare da lei!»
   «Allora, con tutta la delusione che hai in corpo, perché non mi riconsegni la roba da manuale, ragazzina?» disse, mentre era ancora seduto, battendo l’indice ritmicamente sulla scrivania per la fretta, ma senza agitazione evidente.
   «Uh, questa è interessante» bluffò Shinoa dopo aver sfogliato qualche pagina senza aver trovato nulla degno di nota. Sorrise, vedendo come Guren aveva interrotto il martellare del proprio dito. Socchiuse la bocca, allontanò la sedia dalla scrivania, si alzò, aggirò il mobile ed in pochi istanti fu davanti alla sedicenne, pretendendo il registro. «Ventotto. Allora c’è qualcosa in questo coso».
   «Shinoa. Come va con la tua paranoia?»
   «Eh?» Guren sfilò il suo obiettivo dalle mani dell’altra. «No, io non ho nessuna... paranoia...»
   «Allora... come va con la tua fobia? Riesci ad accettare i tuoi errori mentre farnetichi a Mitsuba di dimenticarsi la sua vecchia squadra?» continuò, sedendosi dove si trovava prima.
   Shinoa Hiiragi portò la mano al cuore. Quanti erano? Erano ventinove ora? O non contava? Aveva sbagliato? Aveva sbagliato. Aveva sbagliato. Guren Ichinose. Aveva sbagliato. Quanti errori aveva commesso Mahiru Hiiragi prima di arrivare al punto di non ritorno? Più di lei? Ovvio, dovevano esserlo, molti più dei suoi, milioni di volte di più, Shinoa d’altronde era molto cauta, non aveva modo di essere altrimenti. E Guren Ichinose? Quanti? Quanti errori? Guren Ichinose, prima di tutto, faceva errori? Con quella storia degli esperimenti, dell’amore, dei demoni, degli Angeli, dei vampiri... in quella rete di intrecci che era riuscito a ricostruire, poteva davvero permettersi un solo errore?
   «Quanti sono questa settimana? Ah, no, aspetta, il ventotto di prima era il conteggio, vero? Eh, stai peggiorando, siamo solo a Mercoledì» le disse. «È colpa di Yuu, forse? Ah, che barba, alla fine sei davvero una semplice ragazzina».
   «No» rispose, risvegliandosi dalla sua trance. «Cose come famiglia ed amore non mi interessano. Tenente Colonnello. È per colpa loro che Mahiru ha fatto tanti sbagli. Non farò lo stesso».
   «Sei una Hiiragi fino in fondo».
   «Eh?» Shinoa sentiva un groppo in gola; trenta? Trentuno? Quanti? Quanti? Poteva vederli, i suoi errori, che danzavano attorno a Guren, dietro alla catasta di fogli. Che espressione aveva in faccia? Rideva? Era disgustato? Come doveva rispondergli? «Odio questa sensazione, Tenente Colonnello. È spiacevole, ma è costante. Essere una Hiiragi, è crudele»; poi ci fu qualche momento di silenzio. Sentì le mani dell’uomo poggiarsi sul tavolo. «Non so spiegarlo, ma ho dannatamente paura di sbagliare ancora. Eppure sbaglio. E continuo a contare. E non lo sopporto. E t- lei! È il mio errore più grande! Mi trascina a farne altri ancora, ed ancora, ed ancora; mi trascina verso Mahiru!»
   «Oh».
   «Lo sento, il seme che sboccia, che prende parte alla mia distruzione, vedo l’inchiostro nero che si rovescia sul mio foglio bianco, lo vedo, e copre tutto, copre me ed è pesante, riesco a malapena a camminare, copre lei, Tenente Colonnello, lei è irrimediabilmente nero, non la vedo, è così vicino, ma se la toccassi mi contaminerebbe, sarebbe ancora più pesante... io non... non voglio, sbagliare, non voglio divenire nera, non voglio sbagliare, non voglio venire risucchiata come mia sorella! Io non sono una Hiiragi, ma dentro di me c’è ancora il pattume che alla mia nascita mi è stato messo sulle spalle, quelle cavolate sull’onore e la fierezza! Sbagliare?» alzò la testa, sorrideva. «Inammissibile! Sbagliare significa morire! Lei, proprio lei, lo sa! Lo sa: lei sbaglia? No, non se lo può nemmeno lontanamente immaginare quanto le costerebbe un errore! Lei, Tenente Colonnello, è così coperto di inchiostro che un solo errore la trascinerebbe via! O magari, è quello che vuole, dato che fino in fondo l’unica cosa che ha sempre voluto e sempre vorrà sarà Mahiru, che invece era un’Hiiragi.
   «Per questo ha scelto lei e non può accettare me?»
   Shinoa si coprì la bocca, respirando pesantemente per recuperare fiato. Anche sul campo di battaglia era così: un errore e sei morto. Questo, più o meno, era un concetto chiaro. Ed avrebbe tanto voluto esporglielo, rinfacciarlo se possibile, ma no, si mangiò tutto ancor prima di servirgli il tutto.
   «Quanti?» domandò Guren.
   «Cinquantaquattro».
   «Vuoi rimuoverlo, il seme?»
   Shinoa sospirò. Poi inspirò, espirò, inspirò, espirò. Più e più volte. Ancora. Si avvicinò alla scrivania e cercò gli occhi dell’uomo. Chissà, se questa storia degli errori fosse stata una raccolta punti, magari a molti di più, milioni di volte di più, il premio erano proprio loro. Ah, non doveva pensarci nemmeno.
   «Guren Ichinose, cosa nascondi?»
   «E tu? Cosa nascondi?»
   «Cinquantacinque».

   Shinoa Hiiragi era sincera. Forse era questo a metterla spesso nei guai. Era sincera fino al midollo e non nascondeva nulla, tranne forse il suo terrore per lo sbagliare, ma quello era un argomento che nel nero mondo che vedeva non usciva mai, solo Mitsuba era mai riuscita ad estrapolarglielo. D’altronde, che le importava di quello che sapevano gli altri sul suo conto: che sapessero pure! Se lei era su quella Terra ed erano a conoscenza della sua esistenza, allora potevano sapere tutto di lei, bastava chiedessero, no? Eppure realizzava che la gente nascondeva cose, tante cose, varie cose. Infatti Guren Ichinose non era per niente una persona sincera; onesta, sì, ma sincera no. Forse il suo armadio conteneva più scheletri di un cimitero. Mentiva  su un sacco di cose; gli esperimenti, l’ubicazione di sua sorella in quel momento... Ah! Cavolo, quanto avrebbe voluto essere quella stupida katana! Anzi, no, non lo voleva perché quella katana era un errore, era fatta di innumerevoli errori, ma era bellissima, sul campo di battaglia non sbagliava mai. Eppure lei stessa era uno sbaglio. Ma quello sbaglio veniva sempre preso in mano da Guren Ichinose! Shinoa Hiiragi continuava a commettere errori, mentre l’uomo mentiva e nascondeva e distruggeva.
   «Shinoa!»
   Eh, la voce di Mitsuba. Si coprì le orecchie, fingendo di non sentirla mentre la chiamava, la scuoteva e chiudeva la porta arrabbiata, arrendendosi. Mitsuba era proprio come lei, lei che sbagliava ed inciampava nell’oscurità di una camera vuota. Si sentiva così felice standole accanto. A volte. Aveva osservato Mitsuba, che sapeva tutto di lei. Mitsuba era una testa calda, era onesta, sincera e fedele. Aveva scoperto tutto di lei, nemmeno il suo corpo era più un segreto. Ed allo stesso tempo Mitsuba sapeva tutto di Shinoa. Quella reciprocità che non sentiva con il Tenente Colonnello era un sicurezza che non la tradiva mai. Voleva essere un Angelo, Shinoa, ma era un’Hiiragi.

   Shinoa Hiiragi aveva un calendario in cucina. Era appeso lì, dove doveva stare. Ogni Domenica era segnata con una penna rossa e sulle righe bianche c’era scritto un numero diverso. Li conservava, quei calendari. Anzi, all’inizio li bruciava, ma gli ultimi due li tenne nell’armadio. Sul primo c’erano scritti numeri come quattro e cinque, al massimo arrivava ad otto e di rado. L’idea di scrivere un dieci la rendeva nervosa in principio. Infatti fino ad un indefinito giorno, il calendario non presentò mai numeri con due cifre. Mai. Poi nel secondo iniziarono ad apparire i dodici, i venti ed i trenta. Si domandò cosa avesse scatenato tutto quell’orrore, quei numeri che si facevano sempre più alti. Girò il foglio, per vedere il mese successivo come si era evoluto. E le cose non sempre migliorano. In effetti, nel suo caso, peggioravano e basta. Lasciò il calendario cadere per terra e si buttò sul letto.
   Perché continui a girare attorno a Mitsuba?
   «Perché, Shi-chan, così lei non si allontanerà».
   «E t’importa veramente se quella ragazza ti resterà vicino o meno?»
   «Ovvio che mi importa, Mitsuba è...» si interruppe, rispondendo offesa e confusa.
   «Cosa? Pensaci bene, non puoi sbagliare né mentirmi» insisté il demone.
   «...preziosa?»
   Il demone rise, avvicinando la propria ombra alla ragazza. «E Guren? Anche lui è prezioso?»
   «Lui è uno sbaglio».
   «Ma tu sei Shinoa Hiiragi, ti è proibito sbagliare».
   «Che schifo» sputò chiudendo gli occhi. «Fa tutto schifo, è tutto nero, non voglio più respirare quell’aria piena di errori. Gli errori sono parte della vita, giusto? Errare è umano, io sono umana. Tu sei fortunata.
   «Non voglio più svegliarmi, Shi-chan».
   Il demone spalancò i suoi occhi – o quelli che dovevano esserlo – e si avvicinò ancora. «Shinoa Hiiragi! Che ne dici di commettere l’ultimo sbaglio? Poi tutto quello legato alla vita e la tua esistenza come essere umano sparirà, non potrai più sbagliare!»
   Shinoa resto in piedi, in silenzio, nella sua stessa mente. Rispondere sarebbe stato uno sbaglio?
   «Shi-chan... tu cosa sai di Guren Ichinose?»
   «Tutto».
   «Mi racconterai di tutti i suoi segreti?»
   «Certo».
   «Shi-chan... sono diventata debole?»
   «Debole nel corpo e nell’anima!»
   Il demone era paziente, poté notare Shinoa.
   «Shi-chan. Non posso».
   «Cosa? Farti possedere?»
   «Non posso svegliarmi, non ci riesco» spiegò Shinoa. Shikama Douji osservò brevemente la sua contraente.
   «Questo è esatto».
   Quello che era nero, quel mondo sbagliato, ora Shinoa Hiiragi nella sua paura, lo tingeva di rosso!

   I capelli color lavanda di Shinoa danzavano sul terrazzo della scuola, seguendola nei suoi movimenti aggraziati, mentre cantava di angeli. Non si stancava mai di quella melodia – sempre la stessa, bassa, violenta, deprimente melodia che intonava ad occhi chiusi, quella che aveva imparato da qualcuno, anche se non c’era nessun altro che la conoscesse oltre a lei. Mise un piede per terra, permettendo all’altro di levarsi, roteò e di nuovo, ancora, per sempre. E sorrise a quell’allegro ed infinito per sempre che l’accompagnava, delizioso, mentre gli occhi vispi, stanchi e chiari non accennavano ad aprirsi. Cosa c’era da vedere, poi? Una rete che le impediva di volare e qualche panchina corrosa dalla pioggia e dal Sole. Ad occhi chiusi, queste cose, come tante altre, non le vedeva. Era bello non vedere – non analizzare, non scrutare, non fissarsi sui comportamenti altrui solo per trarne egoistiche conclusioni – a volte. E cantava, cantava; la sua gola sempre attraversata da quella sinfonia di note create con la sua voce così comune, così noiosa, così grave, semplice ed articolata, sempre la stessa, ma bellissima. A Shinoa quella canzone ricordava tante cose, ricordava quelle cose che in vita aveva ignorato e che ora pagava, su quel terrazzo che silenzioso la ospitava e giudicava per ogni azione che nel tempo veniva ripercorsa. Ancora una volta, il riflesso di se stessa emulava senza calore alcuno le sue memorie.



 
Soundtrack(s); ...Squérez? (Lùnapop, album), Esoragoto Spiral (GUMI), Drag Me Down (One Direction), Faccio brutto (Fedez). Me ne approffitto per dire anche qui che a me il Fedez sentimentale di adesso fa cagare l'anima e preferisco quello trokato e sociale. PERCHE' IL MONDO DEVE SAPERE-
Allora. Avete presente lo schifo? Ma proprio schifo che proprio schifo massimo, più schifo dello schifo che è lo schifo dello schifo che fa proprio più schifo dello schifo? Ecco, non è nulla in confronto a cosa provo nei confronti di questa one-shot. Io la odio. Per varie ragioni. Innanzittutto, con il rispetto che provo per i suoi fan, io odio in maniera indicibile Shinoa (anche se shitsuba otp), troia lei e troia la sorella. Aka ^ odio questa one-shot ^, che è la mia prima fan fiction ufficiale nel fandom. Altra ragione per cui la odio è che mi rendo conto che non ho saputo sviluppare il tema della fobia (o almeno a me così piace tipo per niente). In teoria, con calma, ispirazione e tempo ( t a n t o  t e m p o ) potrebbe uscire fuori qualcosa di decente, più lungo, che analizza bene la faccenda. Mi spiego. Quando scrivo, non parto da "Shinoa fa questo", ma da "Shinoa è qualcosa perché". Non parto da un'idea concreta, ma da un concetto e questo mi richiede un determinato tempo, in base alla complessità del concetto e questo era veramente molto difficile, ovvero "Shinoa è amartofobica ma continua a sbagliare perché non vuole fare la fine di Mahiru ma allo stesso tempo è innamorata di Guren e cerca di imitare inconsciamente la sorella per questo" che poi si dirama in diverse azioni: "Shinoa sta con Mitsuba perché ha sbagliato e si sente al sicuro vicino a lei per questo", "Shinoa odia non sapere cosa nasconde Guren perché invece Mahiru lo sapeva" ed altre che ho sviluppato appena/non ho sviluppato. E la cosa mi fa rabbia. E vabbuò. Ok. Ora tipo copia incolo le note d'autrice dalla mail inviata a Miku quando ho consegnato la fan fiction perché via con le spiegazioni!

Innanzitutto, le ripetizioni. Sono ovunque. A me piace ripetere le cose; penso non ci sia nulla di stonante. Magari se una cosa non la ripeto a poche righe dalla prima volta, la ripeterò a fine storia. Poi spiegherò nel dettaglio alcune ripetizioni in particolare! Nella storia, Shinoa continua a ripetere numeri sempre crescenti nei vari dialoghi riferendosi ai suoi sbagli mentre parla ed agisce. Non sono affatto numeri precisi. Ad esempio, mentre parla con Guren: dai dubbi ventinove, gli errori diventano cinquantaquattro in un unico discorso. In quel discorso non ci sono abbastanza "errori" da raggiungere addirittura i cinquantaquattro, è ovvio, ma proprio perché Shinoa è amartofobica conta anche qualcosa che in realtà non ha sbagliato nella sua troppa premura – non so spiegarmi, ma penso sia abbastanza chiaro. I vari paragrafi (o analisi) iniziano con "Shinoa Hiiragi" od una volta con "la ragazza [...]", cosa che poi si ripete all'interno del paragrafo più volte, mentre l'ultimo paragrafo, quando lei è già morta, inizia con "i capelli color lavanda". Questo un po' per il discorso delle ripetizioni, un po' per il semplice motivo che mentre come Shinoa Hiiragi lei era umana, come anche se nonostante i sbagli esistesse, una volta morta e fallita come contraente di demone o anche più semplicemente come persona, non esista più, quindi il protagonista della frase che apre l'ultimo paragrafo non è più lei. Quindi qui inizio a spiegare un po' i vari paragrafi in ordine.
Primo paragrafo. Nulla da dire, tranne il fatto che quando Guren tocca la katana è come se toccasse Mahiru, quindi magari ha un po' colpa del fatto che poi Shinoa se la ricordi e corra via ma è tipo a libera scelta, so.
– Secondo paragrafo. "molto limitata nello studio di chi l’ascoltava" inizia a riferirsi alla fobia, ovvero, se si mostrava a qualcuno come Hiiragi, non poteva più studiarli per imparare a trattarli e quindi a non sbagliare quando parlava con loro, cioè, tipo. Non mi so spiegare, sì. "«Quel libro, non ti piace»". Mitsuba sa già che poi Shinoa le avrebbe spiegato tutti i messaggi di amicizia e lealtà ne I Tre Moschettieri che lei ricollegherebbe agli eventi passati, per questo non vuole sentire cosa dirà dopo questa frase, ma poi le dice di poter parlare perché allo stesso tempo non vuole farla sentir male perché la ama (<- shitsuba all the way). Il motivo per cui poi Shinoa non le dice nulla è che pensa che commetterebbe un altro sbaglio. Era chiaro ma visto che c'ero.
– Terzo paragrafo. "Aveva sbagliato. Aveva sbagliato. Guren Ichinose. Aveva sbagliato". Questo si ripete perché sono i pensieri che muovono Shinoa. Come un po' tutto quello che si ripete, ma questo è particolarmente evidente. "vedo l’inchiostro nero che si rovescia sul mio foglio bianco" è letterale, da qui in poi l'idea sarebbe che da qui in poi il lettore effettivamente immaginasse tutto quello che succede come lo vede Shinoa (tentativo vano immagino, ma sperimentare è sempre ok): la sua fobia, paranoia od ossessione la condiziona al punto tale che lo materializza visivamente. L'inchiostro è nero perché Mahiru fa parte della prestigiosa Black Serie (più che altro questa Shinoa è Mahirufobica I messed up a lot). "O magari, è quello che vuole". Lo dice lei chiaro e tondo, ma ora Shinoa sta insinuando che tutto quello che interessa a Guren sia Mahiru /infatti poi si lamenta della katana/. "Shinoa si coprì la bocca" non perché si pente di quello che ha chiesto (a Shinoa piacciono gli uomini adulti 8D 'sta sciaquetta) ma perché è semplicemente senza fiato e si deve riprendere perché non si sfoga mai e si tiene tutto dentro (infatti tutto quelo che ha detto è un po' quello che ho già scritto in precedenza come analisi). "Chissà, se questa storia degli errori fosse stata una raccolta punti, magari a molti di più, milioni di volte di più, il premio erano proprio loro" si ricollega a "Quanti errori aveva commesso Mahiru Hiiragi prima di arrivare al punto di non ritorno? Più di lei? Ovvio, dovevano esserlo, molti più dei suoi, milioni di volte di più", mettendosi a confronto con Mahiru. Ah, inoltre si riferisce a lei come Mahiru Hiiragi, ovvero come qualcuno che esiste, cosa che si ricollega al discorso di prima di come nell'ultimo paragrafo lei non esista più – mentre invece qui cerco di esprimere che Mahiru, anche se rotta e poco più di un demone, esiste eccome.
– Quarto paragrafo. Questo paragrafo serve a spiegare il titolo, infatti è l'ultimo che ho scritto perché non mi soddisfava come rendesse il testo rispetto al titolo che è importante. Cioè, dovrebbe esserlo, quindi, il titolo: l'omertà è una parola utilizzata per indicare in particolare l'azione, tendenza, abitudine di mentire e nascondere a favore della mafia, quindi si riferisce a come Guren non dica la verità riguardo certe cose (in questo caso gli Angeli e Mahiru BTW). "Nera" a causa della visione di Shinoa del mondo pieno di errori. "vibra nelle ossa" perché è qualcosa che la turba, influenza. Il titolo nasce per caso; ero sul gruppo Whatsapp e Giada si mette a cantare in una nota vocale Chi ha ucciso l'Uomo Ragno e fa "chi sia stato non si sa, forse quelli della NATO" invece che "della mafia" e si giustifica dicendo che sua madre la cantava così e visto che lei è del Sud mi è uscita "la sua è mera omertà!" e nulla mi pareva figo. Quindi io e la madre di Giada ci siamo scambiate note vocali e mh insomma ci ho pensato molto a questo titolo sì.
"Anzi, no, non lo voleva perché quella katana era un errore, era fatta di innumerevoli errori, ma era bellissima, sul campo di battaglia non sbagliava mai. Eppure lei stessa era uno sbaglio. Ma quello sbaglio veniva sempre preso in mano da Guren Ichinose! Shinoa Hiiragi continuava a commettere errori, mentre l’uomo mentiva e nascondeva e distruggeva." Questa è una sottospecie di spiegazione al perché anche se Shinoa ha paura di sbagliare (quindi non dovrebbe farlo) continua a farlo: nella speranza di essere Mahiru per Guren, ma non vuole morire o perdersi a causa del suo essere Mahiru. (Sono il mostro e tu mi hai creato, stessa filosofia, solo che ritorta due volte contro Shinoa) "Voleva essere un Angelo, Shinoa, ma era un’Hiiragi". Essere di Guren, Angelo, che è in parte una creazione anche di Mahiru secondo me, ma era un'Hiiragi, cosa che contraddice tutto il resto detto prima, ma perché Mahiru, che ora è un demone, non lo è più, quindi ha preso il suo posto cercando di avvicinarsi a Guren divenendo la Hiiragi che ora Mahiru non è più e quindi– basta, spero il concetto sia chiaro.
– Quinto paragrafo. Nulla da dire, immagino? Shinoa si fa possedere da Shi-chan. Basta.
– Sesto paragrafo. È la prima cosa che ho scritto, cioè, questo doveva essere l'inizio della one-shot che poi invece è diventato il finale infatti stona abbastanza. So. Allora nulla Shinoa è morta facendosi possedere dal demone quindi ora è costretta sulla terrazza della scuola. Bye. "a volte" si ricollega all'"A volte" sul fatto che Mitsuba la facesse sentire sicura rispetto a Guren, perché era un'assunzione egoistica nei confornti della ragazza e n u l la.
BEST NOTE D'AUTRICE 2015 BASTA DATEMI UN PREMIO e continuo a pensare di aver dimenticato qualcosa.
Btw, Miku mi aveva detto di aver trovato due errori di battitura. Ne ho corretti tipo tre mentre pubblicavo. Suprema can, bitches.
Ok, davvero, grazie per aver letto, bye.
   
 
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