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Autore: aturiel    24/08/2015    0 recensioni
Una storia è più semplice iniziarla dalla fine, dal punto in cui tutto si conclude. Ed è così che questa storia va avanti, o meglio indietro, come le vite di Aloïs, Rémy, Stéphane e Maurice.
Le loro vite s'intrecciano con legami diversi, si scontrano e si allontanano, e tutto per trovare la loro felicità nella grande e romantica città di Parigi.
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Terza classificata al contest "Lunghe, anzi... lunghissime!" indetto da Ili91 sul forum di EFP.
Sesta classificata al contest "I only write free!" indetto da MissChiara sul forum di EFP.
Partecipa al contest "Uno sguardo vale più di mille parole" indetto da Himeko Kuroba sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana, Rin Matsuoka, Sosuke Yamazaki
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mille anni, poi altri cento'
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Giorno -114, Parigi
Stéphane continuava a chiedersi che fine avesse fatto Rémy. Era venerdì e il venerdì si incontravano sempre, non avevano mai mancato un appuntamento. Per di più era venerdì 17 luglio, l'anniversario del giorno in cui avevano fatto per la prima volta sesso insieme: non poteva dargli buca, non lui.
Continuava a misurare con i passi la lunghezza del suo appartamento sudicio, scavalcando di tanto in tanto mucchi di vestiti o cataloghi sull'Australia. Non voleva ammetterlo, ma era preoccupato che gli fosse successo qualcosa: non era normale che non venisse proprio quel giorno. Guardò con aria sconsolata l'ora ancora una volta, poi si decise e compose il numero del suo amante. Dava libero.
«Pronto?»
La voce di Rémy risuonò attraverso il telefono, chiara e sicura come sempre.
«Ehi, Rémy, dove accidenti sei?» gridò in risposta Stéphane.
«Sono al lavoro. Dove dovrei essere, scusa?» rispose l'altro, infastidito.
«A casa mia, per esempio».
«Te l'ho spiegato l'altro giorno che oggi non sarei potuto venire visto che il mio capo mi ha praticamente obbligato a fare straordinario! Ma mi ascolti quando parlo?»
Stéphane si diede mentalmente dello stupido: è vero, gliene aveva parlato. Questo non significava, però, che gliel'avrebbe data vinta. Sibilò quindi, assurdamente arrabbiato con il compagno: «Va bene, ok. Divertiti al lavoro» e chiuse la chiamata senza nemmeno salutarlo.
Si sedette sul letto, afferrò una delle guide turistiche sull'Australia e incominciò a sfogliarla rabbiosamente: c'erano immagini di luoghi paradisiaci, barriere coralline, natura incontaminata e poi città ultra-moderne dalle architetture spigolose e slanciate. Un Paese di contrasti, con il centro deserto e le coste al limite del sovrappopolato. L'Australia era un'isola buttata per caso in mezzo all'oceano, nata come luogo di detenzione e trasformatasi in una meta ambita da ogni turista che si rispetti. Era attratto da quel continente in un modo che non riusciva a spiegarsi: forse perché credeva che tutti gli uomini fossero isole, al contrario di Jon Bon Jovi, forse perché sapeva che Rémy vi aveva trascorso gran parte della sua adolescenza, forse perché era sempre stato incuriosito dalla lunga barriera di coralli che ne delimitava le coste sotto la superficie dell'acqua. Non sapeva con esattezza quale di quelle ipotesi fosse esatta e forse erano semplicemente tutte corrette. Eppure in quel momento stava odiando quel continente ai confini del mondo e desiderava solo di non aver deciso, finalmente, di interessarsi a come raggiungerlo realmente.
Quello era un giorno speciale: avrebbe dovuto chiedere a Rémy se voleva tornare in quel luogo che conosceva così bene, ma questa volta insieme a lui e su una romantica barca a vela e invece quello stronzo non si era presentato. Ma, d'altronde, si sa che non si può restare su un'isola per sempre: ogni tanto bisogna scendere sulla terraferma e rendersi conto che non tutto è bello e luccicante come potrebbe sembrare visto da lontano e illuminato dai raggi del sole .
Era una delle prime volte che tentava di compiere qualcosa che fosse gradito, gradito davvero, a Rémy e non credeva che ci avrebbe più provato: voleva bene a quel ragazzo testardo, forse lo amava, però non sarebbe riuscito, ora, a proporgli quel viaggio. L'occasione era passata, e adesso avrebbe solamente voluto ritornare ad essere un'isola, un'egoista isola senza legami (1).

 
****

Era un giorno qualunque per Maurice, una di quelle solite giornate afose e calde che facevano passare la voglia di uscire dalla doccia, perennemente regolata affinché uscisse acqua gelida. Le scuole erano chiuse ormai da più di un mese e sentiva già la mancanza dei suoi bambini, come se fossero passati anni dall'ultima volta in cui li aveva visti e non poche settimane. E sentiva anche la mancanza di Aloïs che, ormai da tre giorni, non si faceva vivo. Non era colpa sua: era dovuto partire per una gara di nuoto ed era assolutamente da lui evitare ogni contatto con la tecnologia quando era impegnato, figuriamoci quando c'erano in gioco le selezioni alle nazionali di quella stagione! Tutto ciò però non toglieva che Maurice desiderasse più di ogni altra cosa rivederlo, e al più presto. Per fortuna sarebbe successo a breve: nel primo pomeriggio avrebbe avuto i suoi 200 metri stile – perché lui nuotava seulement Freestyle (2) –, poi sarebbe tornato a casa e per le sei e mezza di sera massimo avrebbe potuto riabbracciarlo.
Maurice sorrise al pensiero della sua testa bagnata dall'acqua trasparente della piscina che, ritmicamente, si voltava a destra e a sinistra per la respirazione. E sorrise ancora più apertamente immaginandosi il compagno che, finita la sua gara, si sfilava gli occhialini e la cuffia e iniziava a scuotere il capo spargendo goccioline d'acqua ovunque. Non aveva mai capito a cosa gli servisse fare quel movimento, visto che l'unica cosa che otteneva era che i suoi capelli lisci si intrecciassero in un modo che, prima di conoscerlo, riteneva impossibile per un taglio così corto. Aveva passato ore intere a cercando di districare quei nodi con il pettine di legno dipinto che i bambini gli avevano regalato per il suo compleanno e Aloïs si era fatto pettinare da lui con pazienza e rassegnazione, quasi come se Maurice si trattasse di una mamma.
Da quando si ricordava, Aloïs era sempre stato immerso in acqua: la prima volta in cui l'aveva incontrato era stata quando i loro genitori, che erano amici da tempo, avevano deciso di farli conoscere con la speranza di farli diventare, a loro volta, amici per la pelle. La cosa divertente era stata che, in realtà, all'inizio non erano andati particolarmente d'accordo: Aloïs aveva chiesto insistentemente a sua madre di portarli al parco acquatico, mentre Maurice... beh, Maurice non aveva ancora imparato a nuotare. Quindi avevano optato per un parco giochi qualsiasi, e Aloïs aveva tenuto per tutto il giorno il muso a quello che poi sarebbe diventato il suo migliore amico – e poi il suo amante –, e se n'era stato per conto suo sull'altalena. E quando, alla fine della giornata, Maurice gli aveva chiesto per l'ennesima volta di giocare con lui, Aloïs si era alzato e l'aveva preso per mano. Ma, se lui sperava che finalmente fosse riuscito a convincerlo a diventare suo amico, Aloïs, con una forza insospettabile per un bambino di otto anni con un aspetto così fragile, lo aveva sollevato e lo aveva gettato nella fontana che c'era al centro del parco, seguendolo anch'egli dopo poco con un piccolo salto. Com'era ovvio, Maurice si era spaventato tantissimo e si era messo a piangere e solo sua mamma era riuscita a calmarlo, mentre Aloïs l'aveva guardato di sbieco, quasi accusandolo per essere così incapace a stare a galla.
Ogni ricordo che il ragazzo aveva del suo compagno era legato all'acqua, in un modo o nell'altro, e niente e nessuno l'avrebbe mai allontanato da essa. Erano come due identità di natura separate ma che, per un motivo che ancora non comprendeva, diventavano tutt'uno. Ed era accaduto alle medie, quando aveva deciso di frequentare la piscina davanti a casa sua, era accaduto alle superiori, quando era stato descritto come un “fenomeno del nuoto” ed era entrato a far parte della squadra di agonismo vincendo anche numerose gare. Maurice non si stupiva che, alla fine, nuotare fosse diventato il suo lavoro, ciò che lo manteneva e lo rendeva felice e realizzato.
Eppure era sempre stata l'acqua a separarli, ogni volta: già dal loro primo incontro era stata lei a farli litigare e alle medie non potevano mai uscire o anche solo passare il pomeriggio insieme a studiare; alle superiori Maurice era stato il suo unico amico poiché, ad accompagnare la difficoltà di parlare col suo solito silenzio pesante e il viso inespressivo che, seppur bello, era decisamente glaciale, si aggiungeva il fatto che non poteva vedere nessuno fuori dall'orario scolastico a causa dei suoi continui impegni agonistici. Poi c'era stato quel terribile periodo in cui Aloïs era scomparso dalla vita di Maurice: per un anno intero – e forse per qualche mese in più – i due avevano completamente smesso di frequentarsi, creando un vuoto fra loro che si sarebbe colmato solo dopo alcuni mesi, mesi in cui Maurice aveva capito che il profondo affetto che provava per l'amico non era completamente disinteressato come aveva sempre pensato, ma che, al contrario, col tempo era diventato come affamato di qualcos'altro che non si riduceva alla semplice amicizia.
Era stato difficile per lui esternare i suoi sentimenti, non tanto perché aveva paura di essere rifiutato – anche se, lo ammetteva, il pensiero di poter rovinare nuovamente la sua amicizia con Aloïs lo terrorizzava –, ma quanto più perché l'aveva sempre ritenuto una sorta di asessuale. Non aveva mai avuto, per quanto ne sapesse, relazioni amorose con qualcuno, né donna né uomo, e non ne avevano nemmeno mai parlato. Non sembrava interessato all'amore, pareva che avesse invece deciso di legarsi sentimentalmente solo a una cosa: l'acqua. E invece, con quel suo solito silenzio a sigillargli le labbra, aveva colmato ogni distanza tra loro e l'aveva baciato sul letto di quell'albergo in Giappone. Era accaduto l'impensabile e, ancora ora, dopo più di un anno di distanza, si stupiva di poter dire che sì, proprio Aloïs era il suo pètit ami.
Stava ancora sorridendo tra sé e sé a quei pensieri, quando il suo cellulare vibrò, segnalandogli l'arrivo di un messaggio. Era proprio di Aloïs: “Il treno è in ritardo di 20 minuti e dicono che potrebbe accumularne altro durante il viaggio. Scusami, Maurice.”
Rilesse più volte il messaggio e sospirò: pareva troppo bello per essere vero che, per una volta, riuscissero a vedersi esattamente il giorno e l'ora prestabiliti, senza ritardi o due di picche. Si gettò, sconsolato, sul letto matrimoniale e incominciò a pensare a un ristorante che stesse aperto abbastanza a lungo per permettere ad Aloïs di riposarsi, a Maurice di convincerlo a uscire e a entrambi di salutarsi, prima, per bene.

 
****

Rémy era a dir poco infuriato: prima il suo capo lo aveva obbligato a fare straordinario per poter tenere di domenica aperta la pasticceria anche quella settimana, visto che “era luglio, e a luglio tutti hanno più voglia di dolci” – sue testuali parole – quando lui avrebbe dovuto essere nell'appartamento del suo ragazzo a fare ben altre cose con la panna; poi una mamma aveva pensato bene di dare il pacchetto che Rémy aveva appena confezionato a un bambinetto di poco più di quattro anni perché non facesse i capricci e quello, in meno di tre passi, era riuscito a farlo volare per terra, spiaccicando completamente la torta al suo interno. Al bambino era venuto un attacco di pianto, alla madre una crisi isterica e al pasticcere un'improvvisa voglia di mandare tutti al diavolo e tornarsene a casa. E con chi se l'erano presa tutti quanti? Avec lui (3). Infine, Stéphane l'aveva chiamato e aveva dato di matto, facendolo sentire ancora più in colpa.
E ora finalmente, alle ore sette e ventitré del giorno venerdì 17 luglio, poteva tornarsene a casa e trascorrere una serata di meritato riposo. Andò nel retro della pasticceria, si sfilò il grembiule e il resto della divisa, si sciacquò un poco il viso con l'acqua del rubinetto, salutò il pasticcere e uscì da quel terribile luogo. Fece poca strada a piedi, dal momento che Stéphane abitava vicino a una fermata della metropolitana ed era il suo ultimo desiderio camminare per più di quaranta minuti dopo essere uscito dal lavoro. Quindi fece il biglietto e – nel pieno della sua pigrizia – prese l'ascensore. Poco prima che le porte si chiudessero, un piede si infilò nel piccolo spazio che era rimasto vuoto e un ragazzo dall'aria stranamente familiare si intrufolò all'interno della cabina, trascinandosi dietro una valigia blu scuro.
Rémy incominciò a scrutarlo, cercando di capire dove avesse già visto quei capelli neri in contrasto con la pelle bianca come porcellana e con gli occhi di un azzurro così intenso da parere finto. Osservò attentamente le lunghe dita e il fisico decisamente prestante, ma fu interrotto dalla voce pacata dell'altro che, infastidito, gli chiese: «Si può sapere perché continua a guardarmi?»
La sua voce ebbe un effetto totalmente inaspettato su di lui, perché gli ricordò immediatamente due parole che componevano un nome: «Ma lei è... lei è Aloïs...-» si interruppe un attimo per cercare di ricordare il cognome, poi aggiunse: «Aloïs Neveu, giusto?»
L'altro lo guardò con aria stupita, quindi gli chiese: «Ci conosciamo?»
«Sì..., cioè, non proprio. Sono il cameriere di una pasticceria in cui è venuto qualche giorno fa».
Aloïs sembrò frugare mentalmente nella sua memoria alla ricerca di quel viso, quando parve ricevere un'illuminazione: «Rémy, tu ti chiami Rémy»
«Exact (4), sono Rémy» disse, sorridendo all'improvviso passaggio alla seconda persona. Poi chiese: «Torni da un viaggio?»
«Più o meno. Torno da una trasferta».
«Sei uno sportivo?» chiese Rémy, incuriosito.
«Sì, io nuoto».
Rémy trattenne a malapena un sorriso. Certo che sei un nuotatore: chi altri può avere un fisico del genere?
Ad un tratto, però, i pensieri di Rémy vennero interrotti da un improvviso scatto che scosse tutta la cabina dell'ascensore. La luce, per qualche minuto, andò a intermittenza, quindi la cabina si bloccò completamente. Rémy guardò Aloïs, quindi iniziò a premere ogni tasto sulla pulsantiera, senza successo.
«Accidenti, siamo rimasti chiusi in ascensore» disse Rémy, sempre più convinto che, alla fin fine, la credenza che il venerdì 17 portasse sfortuna fosse vera.
«Suoniamo l'allarme» propose Aloïs.
«Decisamente: non ho voglia di rimanere qui per ore».
«Nemmeno io» disse, quindi premette il pulsante giallo con il simbolo di una campanella disegnato sopra.
Rémy si sedette per terra, con aria sconsolata: avrebbe dovuto essere a casa con Stéphane, non lì ad aspettare che qualcuno li tirasse fuori da una cabina dell'ascensore. Il suo ragazzo si sarebbe arrabbiato di sicuro, anche se non era colpa sua e probabilmente avrebbero finito per litigare.
Si sentiva sempre più in trappola e non solo per colpa di quel guasto: era un anno intero che stava con Stéphane e, per quanto fosse sicuro di amarlo, non poteva che sentirsi soffocato da tutto ciò che gli imponeva, anche se involontariamente. Non poteva rimanere quasi mai a cena da lui, perché non voleva che occupasse i suoi spazi per troppo tempo, non poteva sperare di andare nel suo appartamento e tornare a casa senza aver fatto sesso, non poteva venire a prenderlo al lavoro perché aveva paura che qualcuno dei suoi colleghi avrebbe iniziato a dare problemi e, allo stesso tempo, neanche Stéphane si era mai fatto vedere fuori dall'ingresso della pasticceria. Si arrabbiava in continuazione, parlavano poco di cose realmente serie e scherzavano sempre in modo sarcastico; gli offriva sempre sigarette anche se sapeva che Rémy stava tentando di smettere di fumare, aveva più fame di sesso che di una conversazione e lo vedeva più come un amico di letto di un vero e proprio ragazzo con cui aveva intrapreso una relazione... eppure non lo aveva lasciato, e molto difficilmente ci sarebbe riuscito. Aveva un qualcosa di magnetico: forse era il suo modo di muoversi, parlare, sorridere o guardare, ma comunque esercitava su di lui una forza d'attrazione abbastanza potente da impedirgli anche solo per un secondo di sottrarsi alla sua orbita di controllo quando stavano insieme. E così l'assecondava sempre – o quasi – e non diceva di no alle ore di sesso, alle sigarette e alle sue stupide limitazioni.
Guardò di sottecchi Aloïs e percepì una sensazione strana, come se sentisse di conoscerlo da anni. Nei suoi gesti eccessivamente controllati c'era un qualcosa di familiare, le dita lunghe e affusolate parevano quelle di una donna, e furono proprio le mani a provocargli un curioso déjà-vu: vide quelle stesse dita muoversi sapientemente su e giù, cucendo una stoffa rossa all'apparenza molto preziosa. Quell'immagine gli suscitò uno strano sentimento di nostalgia che non riusciva a comprendere. Che cosa stava succedendo?
I suoi pensieri vennero però interrotti dalla voce di Aloïs che parlava al telefono con qualcuno: «Ciao, Maurice. Spero che sentirai questo messaggio: sono rimasto bloccato in ascensore, quello della metropolitana. Non so quando riusciremo a uscirne, ma abbiamo chiamato i soccorsi. Arriverò, te lo prometto. A dopo».
Rémy lo osservò, incuriosito: «Con chi parlavi?»
«Con la segreteria telefonica».
Simpatico, il ragazzo. Si ritrovò a pensare Rémy, con sarcasmo.
«La segreteria telefonica di chi?»
«Di Maurice».
«E Maurice è...?»
«Il est mon pètit ami (5)»
Ah, ecco. Quindi è fidanzato ed è pure gay, cosa non così sorprendente visto il suo aspetto.
«Dovevi andare da lui?»
«Già, ma non sono affari tuoi».
No, mi correggo. È decisamente sorprendente che qualcuno stia con un tipo così.
«Anche io stavo andando dal mio, mh..., dal mio ragazzo».
«Quindi hai anche tu un pètit ami» concluse lui.
«Sì, anche se non è esattamente un fidanzato...»
«E cosa sarebbe?»
«Uno con cui faccio sesso volentieri».
«E tu fai sesso volentieri anche con gli amici o con gli sconosciuti?» chiese lui, come se fosse sinceramente stupito.
O vive fuori dal mondo, oppure è un grande stronzo.
«No, lui è più di un amico... è, come dire, un milleur ami (6)».
Aloïs sembrò pensarci un attimo, poi disse: «Anche Maurice è il mio migliore amico».
«Allora vedi che capisci» rispose quindi Rémy, con un sorriso sollevato.
Era difficile conversare con lui, eppure continuava a sentire quel presentimento, quella sensazione di conoscerlo da sempre, come se si fosse dimenticato di qualcosa di molto importante.
Poi fece un'altra domanda, di cui lì per lì si sarebbe pentito ma che, col senno di poi, sarebbe stata la miglior domanda che avrebbe potuto porgli: «Ma senti, Aloïs, tu pensi che potresti stare con un altro ragazzo che non sia Maurice?»
«E con chi altro dovrei stare?» chiese, guardandolo di sbieco, come se si domandasse che accidenti di pensieri passassero per quella testa rossa.
«Non so... un qualcuno che incontri per caso, con cui senti uno strano lien, un collegamento, o che è come se conoscessi da anni, anche se in verità ci hai scambiato solo poche parole».
«Con qualcuno che mi attrae?» chiese, alzando leggermente un sopracciglio.
«Sì, esatto. Conosci la leggenda giapponese del filo rosso del destino (7)
Sorrise un poco, per la prima volta in quella giornata. A Rémy sembrò che tutti i suoi muscoli si distendessero e che l'atmosfera si fosse fatta stranamente più leggera: «Sì, la conosco».
«Ecco. Se incontrassi qualcuno che senti che è la persona a cui sei legato dal filo rosso, saresti disposto a stare con lui, anche se hai Maurice?»
Ma, prima che Rémy potesse sentire la risposta, l'ascensore ricominciò la sua discesa. Ci vollero pochi secondi perché arrivasse al piano dove entrambi avevano necessità di andare, e Rémy quasi si dispiacque che, dopo quasi mezzora, la cabina avesse ripreso a funzionare.
Arrivati infine alla metropolitana, i due entrarono nello stesso vagone, spingendo un poco per entrare. Aloïs si trascinò dietro la sua valigia e si mise in fondo allo scompartimento, così da non dare fastidio a nessuno con il suo bagaglio, quindi Rémy lo seguì.
«A che fermata scendi?» chiese il giovane dai capelli rossi, morbosamente curioso di sapere quanto tempo ci sarebbe voluto perché si separassero, forse per sempre.
«Tra cinque fermate».
«Ah, perfetto. Io tra quattro» rispose.
Trascorsero le prime due fermate in silenzio, limitandosi a guardarsi solo di sottecchi, quindi Rémy cercò di ricominciare il discorso iniziato prima in ascensore: «Allora, Aloïs, lo faresti? Staresti con qualcun altro che non sia Maurice?»
«Dipende».
«Da cosa?»
«Dipende se quest'altra persona percepisce lo stesso legame che io sento. Perché se si tratta di una cosa unilaterale, significa che mi sono sbagliato e che non c'è nessun filo rosso del destino a unirci».
Rémy sentì una scarica di brividi e adrenalina scorrergli per tutta la colonna vertebrale. Che Aloïs gli stesse davvero chiedendo implicitamente di dargli un segnale? Che davvero quel bellissimo giovane vicino a lui percepisse la stessa sensazione di profonda unione che sentiva lui? Non ne era per nulla certo, ma tentò il tutto per tutto: «Anche io seguirei il mio filo rosso, se fossi certo che anche l'altro ricambi».
Rémy vide Aloïs alzare lo sguardo su di lui, come a volerlo scrutare in profondità. Poi sussurrò, talmente piano che a Rémy venne il dubbio che fosse stato solo frutto della sua immaginazione: «Je te connais, Rémy, je sens une connexion avec toi (8)».

 
****

Le porte della metropolitana si chiusero per la terza volta da quando erano entrati, quindi ne mancava solamente più una, e la prossima sarebbe stata l'ultima. Aloïs si avvicinò un poco a Rémy, cercando di focalizzarsi su quella sensazione che aveva percepito nell'ascensore. Gli sembrava davvero di essere legato a lui da qualcosa, da un passato oscuro di cui né lui né Rémy avevano memoria, ma che comunque si stava manifestando. Come se fosse già accaduta una cosa del genere, come se quel desiderio bruciante e totalizzante che provava appartenesse in realtà a un altro Aloïs Neveu, lontano secoli e spazi. Sentiva che l'unica cosa davvero giusta per lui era avvicinarsi ancora all'altro, prendergli le mani e baciarlo, tuttavia si sentiva bloccato. Non era mai stato una persona particolarmente razionale o normale, ma capiva che baciare un uomo quasi sconosciuto perché gli pareva di averlo già incontrato in un'altra vita era totalmente folle e insensato.
Ci pensò Rémy a mettere a tacere tutto ciò che la sua testa stava farneticando: colmò l'ultima distanza fra loro e, incurante degli altri passeggeri che li guardavano con un misto di curiosità e disgusto, posò le proprie labbra sulle sue.
Aloïs si sentì come se fosse la prima volta che baciava qualcuno: provò un tale senso di smarrimento che gli venne quasi un capogiro, ma si aggrappò alla schiena di Rémy e restò in piedi ancora un poco, approfondendo il contatto. La bocca del ragazzo tremava, e Aloïs era incerto se si trattasse di desiderio represso o di semplice paura, eppure era convinto che stesse sentendo esattamente lo stesso mare di emozioni che stavano scuotendo il suo di corpo fin nel profondo.
Continuarono a baciarsi per tutto il tempo che rimaneva loro, finché anche la quarta fermata sopraggiunse, troppo presto. Rémy quindi si staccò da lui e sussurrò: «Passa in pasticceria uno di questi giorni, se ti va».
Aloïs, ancora stranito da quel bacio, annuì piano, non fidandosi delle parole, e salutò con lo sguardo e un lieve sorriso l'altro ragazzo che, velocemente, si allontanava.
Sarebbe passato certamente in pasticceria, l'avrebbe di certo incontrato ancora. Ma ora c'era un altro problema che lo attanagliava e che lo faceva sentire terribilmente in colpa: cosa fare con Maurice?
Si diresse a casa del compagno, trascinandosi dietro la sua fida valigia blu scuro contenente tutto ciò che era necessario per una trasferta di tre giorni, quindi coprì la poca distanza rimanente che lo separava dall'appartamento che condivideva con Maurice. Dopo poco suonò il campanello e aspettò che l'altro gli aprisse, conscio del fatto che Aloïs non portava mai le chiavi nei suoi viaggi per lavoro per paura di smarrirle. E, di fatti, dopo poco la porta si aprì e Aloïs poté salire.
Appena entrò in casa, un Maurice spettinato e vestito con una semplice tuta lo accolse con un dolce bacio e con una domanda: «Come sono andate le selezioni?».
Aloïs sorrise un poco, sorprendendosi ogni volta di come, nonostante i suoi soliti ritardi, sapesse preoccuparsi sempre per lui prima che di se stesso. «Bene. Sono passato».
Il suo compagno quindi sorrise e disse: «Ah, lo sapevo che il grand prodige (9) avrebbe massacrato tutti con il suo Freestyle (10)...! Motivo per cui gli ho preparato una cosina» aggiunse, trascinandolo in cucina.
Lo spettacolo che si parò di fronte ad Aloïs era qualcosa di semplicemente bellissimo: la loro banale sala da pranzo era ricoperta di candele di un tenue azzurro e di delicate rose bianche, un leggero profumo d'incenso si spargeva nell'aria e in forno si stava cuocendo un enorme sgombro dorato. Aloïs quindi guardò Maurice e, cercando di soffocare il senso di colpa che stava provando, lo baciò con ardore, spingendolo contro il tavolo e cercando il più possibile un contatto con lui. L'altro rise davanti a tanta intraprendenza e sussurrò: «Mi sei mancato, Aru».
Il ragazzo deglutì a vuoto, sentendo una sensazione sgradevole in fondo allo stomaco, quindi rispose: «Anche a me sei mancato, Maurice».
E mentre l'altro iniziava a spogliarlo, cercò di scacciare la sensazione delle calde labbra di Rémy dalla sua testa.







 

Note:
1 → Qui faccio riferimento a uno dei monologhi del film “Abaout a boy”, dove il protagonista afferma di trovarsi in disaccordo con l'affermazione di Jon Bon Jovi “Nessun uomo è un'isola”. Qui potete trovare la citazione completa.
2 → solamente stile libero.
3 → con lui.
4 → esatto.
5 → è il mio fidanzato.
6 → migliore amico.
7 → La leggenda del filo rosso del destino dice che ognuno ha un filo rosso legato al mignolo della mano che lo lega a un'altra persona, e che non importa quanti nodi o intrecci ci siano in questo filo, ma alla fine i due sono destinati a incontrarsi.
8 → “Io ti conosco, Rémy, io ho una connessione con te.”
9 → grande prodigio.
10 → stile libero.

In questo capitolo, e in particolare nel primo bacio fra Aloïs e Rémy, inizia finalmente a sentirsi l'idea che lega tutta questa serie di mini-long: due anime che si conoscono e innamorano in un'epoca passata e che, superando il tempo e lo spazio, si rincontrano periodicamente vivendo nuovamente la loro storia d'amore. Questa volta, però, entrambi hanno la sensazione di conoscersi già, e Rémy ha un déjà-vu che gli ricorda le dita di Aloïs quando era stato Aruse (in Liberum – Libero, per capirci), mentre cuciva la stoffa rossa (che, tra l'altro, è il colore che invece domina in tutta la prima mini-long). Questo perché la serie sta giungendo al termine, e più avanti vanno più si renderanno conto di essere legati in qualche modo, forse proprio dal filo rosso del destino.
Sì, sono un'inguaribile romantica, ma lasciatemi sognare xD.
   
 
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