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Autore: Ronalene    25/08/2015    6 recensioni
[SonicTheHedgehog2006][SilvAze][Accenni SonAmy]
Estratto dal 4°capitolo)
“Non c’è bisogno di parole, c’è solo la voglia di rimanere chiuso in quell’abbraccio per tutta la vita, perché all’improvviso tutto sembra chiaro e stranamente vero, vicino, vivo. Quando respira, il petto di Shadow si solleva e gli sfiora la schiena, ed è un contatto che gli colma il cuore di speranza. Cosa sono, quelle due anime di rimpianti strette l’una all’altra, alla ricerca di conforto e luce? Sono due guerrieri persi nel tempo, Silver se ne rende conto solo ora, vivono entrambi in un mondo che ha voltato loro le spalle e si nutrono di ricordi, di sentimenti consumati dalla sofferenza e piangono qualcosa che non riavranno mai più.”
...
Lei non c'è più; lui può continuare a vivere?
Ronalene
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaze the Cat, Shadow the Hedgehog, Silver the Hedgehog, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Sonic The Hedgehog(2006)/[Silver’s Story] © SonicTeam, SEGA

N/A Ciao a tutti! 
Beeene, sono le 13.19 e io sono impalata davanti al pc senza la più pallida idea di che scrivere;
ho i capelli sporchi e tra due ore devo prendere un treno per andare dai miei amici in spiaggia. 
Ma qui piove porco Chaos (?) 
I think I've had enough, am I get a little drunk?
Tornando seri, se siete deboli di cuore avete sbagliato storia, cari. Avevo voglia di scrivere una cosa e m'è venuta una storia più magone del Titanic.
Questa multicapitolo si basa sulla teoria che Shadow sia effettivamente immortale (se si prendesse una pallottola nel cervello morirebbe, OKAY, ma con una buona dose di fortuna vivrebbe in eterno),
e non è che me lo sia inventato io. E' così, fullstop.
Per questo obbrobrio dovete incolpare principalmente GabahSiwbaobab; io, invece, la ringrazio di tutto cuore. 
Lei sa che la amo tanto, e mi sopporta da ormai un paio d'anni, tutti i santi giorni. Vuoi sposarmi, Gabahmia?
E per voi invece, hope you enjoy! 
Hasta la pizza,
-Ronalene.

*

And I’ve lost who I am
And I can’t understand
Why my heart is so broken
Rejecting you love
Without love gone wrong
Life
Less words
Carry on

― Trading Yesterday

*
 

Il vento è un soffio fresco di primavera, pregno di mille odori profumati, e scivola leggero intrecciandosi ad una corrente da ovest; quando entra dalla finestra appena schiusa diventa un sibilo vibrante che s’infrange sulle tende e le incoraggia a danzare ad un ritmo cadenzato e melodioso. La brezza increspa un angolo del foglio e lui si affretta a stendere l’orlo piegato, affronto alla sua piccola opera. La matita si muove a sprazzi, carezzando dolcemente la superficie cartacea ed ogni volta tratteggia un pezzo della sua anima. Gli occhi la seguono a scatti senza mai perderla e con estrema precisione si delineano curve morbidamente perfette. Il disegno è già completo da qualche minuto, ma continua ad indugiare sull’area del volto, quella che comprende il sorriso e come sempre il nodo alla gola si stringe, comincia a raschiare dolorosamente la laringe. Perché quella non è altro che una linea spezzata, labbra piatte e prive di colore, non somiglieranno mai, mai, neanche lontanamente alle sue. Si morde la guancia, gli occhi già arrossati sono annacquati da un velo lucido, il respiro si fa più difficile. Vigliacco, lei non avrebbe voluto che piangessi per così poco. Lei avrebbe voluto che imparassi a rialzarti, invece di compiangerti come un bambino con una sbucciatura sul ginocchio. Sente una voce ovattata e lontana, ma la ignora, d’altronde non è la prima volta che dei ronzii gli disturbano la mente. Torna a guardare il foglio, effimera e stupida rappresentazione di un concetto ormai astratto, che vive solo nella sua testa e non esiste più, non più.
«Silver!»
Alza lo sguardo ambrato, in un’unica rapida mossa. Shadow è in piedi dall’altra parte della tavola e lo osserva, i suoi occhi sono quasi spalancati e inghiottiti in una spiacevole sensazione di confusione. Silver non si è accorto del suo rientro, come al solito. Ora le loro iridi si squadrano come magnetizzate e attratte le une dalle altre, in uno scambio di sguardi che mette entrambi in lieve disagio.
«A-Ah, ciao Shadow.» Lo saluta con una voce stanca, il tono più acuto di prima.
Shadow stacca i palmi dal legno, gira intorno al tavolo in quercia per raggiungere la cucina e lui inghiotte il malloppo bloccato in gola di poco fa. Vede il riccio nero aprire la dispensa, poi l’anta di una delle piccole credenze affiancate, e ancora il frigorifero; alla fine, si volta verso di lui, l’espressione mutata in una di rimprovero.
«Sono stato via tre giorni, il cibo è tutto ancora al suo posto.»
Silver abbassa lo sguardo colpevole e l’altro si siede stancamente sulla sedia accanto alla sua, con un lungo sospiro sofferente. Si stringe grave lo spazio tra gli occhi, chiudendo le palpebre scure.
«Non ho avuto molta fame.» Si giustifica, perché non sa cos’altro dirgli se non la verità.
«Fame? Tu non hai mangiato un cazzo, per tre giorni interi. – Shadow non ha voglia di urlargli, il tono di voce resta calmo anche se incrinato in una nota arrabbiata – Hai almeno bevuto, fatto merenda o… o un dannato latte e menta?»
«I-Io, sì. – Si stira le maniche del maglione, lo sguardo assente – C’era il the, e ho anche mangiato dei biscotti.»
«Okay, va bene.»
A Shadow non va bene, affatto, ma non può incazzarsi con lui un’altra volta. Non ne ha neanche la forza fisica, quell’ultima missione del GUN gli ha risucchiato tutta l’energia che ha in corpo. Il vento continua a sfiorare le tende.
«E’ bello. – Proferisce nel silenzio, indicando il foglio davanti a Silver – Il disegno, dico.»
Silver annuisce assorto, anche se a lui fa schifo, perché non è luminoso e raggiante, non sorride come dovrebbe sorridere. Blaze era molto di più di un futile fogliaccio malconcio e strapazzato e lui non deve disegnarla, deve smetterla. Ma è l’unico modo che ha per tenerla vicino a lui.

«“Chiudo gli occhi e mi prendo la testa tra le mani. Sento la portiera del furgoncino che si apre e si richiude. Henri sarà qui tra meno di un minuto.1»
«Finisce così!?»
«Già.» Le code degli occhi si arricciano all’insù, gli zigomi si sollevano dolcemente.
«Vai con il prossimo allora, che aspetti!?»
Blaze ride lievemente, le punte delle sue gote si imporporano di un grazioso rosa chiaro. Stringe le ginocchia attorno al suo torace, ma non è per paura di cadere. Quella l’ha superata da un po’; fluttuano delicatamente nel vuoto e lei siede sul corpo di Silver sdraiato sul nulla, tra le mani tiene un libro dalle pagine profumate.
«Abbiamo letto tre capitoli oggi, non ti accontenti mai.» Lo deride divertita, mentre lui si accomoda la testa sopra le mani, le braccia intrecciate dietro la nuca.
Non si accontenterebbe mai, Silver. La sua voce è soave come un coro d’angeli e quando legge il suo volto assume le diverse espressioni con cui enfatizza il racconto, e lui starebbe a guardarla per tutta la vita. Quando storce il naso, quando scocca la lingua sul palato, quando schiude le labbra per riprendere fiato, quando sorride. E soprattutto quando è lui, a farla ridere con quella risata cristallina e che passa per toni più o meno acuti, allora Silver si dimentica di tutto, tutto quanto. Il paesaggio di distruzione che li incornicia, la paura di morire, le fiamme di Iblis. Anche la loro esistenza, che è più paragonabile al sopravvivere che al vivere. Perché quando ride, pensa, va tutto alla grande, tutto è improvvisamente chiaro e dannatamente bello.
«Silver?»
Blaze si sdraia felinamente su di lui e il suo cuore perde un colpo mentre il corpo freme. Allaccia le gambe al suo bacino per non cadere tutti quei metri che sovrastano e accuccia il viso al suo petto, tanto vicino che il respiro appena accelerato di lui le tocca la fronte.
«Dimmi.»
«Non sono più sola.»

Il tonfo di un piatto in ceramica che batte sul tavolo lo riporta brutalmente alla realtà e all’improvviso il calore di Blaze non c’è più, intorno al suo corpo. Lo circonda solo lo scomodo gelo di un disagio infantile, al vedere quel piatto stracolmo di verdure e ortaggi. È un passato freddo, di quelli che lui ha sempre odiato fin da bambino. Di quelli che gli faceva l’altro Shadow.
«Su, mangia.»
Silver scruta attentamente il cubetto di carota che si sovrappone schifosamente ad una strisciolina spessa di sedano. Il suo stomaco è chiuso in un pugno da parecchio tempo, e a quella vista gli fa qualche capriola all’indietro. Lo sguardo color miele si incolla inevitabilmente al pavimento, adocchiando il sassolino impolverato che sicuramente Shadow aveva incastrato sotto le scarpe, prima di rientrare e affondarle nella moquette.
«Rimarremo così per ore se non ti sbrighi a mangiarlo, Silver. – Espira spazientito il riccio, allungandogli la forchetta – E nessuno di noi due ha voglia di restare fermi a non fare niente. Giusto?»
«Non mi piace.»
«Non ti piace. – Ripete, ma non perde la calma e si rialza – Allora ti faccio qualcos’altro. Qualsiasi cosa. Cosa proponi?»
Silver sfiora con due dita la manica del maglione, scuote il capo appena percettibilmente e Shadow pensa davvero che lo imboccherà a forza, fino a strozzarlo. Ha un paio di zigomi pericolosamente sporgenti, che se continuasse così diventerebbero affilati come un rasoio e, visto il collo fragile e sottile che sporge dalla maglia, può solo immaginare come sia ridotto tutto il resto. E tutto questo lo preoccupa; da pazzi, ma davvero lo spaventa. In qualche modo sente di doverlo proteggere e salvare, perché quel ragazzino si sta lasciando morire ed ha solo quindici anni. Due anni prima, quando tutta la faccenda di Iblis ed Elise si era conclusa, l’aveva preso con sé perché a vederlo, un dannato bambino che si atteggiava a grande guerriero mentre tratteneva i singhiozzi e nascondeva le lacrime, aveva sentito qualcosa dentro di lui farsi più grande ed esplodere in un fiume di mille emozioni, che gli erano scorse dentro le vene con la stessa irruenza di quando aveva visto per la prima volta il sorriso di Maria.
«Non voglio mangiare.» Sussurra Silver, mordicchiandosi il labbro superiore.
«Perché no?»
Con la mano destra strizza la stoffa sgualcita della maglia e continua ad evitare gli occhi corallo di Shadow. Sa che se mangiasse qualcosa vomiterebbe. Succedeva così da un po’.
«Perché no, Silver?»
Finalmente i loro sguardi si incontrano, quello ambrato è tremolante. E Silver lo vede, di nuovo, ma non lo capirà come sempre; vede che quegli occhi hanno lo stesso colore di quelli del suo adorato pātar e al contempo sono inesorabilmente e così dolorosamente diversi. Gli occhi del suo pātar gli erano sempre piaciuti, gli mancano anche quelli. Gli manca tutto, gli manca l’aria e anche la distruzione, la rivuole. Se significa percepire ancora una volta la vita di prima, allora Silver vuole il fuoco, di nuovo, e la morte e la paura. Vuole Shadow, Blaze, il gelo bruciante del 2200.

Gocce vermiglie sdrucciolano sulla neve, imporporandola di un brillante color cremisi. Silver ne conta tre, sette, dodici; poi perde il conto. Zampetta sul manto candido che ricopre l’asfalto, stringe fiducioso la mano sempre calda e accogliente di pātar, anche se ora trema, scossa da brividi continui. La pelliccia argentea di Silver è bruciacchiata sulle braccia, ma a solo quattro anni di ferite ne ha avute anche troppe, sotto e sopra la pelle, quindi continua a sprofondare coi piedini nella neve; Shadow si tampona metà viso con l’altra mano, il corpo attraversato da spasmi di sofferenza e disperazione. Quando rientrano in casa, Shadow non cammina più e si trascina appoggiato ai muri, che sporca di sangue, o al mobilio. Spalanca con furia il primo cassetto in cucina, poi l’anta della dispensa, e ancora si getta sul contenuto del terzo cassetto, armeggiando con la mano che prima teneva il bambino. 
«Silver, aiutami a cercare le bende.»
Le ginocchia sono gelatina, il riccio cade pesantemente a terra scivolando con impotenza con la schiena contro il muro, mentre regola respiri troppo affannosi che lo manderanno in iperventilazione. Sta cercando di non spaventare il piccolo, ma gli sfugge un ringhio d’imprecazione all’ennesima fitta di dolore e Silver si volta a guardarlo, un effimero istante. L’occhio sinistro di pātar è sangue. Parzialmente coagulato, in piccoli grumi scuri. Fresco, che scorre lento in lievissimi riccioli lungo la parte centrale più profonda. Inonda l’orbita vuota e diventa un pianto di lacrime rosse. C’è terrore, voglia di urlare e scappare via, conato di vomito.
«Non avere paura ragazzo, pātar è forte – ahh, cristo!»
Silver scoppia a piangere, anche se c’è quella fiducia che aleggia familiare nell’aria. Se gli ha detto che è forte, allora è vero. Lo aiuta come può, le piccole dita si affaccendano tra le garze e gliele passano, tremando. Shadow quel giorno è forte anche per lui, e solo quando l’orbita vuota è ben coperta da strati di bende, si permette di cadere affianco al suo bambino svenuto. Lo stringe al petto e gli bacia la fronte, e sa che da quel giorno Silver avrà paura del sangue. Ma ciò che conta è che sono vivi e insieme.

Continua a vomitare ininterrottamente, aggrappato al suo stesso maglione, precisamente all’altezza di quel suo stomaco tanto riluttante, la mano destra invece si tiene salda alla maniglia dello sciacquone. Quel cesso ne ha viste di brutte, da quando è andato ad abitare lì. Quando finisce di rimettere quel miscuglio di succhi gastrici e il fottutissimo passato di verdure, è solo perché non c’è più niente da buttar fuori e tanto meno le forze per farlo.  Lo scarico continua a centrifugare rumorosamente, mentre lui cerca di rialzarsi. Lo Shadow del futuro, o del suo passato, con la sua orgogliosa premura gli avrebbe sorretto la fronte sgridandolo, ma lo Shadow del presente è ancora giovane, inesperto, il cuore troppo duro e quindi Silver si ritrova da solo, incespicando sui suoi stessi piedi. Si solleva lentamente ed ogni muscolo intorpidito sembra annodarsi ai suoi nervi sottopelle, strappandogli sensazioni orribilmente fastidiose. Con due passi barcollanti raggiunge il lavandino e appoggia pesantemente i palmi su di esso, respirando per ritrovare una calma che non raggiunge e perciò gira la manopolina d’acqua fresca gettandosi sulla piccola cascata e beve per poi sputare, in modo da allontanare quel sapore di bile da voltastomaco che gli è rimasto attaccato al palato. Afferra lo spazzolino, il suo l’ha sempre riconosciuto da quello di Shadow perché, oltre per i colori, si differenziano per il fatto che il suo è sfibrato e malconcio. Spazzola con violenza, finché non riesce a mandar via tutto il possibile di quel gusto acido. Davanti a lui c’è uno specchio circolare e un po’ impolverato, dato che nessuno in quella casa ammira il proprio riflesso. Shadow perché non gliene importa, Silver perché ne ha paura. Adesso, che è costretto a fronteggiarsi, il mento gli trema e non riesce a controllarlo. Non si riconosce neppure; gli occhi sembrano immersi in un’oscurità surreale e sono scavati nel muso, a delineare ancora di più i suoi zigomi marcati. Si odia. Con tutto sé stesso.
«Ehi ragazzino, va tutto bene là dentro?»
«S-Sì Shadow, un attimo e arrivo. – Cerca almeno di dare un regolo alla sua voce – Hai… hai bisogno di qualcosa?»
Dall’altra parte, il riccio ebano sorride inconsapevolmente e la fronte sfiora la porta.
«No. Ma c’è Rouge che vorrebbe vederti.»
Sotto la maglia, intravede appena il torace scheletrico. La prima costola, vicino alla clavicola, è talmente visibile che avrebbe potuto poggiarci qualche piccolo oggetto, come una scaffalatura. Subito la rilascia cadere morbidamente sopra i pantaloni, e quasi gli raggiunge le cosce. Prima, buffo, ma gli stava stretta.
… 
  
Percepisce la bocca dello stomaco allacciarsi e stringersi, il labbro superiore pulsa dolorosamente e le gambe tremano come il fuocherello debole di una candela accesa nel vento; sputa un misto di sangue e saliva, si ripulisce con la manica logora del vecchio e largo maglione sudicio. L’adrenalina scorre nel sangue come il sudore scivola lento sulla fronte e va’ ad annidarsi sotto il collo, dove la lana pizzica e il cuore palpita impazzito. Ha undici anni e quello è il suo ventiduesimo incontro al Revolution Fight, una serie di incontri e tornei programmati tra quei giovani e adulti che sono sopravvissuti e sopravvivono al fuoco di Iblis e per divagarsi combattono tra loro, allenandosi di conseguenza. C’è anche chi scommette sui vincenti, chi azzarda di cedere una preziosa scarpa con la suola ancora non bruciata o mangiucchiata dai topi.
«Bambine e bambini, signori e signore, guerrieri e fortunati, – l’arbitro presenta, come se ci sia qualcuno che non lo conosca – l’imbattuto e giovanissimo Silver the Hedgehog!»
Per Silver è tutta una questione di controllo dell’anima, di incanalare la giusta dose di rabbia repressa. Basta concentrarsi sullo sfidante, contare i respiri. Inspira, espira. L’aria è un intreccio di odori che gli si ficcano nelle narici con prepotenza e la nausea aumenta, la mente si dilata. Inspira, espira. La polvere si posa ed è un impercettibile tonfo ovattato sul parquet bucato. Trattiene il respiro. Le palpebre sono pesanti, nascondono un paio d’occhi velati di energia allo stato puro; la rilascia. È un fiume in piena che non perdona, si precipita direttamente sull’ampio petto dell’avversario. Silver non è mai stato vinto, e vince di nuovo. Gli applausi gli scoccano nelle orecchie e sono come bombe dopo il silenzio della battaglia. Quella è la prima volta in cui vede Blaze, ma è solo un riflesso sfuggente aldilà della parete di carta, dove le ombre si fondono in un gioco di composizioni melliflue e illusionistiche; tira su col naso, rozzamente, mentre gli occhi assimilano ogni movimento di lei. È nascosta da una mantella scura, che la copre in tutto il profilo e lascia scoperte solo un paio di mani dalle dita delicate ed affusolate e Silver guarda le sue, di mani. Tremano, sporche di terriccio e cenere. Sotto quel cappuccio, un paio d’occhi color miele brillano illuminati dalla fioca luce della luna, che passa sottile tra le crepe dei muri e tra i vetri rotti. S’innamora di lei anche se è sotto una coperta di mistero. S’innamora di un’ombra senza neanche accorgersene.
 

 
E’ sicuro che appena Rouge l’ha visto una smorfia di disgusto le si è dipinta in viso, prima di tramutarsi in una raddolcita e allungarsi ad accarezzargli quella poca carne che gli riempiva il viso. Ora continua a guardarlo come calamitata a lui, ai suoi zigomi troppo definiti in un volto da adolescente e siede sulla poltrona in velluto, le gambe sinuosamente accavallate come al solito. Anche se in quel momento la pipistrellina non ha proprio nulla di sensuale, anzi. Si sente a disagio, forse per la prima volta in tutta la sua vita da esplicita ladra provocatrice.
«Ti sei sentito solo in questi giorni, tesoro? – Domanda con una rabbonita preoccupazione, tanto per spezzare il silenzio, e Shadow la fulmina con lo sguardo – Cos’hai combinato di bello, eh?»
Silver continua a torturarsi le maniche del maglione, intrecciando le dita nella lana, assorto in quel piccolo giochino infantile. Shadow, seduto affianco a lui, gli batte un buffetto su una spalla per ridestarlo, come deve sempre fare o lui rimarrebbe nel suo mondo tra le nuvole.
«Eh? C-Cosa?»
«Ti ha chiesto se ti sei sentito solo.»
Silver rivolge gli occhi alla pipistrellina, la quale lo incoraggia con un sorriso raggiante, ben lontano dai suoi soliti ghigni di malizia. Si sente solo ogni giorno della sua triste vita, lontana dal suo tempo e lontana dalla sua famiglia, lontana da tutto ciò che prima definiva vita stessa. Solleva appena percettibilmente un angolo della bocca, tentando un sorrisino incerto.
«No, sto bene così. – Dice con un filo di voce, Shadow si scambia di nascosto un’occhiata complice con Rouge – Sto bene così… qui.»
Quella sera Silver deve aspettare fino alla mezzanotte, quando Rouge decide di andarsene, anche se rimane a parlare con Shadow sulla soglia d’ingresso per quasi un’altra mezzora, per scoppiare a piangere ripiegandosi su se stesso, stringendo un cuscino che non sa né di suo padre, né  di Blaze, ma solo di lacrime asciutte e amare come il destino.
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1* > È una frase tratta dalla fine di un capitolo del libro "Sono il numero quattro". Ebbene, il primo è andato.
Più o meno avete capito di che tratta,no? Pianti, disperazioni, Shadowèfigo, ancora pianti... sigh
Se lasciaste qualche recensione sarei molto contenta!
•Viiii voglio bene•
 
 
 
 


   
 
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