Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer
Segui la storia  |       
Autore: spectr0lite    25/08/2015    0 recensioni
Mia ormai è spezzata dentro. E' un disastro vivente con il buio che penetra freddo sotto pelle e le scorre nel sangue e nelle ossa.
Lei è l'eco di una frase pronunciata male che nessuno ha sentito.
Tranne Luke. Lui che al buio ormai ci ha fatto l'abitudine non riesce ad ignorarla. Lei che è vetro e cemento, lama e ferita. Lei che non riesce ad ignorare la catastrofe.
«Mia, puoi sentirmi? Svegliati, è solo un incubo.»
Ne sei proprio sicuro Hemmings?
©spectr0lite
Genere: Angst, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Uno
.
 
– Signorina Duncan, può ripeterlo ancora una volta? –
Annuii. – Io dormivo. I miei genitori dormono, uhm dormivano, due camere più in là. Ho sentito un tonfo e poi mia madre urlare. Mi sono alzata. Sapevo di non dover uscire dalla mia camera. Ero spaventata. Ho chiuso la porta a chiave lentamente, per non fare rumore, poi sono rimasta ferma. Sono uscita dalla mia camera dopo circa 15 minuti. Non avevo sentito più nessun urlo o rumore. Sono andata in cucina per chiamare la polizia. La porta della camera da letto dei miei genitori era aperta e sopra c'erano delle impronte insanguinate, così come sul pavimento. Ho preso il telefono e ho chiamato la polizia. Mentre ero al telefono sono andata in salone, mio padre era a terra, c'era sangue ovunque. Ho riferito il mio indirizzo alla polizia. Poi ho sentito uno strano calore al fianco. – sospirai – E credo di aver perso i sensi a quel punto. –
L'avvocato storse il naso. – Non deve esserci nessun credo nella sua dichiarazione. Nessuna incertezza. Quindi ora la ripetiamo. Mi ha capito? – mi disse freddo. Alzai un sopracciglio. Era un uomo sulla quarantina, ma sembra più vecchio, aveva troppe rughe ed era stempiato. Indossava un completo grigio con un'orrenda cravatta verde che allentava ogni 10 minuti. Non mi piaceva il suo sguardo. Mi guardava come se fosse abituato a quelli come me: La piccola orfanella impaurita.
Non aveva capito un cazzo. – No. – dissi ferma. Quell'espressione mi faceva salire l'odio – No? – ripeté accigliato, tanto che gli si formò una V al centro della fronte. – No. Ho ripetuto la stessa versione 7 volte. Sono stanca. Me ne vado, c'è Julianne fuori. – mi alzai dalla sedia senza esitazioni, diretta verso la porta in metallo. Ero in una piccola stanza, con le pareti bianche, un tavolo, due sedie e un registratore. Circa tre giorni fa Julianne mi aveva avvisata dell'incontro con l'avvocato per l'ultima dichiarazione formale e io l'avevo mandata a fanculo dicendo che io da quello stronzo non ci tornavo. Tentativo inutile, perchè esattamente il giorno dopo avevo ricevuto una richiesta formale da parte del giudice Sunders e siccome ero ancora minorenne la legge prevedeva che il mio tutore, in questo caso Julianne, doveva agire nel modo più idoneo.
– Signorina Duncan dove sta andando? – mi chiese accigliato con quella faccia da culo. – Per favore, si sieda. Le prometto che sarà l'ultima. – Si passò nervosamente una mano sul viso. – Lo ha detto anche 6 volte fa. – dissi seccata. Battei due volte il pugno sulla porta in metallo come mi avevano detto di fare e girai la maniglia. – Signorina Duncan si sta comportando come una ragazzina, ora si sieda e continui la sua dichiarazione, prego. E senza incertezze questa volta. – sbottò. Mi prendi per il culo?   Mi girai – Senta, lei non mi piace e credo che la cosa sia reciproca, quindi sarà anche il mio avvocato ma ora la sua dichiarazione senza incertezze può ficcarsela su per il culo. Arrivederci. – ed uscii.
Julianne, che era seduta su una poltroncina a sforgliare una rivista mi vide e si alzò – Hai già finito? –  mi chiese sorpresa poi guardò la mia espressione infastidita e scosse la testa. – Andiamo. – avviandosi verso l'uscita, le andai dietro zitta. Julianne era l'assistente sociale che era stata assegnata al mio caso. Era abbastanza giovane, aveva 32 anni, un figlio di 7 e una bella casa. Con lei si poteva parlare civilmente solo dormendo. Faceva continuamente domande e aveva una particolare inclinazione per quelle retoriche, e stupide, della serie: Mia, so che sono appena morti i tuo genitori, ma come stai? Salimmo sulla sua Volvo e lei mise in moto, ma senza partire. – Mia non puoi ogni volta mandare a fare in culo il tuo avvocato, lo sai, vero? – mi disse girandosi seria verso di me. Ecco di cosa parlavo. Alzai gli occhi al cielo. –E non alzare gli occhi al cielo con me ragazzina, qui stiamo solo cercando di darti una mano. Dovresti ringraziarmi invece di fare la stupida ragazzina immatura. – disse nella sua solita predica. Ora le spacco la faccia. – Oh, ma vaffanculo. – sputai scuotendo la testa e girandomi guardando fuori dal finestrino. Lei accese la radio e la conversazione terminò lì.

Di solito mi piace quando in auto c'è silenzio, ma oggi la strada mi passa di fianco monotona, le persone camminano sui marciapiedi puliti e cercano di ignorare tutto il casino che c'è intorno a loro. Julianne ferma la macchina davanti l'entrata della pensione, non dice nulla, rimane in silenzio. Aspetto che sblocchi le sicure e ed esco sbattendo la portiera. Salgo velocemente i tre scalini per poi sentire un – Buonasera signorina Mia – provenire dal piccolo salottino – Ciao Frank. – salutai con un gesto della mano il vecchio proprietario e salii le scale per andare in camera, presi la chiave dallo zaino ed entrai lanciando quest'ultimo sul letto. – Vaffanculo! – sfogai dando un calcio alla sedia della scrivania, presi una sigaretta dal pacchetto e  la portai alle labbra, accendendomela, per poi aprire la finestra. La stanza era piena di scatoloni, l'agenzia accompagnata da Julianne era andata a casa mia e aveva raccolto tutto ciò che poteva appartenermi: vestiti, libri, foto di famiglia, persino un vecchia tazza rossa tutta storta che avevo fatto al corso a cui mi aveva iscritto la mamma quando avevo 7 anni. Io in casa mia non ci avevo messo più piede dopo quella notte. Mi veniva da vomitare al solo pensiero, anche quando passavo di lì con Julianne in auto e non riuscivo a distogliere lo sguardo mi saliva una nausea incredibile e le lacrime iniziavano a scendere senza controllo.

7 Agosto 2013, 7:40 pm.
Entrai in casa cercando di fare il minimo rumore per correre su in camera, avevo il labbro spaccato e dei graffi sul braccio che sarebbero diventati ancora più rossi ed evidenti nel giro di poco tempo e tutto perchè Sarah Eggleston mi aveva dato della "stupida puttana" davanti a tutti in mensa e io le avevo rotto lo zigomo sbattendola con la testa su un tavolo. Avevo avuto due settimane di sospensione, quindi evitare il contatto visivo con i miei genitori non era una cattiva idea. – Mia? – aveva chiesto mia madre dalla cucina. Merda, merda merda! Pensa Mia, pensa. – Sì mà. Io ho da studiare, vado in camera! – avevo urlato aumentando il passo, pregando tutti gli dei di scamparla. – Ma tesoro è pronta la cen... Mia Echo Duncan, per l'amor del cielo, che hai combinato?! –  urlò sbucando dalla cucina. – Cazzo! – imprecai sottovoce girandomi. Lei venne verso di me con quello sguardo da "ora mi senti, signorina"  – Hai qualcosa da dirmi? – mi chiese truce. – Ma chi, io?  No mamma, nulla, tranquilla, ora però vado in camera eh...–  risi nervosamente rigirandomi e facendo qualche passo – Signorina dove pensi di andare?! – mi fermai con un piede ancora sul primo scalino – Che hanno detto questa volta? – aggiunse sconfitta. Mia madre lo sapeva quello che succedeva a scuola, ma conosceva bene anche la mia testa di merda e i miei scatti d'ira. – Sarah Eggleston mi ha chiamato sai...come posso dire... "stupida puttana" davanti a tutti in mensa... – dissi mimando le parole con le dita – Oh. – disse lei spalancando gli occhi  – ...e io le ho rotto uno zigomo sbattendole la testa su un tavolo. – ammisi titubante. – TU COSA!? – urlò mia madre con gli occhi fuori dalle orbite, se prima era sorpresa ora sembrava aver visto un alieno con tre teste. Mi coprii gli ochhi con le mani – Mia la devi smettere di fare così! – disse lei – Non puoi continuare a prendertela con tutti dopo quello che è successo, sappiamo che sei ferita... – iniziò ma io iniziai a scuotere la testa facendole segno di smetterla – ... ma sono passati solo pochi mesi, vedrai che le cose andranno meglio –  ma lei continuò. – Mamma basta. – dissi fredda scuotendo la testa – tu non sai niente – dissi girandomi e iniziando a salire le scale – niente. – ripetei sottovoce mentre mia madre da giù urlava – Non puoi evitarci per sempre, Mia, siamo i tuoi genitori, ti vogliamo bene, lo sai. Ma devi smetterla di ripeterti che tu sei quello che ti è stato fatto e iniziare a vivere cercando di non nasconderti da te stessa!
Furono le ultime parole che sentii prima di sbattere la porta della mia camera e restare sola con me stessa.

La sigaretta era ormai al filtro quindi feci un ultimo tiro e la lanciai via. Io quelle parole le sentivo ancora in testa come un eco, ma io ero quello che mi avevano fatto e qui c'era tutto questo dolore che io non avevo mai chiesto. E tanta rabbia, troppa. Doveva andare tutto via, ma è ancora qui. Io non volevo essere qui. Non volevo conoscere le circostanze attuali. Non volevo sapere quanti anni di carcere avevano dato a quel figlio di puttana. Non volevano che mi dicessero quanto avevano sofferto i miei genitori.
Perché Dio, io non volevo svegliarmi da quel fottuto coma.

Il telefono mi vibrò in tasca, lo tirai fuori e lessi un messaggio di Julianne "Due minuti e sono giù." , così ignorai il mio cervello e iniziai a portare giù gli scatoloni. Julianne arrivò e li caricammo sulla sua Volvo, disse – Ho fatto benzina prima di venire. – e partì.

Ci volevano 83 minuti per arrivare a Riverstone, Australia.
Era una cittadina a nord-ovest di North Rocks, con un migliaio di abitanti, secondo il giudice Sunders e Julianne l'assistente sociale era la meta perfetta dove poter ricominciare la mia vita. C'erano solo 83 minuti in auto che mi separavano dal mio passato e per me era ancora troppo poco. – Ѐ bello lì, Mia. –  disse prima di prendere l'interstatale.  – La famiglia è carina, hanno un figlio della tua età con cui andrai a scuola, la casa è grande e anche la tua camera è molto spaziosa. Noi crediamo sia il posto più adatto tra quelli analizzati. Sarai al sicuro lì. – me lo disse con una voce rassicurante ma ciò non toglieva il fatto che mi stava abbandonando in una città sconosciuta, da sola, in balia di gente estranea. Alzai un sopracciglio – Per noi  intendi tu e quel vecchio scorbutico? –
– Il giudice Sunders è un membro onorevole della corte giudiziaria. – ripetè le parole convinata, ma senza emozione come una battuta da imparare a memoria. Alzai gli occhi al cielo. – Convinta tu. – le dissi prima di mettere le cuffie e alzare la musica al massimo.
Passammo il cartello – State lasciando North Rocks. Abitanti 27,384. Confine territorio. – e mi sentii lo stomaco più leggero. Avevo i My Chemical Romance che cantavano Fake your death e allora ci pensai. Perché dovevo restare? Avrei potuto semplicemente spegnere le luci e andare a dormire.

 

Spazio Autrice

Okay, partendo dal presupposto che faccio abbastanza schifo con le presentazioni questo è il primo capitolo. Non so come ma ho finalmente avuto il coraggio di pubblicare questa storia, la potete trovare qui ma anche su wattpad (se volete dare un'occhiatina io non mi offendo eh) basta cercare spectr0lite.
Spero che come prima impressione non vi abbia fatto schifo, mi piacerebbe sapere davvero cosa ne pensate quindi se volete lasciate un commento.
pace
Chiara.
 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer / Vai alla pagina dell'autore: spectr0lite