Una strana sensazione
J.J. si
guardò intorno terrorizzato. Non gli erano mai piaciute le storie horror, e in
quel momento si ritrovava a camminare nel bel mezzo di una schiera di quelli
che sembravano essere diventati zombie soldati, che marciavano tutti in
perfetta coordinazione guidati da un fischio che gli stava perforando i timpani.
Deglutì, per poi controllare dove si fossero cacciati i suoi amici.
Erano
ancora di fronte a lui, a seguire la fiumana di persone verso una meta che non
gli era per niente chiara. Non riusciva comunque a smettere di guardarsi
intorno. Era vero, odiava i supereroi, ma se nessuno si fosse presentato in una
situazione di emergenza come quella non avrebbero certo guadagnato punti a loro
favore! L’ansia cominciò ad assalirlo. Nemmeno uno? Neanche della vecchia
guardia in pensione? No, non era affatto normale. Che fossero stati tutti
ipnotizzati e per qualche misteriosa ragione lui fosse rimasto l’unico immune?
In quel
momento tutta la folla, come un sol uomo, si fermò di colpo. Jack-Jack non se
ne accorse subito, tanto che, continuando a guardarsi intorno, andò a sbattere
contro Melanie.
«Che
succede? Perché vi siete fermati? Melanie? Steve?»
Non
ottenne alcuna risposta. Tutti avevano alzato la testa, come se ascoltassero
con attenzione una voce udibile solo da loro. J.J.
continuava infatti a sentire solo quel maledetto fischio perforante. Poi, di
colpo, abbassarono la testa e iniziarono a guardarsi intorno. Melanie e Steve
si voltarono verso di lui, con volto serio e determinato.
«Ragazzi?»
Entrambi
puntarono un dito verso di lui scandendo con voce piatta e senza emozioni:
«Supereroe.»
A quella
parola tutte le persone nei dintorni si voltarono verso di loro.
J.J. esclamò,
quasi d’abitudine: «Che? No, c’è un
errore, non sono un supereroe!»
La gente
iniziò ad avanzare verso di lui e il ragazzo rimase paralizzato a guardarli e a
ripetere istericamente come un ossesso: «Non ho superpoteri! Non sono un
supereroe! Sono una persona normale! Normale!»
Ma
evidentemente non veniva ascoltato. Insistette ancora per un po’, poi quando si
rese conto che la folla lo stava circondando il ragazzo spinse a terra un uomo
e iniziò a correre. Aveva perso di vista Melanie e Steve, Flash non si vedeva
da nessuna parte, era solo. Solo e senza
poteri, come sempre.
In un
lampo di lucidità, prese il cellulare e chiamò il padre. Segreteria telefonica,
e figurarsi! Quando s’incontrava con il suo amico Siberius
per ricordare i vecchi tempi poteva anche tenere acceso il telefono, per una
volta! Voltò l’angolo imprecando, per ritrovarsi in un vicolo cieco.
«E che
cavolo!»
Fece dietrofront,
ma ormai la folla gli era quasi addosso. Sull’orlo della disperazione, richiamò
il padre. Una vocina registrata gli ripeté quasi beffardamente: «Segreteria telefonica. Prego, lasciare un
messaggio dopo il segnale acustico.»
«Papà,
sono J.J.! Ti prego, la città è impazzita, sono tutti
ipnotizzati e mi stanno...»
Un forte
dolore alla nuca gli impedì di concludere la frase. Sentì solo il cellulare
scivolargli dalla mano e tutto, lui compreso, cadde nel buio.
Jack-Jack
sbatté gli occhi un paio di volte, sentendo la testa pulsargli violentemente. Perché
diavolo avrebbe dovuto addormentarsi in...
Un flash.
Il fischio. Steve e Melanie. La gente. La
corsa. La segreteria.
E poi...
«No, no,
no, NO!»
Il
ragazzo cercò di alzarsi, ma gli fu impossibile. Solo in quel momento si rese
conto di essere stato legato, mani e piedi, in una stanza completamente buia.
Non riusciva a toccare il terreno, l’unico movimento che gli era concesso era
la torsione del busto e del collo. Cercò di calmarsi e di fare mente locale. Dovevano
averlo tramortito e catturato, per poi rinchiuderlo lì.
Sì, ma lì
dove?
«Melanie?
Steve? Ragazzi, siete qui?»
Nessuna
risposta.
«Steve!
Melanie!»
Niente.
Era solo. La sua stessa voce gli rimbombava nelle orecchie, graffiandogli il
cervello in ferite che bruciavano tremendamente come i suoi sensi di colpa. Non
era riuscito a fermarli. Era stato inutile, come sempre. Gli ipnotizzati
stavano cercando supereroi, come se dovessero essere gli unici rimasti normali.
Forse era così, forse il fischio ipnotizzante non funzionava solo sui
supereroi. E se aveva ragione, poteva essere il motivo per cui Flash non si
fosse accorto di quel che stava succedendo. Poteva anche avere senso anche nel
suo caso, in fondo secondo i suoi genitori una volta aveva avuto dei
superpoteri, magari si era perlomeno immunizzato per trucchetti
mentali come quelli. Però, per il resto...
Tirò i
vincoli che lo trattenevano con tutte le sue forze, più e più volte,
imprecando. Se si fosse riuscito a liberare forse avrebbe trovato tutte le
risposte alle sue domande. Ma non ci riusciva.
Si
arrese, lasciandosi dondolare senza opporre resistenza. Aveva una gran voglia
di piangere. Qualunque altro membro della sua famiglia avrebbe saputo come liberarsi.
Suo padre avrebbe strappato le catene; sua madre avrebbe potuto rendersi
abbastanza sottile da scivolare via; Violetta avrebbe potuto isolarsi con i
suoi campi di forza, lasciando fuori le catene; Flash... non gli veniva in
mente come potesse liberarsi da lì sfruttando la supervelocità, ma era sicuro che
un modo l’avrebbe trovato. Solo lui era destinato a rimanere lì, senza via di scampo.
Le
lacrime, calde, iniziarono a bagnargli il viso. Lacrime di rabbia e
d’impotenza, lacrime di ansia e paura. Non tanto per lui, ma per i suoi amici e
la sua famiglia. Era arrabbiato, sì, con se stesso e con il mondo. Così
arrabbiato da sentirsi quasi la febbre...
No, forse
era davvero febbre! Aveva un caldo tremendo e si sentiva i brividi...
«Fantastico,
ci mancava anche questa... bel momento, Jack-Jack, per l’influenza...»
Chiuse
gli occhi, cercando di respirare profondamente per calmarsi. Forse era solo un
effetto della tensione, ma si sentiva strano, quasi come se stesse prendendo
continuamente la scossa. Sentiva il sangue fremergli nelle vene. Anzi no,
neanche il sangue. Era come se tutte le
cellule del suo corpo stessero fremendo d’eccitazione. Più che stare male,
come aveva pensato in un primo momento, si sentiva pieno di energie come mai
prima d’allora. Era la sensazione più strana e più appagante che avesse mai
provato. Per un attimo si scordò di tutto: ansia, rabbia, paura... voleva solo
rimanere lì, a sentire dentro di sé quella scarica di energia pura crescere
esponenzialmente...
Com’era
venuto, cessò, all’improvviso.
Jack-Jack
spalancò di scatto gli occhi. Dovevano essersi abituati al buio, perché ora
vedeva ciò che lo circondava più chiaramente. Istintivamente si asciugò il
sudore sulla fronte con il palmo della mano. Cosa gli era successo? Quanto tempo era passato? Non sapeva
spiegarsi cosa gli era preso, ma anche se era passato si sentiva ancora
incredibilmente bene. Non aveva più paura. Si sentiva forte e sicuro di sé.
Solo
quando alzò il braccio per grattarsi la testa, si rese pienamente conto di
essere riuscito a liberarsi. Rimase stupito a guardare la sua mano libera per
qualche secondo. Quand’era successo? E
come? Forse prima non si era sforzato a vuoto, forse era riuscito davvero a
indebolire a sufficienza le sue catene. Provò nuovamente a tirare l’altro
braccio, che subito cedette. Subito Jack-Jack perse l’equilibrio, cadendo in
avanti. Riuscì a fermarsi appoggiando le mani sul pavimento. Che stupido,
l’avevano legato anche per i piedi, cosa credeva di fare?
Tirò
anche le gambe e finalmente fu libero. Si sedette a terra, per riprendere fiato.
Era preda di una strana eccitazione. Era come se al posto della paura fosse
subentrato in lui uno strano mix di rabbia e sensi di colpa. Per qualche
secondo si sentì di nuovo la febbre, ma quasi non ci badò, aveva solo un
pensiero fisso: doveva agire, doveva
muoversi, aveva bisogno di essere forte, forte come mai prima d’allora, di
non farsi spaventare da nulla, da lì in poi, perché probabilmente era tutto
nelle sue mani.
Si alzò
in piedi, mosso da una determinazione che non gli apparteneva, e si diresse
verso la porta, che si aprì quasi senza alcuno sforzo da parte sua. J.J. la guardò sorpreso. Forse l’avevano lasciata aperta...
Abbassò
la testa per uscire, ritrovandosi in un corridoio in penombra. Si guardò
intorno: dove si trovava? Fece qualche passo, poi richiuse la porta dietro di
sé, senza voltarsi. Chiuse gli occhi per concentrarsi sui rumori.
C’erano
delle voci lontane provenienti dalla sua sinistra. Si diresse in quella
direzione lentamente, con circospezione.
Per
qualche strano motivo sentiva che
Melanie e Steve non erano lontani. Dovevano essere di sopra. Avrebbe quasi
giurato, alzando la testa, di riuscire a sentire il profumo di Melanie...
«Ehi,
tu!»
Jack-Jack
si voltò. A parlare era stato un signore che aveva tutta l’aria di essere un
addetto alla sorveglianza. Il suo volto, però, era terrorizzato.
«Cosa...
cosa...»
Non
poteva permettergli di dare l’allarme. Veloce come un fulmine, J.J. scattò verso di lui e gli rifilò un pugno nello
stomaco, tramortendolo sul colpo. Lo coricò delicatamente a terra, sorpreso.
Non credeva di riuscirci davvero, l’aveva visto fare solo nei film! Che fortuna
insperata...
Dopo aver
lasciato l’uomo in un angolo del corridoio, Jack-Jack si avvicinò a una
scalinata e iniziò a salirla. Aveva uno strano gusto metallico in bocca, che
non sapeva spiegarsi. Forse era paura. Una paura che in realtà non stava
provando. Razionalmente sapeva di
dover provare paura per quella situazione assurda. In pratica era stranamente rilassato. Doveva solo salire, capire
cosa stesse succedendo, riprendersi Melanie e Steve e andarsene di lì. Facile,
no? No, per niente. Doveva uscire di
lì e andare a chiamare qualcuno di più preparato di lui ad affrontare pasticci
del genere. Era quella la cosa giusta da fare!
Ma per
quanto continuasse a ripeterselo, le sue gambe continuavano ad avanzare, come
dotate di una volontà propria, quasi come se appartenessero a qualcun altro e
lui le avesse solo prese in prestito. Scalino dopo scalino, un istinto atavico,
sconosciuto ma potente, stava soppiantando lentamente ma inesorabilmente la sua
razionalità, lasciandogli un solo pensiero: trovare Melanie e Steve.
Quando
arrivò in cima alle scale, Jack-Jack rimase per un attimo abbagliato. Strinse
gli occhi con tutte le sue forze per un secondo, per poi spalancarli di nuovo.
Era tutto a posto. Si avviò con passo deciso e sicuro. Alcune voci provenivano
da tre stanze più in là, riusciva a sentirle chiaramente. Si avvicinò alla
porta e si mise ad ascoltare la discussione. Due voci erano sconosciute, ma
due, invece, erano più che familiari.
«Allora,
quali sono i suoi superpoteri?»
La voce
monocorde di Steve rispose lentamente: «Jack-Jack non ha superpoteri.»
«È
impossibile! Se è rimasto immune deve avere
dei superpoteri!»
Aveva
ragione, allora. Qualunque cosa fosse quel fischio, i supereroi ne erano
immuni.
Melanie
ripeté con lo stesso tono: «Jack-Jack non ha superpoteri.»
«Che sia
riuscito a nasconderli per tutto il tempo in loro presenza?»
«È
possibile... ma allora come mai anche dalle nostre analisi non risulta nulla?»
«Non lo
so, ma forse se lo sottoponiamo a qualche pericolo userà i suoi poteri
d’istinto.»
«Io ho
un’idea migliore.»
«Sentiamo.»
«E se
mettessimo in pericolo i suoi amici? Magari
di fronte ai suoi occhi?»
«Sì...
sì, potrebbe funzionare, gli eroi spesso agiscono più per gli altri che per se
stessi. Allora, cosa possiamo far loro?»
«Potremmo
minacciarli con il fuoco o con l’acido... oppure potremmo ordinare loro di
ferirsi da soli, tanto sono completamente sotto il nostro controllo...»
Cosa volevano fare ai suoi amici?
Jack-Jack
sentì montargli una rabbia furiosa, mai provata prima. Senza più pensare a
nulla, sfondò la porta con un minimo sforzo. Tranne Steve e Melanie, tutte le altre
persone all’interno di quello che sembrava un laboratorio si voltarono verso di
lui, con aria sorpresa e spaventata.
J.J. notò la
paura nei loro sguardi e, per un attimo dimentico del motivo che l’aveva
portato là dentro, stranamente se ne compiacque. Sì, gli faceva piacere che
avessero paura di lui e della sua furia. Era giusto, perché lui si sentiva
esattamente così, furioso e spaventoso. E
si sentì quasi felice, quando alle sue spalle sentì giungere altre persone.
Probabilmente dovevano aver chiamato i rinforzi.
Meglio. Per la prima volta in
vita sua, aveva una gran voglia di menare le mani.
E quando
il primo uomo balzò verso di lui, sentì come se qualcuno avesse premuto un
interruttore nel suo cervello, spegnendo completamente la sua coscienza ma
rendendolo improvvisamente conscio delle sue potenzialità. Abbatté due uomini
con un deciso colpo di coda e con un pugno ne fece volare contro la parete un
terzo. Alcuni, spaventati a morte, iniziarono a sparargli contro, ma lui
spalancò le enormi ali e ci si avvolse, creando uno scudo perfetto. Rise. Era
un giochino abbastanza divertente. A
giudicare dalle loro urla, quegli uomini si stavano spaventando parecchio, ma
non prestò caso alle loro parole. In una piccola pausa dalla sparatoria riaprì
le ali, si buttò in picchiata verso i suoi avversari e, sfoderando gli artigli,
li abbatté quasi tutti in un colpo. Gli ultimi li sistemò con un paio di
poderosi colpi di corna. Quando tutto fu calmo, si guardò intorno
insoddisfatto. Era stato tutto troppo rapido, troppo semplice, quasi noioso.
Aveva ancora voglia di combattere. Non c’erano avversari alla sua altezza nei
dintorni?
Quasi
come se l’avesse invocato con il pensiero, qualcuno sfondò una parete alle sue
spalle con un grande boato. Sorrise, soddisfatto. Forse l’ultimo arrivato sarebbe
stato degno di affrontarlo.
«J.J.! Jack-Jack! Dove sei?»
Si voltò
lentamente. Nella nuvola di polvere era comparso un omone non più giovanissimo
ma ancora piuttosto prestante, che avanzava con sicurezza fra i detriti come se
non avesse fatto altro in vita sua. Era spaventato, però, e continuava a
gridare mordendosi le labbra: «Accidenti... J.J! J.J! RISPONDIMI, PER FAVORE, JACK-JACK!»
Quel
nome, pronunciato con quel tono spaventato, gli rimbombò un paio di volte nelle
orecchie, gli tolse ogni voglia di combattere e di muoversi, lasciandolo
completamente svuotato.
E solo a
quel punto Jack-Jack tornò in sé.
Cosa… cosa stava facendo? Cosa aveva appena fatto?
«JACK-JACK!
DOVE SEI?»
Suo
padre... suo padre era venuto lì a salvarlo. Si stava preoccupando per lui. Per lui, non per i suoi fantomatici
poteri. Quello non era un supereroe venuto per fare il suo dovere. Quello era suo padre, venuto lì per lui e solo per lui.
Aprì la
bocca per rispondere, ma quello che uscì fu solo un ringhio sordo. Mentre cercava
di tossire per schiarirsi la voce, suo padre si voltò ugualmente verso di lui.
Jack-Jack sorrise, ma l’uomo gli balzò addosso gridando: «Mostro! Dove hai
messo mio figlio?»
J.J. fu
talmente sconvolto dalla frase che non trovò parole per rispondere. Poté solo
subire la carica del padre, che lo sbatté a terra con tutta la sua forza. Fu a
quel punto che Jack-Jack si rese distintamente conto che qualcosa non stava
andando come avrebbe dovuto.
Mr. Incredibile,
l’uomo più forte del mondo, lo stava schiacciando... e lui riusciva a sostenerne la pressione? Di più, era certo che se
avesse voluto sarebbe riuscito a sbalzarlo e a invertire la posizione. Mise le
mani sul petto del padre per difendersi, e a quel punto le notò: erano nere,
squamose come quelle di un rettile e dotate di grossi artigli. Sbarrò gli occhi
sorpreso.
«Cosa...»
Mr.
Incredibile caricò un pugno verso il suo volto. J.J. avrebbe
potuto tranquillamente schivarlo, ma non voleva. Tossì, più e più volte. La
voce che gli era uscita era troppo bassa e profonda per essere la sua. Era poco
più di un ringhio. Dov’era finita la sua voce? Aveva un disperato bisogno della sua voce, doveva parlare,
doveva dire...
«Papà?»
L’uomo si
bloccò di colpo ancora con il pugno alzato.
«Papà...
smettila, per favore... sono io... non voglio farti del male...»
Bob
abbassò il pugno incredulo: «J... J.J.?»
Jack-Jack,
con gli occhi lucidi, cercò di sorridere, anche se non era certo di cosa
sarebbe uscito: «Ciao, papà.»
L’uomo lo
fissò, ancora sconvolto: «J.J.! Ti sei... ti sei trasformato?»
Jack-Jack
ridacchiò imbarazzatissimo: «A quanto pare...»
«È... è...»
«Ehm...
potresti... spostarti? Sai, pesi...»
L’uomo
balzò in piedi: «Oh, certo, certo...»
«Grazie.»
Seduto a
terra, finalmente J.J. si rese completamente conto
della metamorfosi avvenuta al suo corpo. Allargò leggermente le ali e si fissò
stupefatto le mani e la nuova coda, completamente nere e squamose.
«Oh,
cavolo... che ho...»
Non ebbe
il tempo di finire la frase che si ritrovò stritolato nella morsa di un
affettuoso quanto potente abbraccio paterno.
«Io lo
sapevo! L’ho sempre detto, figliolo, che ci saresti riuscito di nuovo, un
giorno! Hai ritrovato i tuoi poteri!»
Jack-Jack
si sentì arrossire, anche se non sapeva se si sarebbe potuto effettivamente
notare dopo la sua metamorfosi. Da piccolo aveva sognato mille volte quel
momento, l’istante in cui suo padre sarebbe stato fiero di lui, e ora che era
arrivato... non sapeva più bene che pensare. A quanto pare si ritrovava nel
corpo di un mostro ben più alto di suo padre, che già non era esattamente
piccolo, a farsi abbracciare nel bel mezzo di una situazione assurda e disperata.
Come se non fosse già abbastanza confuso e in crisi così...
«Papà...
io... non so nemmeno cosa ho fatto...
come ho fatto... e prima... prima...
non so nemmeno chi o cosa fossi
diventato...»
Il padre
lo guardò confuso, ma dalla porta entrarono altri uomini. Bob ritornò serio.
«Ne
parleremo più tardi. Ora prendi i tuoi amici e vai via, io vi copro le spalle.»
Jack-Jack
scosse la testa: «No, papà, sono troppi, non posso lasciarti qua da solo!»
Mr.
Incredibile si voltò verso di lui e lo guardò dritto negli occhi: «Hai
finalmente deciso di fare il supereroe, J.J.? Se sì,
fai il tuo dovere e metti in salvo i civili, altrimenti limitati a fare l’amico
e portali via lo stesso. Quello puoi farlo, no?»
J.J. lo
guardò senza parole, mentre il padre gli sorrideva: «Non temere per il tuo
vecchio, ha ancora parecchi assi nella manica! Ora vai, ci vedremo a casa per
cena per festeggiare.»
Seppur
con un groppo in gola, Jack-Jack annuì e si voltò verso gli amici, che per
tutto il tempo erano rimasti immobili come statue, con lo sguardo perso nel
vuoto. Con un groppo in gola di ansia e pietà, li prese delicatamente sotto
braccio, uno per parte, cercando di tenerli il più saldamente possibile.
«Ce li
ho, vado!»
Bob era
impegnato nel combattimento, sommerso da persone e strane armi: «Bravo,
figliolo!»
A quella
vista J.J. ebbe un altro momento di tentennamento, ma
poi si limitò ad urlare: «Li lascio al sicuro e torno ad aiutarti, papà!»
E senza
voltarsi indietro per non avere ripensamenti, spalancò le ali e volò verso il
soffitto. Aveva bisogno di
un’apertura per uscire, anche con le mani occupate.
Non
appena quel pensiero gli attraversò il cervello, J.J.
fu di nuovo investito da quella strana sensazione di pura energia che aveva
provato poco prima nella sua prigione. In uno spasmo involontario si ritrovò a
stringere gli occhi con tutte le sue forze. Sentì i suoi bulbi oculari divenire
bollenti sotto le palpebre, quasi ustionanti. Quando la strana sensazione svanì
di colpo, non poté fare a meno di spalancare gli occhi e liberare due raggi
laser, che ruppero il muro quanto bastò a farli uscire indenni. Jack-Jack
osservò il mondo farsi completamente rosso e rimase senza fiato dalla sorpresa
e dallo spavento. Per poco non gli venne da gridare. Ristrinse gli occhi e
quando non li sentì più caldi li riaprì timidamente in una minuscola fessura. I
colori erano tornati e lui era in volo sui cieli della città. Non aveva la più
pallida idea di come avesse fatto, ma ci era riuscito. Stava portando via i
suoi amici dal pericolo. Ce la poteva fare.
Cercò di
recuperare la calma e di riflettere. Se fosse rimasto in città i suoi amici avrebbero
continuato ad essere sotto il controllo dei loro rapitori. Forse allora era
meglio uscire dal centro abitato...
Salì
ancora più in alto e, finalmente, il fischio che lo stava assordando cessò. J.J. sospirò di sollievo, ma quasi subito sentì agitarsi
fra le sue braccia Steve e Melanie.
«Oh-oh...»
I due
ragazzi riaprirono gli occhi. Si sentivano assonnati, come se qualcuno li
avesse anestetizzati per lungo tempo. Impiegarono un po’ a capire di essere in
volo, tenuti da una creatura mostruosa.
Melanie
iniziò a scalciare come una disperata: «AAAAAAAAAAAAHHH!!! LASCIAMI, LASCIAMI,
BRUTTO MOSTRO!!!»
Jack-Jack,
sentendo scivolare la presa, andò in panico: «Ragazzi, ragazzi, per favore
smettetela! Sono io, non vi farò del male!»
Steve
sussultò, riconoscendo la voce: «J.J.?»
Il
ragazzo cercò di fare un sorriso rassicurante: «Già...»
Di tutta
risposta la ragazza gridò ancora più forte. Jack-Jack si ritrovò a rimpiangere
il fischio.
«Ragazzi, per favore, state fermi! Non voglio
farvi del male! Se continuate a dimenarvi così dovrò stringere di più la presa
e rischio davvero di rompervi qualcosa!»
«E dovrei
starmene buona mentre faccio la principessina in pericolo? Te lo scordi!»
Steve sembrò
aver realizzato la situazione solo in quel momento e improvvisamente si mise a
gridare più forte di Melanie: «ODDIO, UN MOSTRO SI È MANGIATO J.J. E NE IMITA LA VOCE! CI
DIVORERÀ TUTTI!!!»
Ok, decisamente
il sorriso rassicurante non aveva funzionato, ma non era il problema più
grosso. Il difficile era mantenere un assetto di volo stabile con Steve e
Melanie che cercavano di liberarsi dalla sua presa...
Esasperato,
il giovane Parr esclamò ironico: «Oh santa pazienza,
l’ho sempre detto che tu leggi troppi fumetti, Steve... e a quanto pare ora non
ho la faccia giusta per fare il bravo ragazzo... vogliamo metterla così? E va
bene! Sono un mostro che vi ha rapiti e che intende mangiarvi una volta
arrivato nella sua tana. Voi volete scappare, ma avete provato a guardare giù?
Se davvero riusciste a liberarvi, siete sicuri che sarebbe un bene da questa
altezza?»
Gli amici
non risposero e J.J. continuò: «Scendiamo a terra in
una posizione più sicura e poi discuteremo
di tutto il resto, va bene?»
Decise di
prendere il silenzio dei ragazzi per una risposta affermativa. Sospirò. Era una
situazione al limite della pazzia. Tanto per cominciare, stava volando. E non
sapeva neanche lui come lo stesse facendo. Aveva usato un sacco di poteri in
pochi minuti, quando fino a un paio d’ore prima non ne aveva neanche mezzo. La
sua città era in preda al caos e suo padre gli stava coprendo le spalle per
permettergli la fuga. Una buona parte di lui sperava che si trattasse solo
dell’incubo più brutto della sua vita, ma dovette ammettere che un’altra
piccola parte, molto piccola, era felice di solcare i cieli, libero come mai
prima d’allora.
Jack-Jack
deglutì, con la bocca secca. Erano arrivati al confine della città. Ancora
pochi metri e avrebbe potuto lasciare i suoi amici al sicuro e andare ad
aiutare suo padre. Sbatté le ali più forte per andare più veloce e si permise
un gridolino di gioia quando passò il confine. Avrebbe lasciato Melanie e Steve
nei campi fuori città e avrebbe fatto immediatamente dietrofront.
Lentamente,
J.J. rallentò e scese, fino a poggiare di nuovo i
piedi sul terreno. Non appena fu certo che i suoi amici fossero sani e salvi,
si voltò per decollare di nuovo, ma si fermò di colpo.
«D-dov’è la città? Dov’è finita?»
«Eh?»
Steve si
voltò furioso verso J.J.: «Dove ci hai portato,
mostro?»
Ma
Jack-Jack lo ignorò totalmente, alzandosi nuovamente in volo, con il cuore a
diecimila e un’ansia che lo opprimeva totalmente: «No, no, no, no, non ci
credo... ho fatto solo pochi metri, dev’essere qui...
dev’essere qui!»
Volò
nella zona dove sapeva dover esserci la città dov’era nato e cresciuto. Sotto
di lui solo campi e null’altro. Niente cemento, niente palazzi, niente di
niente.
Incredulo,
confuso, spiazzato, Jack-Jack riatterrò di fianco ai suoi amici e si sedette.
«Cosa...
cosa ho sbagliato?»
Steve
stava per ripetergli qualche insulto, ma si bloccò. Il mostro si era preso la
testa fra le mani, delle mani che però stavano diventando a vista d’occhio più
chiare e piccole. Le ali sparirono lentamente rientrando nella schiena, così
come la coda e le corna sulla testa; il busto rimpicciolì ed assunse l’aspetto
di una maglia e di un paio di jeans; le zampe divennero un paio di scarpe da
ginnastica consumate. Quello che però sconvolse di più i ragazzi fu il volto,
che in pochi secondi si deformò, fino ad assumere le fattezze familiari del
loro amico di sempre, Jack-Jack Parr, in lacrime.
«Cosa ho
fatto? Cosa ho fatto?»
Steve
rimase senza parole, indicandolo sconvolto e balbettando qualcosa
d’incomprensibile. Melanie, dopo un momento di sconcerto, con un gesto lo mandò
a quel paese e si avvicinò a Jack-Jack, per poi abbracciarlo senza preavviso.
«Ci hai
salvato. Ora calmati, per favore, ci servi lucido.»
J.J. rimase
impietrito per un momento dalla sorpresa, poi si liberò dall’abbraccio e si
asciugò malamente il volto con le mani: «Hai ragione... scusa, scusatemi
entrambi. È che è... troppo, troppo
tutto insieme. E io sono solo... io.»
Steve si
avvicinò all’amico titubante: «J.J., se sei davvero tu... spiegaci qualcosa. Io non
ci capisco più niente.»
Jack-Jack
li guardò fissi negli occhi: «Voi cosa ricordate delle ultime ore?»
Melanie
scosse la testa: «Non so, è tutto molto confuso... eravamo da te e poi... poi
sembra un tutto un sogno...»
Steve
continuò, con più sicurezza della ragazza: «Sapevo che dovevo cercare i
supereroi, e in quel momento mi ero convinto che tu lo fossi. E poi... poi
ricordo delle persone in camice bianco che mi facevano domande... e poi c’è
stato il mostro... cioè tu... che ha fatto irruzione... e Mr. Incredibile che
ha spaccato un muro...»
La
ragazza s’illuminò: «È vero! Mr. Incredibile! Che cosa ci faceva lì?»
«L’avevo
chiamato io, anche se arrivato con un bel po’ di ritardo...»
Steve lo
guardò perplesso: «Tu? Proprio tu che
odi i supereroi?»
J.J. fece un
mezzo sorriso: «Quale adolescente sopporta il proprio padre?»
Fu
difficile trovare le parole giuste per cominciare a rivelare il segreto che
aveva custodito per tanti anni, ma una volta cominciato Jack-Jack diventò come
un fiume in piena. Sotto lo sguardo sempre più sorpreso e sconvolto di Melanie
e Steve, rivelò il segreto della sua famiglia, i problemi che avevano dovuto
affrontare quando lui era piccolo, i suoi strani poteri improvvisamente
scomparsi e ricomparsi poco prima e i veri motivi per cui litigava sempre con
suo padre.
Steve lo
guardò con gli occhi sbarrati: «Fammi capire bene: tu saresti il figlio di Mr.
Incredibile e di Elastigirl...»
J.J. annuì e
sorrise, quasi divertito: «Se è per questo, mio fratello Flash è davvero Flash,
il supereroe più veloce del mondo.»
L’amico
esclamò: «E tua sorella Violetta? Anche lei non ha poteri!»
«Invisibilità
e campi di forza. Solo che ha scelto di essere più discreta.»
Steve
ridacchiò: «È... assurdo! Ho sempre
sognato d’incontrare un supereroe almeno una volta nella vita... e ne conoscevo
già cinque! Di tutte le persone che
conosco che avrebbero potuto essere figli di supereroi, tu sei l’ultimo su cui avrei scommesso.»
«Ottimo,
era esattamente quello che volevo, significa che ho fatto un buon lavoro fino
ad oggi.»
Melanie
intervenne: «E oggi cos’è successo?»
«Lo
sapessi... non lo so cos’è successo. Un attimo prima ero io... e un attimo dopo
ero quella... cosa. Ero venuto lì
solo per liberarvi, lo giuro, ma poi... poi non so cosa mi sia preso. Ma non vi
avrei mai fatto del male, davvero. Almeno, credo... non lo so più! Non so più
niente! E ora mi ritrovo ad avere dei superpoteri che nemmeno controllo, tutta
la mia famiglia nei guai fino al collo e una città scomparsa... io non sono un
supereroe, non posso salvare tutti!»
Melanie
provò ad essere comprensiva: «Non è vero. Sono sicura che riuscirai...»
Quella
che doveva essere una rassicurazione fu invece la goccia che fece traboccare il
vaso. Jack-Jack si sentì avvampare di rabbia e in un scatto di nervi gridò:
«Riuscirò? Riuscirò? Cosa pensi che sia diventato improvvisamente?
Un eroe? Un genio? No, sono sempre Jack-Jack Parr,
l’imbranato, l’inutile Jack-Jack Parr!»
Steve
sbiancò, mentre Melanie cercò, imbarazzata, di calmarlo: «Ehm... J.J.? Che ne dici, potremmo calmarci un po’...»
«IO SONO CALMO!»
Steve
intervenne: «No, J.J., non sei calmo! Sei decisamente
infervorato. Guardati un attimo!»
Jack-Jack
si osservò le mani e sobbalzò dalla sorpresa. Erano infuocate. Tutto il suo
corpo era infuocato! Si prese la testa fra le mani e cercò di respirare
profondamente per calmarsi. Doveva
calmarsi. Doveva tornare se stesso, nel giro di un’ora scarsa stava
perdendo la sua identità un po’ troppo spesso. Rimanere lì a bruciare non avrebbe cambiato la situazione.
Lentamente
le fiamme sul suo corpo si spensero e il ragazzo sospirò con quanto fiato aveva
in corpo. Aveva di nuovo perso il controllo. Se i suoi amici non fossero
intervenuti, era sicuro che avrebbe bruciato tutto. Si era sentito in grado di
farlo. Aveva avuto la tentazione fortissima di farlo. Ancora non credeva di
essere riuscito a trattenersi.
«Non ce
la faccio, ragazzi, non ce la faccio. Non da solo, non in questo stato. È già
un miracolo che non mi sia bruciato i... vestiti...»
«J.J.?»
Il
ragazzo sembrava avere avuto un’illuminazione: «I vestiti!»
Steve e
Melanie si guardarono perplessi mentre l’amico si toglieva la maglietta e la
rivoltava completamente: «Deve esserci, da qualche parte... non può non essersi
firmata...»
«Cosa
stai cercando?»
«Non
capite? I miei vestiti non si sono strappati né bruciati! E c’è solo una
persona in grado di creare abiti che... ah-ah! Ecco qua!»
Il
ragazzo strappò delicatamente un’etichetta all’interno della maglietta,
rivelandone un’altra nascosta.
«Papà... qui
c’è il tuo zampino...»
Steve lo
guardò perplesso: «Ehm... sottotitoli per noi che non parliamo supereroese?»
Jack-Jack
guardò l’etichetta che aveva in mano con un sorriso malinconico: «A quanto pare
ogni volta che compravo qualche abito nuovo, papà lo faceva “truccare” in modo
che non si rompesse nel caso mi fossero tornati i poteri... e c’è solo una
persona al mondo in grado di farlo. Anzi, forse l’unica in grado di aiutarci, ora,
senza supereroi in giro.»
Il
ragazzo guardò dritto negli occhi i suoi amici: «Vi va di andare a incontrare una
vecchia amica di famiglia?»
Ciao a tutti! Viva le vacanze, mi permettono di avere più tempo per
scrivere! Allora, che ve ne pare di Jack-Jack? Se pensate che abbia esagerato,
in realtà tutti i poteri mostrati sono tratti o dal film (per quanto riguarda
la trasformazione) o dal corto Jack-Jack Attack (dove
mostrano cos’ha combinato il piccolo con baby sitter
mentre il resto della sua famiglia salvava il mondo). Ho solo aggiornato il
mostro, insomma, dopo sedici anni di film, libri, videogame, fumetti e chi più
ne ha più ne metta, J.J. avrà in mente immagini più
spaventose di quelle di un neonato, no?
Intanto ringrazio tutti i lettori, ben più di quanti ne aspettassi,
e le due commentatrici, Bulmasanzo e mergana.
Prossimo capitolo? Tornerà uno dei personaggi che più amo del film,
e che è quasi incredibile che compaia per pochissimi minuti... ma qui avrà
decisamente più spazio! Avete capito di chi sto parlando? No? pazienza, lo
scoprirete presto!
Alla prossima!
CIAO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Hinata 92