Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: scrittrice in canna    25/08/2015    5 recensioni
Due agenti di polizia che lavorano per il bene della comunità e per cercare di colmare gli spazi vuoti nelle loro vite, mettendole a rischio ogni giorno senza il desiderio di sopravvivere, si scontrano e scoprono che i loro pezzi rotti combaciano più di quanto potessero immaginare.
IN PAUSA
Genere: Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

"Sai qual è il bello dei cuori infranti?" Domandò la bibliotecaria.
Scossi la testa.
"Che possono rompersi davvero soltanto una volta. Il resto sono graffi."
Carlos Ruiz Zafòn, Il Gioco dell'Angelo



Due episodi di Sherlock e una bottiglia dopo, i due si trovavano ad essere leggermente brilli, le loro visioni sfocate dall’alcool e mentre John chiedeva “Sono una signora carina?” Emma si rese conto che il loro stato non era diverso da quello dei due amici sullo schermo: sbronzi e soli.
“Oggi mi hai davvero fatto paura, Swan” le disse Killian da un momento all’altro, come se avesse cercato il coraggio di dire quella frase da tutta la sera. Lei si girò a guardarlo dalla sua posizione sul divano, addentò la sua barretta di cioccolato – Netflix e cibo spazzatura non potevano esistere da soli – prima di domandare: “Che vuoi dire?” con la bocca ancora mezza piena.
“Quando sei andata dietro a Widmore. Non farlo mai più, tesoro. Se ti dico di farti da parte-”
“Pensavo che tu credessi nelle mie capacità” lo interruppe stringendosi le ginocchia con le braccia, come se il solo allontanarsi fisicamente da lui potesse far sparire il dolore e la delusione che avrebbe potuto provocarle in quel momento. Lui allargò gli occhi e allungò una mano nella sua direzione come per appoggiarla sulle sue ginocchia, ma si fermò a metà e si appoggiò con un braccio al lato del divano vicino alle sue gambe avvicinandosi leggermente a lei. “No, no. So che sei un’ottima agente e che sai cavartela senza di me, come hai fatto negli anni passati.”
“E allora cosa c'è che non va, Jones?”
“Uccideva solo donne.” La sua espressione si fece triste, quasi malinconica, il suo sguardo cadde sul pavimento ed Emma si sedette dritta cercando di confortarlo come poteva senza mostrarsi vulnerabile. Aveva già visto troppo di lei, non si sarebbe permessa di fare quell’errore con nessun altro. “Cosa non mi stai dicendo?”
Silenzio.
“Killian?” Il suo nome lo risvegliò dalla trance sotto cui era caduto, alzò di nuovo lo sguardo verso di lei e digrignò i denti.
“C'era una ragazza, si chiamava Milah.”
Quella notte Emma Swan scoprì di aver trovato un’anima affine alla sua. Con un’unica differenza: lei portava le sue cicatrici sul cuore, ogni persona che l’aveva delusa una tacca incancellabile; lui ne aveva una sul polso, libera di essere vista dal mondo intero.
 
Emma cercò di non buttarsi più a capofitto ad ogni opportunità se stavano ricercando un uomo che se la prendeva col gentil sesso, non se il Capitano lavorava al caso con lei. Sarebbe stata un mostro a provarci.
 “Mi dispiace per lei, ma... cos’ha a che fare con me?” gli aveva chiesto prendendogli la mano sinistra nella sua destra e accarezzando la pelle rovinata.
 Dopo circa due settimane dalla loro discussione, ad Emma venne affidato il caso di una casalinga che aveva rapito i due figli e si era barricata in casa con loro. Avrebbe dovuto fare l’eroina e andare a salvarli, come sempre.
 “Perché ci tengo a te, Emma” fu la sua risposta, semplice e allo stesso tempo così importante.
 Prese il file col riassunto della situazione e lo lesse mentre si dirigeva alla macchina. La donna aveva perso la custodia dei bambini – Brandon, sei anni e Kyle, tre – dopo aver assalito e mandato all’ospedale suo marito senza motivi apparenti. Era stata dichiarata mentalmente instabile, il che le aveva permesso di usufruire della cauzione fino al giudizio finale. Emma si domandò perché non l’avessero tenuta sott’occhio, poi si ricordò di quanto era facile comprare un giudice e buttò la cartellina sul sedile da passeggero del suo maggiolino. Aveva letto abbastanza.
 Il giorno dopo solo uno dei due si ricordava di quello che era successo dopo, di come Emma si fosse avvicinata e avesse lasciato un bacio quasi invisibile sulle labbra del suo collega prima di addormentarsi sulle sue ginocchia. Non aveva mai retto molto bene i liquori.
 Non ci volle molto per arrivare alla casa dei Leeds. Quella che una volta era una famiglia felice si rivelò essere circondata dallo spettro della pazzia. Sembrava un teatrino dell’assurdo, rendersi conto di dove una donna fosse capace ad arrivare per tenere con sé i suoi bambini quando Emma aveva dato via il suo senza pensarci due volte. La sua, pero, era una situazione diversa: lei aveva solo diciotto anni, era in galera e non aveva altro che una macchina vecchia. I Leeds invece vivevano in una casa perfetta con la staccionata bianca e il giardino immenso e ben curato, la struttura si estendeva su due piani, piccola, confortevole e poco fuori città. Il posto perfetto per far crescere dei bambini. Emma si chiese se avessero un cane, un Labrador dal pelo fulvo avrebbe completato il quadretto. Tutta quell’apparenza avrebbe preso in giro chiunque e Gabriel Leeds non era altro che un uomo innamorato che voleva passare la vita con una moglie che non aveva il concetto della realtà. Forse lo sapeva e aveva deciso d’ignorare l’evidenza e trattare il suo amore come la donna perfetta o forse lei era abbastanza brava da mascherare i suoi problemi fino ad impazzire dopo dieci anni di matrimonio.
Vedere quel perfetto stereotipo di casa circondato da poliziotti e auto-pattuglia risvegliò Emma dai suoi pensieri e in un battito di ciglia si era ritrovata a togliersi la giacca, mettere il giubbotto antiproiettile e dire al capo delle operazioni che stava entrando. David la fermò prendendola per un braccio: “Non posso lasciarti andare da sola. Dio solo sa cosa c'è lì dentro.”
Emma sbuffò spazientita. “David, tranquillo. Se avrò bisogno di aiuto ti contatterò con la radio” lo rassicurò dando un colpetto con l’indice all’apparecchio che aveva incastrato sulla spalla. David annuì e non appena lei raggiunse la porta e cominciò a manometterla, prese la sua radio e chiamò il Capitano: “Abbiamo un problema dai Leeds. Swan è andata da sola, non ho potuto fermarla.”
 
Killian imprecò quando ricevette il messaggio di David e prese la sua pistola, il distintivo e le chiavi della volante. Aveva già fatto visita ai signori Leeds qualche settimana fa, quando la donna era stata ufficialmente dichiara instabile, per portare i bambini in stazione ed interrogarli sui comportamenti della madre. Brendon non aveva voluto parlare, rispondendo alle domande che gli venivano poste dal loro psicanalista con un silenzio assordante; Kyle, il piccolo, era stato più collaborativo e aveva spiegato ad Dr. Hopper che la sua mamma a volte sembrava andare via anche se rimaneva in casa, diceva che spesso suo fratello doveva preparare il pranzo da solo quando papà era a lavoro, che spesso si bruciava e che il dottore aveva un nome buffo. Archie gli sorrideva e annotava parola per parola sul suo taccuino. Due giorni dopo accadde l’inevitabile: la corte decise che Eleanor Leeds non poteva prendersi cura dei suoi figli e che per tanto i bambini sarebbero stati messi in una casa famiglia finché gli assistenti sociali non avessero trovato una famiglia adeguata.
 
Emma riuscì ad aprire la porta dopo qualche minuto di tentativi, quando la serratura cedette lasciò un sospiro di sollievo e cercò di entrare in casa senza fare rumore. Se le sue informazioni erano corrette, la signora Leeds si trovata nella stanza da letto che condivideva col marito e i bambini sarebbero dovuto essere con lei. Mamma orsa non lascia mai i suoi piccoli fuori dalla sua vista.
Emma chiuse la porta lentamente, si girò e si ritrovò in un’aria aperta che fungeva da sala da pranzo, notando che non c'era nessuno si avviò su per le scale e quando arrivò al piano superiore trovò un corridoio con almeno cinque porte. Perfetto. Due erano le stanze dei bambini, una la stanza patronale, uno il bagno e la quinta porta sarebbe potuto essere solo uno sgabuzzino, il problema era che Emma non aveva idea di quale porta conducesse dove. Se solo avesse prestato più attenzione alla cartella avrebbe visto il disegno della casa. Maledisse la sua avventatezza e pensò a cosa fare tirando fuori la pistola dalla fondina e tenendola bassa accanto alla sua gamba. Non doveva far capire a Eleonore che era dentro, ma doveva anche controllare le stanze e chiamare i rinforzi sarebbe stato inutile quindi cominciò ad aprire le porte da una ad una sperando di avere fortuna.
 
Killian premette più forte sull’acceleratore passando col rosso per la seconda volta, le sirene accese. Doveva arrivare alla casa prima che lei facesse qualcosa di stupido come confrontare la Signora Leeds da sola. Non avrebbe permesso a un’altra donna a cui teneva di morire sul campo com’era successo a Milah.
 
Emma aprì la seconda porta e la puzza di scarpe da ginnastica la colpì come una frustata in piena faccia: la stanza di Brandon. Sapeva che era la sua perché era ricoperta di poster sul football, vestiti troppo grandi per essere di suo fratello buttati sul letto e scarpe da calcio che avevano ricevuto lo stesso trattamento. Era ovvio che nessuno entrava in quella stanza da tanto tempo, ma Emma entrò ugualmente aprendo la finestra per far entrare dell’aria fresca e sedendosi sul letto, prese una delle magliette che aveva vicino e la studiò per qualche secondo pensando che quella stanza sarebbe potuta essere quella di suo figlio che aveva compiuto nove anni a settembre.
Questa sarebbe potuta essere la sua vita: una casa un montagna – perché, alla fine, Tallahassee non ê sulla spiaggia – con un bambino e un marito, una vita felice e semplice. La Emma di qualche anno fa credeva di poter avere tutto questo, ma aveva lasciato i suoi sogni dietro le sbarre della sua cella e non li aveva mai più ripresi. La vita non è una favola, l’aveva imparato nella maniera più dura, per questo si alzò e lasciò cadere la maglietta sul letto, quando si girò per andare in un’altra stanza si trovò faccia a faccia con Eleanor Leeds.
 
La volante della polizia raggiunse la casa proprio in tempo per far sentire al suo guidatore l’eco di uno sparo. Killian divenne pallido in volto e scese dalla macchina in tutta velocità dirigendosi verso la porta. David lo chiamò, ma le sue parole non ricevettero nessuna risposta.
 
Non appena Eleanor vide la donna seduta sul letto di suo figlio capì che c'era qualcosa che non andava. L’unico che poteva sedersi lì era Brandon.
“Cosa chi fa lei qui?” chiese indicando Emma, un sorriso gentile stampato sul viso. Conoscendo lo stato mentale della donna quell’espressione era solo più disturbante e la poliziotta soppresse un urlo.
“Ero venuta a-” s’interruppe per inumidirsi le labbra portandosi le mani alle tasche posteriori del jeans, sapeva che doveva scegliere le sue parole con cautela perché la sua pistola era ancora sul letto dove l’aveva lasciata quando aveva preso la maglietta, ma la signora Leeds non sembrava essersene accorta quindi aveva qualche secondo per riflettere. La donna di fronte a lei era sciupata, le guance scavate e il viso pallido, i capelli unti e secchi le cadevano a mala pena sulle spalle e la sua camicia da notte lasciava scoperti i suoi piedi nudi e sporchi. Aveva l’aria di non essersi lavata da un po’ e da quanto aveva visto Emma probabilmente era così dato che nemmeno la casa era stata tenuta in ottime condizioni.
Eleanor inclinò la testa aspettando una risposta, come ad incoraggiarla, ma Emma non era mai stata brava con le parole quindi allungò una mano verso il letto cercando di prendere l’arma senza smettere di guardarla negli occhi.
“Cara, credo che lei abbia sbagliato casa” le riferì corrugando la fronte come se fosse una cosa totalmente normale.
“Oh, sì. È che sono nuova nel vicinato e non...” Sempre concordare coi pazzi, giusto? Eleanor si avvicinò lentamente guardandola con comprensione: “Può essere difficile orientarsi, ma adesso deve uscire da casa mia” le spiegò con la voce ferma andando dritto verso la pistola e prendendola prima che l’altra ne avesse l’occasione. “Se non va via adesso temo di doverla scortare alla porta” concluse puntando la canna della nove millimetri tra il petto e lo stomaco della donna di fronte a lei.
Emma era tranquilla, relativamente, se avesse mirato al petto avrebbe potuto far finta di essere stata messa k.o., aveva il giubbotto antiproiettile e il rumore degli spari avrebbe messo tutti sugli attenti. Sarebbe uscita con una concussione alla testa ma i bambini sarebbero stati al sicuro.
Tutto d’un tratto la signora Leeds sembrò confusa, ma divertita, puntò alla gamba di Emma e sparò senza pensarci due volte.
 
La porta si aprì senza problemi e Killian rise sotto i baffi consapevole del fatto che era stata forzata. Quella donna non smetteva mai di stupirlo. Supervisionò tutto il piano terra ringraziando chiunque stesse ad ascoltare che la casa era limitata a due spazi: la cucina e il salone.
Constatato che non avrebbe trovato nulla lì cominciò a salire le scale e la prima cosa che vide fu Eleanor Leeds in piedi nel corridoio con una pistola in mano e un sorriso soddisfatto. Il ragazzo cercò di avvicinarsi senza fare troppo rumore, ma il pavimento di legno scricchiolò sotto i suoi piedi, intriso di umidità raccolta nel tempo, e la padrona di casa si girò verso di lui. I suoi capelli lisci sul biondo cenere, la sua pelle e l’abito bianco la facevano sembrare un fantasma, peccato che il sangue sulla sua gonna rovinasse l’incanto, Killian rabbrividì pensando che quello poteva essere il sangue della sua collega e alzò la pistola.
“Butta la pistola” le ordinò, ma lei non fece altro che sorridergli.
“Non posso farlo, mi dispiace” rispose lei mirando al pavimento alla sua destra e facendo un passo indietro. Killian spostò lo sguardo per vedere a cosa stava puntando e il suo cuore quasi gli uscì dal petto quando vide Emma seduta a terra, il tessuto del pantalone bucato e ricoperto di sangue, l’espressione terrorizzata. Quando incrociò lo sguardo duro di Killian sussurrò il suo nome come se fosse sorpresa di vederlo. Pensava davvero che l’avrebbe lasciata lì? Poi notò che non aveva nessuna protezione addosso, solo la sua camicia, e sgranò gli occhi scuotendo la testa: “No. No, no, non puoi restare qui. Devi andartene, ti ucciderà.”
Lui tornò a fissare Eleanor che se ne stava in un angolo ad osservare la scena.
“Se muoio io morirà anche lei” le rispose sistemando la presa sulla pistola, poi si rivolse all’altra donna con tono calmo: “Adesso porto via la mia amica, ma lei deve lasciare la pistola.”
Eleanor non sembrava molto convinta, stava per rispondere quando si sentì un urlo soffocato dalla stanza accanto e si diresse verso l’ultima stanza in fondo alla casa. Killian si abbassò per aiutare Emma, inginocchiato davanti a lei prese uno dei vestiti accanto a loro sul pavimento e cominciò a premerlo contro la ferita togliendo quello già insanguinato che stava usando prima.
“Ehi, Killian. Fermati” gli sussurrò sollevandogli il viso per costringerlo a guardarla, gli stava sporcando la guancia di sangue ma non gliene importava. Dovevano salvare quei bambini e lui era l’unico che poteva farlo in quel momento.
“Vai laggiù, trova quei bambini e portali via da qui.”
“Non ti lascio qui” le rispose coprendo la mano sul suo viso con la sua mentre con l’altra teneva la maglietta premuta contro la gamba.
“È la nostra unica possibilità, potremmo non averne un’altra. David starà già entrando. Ti prego.” Killian annuì e strinse un’ultima volta le dita di Emma prima di appoggiarle sulla ferita: “Fa pressione e resta viva, Swan” le disse prima di andare via.
 
Kyle si svegliò ricordandosi dove si trovava e come ci era finito e si mise ad urlare anche se il suono era coperto da un tovagliolo legato intorno alla sua bocca. Pochi secondi dopo sua madre aprì l’armadio in cui l’aveva lasciato accarezzandolo: “Shh. È tutto ok, mamma è qui” lo rassicurò, ma il bambino si mise a piangere, gli occhi lucidi sia per il dolore che provava su tutto il corpo che per la paura. Quando vide che la donna davanti a lui era armata cercò di muoversi verso la parete e allontanarsi da lei, senza successo. Era già arrivato a toccare il muro con tutto il corpo. La stanza era buia, le luci spente come nel resto della casa, le finestre sbarrate.
“Devi fare il bravo, Kyle. Non vuoi svegliare Brandy. Vero?” gli chiese Eleanor guardando il figlio più grande sdraiato sul letto che una volta era stato suo e di suo marito. Il piccolo scosse la testa.
“E allora fa il bravo bimbo e smetti di piangere mentre mamma si prende cure di alcune persone che sono entrate in casa. Sono un po’ confusi e mamma deve mostrargli la strada per casa loro. Ok?” Kyle annuì cercando di calmarsi ma aveva ancora gli occhi lucidi e la sua testa faceva così male. La donna stava per alzarsi quando si sentì un altro sparo e lei cadde al suolo cingendosi la spalla. Il bambino non sapeva cosa pensare o come reagire alla vista dell’uomo che stava sciogliendo i lacci che gli tenevano le mani e il bavaglio che aveva davanti alla bocca. Si sentì il pavimento scricchiolare e mentre Kyle sgranava gli occhi terrorizzato l’uomo che lo stava salvando sospirò sollevato.
“Chi- chi sei tu?” gli chiese quando fu libero di farlo.
Killian si grattò dietro la testa prima di ricordarsi che la sua mano era ancora sporca di sangue: “Sono un poliziotto, siamo venuti per aiutarti, ragazzino” gli spiegò. “Riesci a camminare?” chiese e Kyle provò ad alzarsi cadendo appena si mise in piedi. Killian lo prese in braccio e si girò verso sua madre che stava cercando di raggiungere la pistola che le era sfuggita, dalla spalla usciva un rivolo di sangue scuro che stava formando una pozza sul pavimento che non sarebbe mai andata via, un ricordo costante di quel giorno orribile che avrebbe circondato la casa per sempre. Fortunatamente David entrò in quel esatto momento e spinse via l’arma con un piede puntando la sua alla testa della donna.
“Ci hai messo un po’, amico” fu l’unica cosa che disse Killian quando entrarono i paramedici con la barella per portare via Brandon.
“Scusa, Jones. Ho dovuto parlare coi piano alti per avere il permesso d’intervenire” gli raccontò il collega.
“Ci sono piani più alti del tuo capitano?” gli chiese scherzosamente dirigendosi verso la porta.
“Tecnicamente neanche tu ed Emma sareste potuti entrare, ma siete testardi come un mulo.” David ammanettò la signora Leeds e la portò al piano di sotto con l’aiuto di un altro poliziotto in divisa, la donna si ribellava e urlava, gli occhi rossi e gonfi.
 
Una volta usciti dalla casa e lasciato Kyle con gli assistenti sociali, Killian si diresse verso la macchina e guidò a tutta velocità verso l’ospedale dove David gli avevano detto che Emma era stata portata per essere operata.


 
Scrittrice in canna's corner
Here we are!
Sono felicissima di vedere che la storia vi piace, mi avete fatto tanti complimenti sul mio stile di scrittura e non smetterò mai di ringraziarvi perché mi sto ancora "evolvendo" e questo genere di storia non è quello che scrivo spesso, ma sto sperimentando qualcosa di nuovo e a quanto pare funziona.
FYI: Questo capitolo (almeno dalla faprte in cui Emma arriva dai Leeds in poi) non doveva eistere, ma dato che vi è piaciuta così tanto ho pensato di sfruttare la cosa per far sviluppare meglio i personaggi. Non vi dispiace, vero? 
Detto questo grazie anche per tutti i seguiti e i preferiti e tutto il resto, ci vediamo ad un prossimo aggornamento che ci metterà almeno una settimana, credo, ma posso confermarvi che ci saranno almeno quattro parti e dire che volevo scrivere una one shot.
Vostra, 
Scrittirce in Canna.

P.S.: Ho aggiustato alcuni errori nel primo capitolo, prometto di non aggiornare più alle tre di notte. Mai più.



 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: scrittrice in canna