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Autore: A li    02/02/2009    3 recensioni
[Elricest / 3 capitoli]
Alphonse rise divertito, mentre Edward lo guardava in cagnesco, anche se ancora mezzo addormentato.
-Che c’è da ridere?-
-Niente, niente… Mi fa ridere la tua faccia-.
Edward si toccò il viso, cercando di aggiustarsi i capelli che sembravano essersi agitati da soli durante il sonno. Doveva essere davvero in uno stato pietoso.
Alphonse sorrise ai suoi tentativi di rendersi quantomeno civile. Gli si avvicinò e gli bloccò le mani, impedendogli di mettersi ancora a posto quella chioma bionda.
-Tranquillo, fratellone. Sei bello anche così-, esordì.
Edward sobbalzò, ma Alphonse non se ne accorse.
L’innocenza con cui aveva pronunciato quella frase era incredibile. Edward lo fissò quasi seccato. Al non poteva dire certe cose senza pensarci, semplicemente aprendo la bocca. Doveva riflettere sul significato delle proprie parole, a come gli altri avrebbero potuto interpretarle. Non poteva essere sempre così ingenuamente ingenuo.
O forse era lui quello che sbagliava?
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Rose Thomas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è tutto ciò che una mente malata (in fase di influenza) può partorire

Questa storia è tutto ciò che una mente malata (in fase di influenza) può partorire.

Doveva essere una one-shot, ma alla fine ho deciso di dividerla in tre capitoletti. Mi auguro che vogliate leggere fino alla fine.

Sperando che vi piaccia… Buona lettura.

 

Il Regalo

Più Grande

Dedicato a mia sorella Valeria

Perché le voglio un bene enorme

E Perché in questa storia c’è molto anche di lei

1. Il Mio Dolore

Voglio farti un regalo
Qualcosa di dolce
Qualcosa di raro
Non un comune regalo
Di quelli che hai perso
O mai aperto O lasciato in treno
O mai accettato
Di quelli che apri e poi piangi
Che sei contenta e non fingi
In questo giorno di metà settembre
Ti dedicherò
Il regalo mio più grande

 

-Al!-

Il grido di Edward risuonò per la casa, infiltrandosi nella cucina e raggiungendo le orecchie del fratello intento a preparare uno dei suoi manicaretti.

-Che c’è, fratellone?- domandò quello, con aria innocente.

Edward spuntò dalla porta con uno sguardo omicida che indirizzò senza incertezza al fratello minore, voltatosi per chiarire quella situazione.

-Al-, sillabò Edward, costringendosi ad abbassare il tono della voce, -E questo cosa significa?!-

Fallendo miseramente nel suo intento di calmarsi, sventolò sul viso del fratello un bigliettino rosa confetto decorato da due righe in inchiostro nero di una elegante calligrafia minuta.

Alphonse prese il foglietto dalle mani del fratello maggiore e lo guardò con un sopracciglio alzato, visibilmente contrariato.

-Cosa c’è che non va in un biglietto d’auguri?-, chiese.

Edward aggrottò le sopracciglia, sbattendo i piedi come faceva quando era incapace di esprimere a parole la sua rabbia.

-E’ da parte di una ragazza!-, esclamò.

Alphonse sorrise, inarcando maggiormente il sopracciglio già alzato.

-E allora?-

-Smettila di giocare, Al!-, ringhiò il fratello, -Perché una ragazza ti manda gli auguri?!-

Alphonse scosse la testa, come davanti ad un malato di mente incapace di capire la parola casa.

-Magari perché è innamorata di me?-, suppose ironicamente.

Edward sentì come una lama penetrargli nel petto. Boccheggiò un secondo, incapace di prendere fiato, ma Alphonse non lo vide, girato nuovamente verso il pranzo che stava preparando.

Abbassò le spalle minacciosamente alzate già da un po’ e rimase con occhi spalancati a fissare la schiena del fratellino adorato, osservando le sue braccia muoversi abilmente sul cibo.

Innamorata?

Quella parola gli infiltrava uno strano senso di inquietudine alla bocca dello stomaco. Ma in fondo, perché era stato così sorpreso di sentire che qualcuno poteva essersi innamorato di suo fratello? Forse perché per tutto quel tempo era stato l’unico ad amarlo senza limiti?

Probabilmente, ora che aveva ripreso il corpo, non avrebbe più avuto bisogno del suo affetto.

Ci sarebbe stato qualcun altro.

Un’ennesima fitta allo stomaco lo costrinse a serrare gli occhi. Percepì le lacrime minacciarlo di scendere senza ritegno e si affrettò a voltarsi. Di corsa, raggiunse la porta e si lanciò su per le scale.

Alphonse si girò allarmato. Ma ebbe solo il tempo di vedere la sua schiena sparire oltre lo stipite.

Abbassò lo sguardo, sentendosi ingiustamente colpevole.

 

Edward si coricò sul letto, puntando gli occhi dorati al soffitto intonacato.

Lentamente mise un braccio di fronte al viso, osservandosi il dorso della mano, e si chiese per quanto tempo avrebbe avuto tutte e due le braccia di carne pulsante. Il suo istinto lo metteva all’erta, lo spronava a non lasciarsi andare alla pace che aveva vissuto in quegli ultimi mesi. Perché una nuova difficoltà poteva essere dietro l’angolo.

Aveva sempre creduto allo scambio equivalente e per qualche motivo lui e suo fratello non avevano dovuto sacrificare nulla per tornare normali. Ma allora cosa voleva indietro? Che cosa desiderava, la Verità, in cambio di quella grazia?

Lasciò andare stancamente il braccio e quello si afflosciò sul letto, accanto a lui.

Perché prima si era tanto stupito della possibilità che una ragazza si innamorasse di suo fratello? Non era forse un bel ragazzo, biondo, con un sorriso magnifico?

Si vergognò di quei pensieri. Certo che Al era un bellissimo ragazzo. Ed era sicuro che avesse il diritto di farsi una vita sua, di trovarsi una ragazza, o addirittura una moglie, di avere dei figli.

Probabilmente non era quello che lo aveva tanto sconvolto. Era più la consapevolezza che Al, il suo fratellino, potesse innamorarsi di qualcun altro. Era stato quello a fargli paura.

Ma non era giusto che interferisse con la sua vita solo perché era assurdamente geloso. Era geloso perché erano stati insieme fin da piccoli e lo aveva sempre protetto con la sua forza e ora non voleva che andasse via. Forse però accadeva a tutti i fratelli, prima o poi, di provare quei sentimenti.

Sospirò e si alzò in piedi. Infilò le ciabatte ai piedi del letto e uscì dalla stanza per farsi una doccia.

Quando spalancò la porta sentì un profumo invitante provenire dalla cucina: Al si era davvero impegnato per preparare un pranzo coi fiocchi. Ecco un’altra sua dote; ecco un’altra cosa di lui a cui avrebbe dovuto rinunciare.

Entrò nel bagno trascinando i piedi. Si scompigliò i capelli con una mano e si tolse i vestiti con calma, appoggiandoli al bordo della vasca. Quando fu completamente nudo si fermò a guardarsi nello specchio.

Il suo riflesso gli lanciò un’occhiata perplessa. Era un ragazzo di diciassette anni, quello che vedeva in piedi nel bagno. Magro, muscoloso, con un viso perfettamente ovale dagli occhi dorati un po’ troppo grandi e le labbra sottili; i capelli arruffati stretti in una pinza che utilizzava solo per farsi la doccia, quando nessuno poteva vederlo, biondi, dello stesso colore degli occhi. E poi c’era quella sua dannata caratteristica che odiava ammettere: sì, era un po’… basso.

Il riflesso aggrottò le sopracciglia, infastidito dal commento inopportuno. Poi l’espressione si sciolse, i lineamenti tornarono di una pacata distensione e Edward sospirò, allontanandosi dallo specchio.

Lasciò le ciabatte davanti al cubicolo e vi entrò con un sorriso di piacere: amava farsi la doccia. Il suo inconscio aveva sempre ammesso, senza il suo consenso, che gli piaceva perché sembrava quasi una purificazione.

E il suo animo aveva avuto sempre bisogno di purificarsi.

Aprì l’acqua, lasciandola venire più calda possibile, scottandosi la pelle che cominciò a diventare rossa per il contatto. Il fumo confortante che rilasciava l’acqua lo avvolse totalmente, stordendolo e allietandolo insieme.

Rimase con gli occhi chiusi, immobile, a godersi il getto sul viso e sulle spalle, respirando a tratti, quando gli era possibile. I suoi pensieri tornarono a quel biglietto trovato davanti alla porta, in cui una certa Rose augurava un buon compleanno ad Alphonse. Pensò che era di certo uno scherzo del destino che quella ragazza si chiamasse proprio Rose, come la giovane immatura che avevano salvato dall’illusione della resurrezione molto tempo prima, a Reole.

Ma si sbagliava.

 

Tornò al piano di sotto solo mezz’ora dopo, vestito di un unico asciugamano legato attorno alla vita.

Alphonse lo aspettava seduto a tavola, con uno sguardo contrariato, di quelli che amava lanciargli prima di una sonora ramanzina. Ma quando vide il fratello maggiore venire giù dalla scala con solo un asciugamano addosso, tutti i suoi propositi svanirono in un sospiro rassegnato.

-Fratellone-, esclamò, -Ti sembra il caso di girare per casa in quello stato a metà ottobre?-

Edward gli rispose con un’occhiata annoiata, sedendosi al proprio posto, di fronte a lui.

-Mi sono appena fatto la doccia-.

Alphonse sbuffò.

-E questo cosa c’entra? La tua pelle ha paura dei vestiti, appena lavata?-

Edward lo incenerì, infastidito.

-No, solo dei vestiti sporchi-.

Alphonse chiuse gli occhi.

-Mettitene dei puliti, allora-.

-Non li ho, visto che non li hai lavati!-

Edward portò una mano alla bocca, pentendosi di quello che aveva appena detto, stupito persino di se stesso.

Gli occhi di Alphonse si riempirono di lacrime, mentre lo guardava con risentimento.

-Al, scusa, io…-

-Vaffanculo! I tuoi vestiti sono nel tuo cassetto, come sempre! Se non ti soddisfa il modo in cui li lavo io, lavateli da solo!-, gridò.

Cercò di portare via le lacrime con una mano, ma quelle continuavano a scorrere senza ritegno.

Si alzò con uno scatto, facendo cadere la sedia con un tonfo che assordò entrambi. Si fissarono senza trovare le parole, poi Alphonse singhiozzò e corse via, correndo mentre saliva le scale.

Edward rimase a guardare il posto vuoto davanti a sé, con gli occhi spalancati per lo stupore di quello che era successo, di quello che lui aveva fatto succedere. Come aveva potuto dire delle cose del genere a suo fratello? Ad Al? Da quando quell’assurdo risentimento era rinchiuso nel suo cuore, pronto a trovare la prima occasione per uscire?

Appoggiò un gomito sul tavolo, nascondendo la fronte e gli occhi nel palmo della mano, sospirando.

In quel momento si odiò più di quanto avesse mai fatto.

 

-Al-.

Edward bussò alla porta una volta, facendosi coraggio.

Da dentro la stanza non provenne alcun segno che Alphonse avesse sentito.

Sospirò, quasi sul punto di arrendersi, poi cambiò idea. Bussò di nuovo.

-Al, per favore…-, tentò, -Mi dispiace, io…-

Io cosa?

Avrebbe voluto dire che non era colpa sua se reagiva così: era la paura che lo costringeva a dire cose che lo ferivano; era quella: la sua terrificante paura di perderlo per sempre.

Bussò ancora, appoggiandosi con tutto il corpo alla porta, porgendo una guancia al legno liscio e freddo.

-Al-, insisté, -Ti prego, mi dispiace-.

Non sentì alcun rumore, ma ebbe la sensazione che suo fratello si fosse appoggiato alla porta, dall’altra parte, esattamente come stava facendo lui. Con tutto il coraggio che aveva, premette ancora di più contro il piano di legno, tentando di raggiungere con il pensiero il corpo di Al, di abbracciarlo.

-Al…-, sussurrò, -Mi dispiace tantissimo-.

Ripeté quelle parole ancora una volta e rimase in silenzio. Era certo che quel silenzio, quel respiro che Al poteva ascoltare di là dalla porta, valessero molto più di ogni parola di scusa. Era certo che il suo perdono potesse arrivare.

Infatti bastò un minuto, anche se a Edward parve fin troppo lungo per durare sessanta secondi, e la porta si socchiuse, lasciandogli lo spazio per entrare. Ci si infilò cautamente e richiuse il battente dietro di sé.

Al era poco più all’interno della stanza. Stava in piedi, con le braccia lunghe accanto al corpo e i pugni chiusi, il viso abbassato e gli occhi arrossati.

Edward gli si avvicinò e Al non fece nulla per impedirglielo. Lo accarezzò sulla fronte con una mano, delicatamente, come se si fosse trattato di un oggetto raro che poteva sbriciolarsi in un istante. Lo guardò con affetto, sorridendo, osservando quel suo corpo che aveva fatto tanta fatica a conquistare. E poi lo abbracciò, lo strinse a sé con tutta la forza che aveva in corpo, sperando che capisse da quel suo abbraccio quanto era grande il suo senso di colpa.

Al si lasciò stringere, permettendo che solo due lacrime ancora cadessero sulle spalle nude del fratello.

Edward ascoltò il calore di quelle lacrime sulla pelle.

Gli sembrò che bruciassero la sua carne più delle fiamme dell’inferno.

 

Quella notte non riuscì a dormire.

Alphonse riposava accoccolato contro il suo petto, tentando di trovare il calore che non aveva in sé.

Edward lo guardò con affetto, come aveva fatto poche ore prima, nella stessa stanza. Dopo un tempo infinito si erano separati e Al gli aveva chiesto di rimanere a dormire con lui, solo per quella notte.

Edward aveva mascherato la sua felicità dietro ad un sorriso che poteva essere di scherno, ma la gioia sincera che aveva intravisto negli occhi di Al aveva spento ogni sua possibilità di prenderlo in giro.

Aveva accettato.

Ed ora si trovava lì, stretto a suo fratello, come era successo molti anni addietro, quando ancora erano bambini. Al si spaventava per tutto: era un bambino davvero sensibile, e correva sempre da lui se aveva un incubo o qualcosa del genere. Le prime volte aveva pianto sommessamente, sperando di non farsi sentire, finché Edward aveva dovuto alzarsi e infilarsi di sua spontanea volontà nel letto del fratellino per calmarlo. Ma dopo due o tre volte, le notti di paura si erano fatte più frequenti e Al aveva iniziato a correre e buttarsi nelle lenzuola del fratello, stringendosi a lui tutto tremante.

Edward non gli aveva mai chiesto cosa riguardassero i suoi incubi: era sempre stato un argomento tabù. Probabilmente era l’unica cosa che non sapesse di suo fratello, ma non gli aveva mai dato fastidio. Se ad Al non andava di parlarne, di certo non lo avrebbe forzato a farlo. Sapeva bene cosa volesse dire essere obbligati a fare delle scelte e non aveva la minima voglia di farlo capire anche a suo fratello.

Sospirando, in preda ai ricordi di quelle notti, si mosse lentamente nel letto, mettendosi a pancia in su. Al scivolò dal suo petto, restando un po’ distante, raggomitolato su se stesso come un feto.

Edward cercò di addormentarsi, mentre osservava l’espressione distesa del fratello, e incredibilmente crollò dopo pochi secondi.

Fu svegliato dalla stretta violenta che sentiva sul braccio sinistro.

Aprì gli occhi, allarmato, e vide Al afferrare convulsamente la sua carne, scosso dai tremiti e dai singhiozzi. Le lacrime si erano già lasciate andare sul viso e sulle lenzuola, bagnando anche il pigiama di Edward.

Lui cercò di districarsi da quella stretta, ma ci riuscì solo dopo diversi tentativi. Prese il fratello per le spalle e lo scosse violentemente, cercando di svegliarlo.

-Al! Svegliati, Al!-

Alphonse continuava a piangere e a tremare, anche tra le braccia di Edward. Solamente dopo alcuni minuti e tutti gli sforzi del fratello, riuscì a svegliarsi. Spalancò gli occhi offuscati dalle lacrime e, quando riconobbe il volto di Edward, si gettò sul suo petto, affondando il viso nei suoi capelli lasciati liberi, piangendo senza controllo.

-Al…-, mormorò Edward, -Al… Dai, calmati… Non è niente, è tutto finito…-

Alphonse singhiozzava ancora, con il volto nascosto nel suo petto, tremando, anche se di meno.

Edward lo tenne stretto, circondandolo con le sue braccia, aspettando che si calmasse. A poco a poco Alphonse smise di tremare, poi anche i singhiozzi sparirono e infine le lacrime; il respiro si fece regolare.

-Fratellone-, sussurrò, con voce roca per il troppo piangere.

-Dimmi, Al-.

-Scusa…-

Edward aprì gli occhi che aveva chiuso, stupito.

-Di cosa?-

-Scusa se non ti ho salvato…-

Edward aggrottò le sopracciglia, avvolse ancora di più Alphonse nel suo abbraccio.

-Ma, Al, cosa stai…?-

Alphonse si lasciò scappare un altro singhiozzo.

-Tu-, mormorò, con le parole strozzate da nuove lacrime, -Eri lì, per terra, non ti muovevi. Sono corso accanto a te, ma quando sono arrivato c’era… qualcosa… Ti ha colpito, con un pugnale, in mezzo al petto. Sei stato avvolto da un lago di sangue e poi… Tu mi hai guardato e mi hai chiesto di salvarti, ma io non riuscivo a raggiungerti e…!-

-Al-, lo bloccò Edward, -Ora basta. Stai tranquillo: era solo un incubo-.

Alphonse smise di parlare. Si lasciò cullare da Edward che non disse più nulla.

Passarono i minuti e, quando il maggiore era convinto che l’altro si fosse addormentato, lo sentì muoversi tranquillamente contro di lui e sospirare.

-Fratellone-.

-Dimmi, Al-.

Edward sentì Alphonse sorridere sulla sua pelle.

-Ti ricordi quando da bambino venivo sempre da te dopo un incubo?-

Il maggiore si unì al sorriso del fratello.

-Certo che mi ricordo-.

-Mi hai sempre accolto e non mi hai mai chiesto che incubi facessi…-

Sospirò. –Non avevo il coraggio di rivelarteli, perché ero sicuro che mi avresti detto che ero uno stupido-.

-Al!-

-Sì, lo so-, ammise il più piccolo, -Non avrei dovuto pensare certe cose. Però l’ho fatto. Mi dispiace… E’ solo che quegli incubi mi tormentavano sempre e avevo paura-.

Fece una pausa e strofinò una guancia infreddolita sulla pelle calda di Edward, che cercò di scaldarlo come meglio poté.

-Sognavo sempre la stessa cosa. C’era la mamma, in mezzo al prato, che ci sorrideva. Avevamo preparato i nostri oggetti creati con l’alchimia e lei voleva vederli. Il tuo era più bello, come ogni volta: un cavallino di legno quasi perfetto. La mamma allora mi guardava con disprezzo e mi diceva che non ero capace di fare nulla, che non sarei mai stato bravo come te. Poi se ne andava insieme a te. Io vi correvo dietro, cercavo di raggiungervi, ma eravate sempre più lontani. Alla fine scomparivate e il buio mi avvolgeva. C’ero solo io, in mezzo a tutta quell’oscurità, a tutto quel freddo…-

Edward represse a stento le lacrime, mentre fissava la testa di Al nascosta contro di sé.

-Al… Non avremmo mai potuto fare una cosa del genere, lo sai!-

Alphonse annuì con sicurezza, senza lasciare che il sorriso sparisse dalle sue labbra. Probabilmente quell’incubo era solamente un ricordo lontano, per lui e non aveva più alcun peso.

Edward sentì una lacrima scendere sulla sua guancia: non si era nemmeno accorto di averle concesso di sfuggire al controllo. Con una mano, la scacciò via velocemente.

-Piangi?- chiese Alphonse, con il suo solito tono innocente.

-No, Al-.

Al fratello parvero bastare quelle due parole. Tornò a distendersi sulle lenzuola asciutte ormai, nonostante le lacrime e portò con sé Edward, rimanendo stretto a lui. Si addormentò in pochi secondi, con un’espressione serena sul viso.

Edward rimase a guardarlo, incapace di rassegnarsi all’idea che ormai quell’incubo era il passato e non sarebbe più tornato a tormentare suo fratello. Aveva la gola serrata e un sapore amaro in bocca che ricordava il senso di colpa.

Non sarebbe mai stato capace di riscattare le proprie colpe verso il fratello che aveva fatto soffrire così tanto.

Pensò che non era riuscito ad amare nessuno, nella sua vita, quanto suo fratello. E pensò che non era nemmeno riuscito a far soffrire qualcuno quanto lui.

   
 
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