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Autore: Evilcassy    02/02/2009    5 recensioni
"Quando ho chiuso la borsa nera dell’Istituto dell’Aiuto all’Innocente, nobile nome per un orfanotrofio gestito da suore che sapevano di rancido come le loro credenze, mi sono posto ancora la Domanda delle Domande: perché non mi ha cercato prima? Perché si faceva vivo solo adesso? Nessuno mi aveva dato una risposta precisa. Era sembrata una cosa naturale: Tuo fratello ti è venuto a prendere, ora è lui il tuo tutore. Devi essergli riconoscente e ringraziarlo…" Inuyasha no Taisho. 17 anni. Le porte dell'Orfanotrofio si aprono e lui si ritrova in un mondo tutto nuovo.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Kagura, Sesshoumaru
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 19:

Capitolo 19:

Terminare.

(Well now, everything dies, baby, that’s a fact
But maybe everything that dies someday comes back)

 

Lo schermo della televisione trasmetteva le immagini sensazionali dell’arresto di Naraku Onigumo, avvenuto a metà mattinata.

I poliziotti cercavano di allontanare i cronisti, mentre accompagnavano l’uomo ammanettato dentro alla ca­serma. Lui proseguiva a testa alta, il volto scoperto, le labbra sottili serrate, aveva l’aria di chi stesse subendo solo una dannata seccatura.

Il suo avvocato faceva sapere che le accuse formulate a suo carico erano totalmente prive di qualsiasi fonda­mento, e che il proprio assistito sarebbe stato libero nell’arco delle prossime ore.

“Poche ore fa è stata individuata la Porsche Carrera di proprietà di Kagura Onigumo. L’autovettura si tro­verebbe in mare, ai piedi della scogliera della strada panoramica a due ore dalla città. I sommozzatori stanno lavorando per il difficile recupero del mezzo, ma in questo momento non è dato sapere se sia stato rinvenuto il cadavere della donna al suo in­terno. Ci colleghiamo direttamente sul posto…”

L’immagine si spostò sul viso di un uomo, comandante della sezione dei sommozzatori della polizia. Sullo sfondo, l’immagine della strada panoramica che correva lungo la baia.

La corrente in questo tratto è molto forte, è difficile riuscire a recuperare l’automobile” spiegò, parlando ad alta voce per farsi sentire sopra il rombo delle onde e il fischio incessante del vento.

“Avete rinvenuto il corpo al suo interno?”

“No, i finestrini sono stati precedentemente abbassati, come per far entrare l’acqua più velocemente. Siamo riusciti a vedere nell’abitacolo, e a scoprire che è vuoto, ma dobbiamo ancora controllare il baule.”

Il cronista incalzò: “E’ possibile che il corpo sia potuto uscire da uno dei finestrini?”

“Si, è una cosa plausibile: come dicevo la corrente è molto forte, per questo non siamo ancora riusciti a ispezionare i fondali attigui. Le condizioni del meteo non ce lo permettono, purtroppo. Sarà già tanto se riu­sciremo a portare in strada l’auto entro oggi.

“Si può parlare di suicidio?”

“Alla luce degli elementi direi di si. E’ stata formulata anche l’ipotesi di omicidio, ma non vi sono tracce di frenata o di collisione sull’asfalto, e le testimonianze portano ad un allontanamento volontario della signo­rina Onigumo.

La voce fuori campo aggiungeva che testimonianze molto importanti erano state depositate di prima mattina da Sesshomaru No Taisho e dal fratello minorenne, a quanto pare coinvolto nella registrazione del video che aveva permesso di inchiodare Naraku Onigumo.

Le immagini lo mostravano in completo scuro e occhiali da sole nonostante la giornata uggiosa, seguito dal fratello che si calcava in continuazione il berretto sulla testa e gettava sguardi nervosi ai giornalisti, mentre uscivano dalla stazione di polizia ed entravano nell’auto scura.

Spense la televisione e si lasciò cadere sul materasso. Le gocce di pioggia picchiettavano disordinatamente contro i vetri della finestra. La luce filtrava fiocamente dalle finestre oscurate dalle tende.

Si sentiva spossato, svuotato da tutte le energie. Eppure dentro di se ruggiva una rabbia feroce. Quella mat­tina, al commissariato, aveva incrociato lo sguardo di Naraku, ammanettato ma ancora sicuro di poterla scampare anche quella volta. Solo il suo enorme autocontrollo gli aveva impedito di ammazzarlo di botte. Avrebbe dovuto cancellargli quel sorriso mellifluo a suon di pugni, fargli sputare tutti i denti, spaccargli la mascella, fargli vomitare sangue. Ma questo non avrebbe giovato alla causa, né avrebbe rimediato a ciò che era successo a Kagura.

Love, love is a verb
Love is a doing word
Fearless on my breath

A ciò che era successo…

Kagura aveva fatto la sua scelta. La via più breve, più vigliacca.  E aveva avuto la faccia tosta di rispondere al telefono e di intavolare con lui l’ultima, assurda conversazione.

 

Gentle impulsion
Shakes me makes me lighter
Fearless on my breath

 

Gli aveva detto che l’amava. E poi si era gettata dalla scogliera. Dopo tutto quello che lui aveva fatto per lei, ecco il ringraziamento. L’aveva tradito.

Teardrop on the fire
Fearless on my breath

 

Ma poteva davvero biasimarla? Poteva davvero essere in collera verso di lei? Aveva un senso questa rabbia sorda che affaticava il suo respiro? Kagura era vissuta attraverso l’inferno, e quello che aveva passato lui lo sapeva a malapena. La polizia non gli aveva ancora permesso di visionare il video, anche se suo fratello Inu­yasha era coinvolto nella registrazione.

Nine night of matter
Black flowers blossom
Fearless on my breath

 

Doveva ammettere che aveva avuto fegato, il ragazzo, prima ad immischiarsi, con i suoi amici, in una situa­zione del genere, e poi a voler deporre testimonianza. Aveva raccontato di essere stato solo lui e Kagura, la sera precedente, ad introdursi nella sede del Gruppo Ragno. Ma di certo i poliziotti non avrebbero impiegato molto tempo a rintracciare gli altri membri della banda, anche se Inuyasha aveva cercato disperatamente di proteggerli.


Black flowers blossom
Fearless on my breath

Proteggere

Se Kagura glielo avesse permesso, lui l’avrebbe fatto. A costo di far costruire una fortezza circondata da guardie.

Eppure, ne era sicuro, non era quello che lei avrebbe voluto. Vivere sotto scorta, passare le sue giornate e le sue notte con il terrore fisso dello spettro del passato, non era la vita che la sua donna desiderata. E allora, forse, per lei era stato meglio così.

Teardrop on the fire
Fearless on my breath

 

Ma non era crudele il destino, a concedere come unica via d’uscita la morte, ad una persona che aveva sof­ferto già così tanto?

Kagura meritava tutto il compianto possibile, tutta la pietà che non aveva avuto in vita, avrebbe dovuto veder restituite tutte le lacrime che aveva versato.


Water is my eye
Most faithful mirror
Fearless on my breath

 

E che non uscivano dai suoi occhi. Non ci riusciva. Neppure sforzandosi, neppure volendolo. Nemmeno una lacrima solitaria. Aveva gli occhi più asciutti che mai.

Quand’era che aveva pianto l’ultima volta?

 

Teardrop on the fire of a confession
Fearless on my breath

 

Quando era morto suo padre. Aveva pianto in silenzio, in camera sua, soffocando i singhiozzi sul cuscino, per non far vedere a sua madre, impegnata con la battaglia legale, che stava male per la morte di colui che li aveva abbandonati per costruirsi un’altra famiglia.

 

Most faithful mirror
Fearless on my breath

 

Che idiota che era stato a provare rancore verso di lui per così tanto tempo. Aveva perso tempo inutilmente mettendo giù il muso, perdendo così il tempo prezioso che suo padre chiedeva di passare con lui. “Sessho­maru, perché non andiamo di nuovo a sciare? Io e te… facciamo una vacanza da uomini, come ai vecchi tempi?”

Teardrop on the fire
Fearless on my breath

 

Come ai tempi del filmato che aveva scovato Inuyasha. Tempi che non sarebbero più tornati. Come gli attimi passati con Kagura.


Kagura, la bella moretta dall’aria snob ed impegnata sulla sua Porsche sportiva, ferma ad un semaforo.

Ka­gura che entrava nel suo ufficio, avvolta nel tailleur dalla scollatura compiacente, alta sui suoi vertiginosi tacchi a spillo, seria con la ventiquattrore in mano.

Elegantemente avvolta nella seta nera del suo abito da sera, accaldata e affannata contro la radica dell’ascensore vintage dove l’aveva avuta la prima volta.

Una pantera che graffiava tra le sue braccia in una stanza di un motel di quart’ordine.

Una colomba dalle ali spezzate, persa tra le coperte voluminose del suo letto, in un pigiama gigantesco per la sua figura esile.

L’artista concentrata, dal naso sporco di carboncino, intenta in un ritratto.

La sognatrice che perdeva il suo sguardo fuori dalla finestra, giocherellando con una ciocca di capelli, con la testa altrove, in un luogo dove il cielo non era così grigio, e dove la pioggia non era così gelata da corrodere le ossa.


Stumbling a little


Kagura non c’era più. Kagura aveva abbandonato il suo corpo alle onde del mare, aveva fatto riempire i suoi polmoni di sale.

Come Vesper Lynd. (Maledetto quel soprannome che le aveva dato.)Ma lui non aveva nemmeno il lusso di poter seppellire il suo corpo, al momento.

Stumbling a little

 

Doveva far cambiare a Jaken quelle maledette lenzuola. Erano pregne del suo profumo. Sarebbe impazzito a sentirlo di continuo.

.

 

 

Che cosa ho fatto…. Che casino ho combinato…

“Smettila di angustiarti. Non è colpa tua.” Ripete meccanicamente Miroku. Kagome e i miei amici hanno bellamente ignorato la mia richiesta di starmi alla larga, e sono corsi a casa mia appena dopo il telegiornale.  Si sentono responsabili quanto me della tragedia.  “Non hai spinto tu Kagura giù dalla rupe, no?”

“L’ho lasciata andare…” mio fratello è furioso. Letteralmente fuori da ogni grazia divina. Ieri notte, quando sono tornato, seduto sul divano, continuando a tentare di chiamare al telefono.

Ho capito subito che Kagura non era rientrata prima di me, e gli ho spiegato tutto. Ha urlato che sono stato un deficiente, che un moccioso di diciassette anni dovrebbe farsi i fottuti cazzi suoi e ha giurato che mi avrebbe ucciso con le sue stesse mani se fosse capitato qualcosa a Kagura. Stava per uscire di casa per an­dare a cercarla, chissà dove. Gli ho risposto che sarei andato con lui.

Abbiamo girato in silenzio per ore ed ore, senza una meta precisa. Siamo passati più volte davanti all’edificio del Gruppo Ragno, davanti al Pub che era il nostro punto di ritrovo, davanti a Villa Onigumo, mentre Ses­shomaru cercava in continuazione di telefonarle.

Poi, alla fine, siamo tornati a casa. E ho chiesto a mio fratello un avvocato. Sarei andato dalla polizia e avrei lasciato la mia testimonianza. Era tutto quello che potevo fare.

Ho evitato di nominare i miei amici. Cercherò il più possibile di tenere Kagome e gli altri fuori da questa sto­ria, anche se i poliziotti avranno già capito che non potevamo essere da soli.

“Non voglio che finiate nei guai…” guardo Kagome, le dita della sua mano intrecciata con la mia. E’ preoc­cupata, ma non sembra spaventata. “Abbiamo scelto noi di finirci. Lei ci aveva avvertito, ma noi siamo an­dati avanti comunque.

“Perché non pensavamo che accadesse tutto questo. Sbotta Miroku. Sango gli getta un’occhiata assassina. “Io l’avrei fatto anche con una pistola puntata alla tempia.

Mi strofino la faccia con le mani. Mi sento a pezzi, non ho dormito un solo secondo. Non ho nemmeno man­giato, ma il mio stomaco sembra pieno di sassi.

Dico a Kagome che ho bisogno di sapere esattamente quello che le ha detto Kagura nell’ufficio. Probabil­mente i poliziotti me lo chiederanno.

“Non occorre che tu glielo dica. Lo farò io.” Risponde determinata. Le chiedo di smetterla. Non c’è bisogno di fare l’eroina.

Lei scuote la testa e mi pianta i suoi occhi marroni, duri e impassibili in faccia. “Non riusciresti ad essere credibile. E io voglio prendere le mie responsabilità. Ci troveranno comunque. Quindi, tanto vale che ci pre­sentiamo tutti quanti al commissariato. Guarda gli altri, per avere sostegno.

Sango annuisce. “Parlerò con Kohaku. Era una delle cavie di Naraku, questa storia lo interessa particolar­mente.”

“I miei genitori sono in Russia per il concorso circense internazionale, credete davvero che molleranno tutto per venirmi a sostenere in una deposizione? O ad un processo?”

Sango lo guarda come se avesse detto un’eresia. “Certo, sono i tuoi genitori.”

“E allora? Credi che basti?” ride nervosamente. “Vivo da solo da quando avevo quattordici anni, li vedo a malapena due settimane l’anno. Non esiste Natale, Capodanno o Compleanno con loro. Loro sono in un mondo a parte nel quale io non c’entro più nulla. Sono la stregua di un traditore, ho lasciato il circo per vi­vere come una persona normale, e i casini che combino sono solamente fatti miei.”

“Non dire stupidaggini!”

“Non sto dicendo cazzate!” esclama, scattando in piedi. Ha gli occhi lucidi, la mascella contratta, i pugni chiusi. Sembra sul punto di esplodere. “Questa è la mia famiglia, Sango. Io sono il frutto di un preservativo rotto e di una distrazione nel calcolare il termine per l’interruzione di gravidanza. E tu che ti lamenti perché devi fare la lavatrice e cucinare, e che oltre che da sorella maggiore devi fare anche da madre a Kohaku. Ti lamenti che tuo padre è apprensivo e che ti ha chiamato cento volte al giorno mentre eravamo in montagna. Piangi perché tua madre è morta, ma lei non ti ha abbandonato. Lei non c’è più perché era ammalata da tempo, ma ha lottato sino alla fine per non lasciarvi. Non sei cresciuta da sola e non hai imparato che quel piccolo pomodorino strano che hai triturato in quantità industriale nell’insalata si chiama peperoncino e bru­cia da morire. Lo sai perché te l’hanno detto, non perché l’hai mangiato!”

Nella stanza scende il silenzio. Kagome si stringe a me.

“Mi dispiace, Miroku… io non sapevo...” Sango si alza e si avvicina al mio amico, abbracciandolo, cercando di rincuorarlo. “esatto. Tu non lo sapevi. Non lo sa nessuno. E a nessuno interessa sapere se c’è dell’altro in me a parte l’amico stupido che ama stare al centro dell’attenzione e organizzare festini.

Beh, io lo sapevo. Era uno dei pochi argomenti seri che io e Miroku affrontiamo. Mi chiama spesso alla sera, per una birra a casa sua o un giro in bicicletta. Si morde sempre il labbro quando parlo di Kagome.

“Beato te che ce l’hai una ragazza” ha sospirato una volta. Ed era un tono triste, sconsolato. Non di certo quello che ci si aspetta da lui.

Lo guardo, abbracciato a Sango.

“Davvero ti sei mangiato una scodella di peperoncino?”

Sembra che gli torni un barlume di sorriso. “E’ bastata una cucchiaiata. Sono stato male per giorni.”

Ci scappa un sorriso a tutti e quattro. Poi di nuovo il silenzio, interrotto da Sango.

 

“Bene. Ed ora, che facciamo?”

“Andiamo dalla polizia. Con i nostri genitori. E se ce l’hanno anche un avvocato non farebbe schifo.” Decide Kagome. “Miroku, tu… dovrai starne fuori… temo.”

Naaah.” Estrae il cellulare. “chiamo le pagine utili e cerco un avvocato.

Gli dico, magnanimo, che gli presto il mio. Lui mi ringrazia, e accetta volentieri. “Qual’ora servissero anche i miei genitori, gli manderò una mail.”

“Si, quelli non te li posso prestare.”

“Hai pur sempre un tutore legale, no?”

“Si, certo, vaglielo a chiedere di essere anche il tuo. Come risposta diventerai il nuovo paralume della lam­pada d’ingresso.

“Il che equivale ad un no…”

 

 

Seduti al tavolo della cucina di Kagome, la mia ragazza sta finendo di raccontare con voce tremante quello che è successo.

Dall’altro lato del tavolo, immobili come statue, sua madre e Kikyo pendono dalle sue labbra. Mi tormento le dita delle mani, e il mio sguardo nervoso saetta da un volto all’altro.

Kagome mi ha detto di far parlare lei, che io probabilmente avrei peggiorato le cose, e non le avevo dato torto: ma di certo gli sguardi delle due donne che abbiamo davanti non sembrano propensi ad una reazione civile. Soprattutto nei miei confronti. Kikyo vedo che mi fissa un paio di volte con odio.

Quando Kagome finisce, cerca la mia mano con la sua sotto il tavolo. Ecco il momento del giudizio. Intreccio le dita con le sue e le stringo forte. Saremo insieme ad affrontare questo momento.

Anche se maledico come non mai la mia predisposizione naturale a ficcarmi nei guai.

La madre di Kagome sospira, sconsolata, abbattuta. “E adesso?” geme, sostenendosi la testa con la mano. “Non ci salteremo fuori tanto facilmente… Ma cosa vi è saltato in testa…? E quella disgraziata…ah, se ce l’avessi tra le mani…la strozzerei personalmente! Prendersi gioco in questo modo della fiducia e dell’ingenuità di un gruppo di ragazzini!”

Vedo che Kagome sta per ribattere qualcosa a proposito, ma è Kikyo ad interromperla.

“Te l’avevo detto zia, che dovevi impedire a Kagome di frequentare Inuyasha!” esclama, con mia somma sorpresa. La guardo stupito. Pensavo che si sarebbe schierata dalla nostra parte, che avrebbe compreso la situazione.  Ma quella che ho davanti non sembra più la ragazza che ho conosciuto all’orfanotrofio, è una statua di marmo.

Kagome scatta in piedi, picchiando un pugno sul tavolo. Reazione che sorprende tutti quanti, me compreso.

“Sappiamo tutte e due qual è il motivo per cui speri che smetta di stare con Inuyasha!” urla rabbiosa. Io mi sento sull’orlo di un baratro. Pericolosamente aggrappato alla roccia friabile. Kikyo deglutisce, ma non perde la calma. “A parte il motivo per cui ti voglio bene e non voglio che ti rovini con un…”

PERCHE’ VORRESTI ANCORA PORTARELO A LETTO, VERO?”

“Kagome, Ma che dici!” protesta sua madre. La faccia di Kikyo è indescrivibile. È persino arretrata di un qualche passo. “Cosa diavolo stai dicendo…?”

“Inuyasha mi ha detto tutto!”

“Non so di cosa tu stia parlando. Chissà che idee strane ti ha messo in testa il tuo ragazzo” sibila, cercando di darsi un contegno e di risultare credibile, calcando l’ultima parte della frase con un sibilo di disprezzo.

Sua madre ci guarda boccheggiando come un pesce. Probabilmente ha capito tutto, ma cerca disperatamente di non crederci. Io cerco il modo di sprofondare dalla sedia. Forse riuscendo a scivolare sotto il tavolo posso raggiungere la porta e sgattaiolare fuori…

“Inuyasha, è vero che tu e Kikyo avete avuto una storia, e neppure così tanto innocente, quando lavorava nell’Istituto?”

Sono costretto ad annuire, a metà tra il tavolo e il pavimento.

Questa volta a scattare in piedi è la madre di Kagome. “Kikyo, è vero?”

La nipote guarda per terra, furiosa. Mi getta uno sguardo. “Non è una cosa di cui ne vado fiera…”

Questa frase mi fa più male di una pugnalata al cuore. Amore o no, credevo che Kikyo fosse stata la prima persona che vedesse veramente qualcosa di positivo in me, e non un promesso avanzo di galera. Credevo che mi capisse, che mi apprezzasse. Ho creduto di essere amato dopo tanto tempo.

“Kikyo, non ho parole!” esclama scandalizzata la madre di Kagome. “Approfittarsi così della fiducia e dell’ingenuità di un ragazzino!”

“Beh, lui era consenziente!” esclama lei, a parziale discolpa.

Alzo il dito medio. “Perché non sapevo di scoparmi la più grande stronza dell’universo.

Nella cucina scende il silenzio. Kikyo è indignata. Vedo che gli occhi le si riempiono di lacrime di rabbia.

A Kagome scappa da ridere. Le passo un braccio attorno alla vita e l’attiro a me. “Per fortuna che hai una cugina totalmente diversa.

La madre di Kagome si accascia su una sedia. “Io non ho parole.” Mormora. E’ ora che io dia l’aria di essere una persona matura e che dica qualcosa di intelligente. “Signora, in questo momento abbiamo un altro problema ben più grave che questa parodia di Soap Opera che le è capitata in casa. E’ tutto quello che riesco a dire.

Annuisce, guardandomi fissa negli occhi. “Chiamo un avvocato, e poi andremo tutti al commissariato. Ci saranno anche i vostri amici?”

“Probabilmente Sango è già là” risponde Kagome, sorridendo. “Grazie mamma.”

Lei sospira. “Ho sempre pensato di avere una figlia intelligente e giudiziosa, e ringraziavo la sorte perché non si drogava, non frequentava cattive compagnie, era un’ottima studentessa ed aveva un cuore grande. E’ buffo come a causa di questo tuo cuore sia finita nei guai.”

Vedo che Kikyo sembra voler dire qualcosa, ma la zia la fulmina con lo sguardo, e allora tace, fremente di rabbia.

Credo che i Natali in famiglia non saranno più sereni come un tempo…

 

 

Entriamo in commissariato insieme, tutti e quattro, seguiti dai nostri genitori, tra i flash dei fotografi. Ci teniamo per mano gli uni con gli altri. Sento una stretta allo stomaco atroce, quando vedo il commissario venirci incontro e accompagnarci dentro la caserma, facendosi scudo con il proprio corpo per evitare di farci riprendere, ed urlando ai cronisti che siamo minori e per tale tutelati.

Ci ascoltano separatamente, iniziano da Miroku, che entra quasi baldanzoso, seguendo una poliziotta donna molto avvenente. Sango alza gli occhi al cielo, esasperata. “Per fortuna che amava solo ed esclusivamente me…E’ proprio vero che davanti alla morte si dicono un sacco di cose stupide.

Io e Kagome ci guardiamo e sorridiamo. Prima o poi se ne renderà conto anche lei, no?

 

La seconda ad essere chiamata a deporre è Kagome. Dopo pochi minuti che entra nella stanza, mi squilla il telefono. E’ un numero che non conosco, ho quasi timore che un cronista abbia avuto il mio numero di telefono. O, beh.

“Pronto?”

“Inuyasha, sono Kikyo.”

Un tuffo al cuore. Praticamente un mezzo infarto. Sango mi guarda con aria interrogativa e allora mi alzo, raggiungendo la finestra.

“Cosa vuoi?”

“Volevo chiederti scusa per prima” risponde. Sento la sua voce tremare. “Mi dispiace tanto, davvero.” singhiozza. “Io non volevo insultarti. Non penso che tu sia un delinquente, un deficiente e chissà che altro…”

Deglutisce, riprendendo fiato. “Oddio, dopo che hai trascinato mia cugina insto casino un po’ deficiente credo che tu lo sia…”

Non riesco a capire. “E allora perchè quella scenata? Perché hai sparlato male di me con la madre di Kagome e hai tentato di metterci il bastone tra le ruote?”

“Non lo so. Invidia, forse. Rabbia perché… lei poteva, e io no. Sento che singhiozza nuovamente, e mi si stringe il cuore. “Sono tornata all’Istituto, sai? Volevo venirti a trovare. Però tu te ne eri già andato. E, per la privacy, non mi hanno potuto dire chi ti era venuto a prendere. Così, ti avevo perso.”  Racconta. “Poi… dopo pochi giorni… ti ho visto. Presentato come il ragazzo di mia cugina minore. Cielo, come mi sono arrabbiata! Perché se solo non fossi scappata come una codarda, se solo avessi corso il rischio – e ne valeva la pena!- ora io e te saremmo stati insieme, e in montagna potevo esserci io, e i profilattici che mia zia ha trovato potevano essere davvero i nostri… e ora ci sarei io con te li…”

Sento il mio stomaco farsi sempre più pesante, come pressato da una valanga di detriti. “Kikyo… non sarebbe funzionata comunque.” È una cosa a cui non credo proprio fermamente, in verità. Ma non voglio dare appigli a cui aggrapparsi, a cui illudersi. “E se… il destino ha voluto così, un motivo c’era.

“Il destino ti ha portato comunque da me… anche se tra le braccia di un’altra. Ride tristemente. “Come per sbeffeggiarmi, per schiaffeggiarmi per il mio errore.

Sento il poliziotto che chiama Sango. Ci scambiamo uno sguardo e la saluto con il cenno della mano. Lei raccoglie la borsetta, mi guarda preoccupata. Gli faccio cenno, con il pugno chiuso, di essere forte e lei mi sorride, annuendo.

“Tra poco tocca a me.” Sospiro. “Devo andare, Kikyo.”

“Già. Hai ragione. Scusa se ti ho disturbato. Scusa se ti ho insultato prima. E’ questo quello che dovevo dirti. Dovevo solo chiederti scusa. Ma temo di essere andata oltre.

“Non fa niente.” Deglutisco. “Ti ha fatto bene sfogarti un po’.”

Si, forse si.” Finge di ammettere. “In bocca al lupo Inuyasha. Stai vicina a mia cugina. Fa tanto la dura ma…”

“Kagome è una tipetta tosta. Ma non preoccuparti. Non la lascio. Ciao.”

Chiudo la conversazione, giocherellando con il cellulare, picchiettandolo contro i miei incisivi, appoggiato al davanzale della finestra, con lo sguardo che si perde tra le nuvole grigie.

Sento dei passi alle mie spalle, e mi volto in tempo per vedere entrare nel corridoio Sesshomaru. Indossa sempre gli occhiali scuri. Forse non ha sempre lo sguardo impassibile e neutro. Lo saluto con un cenno del capo. “Novità?”

Scuote lievemente la testa. “Il mare è a forza sette, non riescono nemmeno a recuperare l’auto. Aggiunge, sedendosi su una sedia.

“Il prossimo sono io. Mi sembra di essere dal dottore.” Cerco di sdrammatizzare. “Questa volta ci faranno vedere il filmato, credo”

“Sarebbe ora” mormora. “Sono proprio curioso di vedere il frutto del vostro duro lavoro.

Evita di voltarsi verso di me, lasciando vagare lo sguardo dall’altro lato del corridoio, quello dove sono spariti i miei amici.

“Mi dispiace.” Gli sussurro.

“L’hai già detto.”

“Quando sono uscito di casa è entrata Rin. Aveva le lacrime agli occhi. Ho visto che correva sulle scale cercandoti.

“Si, sono uscito in corridoio, mi chiamava disperatamente. Sbuffò. “Le è dispiaciuto molto per Kagura. Sai come sono fatte le bambine. Tutte romanticherie, favole e happy ending. E quando si accorgono che la realtà è ben diversa vanno giù di testa. Ha fatto una mezza crisi isterica sul pianerottolo delle scale.

Mi volto di nuovo verso la finestra. “Non succede solo alle bambine, Sesshomaru.

 

Alla fine del filmato, resto allucinato.

La parte del racconto di Kagura, al quale ha assistito solo Kagome per me è quasi surreale. Così come non riesco a capacitarmi di come una persona sia riuscita a indossare una maschera di coriacea e determinata donna per così tanto tempo. Avevamo intuito che suo fratello le avesse fatto un torto davvero grande, ma non mi sarei mai aspettato una storia di prevaricazione e violenza come questa. Come è potuto accadere che nessuno si rendesse conto di quello che le stava capitando?

E la mia ragazza, a sentire quella storia allucinante, cosa avrà provato? Cosa starà provando in questo momento?

E mio fratello?

Mi volto verso Sesshomaru, seduto al mio fianco al tavolo di acciaio della stanza degli interrogatori in cui siamo stati introdotti. Si è tolto gli occhiali, ma non mostra segni di nessuna emozione.

“Lo sapevi?”

Lui annuisce.

“E non hai fatto nulla?” sento la rabbia montarmi dentro. Mio fratello è un tale codardo?

“Non ho fatto in tempo. Mi avete preceduto” risponde freddamente, alzandosi in piedi e rimettendosi gli occhiali. “Lei e la sua fretta di merda”credo di sentirlo sibilare. Esce, lasciandomi solo con l’avvocato e il commissario, che mi guarda e sospira.

Mi spiega che, se voglio, potrò non testimoniare al processo. Le mie deposizioni verranno comunque prese in considerazione.

Scuoto la testa. “Purtroppo non ne so di più. Ma non mi tiro indietro. Naraku Onigumo è un bastardo e le deve pagare tutte. Per quello che ha fatto a Kohaku, e per quello che ha fatto a Kagura.

Il commissario sbuffa, quasi divertito. “Una generazione di eroi duri a morire, la vostra.”commenta ironico. “Nemmeno i tuoi amici hanno intenzione di mancare”

Mi accomiato da lui. Esco dalla stanza con la testa che quasi mi gira. Ho bisogno d’aria. Ho bisogno di Kagome e dei miei amici.

Mi fermo sulle scale, eccola, davanti al distributore di lattine, con Sango e Miroku. Mi volge la schiena, non mi può vedere. Sospiro. La vita mi ha concesso una possibilità, una via d’uscita, una scappatoia. Volente o nolente devo essere grato davvero a mio fratello per avermi “prelevato” dall’Istituto e per avermi messo in una scuola privata “ma non troppo esclusiva”.

Anche se i suoi scopi erano altri (ma poi, lo saranno stati veramente?) alla fine quello che mi è andato in tasca è tutto a favore mio. Tanto di cappello alla mia fortuna, anche se, lamentoso come sono, la denigro in continuazione.

Scendo lentamente i gradini. Kagome si volta e mi vede. Mi saluta con un sorriso, e io le rispondo allo stesso modo. Mi abbraccia forte, mi stampa un bacio sulle labbra. “Da grande non voglio fare né la scrittrice né la sceneggiatrice” mi rivela. “Voglio fare la giornalista. Voglio portare alla luce casi come questo, sbatterli in prima pagina, farli conoscere al mondo intero e fare in modo che non accadano più. O che almeno accadano di meno.”

Le accarezzo la testa. Apprezzo Kagome, spero che porti la sua incantata determinazione per sempre dentro di sé. Anche se penso che a 15anni ha una visione della vita diversa da quando ne avrà 25. Ma magari mi sbaglio io.

Con la coda dell’occhio vedo Miroku e Sango che si siedono in un angolo. Lei sembra ringraziarlo per esserle stata vicino, lui sembra in prossimità dell’Empireo. Propongo a Kagome di andarci a bere la bibita che ha preso dal distributore da un’altra parte. Lei annuisce. “Lasciamoli soli.” Bisbiglia. “Forse questa è la volta buona”

 

“Si aggrava la posizione per Naraku Onigumo…” CLICK!

..accusato anche di violenza privata nei confronti della sorella…” CLICK!

“… oggi sono stati interrogati anche due giovani membri della squadra di basket, gli Spiders…” CLICK!”

“…Siamo sul luogo dove ha avuto il finale la tragica vita di Kagura Onigumo. Presso questa strada qualcuno ha depositato fiori e pensieri per la giovane donna…” CLICK! Il televisore si spense.

Sesshomaru passeggiò pensieroso per la stanza. Si avvicinò all’armadio e ne aprì l’anta. Poi premette contro il pannello del fondo e lo fece scorrere. Una piccola cassaforte comparve davanti ai suoi occhi. Digitò il codice segreto sulla tastiera e l’aprì. Ne estrasse un voluminoso fascicolo, che gettò a terra. Pensò che poteva essere utile, mentre richiudeva lo scomparto segreto e l’anta dell’armadio. Lo sfogliò distrattamente. Certo, il video conteneva, in pochi minuti, il doppio delle informazioni che lui aveva raccolto nel fascicolo da tre mesi a quella parte.

Però c’erano dati interessanti. Emissioni inquinanti, per esempio. Gli scarichi che finivano direttamente nelle falde acquifere della città. Di questo non c’era menzione nel video.

Era difficile trovare un reato a cui il signor Naraku Onigumo non avesse preso parte.

Sesshomaru sapeva che proprio in quel momento la polizia stava arrestando, finalmente incastrati dopo tanto tempo, i suoi collaboratori più stretti. Chissà se altri erano riusciti a fuggire?

Di sicuro ci avrebbe impiegato anni a raccogliere i capi d’imputazione necessari per incastrarlo così bene come c’erano riusciti, con la stolta e coraggiosa avventatezza di chi non ha ben chiaro a cosa va incontro,  Inuyasha e i suoi amici. E Kagura.

Gettò il volume sul comodino. Si sentiva stanco e aveva voglia  (o bisogno?) di dormire. Si gettò sul letto.

Jaken non aveva ancora cambiato le lenzuola. Sarebbe impazzito a sentire quel profumo…

Tuffò il viso nel cuscino a fianco del suo.

Per quella notte poteva anche andare…

 

“Non vedo perché tu te la debba prendere con me!” protesta Miroku, a gambe incrociate sul letto.

Io, infuriato come non mai, sto cercando sul su pc le tracce della sua colpevolezza. Frugo tra la cronologia dei siti internet che ha frequentato ultimamente.

“Maglia e uncinetto?” esclamo, cliccando sul sito indicato. Lui sbuffa. “E’ un hobby come un altro. Tu disegni fumetti, io faccio la maglia, problemi??

“Non vedo perché tu sia così sicuro che te l’abbia rubata io la carta di credito!”

“Perché ho notato la tua abilità nello scassinare porte. E che non ti fai problemi a infilarti in tasca chiavi non tue.

Lui sbuffa nuovamente. “Credi allora che deruberei un amico?”

“SI” rispondo, entrando scocciato nel sito della banca, per la gestione dei movimenti della carta di credito. “Adesso guardiamo subito qual è stato l’ultimo acquisto.

Miroku mi si avvicina e addita trionfante la schermata. “AH! Piccolo prelievo da sportello automatico. E pagamento di un biglietto di sola andata per Parigi. Mi guarda, dall’alto verso il basso. “Io ti sembro scappato in Francia?”

Lo mando a quel paese. Speravo di averlo incastrato. Ormai mi sentivo un paladino della giustizia.

“Puoi provare a guardare chi ha acquistato il biglietto… prova a telefonare alla compagnia aerea…”suggerisce.

Alzo le spalle. “Lasciamo perdere. Ha preso la tariffa economy, non ha speso tanto. Blocco la carta e basta.

Digito sul cellulare il numero verde.

“E non ti interessa sapere chi è l’emigrante?”

“Conosco già abbastanza stronzi…”

 

 

Il prossimo sarà L’EPILOGO! Spero di non avervi deluso con la mia storia. So che molte di voi sono amanti degli Happy Ending come Rin. Ma gli Happy Ending li trovo così banali e scontati… e poi io amo fare le cose un po’ complicate… (se non si era CAPITO!!!) – Grazie a chi ha letto, mille grazie a chi ha pure commentato!!!!-

PS: il “sottotitolo” del titolo (mmm…carina questa frase) è una frase tratta dalla canzone Atlantic City di Bruce Springsteen. (KIRARACHAN: Ho già preso i Biglietti per andarlo a vedere a  ROMA!!!!)Invece, la canzone all'inizio è "Teardrops" dei Massive Attack: è la canzone, per chi segue DrHouse, con coi viene accompagnata la morte di Hamber nell'episodio "il cuore di Wilson".

   
 
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