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Autore: _GirlWriter_    28/08/2015    2 recensioni
Dal primo capitolo:
“ Senta, adesso le spiego una cosa. Da dove vengo io un sogno non ti rende intelligente, sapere che non si avvererà... quello si ”
[...] Nei prossimi capitoli:
" Prima mi addormentavo, consapevole di non aver un sogno. Da quando ci sei tu nella mia vita le cose sono cambiate, ti sogno ogni notte, ad occhi chiusi ed aperti. Pensavo che trovare un sogno fosse una cosa da stupidi ma da quando sogno te tutto è cambiato. Vicino a te mi sento forte, come un colosso, saprei proteggerti contro tutto e tutti. Il perché? Prova ad indovinarlo... "
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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 “ Cazzo Julìan! Prima che muori tirami fuori dai guai! ” Afferrai i lembi della sua maglia attirandolo con forza verso di me. Le luci urbane illuminavano i nostri volti, sentivo un leggero bruciore sulla parte superiore della fronte, segno che la pioggia stava cadendo sul taglio provocatomi qualche istante prima. In lontananza si udivano le sirene della polizia – erano venuti a prenderci -. Deglutii rumorosamente, la pioggia stava iniziando a diventare più intensa; fissai per un' ultima volta Julìan a pochi centimetri dal mio viso. Nel mio corpo si stava scatenando un turbine di emozioni purtroppo non positive. Ero sommerso dai casini fino al collo, dovevo scappare; magari in un altro Paese, o in un'altra Nazione o addirittura in un altro Continente, l'importante per me era sparire da Buenos Aires, e dalla faccia del Pianeta.

Sentii il rumore delle sirene farsi sempre più vicino, allentai del tutto la presa sulla maglia del ragazzo. “ Ci si vede all'inferno ” detto questo, arrivò la polizia ed iniziai la mia corsa contro il tempo. Corsi per strade a me sconosciute, se avessi trovato un vicolo cieco sarebbe finita e magari ci avrei rimesso anche la pelle. L'asfalto bagnato rallentava il passo ma nonostante ciò continuavo a spingere al limite le mie gambe, l'euforia aiutava, mi sentivo forte come se mi stessi divertendo.

Sentivo il vento passarmi sui capelli bagnati – mi sarei preso di sicuro la malaria – i poliziotti cercavano con tentativi in vani di fermare la mia corsa, ma niente e nessuno mi avrebbe fermato.

Raggiunsi il limite delle mie forze, li avevo quasi seminati, per la stanchezza mi piegai in due poggiando le mani sulle ginocchia, sentivo il mio cuore battere all'impazzata. D'un tratto uno sparo, puzza di polvere e un dolore atroce. Mi accasciai per terra lentamente, istintivamente mi portai una mano al braccio, avevo la vista offuscata ma riuscii benissimo a vedere del sangue fuoriuscire da esso. Poggiai la testa sulla strada, stavo cedendo. A malapena riuscivo a sentire le voci dei due agenti che mi stavano inseguendo chiedendosi se ero vivo. Certo che lo ero, mi avevano sparato su un braccio non su qualche organo vitale! O almeno così credevo...

 

1 MESE DOPO...

Mi risvegliai come al solito come ormai da un mese in una cella lurida e puzzolente. La luce del sole mi infastidiva la vista e la tuta arancione mi si era attaccata addosso dal sudore.

“ Leòn Ramirèz ci sono visite per te ” spostai la visuale sull'agente di turno, e con aria stanca mi diressi verso il cancelletto della cella. Portai le mani dietro la schiena per far si che mi mettesse le manette – ormai conoscevo la procedura -. Con passo svelto ci dirigemmo verso la sala delle visite.

Un uomo in giacca e cravatta ci venne incontro dandomi una pacca sulla spalla “ Leòn! Pablo Galindo, sono stato nominato tuo difensore d'ufficio ” lasciai che la guardia mi liberasse dalle manette. L'uomo si posizionò dietro uno dei tavolini sistemando alcune carte poste su di esso, mi accomodai sulla sedia posta difronte alla scrivania tenendo lo sguardo basso.

“ Come va il braccio? Ti trattano bene qui? ” domandò con tono gentile, alzai di poco gli occhi per incrociare i suoi. Era un uomo sulla quarantina, bassino, occhi marroni e capelli scuri il suoi viso era occupato da una leggera barba scura, sembrava un tipo apposto. “ Dov'è il mio amico? ” domandai come se mene fregasse qualcosa. “ Julìan è maggiorenne, ha rubato una macchina, aveva dell'erba nella giacca e un paio di precedenti. Penso gli daranno dai nove mesi a due anni, ma Julìan non mi interessa. E' la prima volta che finisci dentro, non penso che tu abbia voglia di ritornarci ” disse spostando verso di me il foglio dove vi erano scritte quelle informazioni.

Ne prese un altro, scorsi il mio nome probabilmente doveva essere il mio foglio. “ I tuoi voti non sono un granché: trenta assenza ingiustificate, due richiami per rissa, e... 98% attitudinale! ” continuò cambiando il tono della voce alle ultime due parole “ Leòn! Con il 98% sei tra i primi della classe!” esclamò sfoggiando un sorriso a trentadue denti “ Hai dato un minimo pensiero al tuo futuro? Ragazzo io sono dalla tua parte ” deglutii irrigidendo la mascella “ La medicina fa grandi progressi, tra poco la durata media della vita di un uomo sarà cent'anni, ma ho letto un articolo che diceva che la previdenza sociale dovrebbe esaurirsi entro il 2035, il che vuol dire che la gente dovrà tenersi il lavoro fino a quando ne ha ottanta...quindi io non voglio impegnarmi già d' adesso” risposi con tono annoiato, stranamente lo vidi sorridere “ Hai pensato di andare all'università? Tu devi avere un sogno! ” esclamò battendo una mano sul tavolino in ferro “ senta, adesso le spiego una cosa. Da dove vengo io un sogno non ti rende intelligente, sapere che non si avvererà... quello si ” sussurrai minacciosamente. Dopo pochi minuti di silenzio prese parola

“ Okay, posso cavarmela con una piccola infrazione ma ricorda che spacciare cocaina perché lo ha detto un tuo amico, è da stupidi, da deboli. Sono due cose che non ti puoi più permettere ” .

“ Altre due! ” urlai stringendo i denti “ Vuoi tentare la sorte? Allora devi superare il fatto che la vita ti ha dato delle carte schifose. Le mie erano uguali alle tue: sono cresciuto nella parte peggiore di Buenos Aires, mio padre se n'era andato, mia madre lavorava sempre, ero stupido, incazzato... ” . “ E guardi com'è adesso ” ironizzai facendo comparire un ghigno antipatico sul mio volto. Pochi secondi dopo suonò la campanella per avvisarci che l'orario di visite era finito. Mi alzai scaraventando la sedia per terra e ripetendo lo stesso gesto dell'andata posizionai le mani dietro la schiena “ Mi tiri fuori da qui ” e lasciai che la guardia mi trascinasse in gabbia come un animale.

   
 
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