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Autore: MissChiara    30/08/2015    2 recensioni
Era accaduto tutto troppo repentinamente, non aveva avuto modo di reagire. Quello doveva essere un sogno, anzi, un incubo. Haruka non riusciva a comprendere le motivazioni di Makoto, ma una sola cosa gli era chiara, che era in procinto di perdere il suo migliore amico. Probabilmente se lo meritava. Non aveva mai capito nulla di loro due. Né i sentimenti di Makoto, né i propri.
[Coppia: Makoto/Haruka]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana, Nagisa Hazuki, Rei Ryugazaki
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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«Haru, tu mi piaci».
Le parole di Makoto lo avevano sorpreso a tal punto che, per un lungo momento, Haruka non aveva potuto fare altro che rimanere in silenzio, a capo chino, mentre cercava di discernere il loro vero significato. Fin dai tempi dell’infanzia Makoto era stato il suo migliore amico, per questo Haruka credeva di conoscerlo a fondo, di sapere tutto di lui. Invece, non aveva mai nemmeno lontanamente sospettato che provasse qualcosa per lui, oltre l’amicizia che li legava a doppia mandata. Non aveva mai intuito nemmeno il più piccolo indizio: la prova era che la dichiarazione di Makoto lo aveva colto completamente alla sprovvista.
Quel giorno Haruka non aveva osato guardarlo negli occhi, mentre rispondeva.
«Io… non ti vedo sotto quell’aspetto…».
«Scusami…», aveva poi aggiunto, tenendo lo sguardo basso sui fiocchi di neve che si posavano lenti sullo strato bianco che già ricopriva le strade.
Di cosa si era scusato, di preciso? Di non poter ricambiare Makoto? O di non essersi soffermato un momento di più sulle parole dell’amico, in modo da formulare una risposta che potesse ferirlo il meno possibile?
Non lo sapeva. L’unica cosa certa era che i suoi occhi erano rimasti ostinatamente incollati a terra, e che il silenzio opprimente che aveva seguito la sua ultima parola era diventato insopportabile.
Makoto naturalmente aveva intuito il suo disagio, e anche in quell’occasione gli era venuto in aiuto, come sempre.
«Capisco. Va bene così».
«Makoto…».
Haruka lo aveva finalmente guardato in faccia, provando quasi sollievo udendo quel tono dolce, comprensivo… e subito dopo si era sentito morire dentro. Makoto gli stava sorridendo, come di consueto, ma i suoi occhi erano spenti da un velo di amarezza che non gli aveva mai visto prima.
«Però… credo che le cose, fra di noi, non potranno più tornare come prima. Lo capisci, vero, Haru?».
Haruka non era riuscito a rispondere. Nonostante la consapevolezza che il silenzio avrebbe potuto solo creare fraintendimenti, non aveva potuto proferire una sola sillaba, era rimasto impietrito a fissarlo con gli occhi un po’ più dilatati del solito e un’angoscia crescente nel cuore.
«Scusami, Haru».
Smettila, smettila di preoccuparti per me anche in questo momento! Smettila di farti carico dei problemi degli altri! Non sei tu quello che deve scusarsi!, aveva pensato, senza riuscire a dare voce ai propri pensieri.
Era accaduto tutto troppo repentinamente, non aveva avuto modo di reagire. Quello doveva essere un sogno, anzi, un incubo. Non riusciva a comprendere le motivazioni di Makoto, una sola cosa gli era chiara, che stava per perdere il suo migliore amico. Probabilmente se lo meritava. Non aveva mai capito nulla di loro due. Né i sentimenti di Makoto… né i propri.
 
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Dopo il diploma, Haruka cominciò a patire la solitudine. Rin tornò in Australia per la seconda volta, deciso a realizzare il sogno di arrivare alle olimpiadi, Rei e Nagisa rimasero all’istituto Iwatobi per terminare l’ultimo anno delle superiori, e Makoto si trasferì a Tokyo per frequentare l’università.
Haruka si iscrisse ad un’università locale. Anche lì c’era un club di nuoto, e lui nuotava ogni giorno come al solito, ma il suo stile aveva perso tutta l’energia e la grazia che lo avevano caratterizzato fino a quel momento e che avevano entusiasmato così tanto Rei due anni prima, insieme ai molti altri che avevano potuto ammirarlo durante le gare a cui aveva partecipato durante le superiori.
I suoi tempi non miglioravano affatto, e per questo veniva ripreso spesso dal capitano del club. Quando qualcuno gli domandava se forse si sentisse male, la sua risposta era sempre la stessa.
«Non è nulla. Scusatemi» mormorava, prima di allontanarsi senza fornire ulteriori spiegazioni.
«Nanase è più cupo del solito» disse uno dei compagni alle sue spalle, credendo di non essere udito.
«Già» rispose un altro, «la prima volta in cui l’ho visto ad un torneo, mi ero fatto un’idea migliore di lui. Non si sa mai cosa gli passa per la testa…».
Haruka entrò negli spogliatoi senza dar segni di aver sentito, indifferente alle opinioni degli altri nei suoi confronti. Se parlava poco, era perché non essere espansivo era nella sua natura. Del resto, con Makoto non aveva mai avuto bisogno di esternare i propri pensieri.
Si chiese se sarebbe stato in grado di stabilire anche con questi nuovi compagni un affiatamento tale da permettergli di gareggiare in una staffetta, un giorno. Scoprì che la risposta non gli importava poi così tanto. Il sogno di diventare un nuotatore professionista poteva realizzarsi benissimo anche senza di loro: tanto, avrebbe gareggiato solo ed esclusivamente nello stile libero individuale.
Per un momento gli si affacciò alla mente il pensiero che, insieme a Makoto, Rei e Nagisa, aveva scoperto quanto fosse bello gareggiare con e per i propri compagni, ma lo ricacciò da dove era venuto e finì di rivestirsi, uscendo poi dall’università per tornare a casa. Camminava lentamente, con lo sguardo abbassato sui gradini della scala antistante l’edificio; per questo non si accorse di Nagisa e Rei che lo stavano aspettando al fondo della gradinata finché la voce squillante di Nagisa non lo strappò dai propri pensieri.
«Eccolo, eccolo! Haru-chan!» lo chiamò, sventolando una mano con energia.
Haruka sgranò gli occhi. Era praticamente dal diploma che non rivedeva i suoi vecchi compagni di squadra.
«Nagisa! Rei!».
«Haru-chan! È da un sacco che non ci si vede!» esclamò il ragazzo biondo esibendo un enorme sorriso.
«Scusa se siamo comparsi così all’improvviso, Haruka-senpai» gli fece eco Rei.
«Forza, forza, andiamo a mangiare qualcosa insieme! Voialtri non venite mai a trovarci all’Iwatobi, mi sento solissimo!» si lamentò Nagisa.
«Nagisa-kun, Makoto-senpai vive a Tokyo, Rin-san addirittura in Australia, e anche Haruka-senpai sarà molto occupato con l’università!» lo rimproverò Rei.
Nagisa sbuffò.
«Sì, ma per amore dei loro cari ex-compagni potrebbero fare uno sforzo e prendere l’aereo…».
«E ti sembra una cosa da poco?!».
«Aah, Rei-chan, tu prendi tutto troppo sul serio!».
«Cos…?! Sei tu che sei troppo spensierato!».
Mentre i due proseguivano nel loro battibecco, l’espressione di Haruka si addolcì. Essere con loro lo fece sentire meglio, gli sembrò di essere tornato ai tempi delle superiori.
«Voi due non siete cambiati affatto» disse.
Dopo un momento di sorpresa, Nagisa e Rei si sorrisero in modo complice, l’uno nell’abituale modo spontaneo e solare, l’altro più riservato.
«Dunque, di cosa volevate parlarmi?» chiese Haruka.
«Beh, il fatto è che da quando tu e Mako-chan vi siete diplomati non c’è stata più occasione di rivederci tutti insieme. Ho pensato che potremmo andare tutti e tre a trovare Mako-chan a Tokyo!».
A quelle parole, Haruka si irrigidì.
«Andarlo… a trovare?».
«Proprio così! Ho saputo che all’università che frequenta si terrà un festival culturale, a fine agosto. Ci andremo senza dirgli niente. Operazione “sorpresa a Mako-chan”!».
«Io…».
«Haru-chan…» chiese Nagisa, «non ti va’ di vedere Mako-chan?».
Il suo tono conteneva un’insolita nota di preoccupazione, che fece riflettere Haruka. Non pensava che la propria reticenza riguardo l’incontrare il suo ex-migliore amico fosse così evidente.
«Dall’inverno scorso, voi due vi comportate in modo strano» continuò Nagisa, «Non vi siete più tenuti in contatto dopo il diploma, vero? È per questo che noi…».
Nagisa non terminò la frase e sul viso gli si dipinse un’espressione sconsolata. Haruka capì che non si trattava della sua solita insistenza capricciosa tipica di quando voleva a tutti i costi ottenere qualcosa, ma che la sua proposta implicava altro.
A quanto pareva, Nagisa e Rei si erano accorti della tensione che correva tra lui e Makoto, e avevano architettato quel piano bislacco solamente per aiutarlo. Haruka ci rimase male. Con il suo comportamento li aveva fatti preoccupare.
«Ho capito. Verrò anch’io. Nagisa, Rei, grazie» disse.
Subito, Nagisa gli saltò al collo, abbracciandolo.
«No, grazie a te, Haru-chan! Sono così felice!» strillò.
«Grazie infinite, Haruka-senpai» gli fece eco Rei, inchinandosi leggermente.
Solo in quel momento Haruka si rese veramente conto di quanto gli erano mancati, di quanto affetto c’era nei loro abbracci e nei loro sorrisi calorosi. Cominciò a considerare l’idea di rivedere Makoto sotto un’altra luce: erano passati sei mesi, da quella volta. Forse Makoto l’avrebbe trattato come ai vecchi tempi. Forse, gli avrebbe sorriso…
 
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L’università di Tokyo era senza dubbio la più rinomata del Giappone, e il suo festival culturale attirava parecchia gente.
Nagisa zigzagava entusiasta tra la folla passando in continuazione da una bancarella all’altra, finché Rei non lo richiamò all’ordine.
«Voglio mangiare un sacco di cose buone!» esclamò il ragazzo biondo studiando le varie attrazioni sulla cartina che avevano consegnato loro al cancello d’ingresso.
Haruka invece non riuscì a farsi coinvolgere dall’eccitazione. O meglio, era molto agitato, ma per ben altri motivi… Prima di arrivare al festival aveva creduto fermamente che Makoto l’avrebbe accolto con gioia ma, a poco a poco, la sua sicurezza aveva lasciato spazio ai dubbi, tanto che in quel momento si chiese nervosamente se l’avrebbe anche solo salutato.
«È tutto a posto, Haru-chan» gli disse Nagisa, «ci siamo noi qui con te!».
«Esatto. Siamo la tua scorta. Lascia fare a noi» aggiunse Rei sistemandosi gli occhiali con aria saccente.
«Sì, avete ragione» rispose Haruka distogliendo lo sguardo con una punta di imbarazzo. «Vado a prendere qualcosa da bere» aggiunse allontanandosi.
A dire il vero non aveva poi così tanta sete, ma improvvisamente aveva sentito il bisogno di levarsi per un po’ da tutta quella confusione. Doveva riordinare le idee e soprattutto calmarsi. Evidentemente la sua agitazione era palese, se Nagisa e Rei si erano premurati di rassicurarlo in quel modo.
Mentre si allontanava all’interno dell’edificio scolastico in cerca di un distributore di bevande, sentì Rei che lo avvisava che nel frattempo lo avrebbero preceduto allo stand organizzato dal gruppo di Makoto. Haruka sorrise fra sé e sé, pensando che il loro percorso sarebbe stato rallentato dalle numerose soste agli stand mangerecci ai quali sicuramente Nagisa non avrebbe saputo rinunciare. Svoltò in un corridoio e proseguì superando alcune aule. Il grosso del festival si svolgeva al di fuori dell’edificio, quindi l’interno era frequentato solo da pochi studenti ed era tranquillo e silenzioso. Aveva appena avvistato il distributore dietro l’angolo, quando il suono di una voce sconosciuta proveniente proprio da quel punto lo bloccò.
«Ah, ti ho trovato, Tachibana-kun».
Haruka rimase immobile in ascolto.
«Sei Makoto Tachibana, vero? Alle superiori frequentavi l’istituto Iwatobi, no?» continuò la voce.
Il cuore di Haruka fece un balzo. Il ragazzo si tuffò letteralmente al riparo del distributore, schiacciandosi contro la parete. Makoto era lì vicino, non c’erano dubbi! Poteva sentire la sua voce gentile chiedere allo sconosciuto se aveva bisogno di qualcosa. Provò a sbirciare da dietro il distributore, rimanendo nascosto il più possibile.
Era proprio Makoto, anche se da quella posizione poteva scorgerne solo il profilo: sembrava dimagrito, e aveva un aspetto più adulto. Haruka si chiese cosa avrebbe dovuto fare. Avrebbe potuto andare a salutarlo, tanto per cominciare… ma non lo fece. Uno strano disagio gli bloccava le gambe. Poi, quello che sentì gli tolse ogni voglia di uscire allo scoperto.
«C’era un certo Haruka Nanase nella tua scuola, vero? Frequentava il tuo stesso anno, se non sbaglio. Una volta ho assistito a una sua gara e sono rimasto estasiato dal suo stile. È per questo che ho deciso di dedicarmi al nuoto. Sai se nuota ancora?» chiese il ragazzo sconosciuto.
Haruka rimase col fiato sospeso.
«Non saprei» rispose Makoto, «non ero molto legato a Nanase-kun, non so proprio nulla di lui. Mi dispiace, non posso aiutarti».
«Ah, peccato. Va beh, grazie lo stesso» disse l’interlocutore.
Haruka sentì il rumore dei passi di entrambi allontanarsi. Scivolò piano lungo la parete, fino a ritrovarsi seduto per terra. Perché si sentiva così scosso? Avrebbe dovuto saperlo che le cose stavano in quel modo, ormai non faceva più parte della vita di Makoto. Si era già dimenticato di lui.
…Nanase-kun…
Che brutta sensazione, sentirsi chiamare da Makoto in quel modo. E, a proposito, lui poteva permettersi ancora di chiamarlo Makoto? Oppure avrebbe dovuto chiamarlo Tachibana? Provò a mormorare ad alta voce quel nome, e una lacrima gli rigò il volto cadendo a terra, seguita da molte altre. Non doveva essere così! Non voleva che fosse così! Voleva parlare di nuovo con Makoto, vederlo sorridergli! Lui non era nessuno, senza Makoto.
Non gli piaceva, questo Makoto così freddo nei suoi confronti, anche se sapeva che era stato lui stesso a respingerlo per primo, a metterlo da parte. Accoccolato dietro al distributore, Haruka abbracciò le ginocchia e nascose il viso tra di loro, continuando a piangere, fregandosene della gente che avrebbe potuto vederlo. Era stato un completo idiota, a ficcarsi da solo in quella situazione. Aveva capito troppo tardi quanto amava il suo amico d’infanzia. Lo amava da star male.
 
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Anche l’ultimo giorno dell’anno, come ogni sera, Haruka si preparò per il consueto allenamento invernale, che consisteva in un giro di corsa nei dintorni fino ad arrivare al mare, per poi proseguire per un tratto di collina, costeggiare il tempio shintoista e ridiscendere fino alla propria casa. Pressappoco, lo stesso itinerario percorso fin dai tempi delle elementari, con pochissime varianti dettate di volta in volta dal gusto personale del momento.
Strinse per bene le stringhe e aprì la porta di casa. Subito una folata di aria gelida lo investì. Prese un cappello con visiera dall’anticamera e se lo calcò sulla testa, prima di uscire nuovamente. Odiava l’allenamento invernale, e non solo a causa della temperatura. D’inverno la piscina era off-limits, e non poter rimanere a contatto con l’acqua lo faceva sentire incompleto. Si chiese perché poi si sbattesse tanto ad allenarsi anche in quella stagione. Aspirava ancora a diventare un nuotatore professionista, certo, ma ultimamente era come se il suo sogno avesse perso lo smalto di un tempo. Tuttavia, anche in inverno Haruka non aveva mai saltato un solo giorno di allenamento. Non mirava ad aumentare la propria resistenza, quanto piuttosto a concedersi una tregua, per quanto breve, dal ricordo di ciò che aveva provato al festival culturale di quell’estate, e che era diventato un po’ il chiodo fisso attorno al quale gravitava praticamente la sua vita attuale.
Quando correva, il vento gli accarezzava il viso e il corpo. Anche il vento, come l’acqua, era vivo. Quando correva, gli mostrava le zanne gelide e lo aggrediva. Ma lui non ne aveva paura. Affondava le dita nella superficie e creava un’apertura, facendo scivolare il corpo in quello spazio. Il vento non era nemmeno minimamente paragonabile all’acqua, ma poteva almeno tentare di convincersi ad accettarlo come un surrogato passabile. Più o meno.
Haruka svoltò sulla strada che costeggiava il tempio. Era deserta, come ci si poteva aspettare a quell’ora da una piccola cittadina di provincia. Sempre correndo scese le scale, superò il torii e finalmente raggiunse l’ingresso della propria casa, appoggiandosi per un momento al muro e ansimando per la mancanza di ossigeno.
Come ogni volta, man mano che riprendeva fiato il rimpianto tornava ad occupargli la mente. Ogni angolo di quella città sembrava ricordargli Makoto. Anche rientrare in casa non lo aiutò: la prima cosa che vide varcando la soglia fu il gradino del genkan dove Makoto lo aveva aspettato, addormentato e con il cellulare in mano, alla vigilia della loro prima staffetta con Rei e Nagisa.
Haruka si inginocchiò sul gradino e rimase in quella posizione a meditare per un po’. Non poteva andare avanti così. Dopo la laurea, avrebbe fatto meglio a cambiare città.
Rientrò in casa e si fece una doccia, poi cenò, masticando piano, cercando di concentrarsi sul sapore sublime del miso con lo sgombro. Aveva appena finito di rassettare, quando Nagisa gli telefonò per invitarlo ad andare insieme ad assistere ai 108 rintocchi tradizionali di mezzanotte delle campane del templio buddista.
«Mi dispiace, non posso uscire con tutta questa neve».
Effettivamente, dopo il suo rientro aveva cominciato a nevicare così forte che per le strade si era accumulato un bel manto bianco di una trentina di centimetri. Haruka non se la sentiva proprio di arrancare nella neve, per giunta in piena notte. E poi, a dirla tutta non aveva tutta questa smania di festeggiare…
«Non dire così! Mi annoio qui tutto solo con Rei-chan!» piagnucolò il ragazzo biondo.
«Nagisa-kun, tu sei fin troppo spontaneo quando parli!» protestò Rei.
Haruka lo sentì dall’altra parte del telefono, e sorrise.
«Scusatemi. Ci vediamo nell’anno nuovo» disse.
«D’accordo! Allora domani andiamo al tempio insieme. Guarda che vengo a prenderti, okay?» esclamò Nagisa prima di salutarlo e riattaccare.
Haruka posò il cellulare. Ecco, anche quell’anno trascorreva la vigilia da solo. Non che non ci fosse abituato. Era stato così in passato, e lo sarebbe stato anche in futuro…
Indossò un giubbotto pesante e uscì in strada per valutare bene la situazione; forse, dopo tutto, avrebbe potuto raggiungere Nagisa e Rei.
Si fermò dopo aver percorso solo pochi metri, rendendosi conto che non era fattibile. La neve cadeva meno fitta ora, ma se ne era accumulata abbastanza da rendere difficoltoso camminare. I gradini della scala che scendeva dal tempio e costeggiava la sua casa erano spariti. La mattina dopo gli sarebbe toccato spalare per un bel po’. Stese un palmo davanti a sé, osservando i fiocchi che vi si posavano sopra leggeri e subito si scioglievano. La neve attutiva ogni rumore, per strada regnava una pace assoluta. Probabilmente tutti stavano trascorrendo l’ultimo dell’anno in casa con la propria famiglia, oppure si stavano recando al tempio, o ancora stavano festeggiando nei locali del centro. Nonostante il freddo pungente, Haruka rimase per un po’ lì in piedi, a pochi passi dall’ingresso di casa, ad ascoltare il silenzio.
«Haru?».
Haruka si riscosse e si voltò nella direzione da cui proveniva quella voce. Il suo cuore mancò un colpo. Makoto era in fondo alla scala, all’altezza della propria abitazione, e stava guardando in su verso di lui.
«Mako…to…» riuscì solo a balbettare.
«È da tanto che non ci si vede, eh, Haru?» disse l’altro, senza guardarlo direttamente in faccia.
«…Sì…».
Non sapeva cosa dire. Tutte le frasi che gli venivano in mente gli sembravano stupide o fuori luogo.
«È la prima volta che torni a casa, vero?» chiese infine.
«Già. I miei hanno detto che era ora che mi facessi rivedere. Ma sono ancora in viaggio, e a quanto pare a causa della neve oggi non riusciranno a tornare».
«Anch’io… quest’anno sono da solo».
Haruka si morse la lingua. Che diavolo gli era venuto in mente di dire? Non voleva farsi compatire da Makoto, non era quella l’intenzione!
Makoto parve voler dire qualcosa, poi rinunciò e i suoi occhi si fecero tristi. Avrebbe voluto dire che poteva tenergli lui compagnia, ma probabilmente Haru non avrebbe gradito la sua presenza dopo quello che gli aveva confessato l’anno prima.
«Capisco» disse solo, «sono contento di vedere che stai bene. Ora vado».
Quando Haruka lo vide voltarsi, d’istinto si lanciò di corsa giù per le scale cercando di intuire dove potessero essere i gradini e sperando di non slogarsi una caviglia. Non poteva lasciarlo andare così, forse quella era l’unica occasione che avrebbe mai più avuto per parlargli. Aveva un bisogno disperato di parlargli, non importava di cosa. Voleva sapere come viveva adesso, come passava il tempo. Voleva tornare ad essere per lui Haru e non Nanase-kun. Voleva sentirsi di nuovo parte della sua vita, non un ricordo spiacevole.
«Makoto, asp…».
In quel momento si udì un sonoro sfrigolio, e l’oscurità piombò su di loro. A causa della neve, in tutto l’isolato era saltata la corrente. Haruka guardò verso Makoto, e si accorse che stava tremando. Probabilmente per il freddo. O forse…
«Makoto, hai ancora paura del buio?» chiese incerto.
L’altro non rispose, ma per Haruka fu come se l’avesse fatto, e un lieve sorriso gli incurvò le labbra.
«Quella parte di te non è cambiata» disse piano, contento nel riconoscere almeno un aspetto del ragazzo che ricordava.
«Già, non sono affatto cambiato» rispose Makoto.
Il tono duro, così estraneo al suo modo di essere, mise Haruka in apprensione. Lo aveva forse offeso?
«Nessun coraggio e troppa insicurezza… sono lo stesso di sempre» continuò Makoto, odiandosi per quello che stava per dire. Temeva che avrebbe fatto sentire Haruka ancora più in colpa, ma non riuscì a trattenersi: «Anche dopo essermene andato a Tokyo, non ho potuto cambiare nulla di me. Ho cercato di dimenticarti, ma non c’è stato un singolo giorno in cui non abbia pensato a te. Non importa quanto siamo lontani, finisci sempre col riempirmi la mente».
Haruka avvertì un groppo alla gola. Sapeva bene come si sentiva Makoto, perché anche lui provava la stessa cosa.
«Da quando ti ho detto che mi piacevi, non è cambiata una sola virgola!» gridò esasperato Makoto. 
Nel buio, Haruka poteva scorgere solo la sagoma dell’amico, la sua schiena ampia, le sue mani strette a pugno. Si lanciò in avanti, abbracciandolo, stringendo forte tra le dita i lembi del suo cappotto.
«Makoto… Makoto…».
Non riusciva a dire altro. Voleva rimanere così, abbracciato a lui a ripetere il suo nome, con il viso premuto contro la sua schiena e il suo profumo a inebriargli le narici.
«Haru, basta. Tutto questo… non voglio che…».
«Anch’io ti penso. Tutti i giorni, in ogni momento» lo interruppe Haruka, «Alla fine ho capito che anche tu mi piaci, Makoto».
Sentì l’altro inspirare profondamente.
«Stai… stai mentendo. Haru, stai solo cercando di consolarmi».
Haruka alzò di scatto la testa.
«Non è vero! Credimi, Makoto!» esclamò con impeto.
«Haru, non capisci? Il mio “mi piaci” implica baciarsi e cose del genere…».
Haruka si chiese cosa dovesse aver passato Makoto, di quanto si fosse allontanato da lui per non essere più in grado di intuire i suoi pensieri. Sentì gli occhi umidi, e due lacrime gli bagnarono le guance.
«Mi baceresti?» lo pregò, la sua voce un sussurro implorante.
Makoto non si mosse. Haruka sentì crescere dentro di sé il terrore di vederlo andare via, di perderlo per sempre. Invece, subito dopo si ritrovò tra le sue braccia, stretto in una morsa protettiva. Le labbra di Makoto erano vicinissime al suo orecchio, e ripetevano il suo nome. Ricambiò l’abbraccio facendo scorrere le mani sulla schiena dell’amico, accarezzandola, saggiandone la muscolatura imponente che si intuiva anche attraverso la stoffa. Appoggiò la testa sulla sua spalla e rimase così, immobile sotto i fiocchi di neve che cadevano radi.
 
Si baciarono a lungo, senza fretta, come se avessero voluto recuperare tutto il tempo perduto condensandolo in quella sola notte. Haruka tornò sulla terra solo quando Makoto lo spinse sul letto, piano, dolcemente, gli sollevò la maglia fino al petto e i suoi palmi aperti gli accarezzarono l’addome. Haruka sospirò quando Makoto cominciò a baciarlo sul collo. Le sue labbra erano così calde…
Makoto si tolse la camicia, poi gli sfilò del tutto la maglia.
«Haru, hai freddo?».
«No..»
La sua voce tradì l’eccitazione, e si vergognò da matti per questo. Non voleva dargli l’impressione che lo stesse pregando di continuare, ma in effetti sentiva crescere una certa impazienza. Makoto continuò a spogliarlo, scoprendo a poco a poco nuove porzioni di pelle e posandovi un bacio ogni volta.
Quando Haruka si ritrovò finalmente nudo, sentì il corpo forte dell'altro aderirgli addosso. Gli piacque il contatto della sua pelle contro la propria.
«È la mia prima volta, ma farò del mio meglio» gli disse Makoto, «Se ti faccio male, o non ti piace, dimmelo subito, va bene?».
Haruka arrossì e distolse lo sguardo, poi lo abbracciò forte.
«Se è con te, non importa se sentirò male».
In effetti, all’inizio di male ne sentì, e parecchio. L’olio da cucina che avevano usato come lubrificante – l’unica cosa che lì per lì avevano trovato a disposizione in casa – evidentemente non era sufficiente per compensare le dimensioni di Makoto.
Haruka strinse i denti mentre il suo compagno lo penetrava studiando il suo viso, attento anche alla più piccola manifestazione di dolore.
«Rilassati e respira lentamente» gli disse.
Ci provò, ma continuò a sentire ugualmente un male cane.
Makoto è dentro di me, pensò. L’idea gli provocò un brivido lungo l’addome.
«Baciami, Makoto».
L’altro ubbidì, e Haruka rispose al contatto infilandogli la lingua in bocca. Questo, in qualche modo, parve rendere il tutto più sopportabile e quando Makoto prese a muoversi Haruka cominciò a provare qualcos’altro, oltre al dolore.
«Haru, i tuoi capezzoli sono sensibilissimi. Quando li accarezzo mi stringi davvero forte!» gli sorrise Makoto.
Haruka diventò di una nuova sfumatura di rosso.
«Idiota, non giocare!».
«Scusami, scusami» si affrettò a dire l’altro, «volevo solo farti stare meglio».
Haruka gli passò le braccia dietro al collo, cingendolo.
«Sto già meglio. Perciò… muoviti come preferisci. Ti stai trattenendo, vero?» disse.
Poi nascose il viso nell’incavo del collo di Makoto e aggiunse, vergognandosi più che mai: «Scopami forte…».
Lo sussurrò a voce bassissima, con le labbra premute sulla pelle dell’altro, ma evidentemente Makoto lo udì ugualmente perché, dopo un attimo di stupore e incertezza, lo prese in parola. Haruka si sentì schiacciare più e più volte contro il materasso e si chiese come diavolo gli fosse venuto in mente di dire una cosa del genere. Si sentiva lacerare dall’impeto delle sue spinte. Poi Makoto cominciò a stimolare un punto particolarmente sensibile al suo interno, e improvvisamente tutto cambiò. Haruka sentì quel contatto regalargli ondate di piacere sempre più intense, propagandogli brividi in tutto il corpo.
Cominciò a gemere sempre più forte, scordando vergogna e pudore. Quando raggiunse l’orgasmo si sentì svuotato di ogni forza, nemmeno avesse appena affrontato una competizione, e scivolò in uno stato di semi-incoscienza. Si sentiva bene, pienamente appagato e finalmente libero.
Fu riportato alla realtà dalla voce preoccupata di Makoto che lo chiamava.
«Haru! Haru! Non sarai svenuto?!».
Haruka sentì Makoto che si ritirava dal suo corpo e lo trattenne cingendogli il bacino con le gambe. Sollevò appena le palpebre, crogiolandosi nella sensazione di benessere che stava provando.
«No, fermo! Restiamo ancora così per un po’, per favore» chiese.
«Haru, ma…».
«Haruka. Chiamami Haruka».
«Come vuoi» gli rispose l'altro con una risata soffocata. «E, a proposito, ti amo, Haruka».
Haruka strinse il compagno e lo baciò con passione, relegando a ricordo lontano la paura di averlo perduto.

 
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Haruka preparò la colazione, scegliendo, anche se un po’ di malavoglia, di rinunciare al solito menù a base di sgombro grigliato per andare incontro ai gusti di Makoto. Sapeva che l’amico prediligeva i sapori dolci, ma Haruka non se la sentì di stravolgere le proprie abitudini e preparare una colazione all’occidentale con biscotti e pane imburrato. Optò per sgombro e ananas, gli parve un buon compromesso.
Sorrise leggermente mentre puliva il pesce, pensando a quanto Makoto fosse negato ai fornelli.
In quel momento il cellulare di Makoto squillò.
«Come dici? La fioritura dei ciliegi?».
Dal fatto che l’interlocutore di Makoto avesse iniziato a parlare prima ancora di lasciargli il tempo di dire “pronto”, Haruka ipotizzò che la telefonata dovesse arrivare da Nagisa.
«Sì, sono qui a Iwatobi, posso venire insieme a Haru».
«Evviva, allora vi aspettiamo davanti alla nostra scuola» strillò Nagisa, «è un sacco di tempo che non vedi i ciliegi di Iwatobi, eh?».
Makoto sorrise, un sorriso identico a quello che Haruka gli aveva visto fare quella volta in cui stavano ritornando dall’isola deserta su cui erano naufragati durante il temporale. Provò una punta di gelosia. Fino a quel momento, Makoto aveva sorriso in quel modo solo a lui.
«Nagisa, Rei, grazie infinite» rispose Makoto.
«Oh, per favore! Quante volte ancora devi ripeterlo?» si mise a ridere Nagisa.
«Di cosa li ringraziavi? Ti mancano così tanto, i ciliegi?» chiese Haruka dopo che l’altro ebbe terminato la telefonata.
Makoto rise.
«Non te l’ho mai detto, ma quella volta, al festival culturale dell’università, li ho poi incontrati. Mi hanno detto che tu te n’eri andato via improvvisamente accampando una scusa, ma loro avevano capito benissimo quale potesse essere il vero motivo. Si erano accorti da tempo che qualcosa fra noi non andava. Soprattutto, si erano accorti che tu ne soffrivi. Quel giorno, mi hanno pregato di tornare a Iwatobi e provare a parlarti almeno una volta. Quando sono tornato a casa a fine anno, non l’ho fatto per rivedere i miei, ma per te».
Haruka distolse lo sguardo, con una buffa espressione imbronciata dipinta sul viso.
«Il festival si è tenuto a fine agosto. Ci hai messo un bel po’ per deciderti a vedermi» brontolò.
«Sì, hai ragione!».
Makoto sorrise di nuovo, e Haruka pensò che non l’aveva mai visto così bello.
«Non sapevo che decisione prendere» continuò, «Ero convinto che stessi soffrendo per il senso di colpa per avermi respinto, e che starti lontano fosse la soluzione migliore. Non immaginavo che la causa dei tuoi problemi fosse proprio il contrario».
Haruka pensò che, se le cose stavano così, allora anche lui era in debito con Rei e Nagisa. Era grazie a loro se ora Makoto tornava a Iwatobi una volta al mese. E le cose fra loro due andavano talmente bene che, sebbene la laurea fosse ancora lontana, avevano già deciso che sarebbero andati a vivere insieme, un giorno.
Terminarono di fare colazione e si apprestarono a raggiungere il luogo dell’appuntamento. Haruka si allacciò le scarpe seduto sul gradino del genkan, e quando sollevò lo sguardo vide la mano di Makoto tesa verso di lui per aiutarlo ad alzarsi, come era successo innumerevoli volte in passato quando, al fondo della corsia, la stessa mano afferrava la sua con una presa salda e lo sollevava fuori dall’acqua senza sforzo apparente. Strinse la mano di Makoto e, una volta in piedi, gli posò un bacio sulla guancia, divertito dalla faccia sorpresa dell’altro per l’iniziativa inaspettata.
Per raggiungere la scuola si incamminarono lungo la spiaggia tenendosi per mano, certi che a quell’ora mattutina di una domenica di fine inverno nessuno li avrebbe visti.
Come tutte le volte in cui passeggiavano sul lungomare, Haruka si mise tra Makoto e l’acqua, in modo da farlo sentire al riparo dall’oceano.
«Senti, Haru…» cominciò Makoto.
«Mh?».
«Io… per rimediare a tutte le volte in cui ti ho fatto stare male e non ti sono stato vicino, mi prenderò cura di te il doppio».
«Non… non mi hai fatto stare male. Non la vedo in quel modo».
«Però… avevi una faccia davvero triste, mentre te ne stavi là sotto la neve, quella sera».
«Però adesso ci vediamo spesso, ci sentiamo, e passiamo parecchio tempo insieme».
«Sì, perché vedo che ti rende felice» disse Makoto sorridendo.
«Makoto…» cominciò Haruka.
Avrebbe voluto dirgli che non aveva bisogno di fare proprio nulla di più di quello che stava facendo, perché si sentiva già estremamente felice così com’era, ma riuscì solo ad abbassare lo sguardo e arrossire.
«Makoto, io…».
Mentre Haruka provava a formulare una frase decente, una folata di vento marzolino li investì, portandosi dietro qualche petalo di ciliegio.
«La primavera sta per arrivare, eh?».
Haruka fece una smorfia. Pure il vento ci si metteva, a impedirgli di confessare a Makoto una cosa che già di per sé trovava parecchio imbarazzante da dire.
«Spero che presto faccia caldo, così potremo nuotare nell’oceano. Che ne dici? Ti va di nuotare insieme, Haru?».
Haruka si illuminò all’idea dell’acqua e di Makoto insieme, le due cose che adorava di più in assoluto. Lo sgombro ormai era stato declassato al terzo posto.
«Sì» dichiarò senza esitazione. Poi, senza pensarci oltre, in modo da non dare la possibilità all’imbarazzo di prendere il sopravvento, aggiunse: «Makoto... ti amo».
«Anch’io ti amo davvero, Haruka» rispose Makoto con naturalezza.
Haruka pensò che finché Makoto avesse continuato a rimanergli accanto, sarebbe stato capace di affrontare qualunque cosa la vita avesse in serbo per lui. Strinse di più la mano del suo compagno e, senza aggiungere altro, ripresero a camminare lungo il mare.
 


 
Il mio modesto angolino

Salve a tutti ^^ È la prima volta che scrivo qualcosa su Free, quindi ho poca dimestichezza con i personaggi.
Per di più, sono negata a scrivere storie di mio pugno, non ho proprio idee. Spero quindi che mi perdonerete se, per approcciarmi a questo fandom in cui desideravo fortemente di entrare, ho impunemente scopiazzato una doujinshi, ovvero “Namae o yonde, dakishimete”, letteralmente “chiamami per nome e abbracciami”.
Per la trasposizione in storia ho deciso di troncare il titolo, perché al completo mi sembrava fin troppo stucchevole ^^’
Tra l’altro, inserire o meno l’avvertimento “traduzione” tra le caratteristiche della storia mi ha generato non pochi dubbi. In effetti, non si tratta di una traduzione vera e propria: trasformare una doujinshi in fan fiction ha richiesto un robusto lavoro di adattamento, e riguardo i dialoghi ho sforbiciato, variato e aggiunto come più mi piaceva. Diciamo che, più che una traduzione, è una “ricerca di ispirazione” XD
Però, alla fine, ho deciso ugualmente di inserire l’avvertimento, per avvisare tutti che la storia non è farina del mio sacco. Spero almeno di avervi fatto passare un quarto d’ora felice :D
Ed ora un piccolo approfondimento sul significato della storia: per i giapponesi, chiamare una persona per nome presuppone un livello di intimità maggiore che per gli italiani. Come dire, ha un significato un po’ diverso. Per esempio, conosco una giapponese che, sebbene conviva con il ragazzo già da un anno, si ostina ancora a chiamarlo per cognome ^^ Forse, dopo questo aneddoto, l’implicazione del titolo e della richiesta di Haruka acquisteranno un nuovo significato : )
Infine, chi fosse interessato trova la doujinshi originale qui --> http://aarinfantasy.com/forum/f105/t187629-namae-wo-yonde-dakishimete.html
   
 
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