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Autore: rocchi68    30/08/2015    4 recensioni
Chiuso in un ospedale con zero possibilità di uscire prima di sera, ecco dove stavo. Non che mi importasse essere sotto sorveglianza di dottori e infermieri che facevano la ronda solo per vedere se ero in grado di respirare o di andare in bagno senza ridurmi da schifo.
Ormai però nello schifo ci ero immerso talmente a fondo che faticavo a capire come riuscissi anche solo a pensare.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: B, Dawn, Scott
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Chiuso in un ospedale con zero possibilità di uscire prima di sera, ecco dove stavo. Non che mi importasse essere sotto sorveglianza di dottori e infermieri che facevano la ronda solo per vedere se ero in grado di respirare o di andare in bagno senza ridurmi da schifo.
Ormai però nello schifo ci ero immerso talmente a fondo che faticavo a capire come riuscissi anche solo a pensare.
Non avevo mai ricevuto una lezione di vita come qualche giorno prima, anche se di botte ne prendevo da una vita.
Credevo di esserci abituato…e invece.
Accerchiato da una decina di armadi con spranghe di ferro e bastoni: mi fecero passare un brutto quarto d’ora.
Sicuramente sarei riuscito a vincere se fosse stato uno scontro leale, ma nelle risse da strada c’è solo una regola.
La regola è che non ci sono regole. Vince chi resta in piedi ed è in grado di tornare a casa sulle sue gambe. Allo sconfitto resta solo il disonore di leccarsi le ferite e il sentirsi uno schifo.
La testa aveva subito molti danni e mi avevano spaccato tutto. Il naso era andato, lo zigomo sinistro annientato, i bernoccoli della testa pulsavano da far schifo, l’occhio destro era nero come il carbone e quello sinistro era chiuso e faticava ad aprirsi. La fronte era costellata di cicatrici e da quello che mi aveva detto il medico, qualcuno me l’aveva aperta con un bel taglierino.
Mi avevano fratturato il polso della mano destra, incrinato qualche costola, spaccato per bene le gambe: insomma mi avevano ridotto come un puzzle.
 
I dottori parlavano di una prognosi compresa tra 4 settimane e 3 mesi, ma io non volevo saperne di restare in quel postaccio.
“Tra quanto potrò uscire di qui?” Chiesi al primo infermiere che dopo molto tempo passava a controllare le mie condizioni.
“Dovrà restare qui per almeno un mese e poi il primario deciderà se lasciarla uscire o se continuerà a restare qui dentro. Tutto dipende da come risponderà il suo corpo alle cure che abbiamo intenzione di sottoporle.” Per un attimo prese a controllare non so quali valori vitali e poi se ne uscì per informare i diretti superiori.
“Poveri stupidi: io non resterò un minuto di più in questo posto. Le vostre cure potete ficcarvele nel culo, io questa sera me ne ritorno a casa.” Quelle parole le dissi più che altro verso il muro dato che in quella stanza ero solo io ad essere sotto osservazione.
 
Era arrivata la primavera, ma nel mio cuore era sempre e solo inverno. Nel mio cuore l’inverno comandava su tutto, ma questo era abbastanza evidente.
Ridursi al primo anno delle superiori in ospedale con non so quante parti del corpo ancora integre era proprio una cosa di cui andare fieri.
Ma da dove avevo cominciato a ridurmi così?
Forse da quando quel pirata della strada, che non trovarono mai, travolse i miei genitori, lasciandomi solo al mondo.
Questo succedeva esattamente alla fine del quinto anno di elementari e fu solo grazie alle battaglie legali di una mia zia ricca che il giudice decise di lasciarmi a vivere in autonomia.
La sorella di mio padre era schifosamente ricca e per un moto di bontà verso un poveraccio mi concedeva un assegno mensile pari a 1000 dollari sui quali io facevo completo affidamento.
Non ne volle sapere di prendersi a carico della mia sfortuna nella sua megavilla, ma preferì lasciarmi da solo nell’appartamento che condividevo con scarafaggi e altri insetti striscianti.
Con solo 1000 dollari per vivere e con tutte le bollette e le spese che avevo, questo assegno non mi avrebbe mai permesso di campare senza qualche sotterfugio.
Non sto parlando di bische clandestine o di traffico di roba strana, ma di qualcosa di molto meglio: le risse da strada pagano bene se vinci, mentre se perdi…beh ti andrà meglio la prossima volta.
Se solo i miei fossero ancora vivi probabilmente non approverebbero questa strada e non mi sarei mai ficcato in questo vicolo cieco.
Avevo un ottima intelligenza, avevo ottime capacità e tutto se ne era andato da quando decisi di vendermi alla vendetta.
La vendetta è un fuoco che dà valore ad una vita insulsa ed è la sveglia che ti aiuta ad alzarti la mattina.
È una scarica di pura adrenalina che ti scorre nel corpo e della quale tu non puoi fare a meno.
La vendetta è essenziale come l’aria che respiri e senza di essa ti senti incompleto.
Fu così che dalla prima media iniziai a combattere per sopravvivere. Combattevo con chiunque: ragazzi più grandi, ragazzi più piccoli, ragazze, vecchi decrepiti, purché mi pagassero.
La media scolastica non era poi così buona come mi aspettavo, ma il Preside pur di non vedermi più, ogni anno aumentava tutti i miei voti di almeno 3 tacche, solo per portarmi alla sufficienza.
 
In ambito di donne invece la mia pessima fama non mi aiutava e non a caso mi attirai la simpatia di due strani tipi che mi sostenevano sempre. Mi sembravano come il gatto e la volpe con la piccola differenza che loro mi seguivano per divertirsi alle mie spalle.
“Mi piacerebbe molto uscire con te. Ti va?” Era il mio ultimo tentativo per quell’anno, se avessi fallito sarei stato costretto a presentarmi al ballo di fine scuola da solo o con qualcuno travestito da ragazza.
“Non voglio uscire con te. Mi sono innamorato di Harold del club di lotta.” Un'altra volta il mio cuore si era spezzato in mille pezzi e anche in questa situazione fui costretto a raccoglierne i cocci e ad andarmene con la coda tra le gambe.
“Ecco l’ennesimo due di picche.” Una ragazza del secondo anno mi aveva scartato per stare con un mingherlino con gli occhiali. Perché non me ne andava bene una? Uno di quei 2 imbecilli di cui vi parlavo mi stava prendendo per il culo e non si erano accontentati di quello che avevo subito, ma continuavano a rincarare la dose.
“Congratulazioni Scott sei arrivato a 50 rifiuti nel giro di 3 anni. Nessuno batterà mai il tuo record.” I due imbecilli che rispondono al nome di Duncan e Mike stavano già sfilando sotto i miei occhi con striscioni, coriandoli e trombette da stadio e non avevano rispetto per i miei sentimenti. Avevo le lacrime desiderose di scendere, ma non volevo farmi vedere da quei due in quello stato pietoso.
“Brutti bastardi.” Raccolsi una parte delle mie forze e dopo aver caricato per due volte il gancio destro, i due rantolavano al suolo. Non mi ero fermato a questi innocui pugnetti, ma avevo proseguito con una testata micidiale sulla fronte.
Mi allontanai quindi dal luogo del massacro, mentre i due cercavano di rialzarsi, aiutandosi l’uno con l’altro.
“Forse era meglio lasciarlo cuocere nel suo brodo.” Mike era colui che aveva un pizzico di buon senso tra i due, mentre Duncan era una furia scatenata.
“Ne sono convinto anch’io.” Dopo aver ricevuto una lezione simile, ne sarebbe stato convinto anche il più duro dei somari.
 
In quegli anni di scuola avevo piegato tutti sotto il mio volere e infatti perfino i bulli più grandi mi temevano. Potevano essere in due, in cinque, in venti, alla fine li avrei schiacciati come insetti.
Fu così che giunsi alle tanto sospirate scuole superiori anche se non capisco come mai, i miei pochi conoscenti lo considerassero uno scoglio più duro rispetto agli altri.
Se vi chiedete se alla fine sono andato al ballo…beh sì ci sono andato e ho pure fatto a botte con due ragazzi del secondo anno, prima di essere sbattuto fuori dalla sicurezza comandata dal Preside in persona.
Fortunatamente ero capitato in un orario dove potei passare il resto del tempo a fare quello che facevo meglio.
Andai nel vicolo dove lavorava Greg e dopo avermi preparato come solo lui sapeva fare, affrontai un ragazzo delle superiori alle quali lasciai qualche bel ricordino. Alla fine della giornata ero tornato a casa con un guadagno di 150 dollari e con qualche leggero livido sul braccio destro.
 
Giunsi quindi alla presentazione e al discorso del Preside dove dormii tutto il tempo e giunto in classe occupai il posto migliore per seguire i cadaveri dei professori: ultima fila banco a sinistra verso la finestra e addio mondo.
Dormire in classe era una gioia per il mio cervello, mentre per la mia compagna era un immensa tortura. Povera lei: bionda, occhi chiari, maglione verde, pantaloni viola, scarpe con tacco nero e bassa quanto un tappo da spumante. Era una tipa strana: parlava di aure, leggeva quelle degli altri e non si arrabbiava quando russavo più forte degli altri.
Forse vuole uccidermi mentre dormo: questa era l’unica possibilità.
Era molto carina, aveva un certo fascino, eppure non avevo più nessuna intenzione di provarci con le ragazze.
Le ragazze sono tutte uguali: se non possiedi una delle qualità che interessa loro, non ti cagano nemmeno di striscio, se invece sei bello e hai i soldi ecco che diventi il figo più figo della scuola.
E poi sono sempre in calore, si strusciano ovunque e vogliono farsi coccolare dagli altri ragazzi.
Più che delle ragazze mi sembrano dei cani a cui piace mostrarsi.
 
Durante una ricreazione di qualche tempo addietro eravamo rimasti in classe io, quella strana tipa, Mike e la sua nuova ragazza, Rossa fiammante come la chiamavo io.
Rossa fiammante, ficcanaso di prima categoria iniziò a dire qualcosa riguardo lavoro, futuro e animali indifesi da proteggere contro test scientifici: argomenti che non mi interessavano un fico secco.
“E tu Scott cosa fai quando esci da scuola?” Se avessi avuto voglia di parlare probabilmente non sarei stato a dormire senza mai alzare lo sguardo e poi gli altri avevano sempre le stesse cose da fare. Loro andavano al cinema, a studiare e a fare scemenze come se non ci fosse un domani, mentre io dovevo portarmi il pane a casa.
“2 combattimenti al giorno, a volte anche 3.” Era davvero noioso quando gli altri mi chiedevano qualcosa, ma per mia fortuna succedeva raramente. I professori non mi interrogavano mai e i miei compagni non si sognavano nemmeno lontanamente di parlarmi, se non in casi davvero particolari.
“Ho capito. Ti piacciono i picchia duro della sala giochi in centro. Lo sospettavo.” Rossa fiammante era proprio un oca senza cervello.
“Non credo che siano i combattimenti che intendeva lui, vero?” La bionda lettrice di anime aveva colpito nel segno e infatti finii con l’annuire.
“Sono un mercenario.”
“Un che cosa scusa?” Era proprio vero che chi si somiglia si piglia, dannazione. Nemmeno Mike aveva capito cosa facessi fuori da quel carcere di malati mentali.
“Sono un lottatore prezzolato demente. Vengo pagato per far del male ai bravi ragazzi, o ai cattivi a richiesta. Posso battere chiunque in ogni istante, ma lo faccio solo se mi pagano…e più che bene. Non sono fedele a nessuno, tranne che al Dio dollaro con qualche eccezione per l’euro o per lo yen, perché quando sei dentro non puoi fare troppe storie. Sono un flagello, avete mai sentito parlare di quel tipo che dove passa non cresce più l’erba? Io sono anche peggio.” Detto questo tornai nel mondo dei sogni, mentre gli altri dementi continuavano a parlottare tra loro.
“E quindi se ti dicessi che uno di quinta mi rompe le scatole, tu potresti…” Quel discorso mi stava davvero interessando e aveva suscitato il mio interesse.
“Un semplice occhio nero costa una cifra, mentre se vuoi che resti a casa per due settimane il prezzo aumenta. Non ti consiglio di chiedermi tutto l’anno perché potrebbe costarti un patrimonio. Tutto dipende da quanto vuoi spendere.”
“Non dirmi che…” Mike prese a fissarmi con intensità come se fosse lui il bersaglio di quel possibile attacco.
“Io attacco chiunque. Non mi faccio nessuno scrupolo. Nel mio giro non conosco nessuno. Non avrei mai pietà, né per gli amici né tanto meno per donne, vecchi, bambini o ragazzi più grandi. Chi mi paga, compra i miei servigi ed io non faccio domande.” La campanella aveva appena decretato la fine delle ostilità e questo significava ritornare a dormire.
 
Ero ancora chiuso in ospedale e i ricordi a saltoni tornavano a torturarmi con la loro morale che io non capivo.
Osservai l’orologio che giganteggiava sulla parete e notai che erano già le 21.
“È ora di andare.” Dissi mentre raccoglievo le cose dal comodino e mentre facevo un fagotto per tornare a casa.
“Anche se non mi reggo in piedi, questo non significa che non sia in grado di curarmi da solo.” Non ero attaccato a nessuna macchina in particolare e infatti dopo essermi alzato, presi a camminare per l’ospedale. Giunsi all’ascensore e dopo averlo preso con qualche difficoltà uscii da quel postaccio.
“Se credevano che sarei rimasto a marcire in attesa di sentirmi meglio, probabilmente non hanno mai conosciuto Scott il vendicatore.”
Dopo circa un ora ero arrivato a casa e l’indomani come se fosse normale andare a scuola coperto di bende, varcai la porta della classe e mi sedetti per riprendere qualche ora di sonno.
Solo la mia compagna di banco notò quello che mi ero fatto e notò anche gli sbuffi e il stringere i denti che caratterizzavano i miei rari movimenti.
 
Uscito da quella strana scuola non vedevo l’ora di tornare a casa, riprendermi, guarire in fretta per poi vendicarmi poco alla volta degli armadi che mi avevano riempito di pugni.
“Ehi Scott. Aspetta un attimo.” Non conoscevo nemmeno il nome della mia compagna di classe e per comodità la chiamavo semplicemente La biondina.
“Cosa vuoi? Se si tratta di menare qualcuno dovrai aspettare qualche giorno.” Mi ero avvicinato ad una panchina e mi ero seduto con il chiaro intento di riprendere fiato.
“Così malridotto non riusciresti a pestare nemmeno un sacco da boxe, mi puoi spiegare cosa ti è successo?” Era la prima volta che una ragazza si preoccupava per me, ma tanto sapevo che lo faceva solo per pietà. Chi mai potrebbe interessarsi di un ragazzo che non possiede nulla e chi mai potrebbe provare qualcosa per qualcuno che non avrà mai futuro?
“Tre giorni fa ho menato il figlio della gang del mio quartiere e ieri è venuto con qualche scagnozzo a menarmi per bene. La prossima volta mi divertirò io.” Anche ridere mi provocava un grande dolore, mentre lei sembrava schifata per quello che le avevo detto.
“Tu sei l’unico che va in cerca di rogne. Non appena ti sentirai meglio, potresti venire a trovare mio padre e lui potrebbe insegnarti qualcosa sulla lotta.”
“Non ho bisogno di nessuno. Non ho bisogno di un nonnetto che mi spieghi come combattere. Io combatto da quando tu avevi ancora il ciuccio e quindi non rompermi le scatole.” Raccolsi le forze che avevo recuperato e dopo essermi alzato, mi avviai verso casa.
 
Eppure durante il lungo viaggio di ritorno iniziai a riflettere su cosa significava quella roba a cui ero stato testimone.
Mi ci vollero quasi 2 mesi prima che il mio corpo si riprendesse completamente dal martirio che mi avevano regalato e quando tornai in piene forze, fu la cara Dawn, sì ho imparato il suo nome, a portarmi da suo padre.
Tipo molto strano quello scoiattolo ricattatore.
“Se non vieni con me da mio padre dico al Preside cosa combini fuori da scuola e lui potrebbe avvertire le forze dell’ordine. Ti conviene seguirmi.”
“E cosa ti fa credere che io accetti ordini da te? Potrei sempre riempirti di pungi e spedirti a casa dal caro paparino con un pacco espresso.” Mi ero appena alzato dalla mia sedia ed ero pronto a tornare nei vicoli per guadagnare qualcosa.
“Anche se continui a ripetere che picchi chiunque, tu non alzeresti mai il dito contro le donne e questo lo so perché Mike e Duncan mi hanno raccontato dei continui rifiuti delle medie.” Quei due non appena mi sarebbero capitati sotto mano li avrei ridotti in polvere.
“Un bel record. Comunque è vero, io le donne non le voglio picchiare.”
“Mi sembra strano che un ragazzo come te non abbia ancora la fidanzata. Insomma sei un tipo interessante e poi…” Quella bionda parlava troppo per i miei gusti.
“Dawn io non farò mai il ripiego. Ho smesso di cercare l’amore perché con me una ragazza è destinata a soffrire. Io non so nulla di cosa abbia bisogno una ragazza per essere felice e se tu pensi che io possa diventare il tuo fidanzato, perché a te sta bene così, mi dispiace deluderti. Io non sono interessato.”
Ero un vero infame, un grande stronzo, ma era meglio essere così, piuttosto che deludere le persone che mi conoscevano e che mi volevano bene.
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autore.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e ho intenzione di proporvi un giochino interessante.
In questo primo capitolo ho inserito delle piccole parti riadattate da alcuni anime che mi piacevano molto.
Sono curioso di vedere se riuscite a capire quali sono.
Unico indizio: sono divertenti e i protagonisti sono molto strani.
 
   
 
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