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Autore: Briciole_di_Biscotto    31/08/2015    1 recensioni
Solleva un'ultima volta lo sguardo su Vietnam, che appena incontra i suoi occhi capisce che, ormai, ha ceduto. A questa consapevolezza, i suoi occhi si spalancano mostrando il bulbo oculare completamente annerito, di un nero pece così profondo che Giappone e sicuro di poterci scorgere le porte dell'inferno, e la bocca si distorce in un ghigno disumano, così largo che sembra che le abbiano tagliato le gote con un coltello, mostrando due file di denti estremamente aguzzi.
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[Asian family] [POV Japan]
Genere: Dark, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Cina/Yao Wang, Giappone/Kiku Honda, Vietnam
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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  Giappone osserva il paesaggio desolato attorno a sé con espressione apatica. I segni della battaglia che lì si è appena conclusa sono ben visibili, e dentro di sé sente crescere l'orgoglio per aver vinto, di nuovo.
  Effettivamente, ora che ci pensa, ha appena ucciso l'ultimo uomo che rimaneva della fazione nemica. Non si ricorda nemmeno il suo volto, chissà chi è. Abbassa lo sguardo per soddisfare la sua curiosità: davanti a lui, disteso in una pozza di sangue, c'è un uomo in divisa verde militare. Era abbastanza avvenente, che peccato.
  I tratti, seppur deformati dalla morte, rimangono eleganti e composti; i lunghi capelli neri, stretti in un codino, sembrano così morbidi, e Giappone è sicuro che se li toccasse avrebbero la consistenza della seta. Però qualcosa lo turba nel profondo. Sente che non vuole sapere cos'è, perché sa già che non gli piacerà, eppure una strana urgenza gli preme sullo sterno, quasi a togliergli il fiato.
  Dove ha già visto quel volto?
  Gege!
  Una voce. Un ricordo. Giappone spalanca gli occhi e scuote la testa: no, non vuole ricordare. Ma la voce torna prepotentemente – “Gege!” – e questa volta è accompagnata da una risata infantile. Il ricordo confuso come di un volto sorridente si ferma davanti ai suoi occhi, e la voce che esce da quelle labbra sottili e delicate è calda, amorevole.
  Vieni qua, Kiku.
  Rumore di passi, come di piccoli piedini che corrono. Una risata. Gli sembra di vedere un uomo prendere in braccio un bambino. Perché quel bambino è così dannatamente familiare?
  L'uomo ride di nuovo, stringendo a sé il piccolo.
  Sei proprio un bravo bambino, Kiku.
  Kiku... Crisantemo. Quel nome è come un pugno allo stomaco. Solo una persona lo chiamava così, ma chi? La testa comincia a dolore, mentre dentro di sé la voglia di ricordare e quella di non ricordare guerreggiano per la predominanza sulla sua mente. E forse vince il ricordo, perché di nuovo quella voce così calda e rassicurante, così familiare, si fa strada in lui.
Ti voglio tanto bene Kiku! Non ci lasceremo mai!
  E il bimbo – e lui ride ed annuisce, perché ne è convinto, rimarrà per sempre con il fratellone.
  Giappone abbassa lo sguardo e questa volta sgrana gli occhi, quando vede il cadavere del soldato. Perché no, non è possibile che sia proprio lui. Non è possibile che lo abbia ucciso. Lui vuole bene a suo fratello, gli vuole bene più di qualunque altra cosa!
  La katana, appesa al suo fianco ed incrostata di sangue, sembra farsi più pesante, così pesante che Giappone sente le gambe tremare e lottare per non cedere. Si porta le mani al viso, per coprirsi gli occhi e non vedere, per non credere, ma le sue mani sono rosse di sangue. Spalanca gli occhi, sgomento, e osserva i palmi tremanti grondati del vischioso liquido cremisi. Scuote la testa lentamente, e si ripete che no, no, non è stato lui.
  – No. No no no no no! Non sono stato io, non è colpa mia.
  È un sussurro spaventato, ma nell'aria immobile e satura di morte risuona come un tuono, rafforzando l'accusa che quelle stesse parole cercavano di smentire.
  Si volta di scatto. Vuole andarsene da lì, e subito. Non vuole più vedere il corpo di Cina riverso a terra. Appena arriverà a casa pulirà la lama, sciacquerà la divisa e si farà un bel bagno, e di tutto questo non rimarrà più niente.
  Ma quando si gira, per terra, in una posizione innaturale, giace Corea. I suoi occhi vitrei e spalancati verso il cielo lo accusano della propria morte, lo accusano di aver spezzato quell'esistenza così gioiosa e vitale.
  Giappone indietreggia di qualche passo e si volta di nuovo. Questa volta è Taiwan ad accogliere il suo sguardo, il delicato viso di porcellana statico e intriso di sangue.
  Si volta ancora, Giappone, disperato. Vede anche Hong Kong, in una pozza di sangue, un braccio abbandonato in avanti forse nel mente di una richiesta d'aiuto. È circondato, e il respiro gli si mozza in gola. No, lui non è un assassino. Lui ha sempre voluto bene ai suoi fratelli, come è potuto accadere tutto questo?
  Da lontano, scorge una figura vestita di verde avanzare lentamente, con passo leggero ed elegante. E Giappone quasi piange di sollievo quando vede Vietnam viva, che gli si avvicina. Ma il sollievo sfuma non appena nota cosa la ragazza porta in grembo: la sua katana è affondata fino all'elsa nello stomaco della ragazza, macchiando la veste smeraldina del cremisi del sangue. Si porta una mano al fianco, per accertare la presenza dell'arma, e trova la guaina vuota. Scuote la testa, disperato.
  – No, io non ho fatto niente! Non sono stato io!
  Gli occhi di Vietnam, così dolci di solito, sono arrossati, e da essi sgorgano come fiumi lacrime di sangue. Ghigna malefica e no, quella non può essere sua sorella.
  – Ci hai ucciso tutti! Traditore! Traditore!
  La sua voce è gracchiante, fastidiosa, come lo stridio del gesso sulla lavagna. Giappone si porta le mani alle orecchie, un po' per il fastidio e un po' per cercare di allontanare quelle accuse, e serra gli occhi scuotendo la testa.
  – No...
  – Ci hai uccisi tutti! Tutti! Assassino! Assassino!
  – No, non è vero, non sono stato io!
  Vietnam ride, e la sua risata è malata, sembra uscita dal demone in persona. Continua a cantilenare quelle due parole – traditore, assassino – senza sosta, e Giappone le sente iniziare a permeare sempre di più in lui. E comincia a crederci anche lui, che è un assassino, un traditore.
  Solleva un'ultima volta lo sguardo su Vietnam, che appena incontra i suoi occhi capisce che, ormai, ha ceduto. A questa consapevolezza, i suoi occhi si spalancano mostrando il bulbo oculare completamente annerito, di un nero pece così profondo che Giappone e sicuro di poterci scorgere le porte dell'inferno, e la bocca si distorce in un ghigno disumano, così largo che sembra che le abbiano tagliato le gote con un coltello, mostrando due file di denti estremamente aguzzi.
  No, lei non è Vietnam. Non è la sorella dolce che lo coccolava sempre dopo gli incubi. E forse anche questo è un incubo, spera Giappone, forse ora si sveglierà gridando e i suoi fratelli, tutti vivi e sani, accorreranno per vedere cosa abbia, e lo consoleranno come meglio possono. Giappone sa già che andrà a finire con loro che si accamperanno nella sua stanza ignorando il suo spazio vitale, ma per una volta gli va bene. Per una volta vuole sentirli tutti vicini come non mai.
  Ma appena Vietnam si porta una mano esageratamente ossuta e nodosa al grembo, impugnando la lama ed estraendola dal suo stomaco, sa già che non accadrà. Ecco, la lama, quella lama macchiata del sangue di tutti i suoi fratelli, si abbatte su di lui, e quasi non la sente farsi strada nel suo ventre e uscire dalla schiena, lacerando la divisa, e sa già che non si sveglierà urlando.
  Si accascia per terra, senza ormai più forze, ed è finita. L'ultima cosa che vede è Vietnam, che è caduta accanto a lui con un tonfo sordo, fissarlo con quei suoi giganteschi occhi di Inferno.
  Poi il nulla.
  
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