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Autore: Steangine    04/02/2009    0 recensioni
La prima volta che lo vidi era seduto su uno scoglio, osservava il freddo mare ad occhi chiusi e stava facendo l'amore con la musica...
Ho postato in questa sezione una mia vecchia one-shot, una VampirexHuman.
Lasciate un commentino se avete tempo, please!
Genere: Malinconico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Discordante Sinfonia

Capitolo Unico

Autrice: Armònia

Categoria: Originale

Disclaimer: I personaggi citati nella storia mi appartengono, perciò se qualcuno desidera utilizzarli prima di tutto dovrà contattarmi e assolutamente non dovrà modificare il loro carattere se non prima di aver avuto la mia approvazione.

Pairing: VampirexHuman

Genere: Romantico, Mistero, Malinconico

Rating capitolo: Giallo

Avvertenze: slash, one-shot

Note: E' da tempo che desideravo scrivere una yaoi sui vampiri, ma non trovavo l'ispirazione, così mi sono dedicata ad altre storie (a lungo termine). Poi qualche giorno fa ho comprato un manga "Blood +" che si collegava con l'omonima serie, ma era un volume unico. La storia non era nè yaoi nè shonen-ai, ma aveva tutte le pretese per esserlo. Così ho avuto l'illuminazione, anche se questa one shot somiglia a "Blood +" solo per il modo in cui i due personaggi principali si incontrano. Per le appassionate di vampiri e yaoi mi dispiace, ma questa è una semplice shonen-ai, perchè pensavo che descrivere la scena di sesso avrebbe rovinato il ritmo della storia, ma se lasciate un commento e desiderate leggere la lemon... potrei anche fare un capitolo dedicato interamente alle yaoiomani, chissà... Premetto che la storia è ambientata in Norvegia (mi sembrava un’ambientazione adatta), però non la conosco bene come conosco l’Italia per quanto riguarda climi e abitudini, perciò se trovate discordanze non fatemene una colpa.

Riassunto: La prima volta che lo vidi era seduto su uno scoglio, osservava il freddo mare ad occhi chiusi e stava facendo l'amore con la musica...

 

 

 

Discordante Sinfonia






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Ecco... non mi sono mai interessato veramente alla musica... certo, quando capitava ascoltavo qualche canzone che mi piaceva particolarmente... i suoni... le parole... ma non posso dire di essermi mai appassionato con l'anima alla musica. Non appassionarsi semplicemente perchè è la moda che dice che bisogna farsi piacere un certo tipo di musica, ma appassionarsi fino a perdere di vista tutto il resto, fino ad avere in testa solo quelle note, ripetute fino all'infinito, fino ad avere la melodia scolpita nell'animo, in modo che niente e nessuno possa portarla via...

Non mi era mai capitato con niente... fino a che ho incontrato lui...

La prima volta che lo vidi era seduto su uno scoglio, osservava il freddo mare ad occhi chiusi e stava facendo l'amore con la musica... seguiva le onde che si infrangevano sulla battigia senza vederle, era magnifico. Sì, stava facendo l'amore, lo pensai non appena vidi la sua espressione quasi assorta bagnata dalla luce dorata del tramonto... eppure non c'era nulla in quel meraviglioso quadro, che nessuna mano avrebbe potuto dipingere riflettendo quegli attimi eterei, che accompagnasse realmente le note di quella che in ogni frangente mi era parsa come una discordante sinfonia...

...quel dolce quanto disarmonico andante di note...

 

***

 

- Allora qui finisci tu Elis? -

Joeri prese la borsa che conteneva la racchetta da tennis e se la mise in spalla; storse appena il naso ai colori scintillanti, viola e arancione, che il mister aveva scelto appositamente per distinguere i suoi giocatori dalla massa, non si era ancora abituato. Joeri aveva risposto che di sicuro si sarebbero distinti come unica squadra che sarebbe potuta andare a giocare con nonchalance in un circo e si era beccato due settimane di allenamenti aggiuntivi come punizione. L’allenatore della squadra del paese di Rundarheim era un tipo che era riuscito ad insegnare sia alle elementari che alle medie senza impazzire e, così Joeri ripeteva sempre a Elisey quando cadevano sull’argomento, il che accadeva raramente, alla fine lo hanno premiato permettendogli di distruggere la gioventù che giocava a tennis come vendetta per i torti subiti dagli allievi.

Questa era andata a sostituirsi poco per volta alla realtà effettiva, ovvero, il signor Faelan per colpa di un brutto incidente motociclistico aveva dovuto rinunciare alla carriera di sportivo professionista, così iniziò ad allenare giovani promesse e, checché ne dicessero tutti i suoi allievi, tutti in paese sapevano che l’obiettivo principale del signor Faelan era di far migliorare quelle zucche vuote che bisognerebbe prendere a racchettate.

Elisey annuì con un cenno del capo, impegnato a riordinare i registri scolastici di quel mese.

- Tra un po’ vado via anch’io, buon allenamento Jo! -

- Non chiamarmi Jo! -

- E tu non chiamarmi Elis! -

I due amici scoppiarono a ridere l’uno in faccia all’altro, Joeri per la faccia seria di Elisey ed Elisey per la faccia idiota che Joeri era riuscito misteriosamente a modellare con i muscoli facciali.

- Allora a domani! Ti chiamerò per darti la buonanotte! -

- Se il signor Faelan avrà la grazia di lasciarti qualche energia in corpo! - Elisey sbuffò divertito - Ti chiamo io! -

Era la settimana in cui lui e Joeri erano i responsabili dell’ordine degli archivi, un lavoro che tutti nella scuola conoscevano e che nessuno voleva mai nemmeno sentir nominare: se c’era una cosa bizzarra a Rundarheim, erano i bidelli profumatamente pagati che non facevano nulla per far sembrare la scuola un luogo decente.

Joeri era uno tra i pochi che la buttavano sul ridere, dicendo che almeno i professori potevano dire che anche chi aveva i voti sotto terra almeno qualcosa per la comunità la faceva: eliminava il rischio che la scuola diventasse un allevamento di ragni e insetti simili.

La semplicità e l’ottimismo di Joeri erano le due cose che Elisey gli invidiava di più: se il primo aveva lasciato perdere la questione del sistemare gli archivi settimanalmente, il secondo aveva iniziato una battaglia persa in partenza contro il preside. Nonostante i richiami alla privacy e all’assurdità di lasciare documenti importanti in mano agli studenti, il preside aveva contraccambiato con un richiamo alla maturità degli studenti e alle conseguenze che eventuali loro gesti troppo avventati avrebbero potuto portare.

Il ragazzo scostò una ciocca di castani capelli da davanti agli occhi e sbuffò, non riuscendo a trovare corrispondenza con un plico di documenti, uno era in eccesso e apparteneva a chissà quale risma di fogli.

I suoi occhi dardeggiarono sull’orologio da polso che aveva ricevuto dalla nonna a Natale per poi passare alla finestra, che lasciava trapelare raggi di tenue sole rossastri: le cinque e due minuti e stava tramontando.

Posò con calma il plico sulla scrivania e decise di risolvere il mistero l’indomani con l’aiuto di Joeri, anche se più che di aiuto si sarebbe dovuto parlare di distrazione, conoscendo l’amico e la sua scarsa propensione a lavori di qualunque genere.

Elisey si strinse nel cappotto: i dieci gradi primaverili della cittadina si facevano sentire e con loro anche il vento, che prepotente sferzava il suo volto. A causa della vicinanza col mare e la conseguente umidità il freddo sembrava oltretutto più pungente, ma le intemperie climatiche non erano mai bastate a far perdere al ragazzo l’abitudine di tornare a casa passando per la spiaggia.

Il mare calmo si infrangeva con un lento e continuo sciacquio sulla battigia, sia che il sole fosse coperto dalle nuvole e sia, come in quel giorno, quando il sole si faceva coraggio e usciva fuori, bagnando la terra di Norvegia con qualche raggio.

Elisey osservò la sfera rovente spegnersi piano nel gelato mare grigio e continuò a camminare a pelo dell’acqua, allontanandosi dalle onde più birichine e avvicinandosi quando l’acqua si ritirava, come in un gioco.

Un giorno come gli altri tutto sommato: si era svegliato tardi per colpa di sua madre che aveva reimpostato la sveglia, era riuscito a prendere un bel voto all’interrogazione di filosofia e a comprendere i balbettii della professoressa di Matematica, sessantasettenne con tanta voglia di pensione e a sopravvivere agli archivi scolastici assieme a Joeri e infine stava tornando a casa con il colore del mare negli occhi, il suo profumo nel naso e il suo rumore nelle orecchie.

E in quel giorno normale qualcuno entrò senza prepotenza, così, per caso, come se fosse di semplice passaggio, nella vita di Elisey.

Smise di camminare quando al richiamo del mare seguì un triste susseguirsi di note, che pareva a fatica seguire lo sciacquio, ma senza forse volerlo veramente. Una melodia dolce e ripetitiva ma mai monotona, con sempre qualcosa di diverso, qualcosa che Elisey non seppe definire, essendo lui digiuno di musica. Rimase immobile, a cercare con gli occhi castagna la fonte di quel meraviglioso suono.

Lui era lì, seduto su uno scoglio, il suo volto coperto da una roccia dispettosa, uno strumento simile ad un enorme violino che il ragazzo riconobbe come un violoncello era stretto in mezzo alle cosce con delicatezza e un archetto scivolava sulle corde, carezzandole come avrebbe fatto un amante.

Elisey non avrebbe saputo dire per quanto tempo fosse rimasto in piedi accanto al mare a seguire con l’udito quella sinfonia malinconica e con lo sguardo quella mano il cui proprietario gli era ancora ignoto; non voleva avvicinarsi, aveva paura che un semplice rumore estraneo a quel perfetto quadro avrebbe interrotto la magia sprigionata dalle note.

Ed Elisey si spaventò quando le note svanirono come un soffio di fumo, immediatamente sollevò il capo e potè vedere il musicante levarsi dal seggio naturale che lo aveva accolto e voltarsi verso di lui.

" I suoi occhi… "

Spaventato si sentì fissare da due rubini ardenti, occhi come non aveva mai visto, dove sembrava ardesse il fuoco, iridi incandescenti che a lui si avvicinarono sempre più, portando con loro il calore delle fiamme, perché Elisey avvertì sulla sua pelle l’effetto del camino acceso d’inverno, mentre fuori la neve cade tranquilla.

Aprì la bocca per dire qualcosa, ma ciò che risalì dalla sua gola fu un semplice singulto spaventato, che non poteva essere paragonato ad alcun suono che qualcuno avesse mai potuto emettere.

L’uomo, sì, un uomo dai lunghi capelli corvini, cadde placidamente in avanti, come dormiente, e rovinò con un tonfo sulla sabbia, senza alcun rumore.

Elisey affondò le ginocchia nella sabbia, talmente era stato l’impeto di correre accanto a lui, e volse verso di sé il viso del musicante, le palpebre appena socchiuse, che celavano una misteriosa sorpresa.

Forse il sole lo aveva ingannato, così pensò in un secondo libero dalla preoccupazione, perché il rosso delle iridi era sparito, lasciando spazio ad un cupo grigio nuvola, come quello che colorava il cielo prima di una tempesta.

Le carnose labbra dell’uomo si schiusero ed Elisey si stupì di aver pensato ad un tale aggettivo; rantolò appena, forse la gola riarsa dalla sete, prima di pronunciare due sole parole.

- Ho… fame… -

 

******

 

Non so ancora come feci a portarlo a casa mia, era molto più grande di me, molto più alto e molto più pesante.

Tornai a prendere il suo strumento dopo averlo adagiato nel mio letto, nella casa vuota… ero stato fortunato in quel frangente ad avere entrambi i miei genitori al lavoro. Ancora oggi non saprei come spiegargli il perché di quel mio gesto sconsiderato: chiunque avrebbe chiamato i soccorsi, l’ospedale, mentre io avevo trascinato in casa un perfetto sconosciuto, forse solo perché mi piaceva la sua canzone…

Un comportamento più adatto a Joeri che a me, eppure lo avevo fatto… e nel tornare a prendere il violoncello non riuscivo a togliermi dalla mente gli occhi che emanavano fiamme… e la sua voce roca e sensuale…

Mi vergognai nel pensare ciò, tuttavia non mi sforzai nemmeno per un istante di smettere di farlo.

 

 

Elisey si accorse di non avere una scusa pronta se fosse entrato in casa con un violoncello e i suoi genitori l’avessero visto e tutto ciò avvenne dietro la porta di casa sua, con la chiave già nella toppa, la serratura già scattata e l’uscio semichiuso.

Poi non vide le auto dei suoi genitori e si diede dello stupido, trascinando la custodia dello strumento su per le scale.

Fece scattare la porta della sua stanza, con sollievo depositò delicatamente il violoncello a terra, era davvero molto pesante; si chiese come potesse una persona portarlo in giro senza risentirne, soprattutto una persona debilitata qual’era quello sconosciuto.

La pelle nivea risaltava in contrasto con gli scuri vestiti che parevano essere stati cuciti solo perché lui avesse potuto indossarli: Elisey pensò che non avrebbero avuto ai suoi occhi lo stesso fascino se indossati da altri mentre li ripiegava.

Tuttavia non tardò a convincersi che era lui che lo affascinava, lui e i suoi scuri capelli color ebano, i lineamenti marcati, i muscoli ben definiti.

Arrossì e distolse lo sguardo dal corpo del dormiente per affondare il panno nella bacinella ricolma d’acqua appena intiepidita; con delicatezza lo strizzò, facendo scolare l’acqua in eccesso e riprese a carezzare il petto e il viso.

Una scusa, era solo una scusa per toccarlo: cercò di non ripetere quelle parole dentro di sé, senza riuscirci. Il musicista non aveva una sola linea di febbre e comunque l’acqua non era nemmeno fredda, solo tiepida e non sarebbe comunque servita a molto.

Si vergognò di sé stesso mentre scostava qualche scura ciocca dalla fronte per far passare anche lì il tocco bagnato; tuttavia la vergogna non frenò le dita. Dolcemente Elisey passò l’indice lungo la fronte, sfiorò lo zigomo sinistro, la guancia e il mento.

Provò l’impulso di togliersi la maglia e soffocare il calore che si stava lentamente impadronendo del suo corpo.

 

 

Sentivo caldo e cercavo di dare la colpa a mia madre, che freddolosa lasciava sempre acceso il riscaldamento… tuttavia non ci riuscivo.

Ero io il colpevole del mio stato.

Io malizioso avevo voluto toccare il suo corpo scultoreo, io fin troppo audace mi ero spinto con la mente dove non ero mai arrivato, io completamente perso per un folle istante avrei voluto sapere cosa avrei provato se quelle muscolose braccia mi avessero stretto…

Stranamente fu la sua voce a spezzare quel filo di lussuria che con inesorabile lentezza mi stava avvolgendo.

La stessa voce che tanto mi colpì…

 

 

- Dove mi hai portato? -

Le sue labbra si mossero ancora prima che le palpebre scoprissero gli occhi. Elisey scostò la mano rapido, spaventato dal tono gelido e lapidario, ma ancor più intimorito dall’immobilità del suo corpo nel risveglio.

Deglutì nervosamente e torse il panno tra le mani, lasciando scivolare a terra qualche goccia d’acqua.

- Scusa… - mormorò con voce flebile - …ti ho svegliato. -

Lo sconosciuto non rispose e nemmeno aprì gli occhi; con un fluido gesto eresse il busto e questo bastò a far scattare Elisey in piedi.

Il ragazzo scostò lo sguardo dal volto dell’uomo e si guardò attorno freneticamente, in cerca di qualcosa di cui non aveva veramente bisogno.

- I… i tuoi vestiti devono essere lavati e… -

- Perché sono in ordine, se devono essere lavati? -

La voce gli sopraggiunse alle spalle tranquilla, quasi curiosa.

- Ecco è una mia vecchia abitudine. -

Elisey riuscì a voltarsi, ma i suoi occhi si scontrarono con una schiena sconosciuta, bellissima, pensò e delle gocce d'acqua caddero a terra.

 

 

Si riaddormentò senza dire un’altra parola e mi lasciò lì in piedi per un tempo che non so definire.

Lo osservai, osservai le sue palpebre calate e capii di avere paura di ciò che celavano sotto di esse… fiamme ardenti che bruciavano splendenti.

Quello sguardo vibrava ancora in me e più me ne ricordavo e più ne avevo paura…

Dormii per terra quella notte e il mattino dopo mi svegliai dopo di lui.

I suoi occhi erano grigi, grigi come il cielo di Rundarheim dopo i temporali… e di quello sguardo così assente… ne avevo ancora più paura…

 

******

 

Elisey lasciò cadere a terra il libro dallo stupore; non se lo era aspettato, anzi, non ci aveva proprio pensato. Da un solo giorno il musicista usufruiva della sua cortese ospitalità e nemmeno gli aveva sfiorato la mente il pensiero che quell'uomo potesse andarsene. Nonostante alla sua mente razionale quello sembrava un ragionamento più che logico, ai suoi occhi, beati da quella visione, era semplicemente assurdo che potesse andarsene in quel preciso istante.

Lo aveva lasciato per poco tempo, il necessario che gli era servito per prepararsi e fare colazione, ma anche il necessario che era servito a lui a prepararsi per sparire.

 

 

Sparire...

Sapevo benissimo che se lui se ne fosse andato non lo avrei mai più rivisto, ma più avrei temuto di incrociare lo sguardo per vederlo ardere come il fuoco, mai più avrei potuto udire la discordante sinfonia che, in un certo senso, mi aveva unito a lui...

Ci si può affezionare ad una persona senza conoscerla?

Penso che la mia risposta, prima che tutto ciò accadesse, fosse scontata...

 

 

- Dove vai? -

La domanda fluttuò nel'aria senza trovare la risposta compagna. L'uomo richiuse la custodia del violoncello con delicatezza, come se stesse carezzando il corpo di una donna e due rumori secchi seguirono la sua chiusura.

Nonostante il peso dello strumento, il musicista, forte dell'abitudine, lo sollevò con incredibile grazie e con altrettanta scioltezza mosse pochi passi verso la porta.

Elisey incredulo, immobile davanti all'uscio, seguì rapito ogni suo gesto, gustò con avidita i suoi muscoli tendersi sotto gli abiti non ancora lavati e con imbarazzo non riuscì a liberarsi dagli impudici pensieri che martellavano vogliosi la sua mente.

L'uomo si fermò davanti a lui, l'occhiata che gli offrì non portava con sè alcun sentimento particolare; rimase immobile, come per attendere che la via si liberasse, ma senza fretta, sembrava possedere tutto il tempo che scorreva nel mondo.

Le grigie iridi si posarono con interesse sul libro a terra " La storia del Mondo "; si chinò per raccoglierlo, ma Elisey non fece in tempo a seguire quel gesto che subito si ritrovò a dover piegare il collo indietro per riuscire a osservarlo.

Le abili dita facevano scorrere le pagine veloci, ma gli occhi sembravano riuscire ad afferrare ogni singola parola.

- No. - il ragazzo riuscì a pronunciare quell'unica sillaba e con violenza, una violenza che non voleva, tolse il libro dalle mani del musicista.

Si aspettò qualcosa che non sapeva definire: stizza? rimproveri? delusione? ira? beffa? Non lo sapeva bene neanche lui...

 

 

E' assurdo, lo so... io sono il primo a pensarlo...

Lui mi lesse nella mente, non c'erano altre spiegazioni.

Semplicemente si allontanò da me e posò a terra il violoncello, prendendovi posto accanto. Gli portai la colazione, non aveva ancora mangiato e non mi sfiorò la preoccupazione dei miei genitori. Era un ombra lui... silente e raramente visibile perfettamente.

Quando tornai a casa da scuola, oramai rassegnato alla sua scomparsa... lui era ancora lì. Nella posizione in cui lo avevo lasciato, con solo il vassoio vuoto in più accanto.

Stonava e lo tolsi immediatamente.

 

 

- Come mai non ti sei mosso? -

Gli uscì spontanea quella domanda, era impossibile, ma Elisey avrebbe affermato che alcun suo muscolo si era mosso dalla posizione in cui lo aveva lasciato.

- Avevi detto no. -

La voce calma e sicura aveva formulato una frase di senso compiuto, che tuttavia un senso non lo poteva avere.

Elisey aprì la bocca come per dire qualcosa, ma non riuscì a trovare le parole adatte per esprimere ciò che stava pensando, poi si accorse che probabilmente non stava pensando a nulla.

- Stasera... ci sono i miei, ma mangio in camera... - rimase in silenzio cercando anche un piccolo cenno che avesse potuto mostrargli una qualsiasi reazione, ma non trovò nulla - ...ti piace la cucina italiana? -

 

 

Non seppi mai se gli piacesse per davvero la cucina italiana, non seppi mai quale cucina gli piacesse. Non mostrava emozioni nemeno nel più piccolo gesto che compiva, non mostrava emozioni nelle poche parole che pronunciava. Sembrava possedere qualcosa solamente esternandola grazie alle corde del violoncello e alle note soavi che da esso sortivano.

 

******

 

- Mmmh... -

Elisey mugugnò leggendo le prime righe del capitolo dedicato alle popolazioni pre romane, coloro che abitavano la terra d'Italia prima della grande civiltà Romana e che avevano tuttavia contribuito in parte alla sua formazione.

Era assurdo, gli aveva ripetuto Joeri quella mattina, che lui studiasse lo stesso giorno della spiegazione, ma era un'abitudine che gli era tornata a favore molte volte.

Ma quella sera non riuscì a fissare nella mente i nomi delle popolazioni e la loro locazione, perciò rinunciò a girare pagina e iniziare gli approfondimenti sulle più importanti.

Richiuse il libro e appoggiò la schiena contro la sedia, un sospiro stanco uscì dalle sue labbra.

- Non ti piace la storia? -

Elisey si voltò verso lo sconosciuto. Sconosciuto che ancora non aveva un nome e che forse non l'avrebbe mai avuto, non aveva mai risposto ad alcuna domanda del ragazzo, nemmeno l più banale.

- Stasera sono un po' stanco, ma non mi dispiace come materia! - spiegò spegnendo la luce della scrivania.

Rimase in attesa sperando in una risposta qualunque, ma nessuna parola venne pronunciata dal musicista.

- Suoneresti qualcosa? -

Elisey arrossì a quella richiesta, come se avesse domandato qualcosa di personale o di irrealizzabile, ecco, di infantile. Anche questa volta non arrivò alcuna risposta, ma l'uomo fece scattare i fermi della custodia e prese il violoncello posizionandolo tra le gambe.

 

 

Mi rispose con i gesti, mi lesse nell'anima...

Quella canzone era la discordante sinfonia che seguiva le onde del mare ma senza integrarsi completamente ad esse... le note con cui stava facendo l'amore...

Chiusi gli occhi e pensai, mi illusi per qualche attimo... che le note che sfuggivano dalle sue dita, che amavano lui...

...mi illusi di fare l'amore con lui. Ma non me ne vergognai.

 

******

 

Joeri passò un pallone da basket a Elisey che alla buona ne reggeva già altri due e con la mano sinistra teneva alzata la copertura metallica del cesto.

- Joeri quanto ci vuole? -

- I palloni sono tutti mezzi sgonfi, ci vogliono quelli buoni per l'allenamento! -

- Perchè non sei così minuzioso anche quando prendi i compiti? -

- Prendi anche questo! -

Joeri posò l'ennesimo pallone sul mucchio sorretto a fatica dal braccio dell'amico.

- Jo non ce la faccio più! -

- Ma dai! Per qualche pallone! -

Joeri si alzò di scatto abbandonando la ricerca di palloni consistenti e una fitta lo colse alla mano; il dorso aveva sbattuto violentemente contro il coperchio. Elisey lasciò cadere a terra i palloni che rimbalzarono allegramente per il ripostiglio e allungò un braccio verso l'amico.

- Ti fa male? -

Joeri esaminò il braccio destro di Elisey coperto dalla maglia del pigiama che celava i bendaggi alla vista.

- E' solo un taglio e nemmeno molto profondo! E' bastato qualche punto! -

Elisey era riuscito ad evitare che la copertura cadesse addosso all'amico, rimettendoci comunque il suo braccio; la cosa più assurda era stata l'isteria di sua madre, giunta dopo suo padre per via del lavoro, a medicazione compiuta, quando il figlio era in macchina per tornare a casa dall'ospedale.

Joeri lo aveva costretto tutta la sera al telefono, sprecandosi in scuse, riverenze e insulti alla propria persona; il giorno dopo si era fiondato di prima mattina a casa sua perdendosi di nuovo nelle sue scuse più profonde e, anche se Elisey lo aveva praticamente costretto a cambiare discorso, ogni tanto usciva con qualche parola diretta alla ferita.

- Sicuro? -

- Adesso mi strappo i punti così puoi chiedermi se fa male! - lo rimproverò scherzosamente sollevando la manica della maglia.

- Il braccio. -

Elisey smise di preparare il letto, disobbedendo agli ordini tassativi del dottore inerenti alla diminuzione degli sforzi, e si voltò verso il musicista senza trovare i suoi occhi grigi; le cerulee puntate sulle bende che si intravedevano si bagnarono di una luce quasi avida.

Tutto solo per un secondo e le iridi ritornarono grigie, fredde...

Il ragazzo non godette di quella vista tanto attesa, la sua attenzione era stata immediatamente raccolta dalle bende candide leggermente sporche di rosso scarlatto.

- Ah... devo averlo sforzato troppo. - constatò allentando la presa della copertura e iniziando a sciogliere i lacci bianchi.

 

 

Mi spaventai quando le mie dita vennero sostituite dalle sue... forse mi allontanai per la sorpresa, non mi ricordo.

Però ricordo bene l'attenzione con cui sciolse le mie bende e la cura con cui esaminò il rivolo di sangue che lento mi solleticava il braccio. Avrei voluto alzare la mano sinistra e pulirlo... ma... non ci riuscii...

Lasciai che lui lo... mi limitai ad osservarlo... rapito...

 

 

Il braccio ferito di Elisey tremò appena all'umido contatto, ma null'altro si mosse. Non tentò di allontanarsi, di allontanarlo: rimase immobile di fronte a lui, le abili mani da musicante che reggevano il braccio e la bocca che lenta risaliva la sorgente di sangue.

La assaggiò con pacata avidità, senza segno lasciare sulla delicata pelle del nord di Elisey. Le labbra sfiorarono i punti di sutura e quelli probabilmente, per lui erano il punto d'arrivo.

Con maestria riavvolse le bende attorno alla ferita.

 

 

Non riferii a nessuno l'accaduto, nemmeno a Joeri. Eppure lui, il mio migliore amico, aveva capito che qualcosa non andava e ci provava sempre, con frasi di circostanza, a farmi tradire. La sua presenza era celata nella mia stanza e fuori da essa per me era come se non esistesse. Joeri non seppe mai nulla e ancora nulla sa.

Sembrava mi aspettasse, seduto per terra, con la schiena appoggiata al letto... come la prima volta che lo fermai.

Mi sentivo come un padroncino con il proprio cucciolo fedele: volevo tenerlo con me a ogni costo, non volevo vederlo andare via, non volevo sentirmo abbandonato.

Tuttavia lui non era un cucciolo, non potevo pretendere che rimanesse con me per l'eternità, eppure egoisticamente lo desideravo nel mio profondo, volevo che vedesse solo me, che pensasse solo a me.

Ma i suoi occhi erano sempre grigi e freddi... sapevo che pensava a qualcosa, qualcuno, che non ero io. La sua prigionia non sarebbe mai servita a catturarlo completamente.

Avevo paura... paura di perderlo. E mi odiavo perchè il motivo non riuscivo a comprenderlo.

Un giorno affrontai l'argomento senza accorgermene.

Pronunciai poche parole.

Subito dopo me ne pentii.

Chi lo ha detto che le scelte più semplici da compiere sono quelle giuste?

Beh, io non lo penso...

 

 

- Non sei costretto a restare. -

Elisey deglutì, cercando un punto in cui posare lo sguardo immerso nella penombra dell'abat-jour. Il leggero chiarore dato dalla lampadina creava un'inquietante gioco d'ombre che bene si adattava a lui, ancora seduto a terra, con la mente immersa in un mondo che Elisey non avrebbe mai potuto raggiungere, i capelli scuri, leggermente mossi che coprivano gli occhi freddi.

L'unica risposta fu l'ennesimo sguardo senza significato, poi si alzò e prese con sè il suo unico compagno, il violoncello della discordante sinfonia.

Elisey girò il volto, incapace di sostenere la visione della camera vuota, dei passi che lentamente e inesorabilmente avrebbero portato l'ignoto musicista lontano da lui.

Piangeva silenzioso ad ogni soffuso rumore, che forse veniva creato solo dalla sua mente, piangeva nascosto dal buio, un buio in cui sperava nessuno avesse ma potuto scorgere nulla.

- Vorrei solo... - Elisey si stupì della sua voce calma e pacata, si inquietò appena a scoprirsi poco incline a manifestare i suoi sentimenti, ma non riuscì a non esprimere il suo desiderio nel sentire quello sconosciuto così vicino all'uscita - ...che suonassi quella canzone per me... quella del giorno in cui ci siamo conosciuti... -

 

 

I suoi occhi... erano di nuovo rossi, rossi come il tramonto, come il sangue, come il fuoco. Li socchiuse avvicinandosi al mio volto, la sua mano mi impedì di guardare cosa che non fosse il suo viso inespressivo, inadatto alle iridi scarlatte che portava, ricolme di qualcosa che non compresi a pieno. Le sue labbra raccolsero le mie lacrime, fecero avvampare il mio volto, fecero battere il mio cuore...

 

 

- Suoneremo insieme la nostra discordante sinfonia... -

 

Mormorò queste parole stringendomi la mano...

... quella notte, accolsi in me ogni più piccolo segreto di quelle note, celate nel suo animo. Il mio corpo non rispondeva più a ordini razionali, la mia mente non riusciva più a formularne. Gridai, gemetti e piansi accompagnato dai suoi gesti, che mi consolavano, che mi amavano.

Poi lentamente la mia coscienza svanì, sotto un lancinante dolore che sfumò nel piacere, mostrandomi tutte le sfaccettature di entrambi.

L'ultima cosa che vidi... le sue scarlatte iridi, colme di un sentimento che non ha età, che non ha nome...

Non ebbi mai più l'occasione di vederlo... e nemmeno di sentire il soave susseguirsi di note della nostra discordante sinfonia...

 

******

 

- Papà! -

Una vocina acuta e infantile costrinse Elisey a nascondere il foglio nel cassetto della sua scrivania. Non appena il ripiano fu perfettamente sgombro, a parte una penna solitaria, una bambina sgambettò fino a lui per saltargli in braccio.

Era cresciuto Elisey, era andato avanti con gli studi fino a laurearsi e a trovare lavoro come esperto di vendite aziendali in una compagnia italiana. Per motivi di lavoro aveva passato molti anni lontano dalla Norvegia per abitare a Siena, una pittoresca città della Toscana. Lì aveva incontrato Beatrice, la proprietaria di un negozio di souvenir collocato proprio sotto l'appartamento che aveva comprato. Alzandosi Elisey presto per prendere i mezzi pubblici e Beatrice per aprire il negozio, i due si erano conosciuti e il destino aveva deciso di far unire le loro strade, quasi per caso.

Sposati da sei anni e con una figlia di quattro potevano dire di condurre una vita di tutto rispetto, con i suoi alti e bassi, ma, tutto sommato, felice. La loro figlia aveva preso il nome di Joeri; Beatrice era rimasta incantata da quel nome dopo averlo sentito solo una volta e poco le era importato che fosse un nome da maschio.

Dal canto suo Joeri ne era stato contentissimo tanto che sperava che la bambina avesse avuto parte del suo carattere. Erano bastati pochi mesi perchè Elisey potesse dare fondamento alle speranze dell'amico.

- Cosa c'è Joeri? - Elisey fece accomodare sulle proprie gambe la figlioletta e quasi subito se ne pentì, sentendo le corte gambe dondolare avanti e indietro con forza.

- Oggi il nonno e la nonna mi portano al mare a giocare! Vieni anche tu? - chiese speranzosa strappando un sorriso al padre.

- Certo! Però prima ho un impegno, vi raggiungo dopo! -

Joeri mise il broncio, che subito sparì con il dolce richiamo della madre. Elisey scosse la testa rassegnato e richiuse a chiave il cassetto della sua scrivania.

Prima di uscire esaminò attentamente la sua camera d'infanzia... con tristezza malinconica si accorse che nulla era cambiato, tranne per il vuoto dentro di essa.

 

 

Elisey camminò sulla spiaggia a fianco delle onde, rievocando la sua adolescenza; evitava le onde che osavano troppo e si riavvicinava non appena le più tranquille scorrevano di nuovo.

Avanti e indietro... per l'eternità... in una perfetta armonia di equilibri.

Si interrogo su quella mattina, mentre il sole calava lento e macchiava di rosso scarlatto il mare.

Il suo rosso.

Non aveva dormito quella notte, non aveva goduto a pieno delle attenzioni di sua moglie, non aveva ascoltato le sue preoccupazioni, i suoi affanni.

Si era perso nel passato e dove c'era una stanza vuota vedeva lui, dove c'era silenzio udiva le note di quella meravigliosa melodia... un passato che per anni non aveva ricordato, come se mai fosse esistito, tornò in un solo attimo a tormentarlo.

Prese un foglio e si sfogò silente, accompagnato solo dallo scricchiolare della penna rossa, rossa come i suoi occhi.

Stava meglio, ma senza certezza, con dubbi mai risolti, con domande mai fatte, con rimorsi ad attanargliargli l'anima.

E la udiva... nella sua mente, nel suo cuore, nella sua anima...

Come ora dolce giungeva al suo orecchio. E non distinse sogno da realtà. Rimase ad ascoltare.

La nostra discordante sinfonia.

Iniziò a correre, seguì un sogno, un sogno che risuonava in lui di melodiose note volte a riempirgli l'anima.

Corse, corse... e una voce lo riportò alla realtà.

- Papà! Sei arrivato! -

La sua realtà, quella che gli andava bene, ma che non desiderava, gli stava correndo incontro. Le labbra meccanicamente si distesero in un sorriso, mentre attendeva a braccia aperte sua figlia Joeri, accompagnata dallo sguardo da Beatrice.

E mentre i piccoli piedi calpestavano la fredda sabbia della Norvegia, le note e il ricordo si persero nel vento che gli scompigliava i capelli, soffocata da una realtà necessaria, non voluta.

E il sogno avverato della notte di perdizione rimase impigliato nella discordante sinfonia che solo loro sarebbe stata e mai di nessun altro...

Il giorno dopo Joeri espresse il desiderio di disegnare il mare di Rundarheim. Elisey trovò un unico foglio nel cassetto della sua scrivania... bianco...

   
 
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