2.
Buio nella stanza
Nota: ho ereditato la spigolosa passione
dei salti temporali da Stephen King.
Lui li usa spesso, talvolta anche partendo da un anno e
tornando indietro di trenta; io non
ho intenzione di essere così azzardata, però spesso capiterà,
nella storia, che salti
qualche passaggio. Ci saranno degli indizi – come per
esempio quello che succede tra
Harley e Mr. J quando lei torna al loro ‘nido d’amore’ – ma
solo vaghi. Sono momenti sui
quali non mi piace soffermarmi e comunque
non danno un peso alla storia. Ho talmente
tante cose in testa, riguardanti questa
fan fic, che se dovessi stare a descrivere ogni momento,
ogni parola che quei due piccioncini si
dicono – anche gli altri personaggi non faranno
eccezione – penso che non avrei altro tempo
per me se non quello per dormire.
Detto questo, se vorrete delle delucidazioni sui momenti,
diciamo, morti, che non descriverò
appieno, potete sempre chiedere… magari mi
inventerò qualcosa al momento :P
Rime
nere –insincere-
aprirono le porte ai condannati
alle fuggenti a frotte. La terapia
fu d’urto, la pagina si svuotò
e si svuotò del nero anche la stanza.
[Amnesia del movimento delle nuvole – Maria Attanasio ]
Questa volta c’è andata molto vicina.
Molto. Si è resa conto del suo stato d’animo solo una volta rientrata dalla
porta principale, dopo aver percorso una rampa di scale che improvvisamente le era sembrata infinita. Ogni gradino ha cominciato a pesarle
e l’intontimento, la sensazione di quieto benessere che l’incontro con Victor
le aveva regalato fino a poco prima, è svanita del
tutto. Avrebbe dovuto pensarci prima, alla sua reazione ma, come già detto, Lui
le era completamente scivolato via dalla mente: cosa che adesso reputa
assolutamente impossibile ripetere.
Come hai fatto ad essere tanto stupida, Harley Quinn?
Si può, cara vocina. Quando si prova un
sentimento tanto grande e tanto ossessivo, si può tutto. Anche perdere la trebisonda, per un paio d’ore. « Non
trovi che sia.. cioè, è stupendo, vero Harley? » E’ un mostro, quello che le parla dall’altro
lato della scrivania di plastica bianca. Assomiglia a quella che si usa nelle
classi del liceo, ma ha un non so che di ospedaliero.
Di malato. Anche l’odore, emanato dal rivestimento,
ricorda un tipo comune di disinfettante. Ma il biondo arlecchino annuisce,
allunga il collo per osservare il piano ideato dal suo pasticcino,
quell’insieme di ghirigori per cui lei avrebbe dovuto
complimentarsi già quattro ore prima « E’ perfetto, Puddin’! Il
commissario ci cascherà come un allocco! » scoppia a ridere,
improvvisamente, mentre lo dice. Lui la osserva soddisfatto, finalmente ha
quello che vuole. La sua accondiscendenza, la sua
approvazione.
Chiaramente non andrà mai a
dirglielo in faccia – come non si sogna di rivelarle i suoi sentimenti per lei,
se non mostrandole ogni tanto un gesto di affezionata
ossessività – altrimenti sarebbe finito. Fatto e finito, come tutti gli altri.
Uguale alle stesse persone che vorrebbe tanto
eliminare dalla faccia della terra. « Lo farà. Lo farà, s-sicuramente!
» Mr. J fa una piccola pausa, breve abbastanza da non darle tempo di
parlare, ma abbastanza lunga da lasciargli sfoderare un sorriso a cinquemila
denti – non esattamente simpatico o piacevole da guardare, forse perché
ampliato all’impossibile dalle cicatrici, profonde e rosee. Niente a che vedere
con quella minuscola che si è procurata lei sul gomito cadendo insieme ad un bicchiere di vetro, quando aveva cinque anni. Quella è
bianchiccia e quasi non si vede. Tutta un’altra storia -.
« Lo vedo che ti fa male Harley… lo vedo eccome,
perché fingi con me? » e Harley
smette improvvisamente di ridere, come se lui le avesse tirato un altro pugno.
Solleva la mano sinistra, andando a sfiorarsi il labbro inferiore con le dita.
E’ rotto, in un solo punto calcolato, quello dove la nocca sinistra del suo Mr.
J l’ha colpita. Nemmeno tanto forte a dire la verità,
ma l’ha decisamente presa alla sprovvista. Ma non se l’è
affatto presa, come succede sempre. E’ una psicologa, dopotutto, e sa
benissimo che lui non ha altro modo di sfogare le sue emozioni, se non
nell’unico che conosce, la violenza. Certo, ci sono momenti – rari e
ineguagliabili – in cui si comporta con lei in modo quasi tenero. Quando le concede un contatto fisico, ad esempio, quando le
accarezza una guancia come sta facendo in questo momento. Si è sporto
verso di lei, sfiorandole il viso con le dita e le tira i capelli biondi con
l’altra mano. Li ha liberati dalla crocchia e ora le stanno morbidi sulle
spalle, troppo belli perché si decida a tagliarli, sebbene comincino a darle
fastidio, sotto il costume. « Non fingo mai con te, J… » non può
dirgli altro che la verità, anche quando fa male. Non adesso. Si è già donata a
lui anima e corpo, in ogni modo possibile, non sente più il bisogno impellente
di mantenere alto l’orgoglio: ma non è forse per questo che si è rivolta a
Victor, una volta vista la pubblicità?
Ci pensa bene, per un istante,
senza trovare una vera ragione; perché è andata da quell’uomo? Adesso come adesso non se lo ricorda nemmeno. Ha in mente
solo la sua voce, che dopo un attimo svanisce. Perché
il suo unico vero amore è lì davanti a lei, giusto? Piega la
schiena in avanti, imitando il suo movimento, avvicinandosi al suo viso
deturpato eppure incredibilmente bello. Dev’essere
stato un ragazzo inseguito da molte, prima di diventare quello che è ora.
Meglio così Zucchino, è tutto per te. Ah!
Brivido…
Non mi risponde: sa benissimo che
è così. Sa benissimo che non fingerebbe, nemmeno se fosse obbligata.. o no? Si limita a guardarla mentre
si avvicina, rimanendo in bilico, sospeso sopra la scrivania, bordo che gli
preme contro lo stomaco, ma va bene così. Non allunga una mano per
piazzargliela sul mento e respingerla all’indietro, per oggi la sua lezione è
durata abbastanza. Può permetterle di dargli un bacio, se è questo che vuole
fare. Uno, piccolo, e che non si azzardi nemmeno ad andare
oltre.
Ma sei un uomo J, un.. un
uomo. Lo dici sempre. Un uomo.
Lo pensa
e lo sa. Certo che è un uomo… ma questo non lo rende
uguale agli altri.
Guarda sempre da quella finestra.
Non deve nemmeno allungare il collo per avere Gotham riflessa negli occhi,
mentre il sole va giù e il cielo si fa nero. Strano, nei suoi ricordi
d’infanzia il momento del tramonto è sempre stato il suo preferito: rosa,
rosso, arancione e blu che si mescolano insieme, mentre il disco dorato
svanisce e al suo posto arriva la luna. Arrivano le stelle.
« Scommetto che sta pensando alle stelle,
signore… » Alfred gli porge un bicchiere d’acqua, che Bruce
gli ha chiesto soltanto cinque secondi prima. Non dubita mai della sua
efficienza, ma di sicuro ogni tanto qualche dubbio sulle doti straordinarie del
suo fido maggiordomo – come se fosse solo quello… - gli viene. Sorride, prende
il bicchiere, lo porta alle labbra.
L’acqua è fredda e ha un
retrogusto dolciastro, buono. Come se Alfred fosse andato a prenderla
direttamente dalla sorgente, dove è così limpida che ti sembra di avere la
bocca tutta tagliata, dal gelo « Io non scommetterò mai con te Alfred…
è come giocare una partita già persa in partenza.. » scherza, ovviamente, un giochetto che
loro due, dopo anni di conoscenza reciproca, possono permettersi. Una delle poche cose buone da molto tempo a questa parte: Harvey
Dent. Rachel. Joker. Non si è ancora ripreso da loro. La sua mente,
nonostante l’anno passato, non è ancora pronta per ricominciare tutto da capo;
Barman può farlo. Barman DEVE farlo. Ma lui non è obbligato..
è solo un miliardario eccentrico che ha perso la donna amata, un uomo che avrebbe
avuto volentieri accanto come migliore amico, entrambi per mano di un folle. Un
folle evaso ormai da sei mesi, bisognerebbe aggiungere.
« In quale veste dovrei presentarmi alla cerimonia secondo te, Alfred? » sogghigna
all’idea, con le labbra umide, ma non sembra per niente divertito. Più
malinconico. Andrà come Bruce Wayne, ovviamente, ma sarebbe
bello potersi infilare il suo costume, indossare la maschera che i cittadini di
Gotham ora temono quasi al pari dei gangster che cattura, la notte, distruggere
i sogni di tutti gli invitati. Dire loro nessuno di voi soffre come soffro io. Per lei. Per lui. Voi non potete capire. Ma non lo farà e negli occhi del suo maggiordomo tutto fare
legge la stessa identica affermazione, sebbene non apra bocca, prima di
ritirarsi con il bicchiere vuoto.
La cerimonia per l’anniversario
della morte del procuratore distrettuale Harvey Dent si terrà fra una
settimana. Gordon riceverà un premio speciale alla carriera e lui verserà
qualche altro milioncino per la campagna umanitaria che porta il nome di
Rachel. Se tutto andrà secondo i piani, Bruce dovrà sorbirsi solo una serata di
chiacchiere mondane, ma Barman quella notte stessa
sarà costretto a rivivere l’intera storia da capo. Sposta nuovamente lo sguardo
verso la finestra, oltre la quale Gotham sembra essere stata risucchiata da un
buco nero, una coltre che nemmeno le mille luci al neon possono trafiggere. Tranne una naturalmente.
Jim Gordon lo sta chiamando.
Non crede di farcela. Questo è un uomo che ha visto ormai di
tutto. Che sta mantenendo un segreto più grande di lui.
Eppure ora è indeciso, a causa di una cerimonia
mondana che lo spaventa più di qualunque altra cosa. Se
sapesse che anche il suo unico vero alleato, il pipistrello senza nome, ha di
questi problemi, probabilmente di calmerebbe. Troverebbe la forza necessaria
per presentarsi a testa alta di fronte ad una folla di bigotti – pochi si salvano a Gotham City, questa è la verità – e ricordare
Harvey Dent. Troverebbe la forza per ripetere quello che ha già detto un
miliardo di volte, in un anno preciso: che Harvey ha salvato la città. Che non era un mostro, uno sfregiato, ma l’unica possibilità di un
mondo in rovina. E loro gli avrebbero creduto,
come credevano nel procuratore distrettuale.
Lo vorresti
ancora vivo, non è così?
Sua moglie gliel’ha chiesto, ma Jim sapeva
benissimo – e lo sa ancora adesso – che sarebbe stato meglio non risponderle,
perché lei non voleva una risposta. Avrebbe detto Sì. Anche
se Harvey aveva rapito lei e i suoi figli e aveva minacciato di ucciderli: Jim
Gordon, Commissario, avrebbe detto sì, e sì fino alla fine dei suoi giorni.
Un rumore e si volta, la sua mano va automaticamente a spegnere il riflettore.
E’ l’unico modo che ha di contattarlo, anche se qualche bravo cittadino ha
indetto una petizione per far distruggere quell’unico lampo di speranza. « Commissario
Gordon? » E’ la sua voce cavernosa che risveglia il nostro Jim, mentre si sistema
meglio gli occhiali sul naso. Annuisce alle parole del Pipistrello, facendo un
passo verso di lui. Le mani che improvvisamente finiscono nei
capelli ormai grigi, la disperazione che gli colma gli occhi chiari.
Tutto quello che non può mostrare ai suoi colleghi, ai suoi uomini, a sua moglie,
ai suoi figli, viene fuori di fronte a quello che
tutti continuano ancora oggi a definire un mostro. Incredibilmente sembra che
Gotham abbia più paura di Barman che del Joker a piede
libero (questa è una considerazione per cui i cittadini avranno a che pentirsi,
chiaramente). Il cavaliere, quello che non sarà mai un eroe
se non per pochi intimi, allunga un braccio sostenendolo. La sua presa è
salda, eppure Gordon avverte chiaramente la tensione nei suoi muscoli.
Sì, il giorno si sta avvicinando
anche per lui e il ricordo fa male più di qualunque altra cosa.
I ricordi sono la cosa più
importante che un essere umano possieda ma talvolta
possono ucciderti.
« Ci sarò… fra una settimana, all’anniversario.
Da qualche parte, ma ci sarò. Le sa come trovarmi, Gordon » Certo, Jim ne è sicuro. Barman non mancherebbe alla commemorazione
di Harvey per niente al mondo, nemmeno con il rischio
di essere preso. E toccherebbe al commissario stesso l’onere
di catturarlo, perché così è stato deciso. Perché
scappa papà? Perché lui può sopportarlo. « Festeggiare
un anno dalla morte di Harvey mi sembra solo pura ipocrisia…
e l’idea di dover catturare il Joker
entro quella data, mi mette i brividi » glielo
dice e il Pipistrello annuisce. Mette i brividi anche a lui. E’ quasi certo che
quel pagliaccio mascherato non perderà l’occasione per uno scherzetto proprio nel
giorno fatidico. Ha perso la battaglia, ma è andato vicinissimo a vincere la
guerra e forse adesso vorrà recuperare. Anzi, è sicuro.
Credevi che mi sarei giocato la battaglia per la
salvezza di Gotham in una scazzottata con te? Figlio. Di. Puttana.
Fa fatica ad
addormentarsi. Il letto non è un vero letto, c’è solo
il materasso, appoggiato alle assi di legno. Mr. J non è stato troppo a
gingillarsi per il mobilio. Harley è da sola, come
accade spesso: è difficile che lui la raggiunga prima di essere assolutamente
certo che la sua bionda spalla stia dormendo. Ancora non ha capito se è perché teme
in qualche modo che la situazione gli sfugga di mano o solo perché gode nel
lasciarla crogiolare nel suo brodo. Probabilmente la seconda. Forse entrambe. L’autostima, Katherina, è solo una
questione di quello che vogliamo fare e di quello che non vogliamo fare. Non
che Possiamo o Non Possiamo, ricordatelo. Ecco, perché non dorme. E’ da almeno mezz’ora che ripensa
alle parole di Victor. Chiude gli occhi, immaginandoselo, candido e distaccato,
mentre le spiega cosa dovrebbe fare. Come dovrebbe imparare a concentrarsi sui
suoi obbiettivi, invece che su quelli dell’uomo che ama. Ma
non vanno forse nella stessa direzione, per quanto la riguarda? Non vogliono le
stesse cose, lei e il suo Puddin’?
Si tira la coperta fin sopra la
testa, nascondendo una massa di capelli biondi sparsa sul cuscino. Ha indosso
il suo costume, invece che un normale pigiama, forse perché rimanere calata nei
panni dell’Arlecchino la fa sembrare più uguale a Lui. Lo sente quasi più
vicino.
« Basterebbe così poco, Puddin’… »
mormora,
scivolando dentro qualcosa che non è esattamente sonno. Le palpebre le si fanno pesanti e la testa gira. Le stesse sensazioni
provate nell’ufficio di Victor Krust, pari pari. Chiude gli occhi,
nascondendo l’azzurro che riesce a rimanere cristallino anche in assenza di
luci, scintillante come lo sguardo di una ragazzina appena adolescente. Non è questo, infondo,
Sogna.
Tutto questo mentre il Mostro, l’uomo
che non fa piani – o almeno così afferma mentre ne sta
già facendo uno -, l’agente del Caos, la guarda. Appoggiato allo stipite della
porta, silenzioso come un gatto. Si sente solo il rumore provocato dalla sua
bocca, quando la schiude per umettare le labbra. Sono nuovamente dipinte di
rosso e i suoi occhi verde scuro – come pozzi pieni di melma paludosa (oh sì,
ma così belli ) – circondati di nero. Joker guarda la
sua anima gemella senza espressione sul volto, se non quel sorriso artefatto
creato dalle cicatrici.
« Oh sì… oh sì Zucchino, basterebbe così poco… ma prima o poi, prima o poi capirai.. di sicuro.. »
Ridacchia, a bassa voce, anche se
sa benissimo che lei non si sveglierà. Ha imparato a conoscere ogni suo respiro
e quello del sonno profondo ormai è arrivato. Nemmeno
se la scuotesse forte prendendola per le spalle, aprirebbe gli occhi. Fa un
passo indietro, sparendo nel buio del corridoio, non prima di essersi posato le
dita su quel rosso grondante, soffiandole un bacio.
JeanGenie: il grosso te l’ho detto
commentando la tua splendida storia. Quello che ti dico qui, invece, è che ci
speravo nel fatto che tu fossi la prima a commentarmi. Ci speravo proprio.
Insomma, è come scrivere un libro in stile ‘Miglio Verde’ e vederselo
commentare da Stephen King
in persona (so che sembro esagerata a volte, ma ti prego: dammi corda). Quindi
puoi immaginare come adesso io abbia un motivo in più per seguire i prossimi
capitoli di Amour Four,
attendendoli con un’ansia inaudita: 1) non sto più nella pelle. Io devo assolutamente leggere della storia d’amore tra quei due, è
il mio pane quotidiano. E tu racconti i loro sentimenti in un modo
straordinario, come fossero due persone reali e non
semplici creazioni da fumetto (oddio ho detto semplici. No no,
GENIALI creazioni da fumetto). 2) perché adesso so che quando avrai finito la
tua fic, leggerai la mia. E
non vedo l’ora di sentire la tua opinione su quello che scrivo. Per me è molto
importante, questo confronto tra generi simili U_U
HarleyForever: ma ci mancherebbe che ti
chiedessi di scrivere solo ‘bella, mi è piaciuta’. Adoro leggere i commenti lunghi, specie quando mi aiutano a conoscere i gusti delle persone
che leggono una mia storia. Solo così posso andare avanti con la coscienza pulita,
sapendo di rispettare non solo i miei desideri, per puro egoismo, ma anche
quelli degli altri. Non posso certo pensare di essere
l’unica fan di Joker, giusto? Né tantomeno
della coppietta dolciosa che forma insieme ad Harley. E, tranquilla, essere
persa di LUI non è una cosa così strana.. ho sempre
pensato che noi fan ci siamo giocate così tanto la testa solo perché SAPPIAMO
con certezza che Joker non esiste. Insomma, a
pensarci bene, nella realtà, non so se riuscirei ad innamorarmi di un pluriomicida.. che non ha
risparmiato, nella sua lunga carriera, nemmeno dei bambini-boyscout. Questo perché difficilmente nella vita di tutti i giorni vediamo
mescolarsi tanto perfettamente malvagità, follia ma anche incredibile genio.
E cultura. E filosofia. E fascino. Tutte cose che Mr. J ha
e che possono esistere solo nel fumetto/cartone animato/film. Perciò
godiamocelo, dico io, finchè la nostra fantasia ce lo permette…