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Autore: Lou Asakura    05/02/2009    5 recensioni
~Ichiruki, Soul Society Arc
1. Kurosaki Ichigo [ I’ll definitely find you, with this hand ]
L’avrebbe trovata, ne era certo, anche solo per potersi beare della vista dei suoi occhi cerulei che, solo guardandolo, gl’infondevano tutta la sicurezza di cui avesse bisogno. E l’avrebbe finalmente ripagata di quel debito che, giorno dopo giorno, s’ingrandiva pesando sul proprio cuore come un macigno opprimente.
2. Kuchiki Rukia [ What a narrow sky. Where are you now, Ichigo? ]
Un’altra scossa di reiatsu, più forte delle altre, la fece rabbrividire. Perché, stavolta, non aveva dubbi su chi appartenesse.
Rannicchiata in un angolo, le dita esili intrecciate da loro e i capelli corvini a lambirle le spalle fasciate di stoffa bianca, Rukia chiuse gli occhi e, tacitamente, pregò.
3. Ichigo e Rukia [ It’s only a dream, the one I’m living? ]
Lui e Rukia erano insieme. Tutt’il resto del mondo, la fuori, poteva anche andare a morire. [...]
Si guardarono negli occhi, sorpresi e un po’ imbarazzati, mentre, istintivamente, le dita si cercavano oltre la superficie fredda che li separava. E rimasero li, vicini eppure lontani, insieme eppure divisi, Kurosaki Ichigo e la prigioniera della torre bianca.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Kurosaki Ichigo and the prisoner of the white tower

 

Kurosaki Ichigo and the prisoner of the white tower

 

 

 

 

 

 

 

1. Kurosaki Ichigo [ I’ll definitely find you, with this hand ]

Vagamente frastornato, Ichigo socchiuse le palpebre appiccicaticce e appesantite dal sonno e si sforzò di mettere a fuoco il panorama deserto delle fogne nelle quali lui e i suoi compagni –Ganju e Hantarou-  dimoravano ormai da giorni.

Tentò di mettersi a sedere; al minimo movimento, tuttavia, una fitta lancinante in pieno petto lo costrinse a rinunciare all’impresa. Dio, imprecò sottovoce, maledizione… Si affrettò ad esaminare la ferita, bendata alla meno peggio, che aveva ripreso a sanguinare copiosamente. Merda, imprecò ancora.

Alla sua destra, il minuscolo Hanatarou era ancora immerso nel sonno e Ganju, la cui figura enorme era nettamente in contrasto col minuto quarto seggio, russava sonoramente.

Ichigo pensò che non fosse il caso di svegliare Hanatarou. Era certo che lui avesse nuovamente trascorso l’intera notte ad occuparsi delle loro ferite, finendo poi per crollare addormentato senza neppure accorgersene.

Grande, sbuffò il sostituto, e io sono riuscito a distruggere il suo lavoro in due secondi netti.

Dopo aver preso mentalmente nota di fare qualcosa per la propria impazienza, Ichigo strinse di più le bende arrossate che gli circondavano il torace, nel tentativo di arginare il flusso di sangue. Funzionò.

Riuscì addirittura –dopo non pochi imbarazzanti tentativi- a sollevarsi sulle proprie gambe e muovere qualche passo incerto lungo il fetido corridoio che li ospitava, senza che l’ormai familiare senso di nausea misto a vertigini lo costringesse a ritornare disteso.

Dopo pochi minuti di escursione silenziosa, tuttavia, la testa prese a pulsargli innaturalmente e rammentò solo in quell’istante la presenza dell’ennesima benda, che gli stringeva la fronte e s’annodava dietro la nuca. Con un’altra imprecazione, tornò a sedere, rassegnato.

Il capo abbandonata contro il muro, ripercorse con la mente l’ultimo combattimento, quello nel quale s’era procurato le ferite che tanto lo irritavano.

Chissà come sta Renji. Si stupì non poco di quel pensiero, formulato inconsapevolmente; quasi come gli stesse a cuore la sorte di colui che l’aveva ridotto in quello stato pietoso. Ma dopotutto, si costrinse ad ammettere, anche lui voleva solo proteggerla. Nient’altro che proteggerla.

[Proprio come lui]

Strinse i pugni fino a conficcare le unghie in profondità nella carne.

Dio se lo sentiva, in quel momento, il senso di colpa soffocante che gli opprimeva il petto e bruciava l’animo fin nei suoi più reconditi anfratti. Dio, se non gli erano tornate in mente proprio in quell’istante le parole dette, urlate da Renji, che era colpa sua, solo colpa sua, se Rukia fosse morta.

« Lo so benissimo, » sussurrò tra i denti, reprimendo a stento la rabbia bruciante che gli montava dentro.

[Rabbia verso se stesso, rabbia verso coloro che l’ostacolavano, rabbia verso la propria umiliante debolezza].

E immaginò Rukia sorridergli. Rukia dargli dello stolto. Rukia dormire nel proprio armadio. Rukia fingersi una ragazzina beneducata mentre, a scuola, si prodigava in inchini e moine.

Sarebbe morta. A causa sua.

Mai prima d’ora il significato di quelle semplici parole gli era stato tanto chiaro. Gli rimbalzarono nella testa, come un silenzioso coro di urla disperate, fino a penetrare nel profondo del proprio animo. E, allora, capì che non l’avrebbe permesso.

L’avrebbe trovata, ne era certo, anche solo per potersi beare della vista dei suoi occhi cerulei che, solo guardandolo, gl’infondevano tutta la sicurezza di cui avesse bisogno.

E l’avrebbe finalmente ripagata di quel debito che, giorno dopo giorno, s’ingrandiva pesando sul proprio cuore come un macigno opprimente.

[Ma lo conosceva, Ichigo,eccome se lo conosceva, il vero motivo per cui volesse salvarla].

 

I also wish only to protect you

 

 

 

 

2. Kuchiki Rukia [ What a narrow sky. Where are you now, Ichigo? ]

Rukia reclinò leggermente il capo di lato, le mani giunte strette in petto. Tese l’orecchio, nel tentativo di udire un qualche rumore, ma l’unico suono che le arrivò fu quello attutito delle voci agitate provenienti dall’esterno, probabilmente ai piedi della torre.

Si chiese cosa stesse accadendo, la fuori, perché tutti fossero tanto inquieti e, soprattutto, si sforzò d’identificare i proprietari delle scosse di reiatsu che, di tanto in tanto, riuscivano a raggiungerla all’interno della sua prigione immacolata.

Oltre la minuscola strettoia rettangolare, Rukia poteva vedere il cielo celeste estendersi a perdita d’occhio e si trovò a rimpiangere, seppure per un solo, minuscolo istante, coloro che in quel momento stavano godendosi la calda giornata estiva, magari all’ombra refrigerante di un albero o in compagnia degli amici più cari.

I compagni di scuola e le liete giornate trascorse sulla terra, ormai, parevano lontane secoli luce. Rukia si scoprì a chiedersi come sarebbe stato, per lei, trascorrere le vacanze estive in loro compagnia e magari, perché no, partecipare a quel festival di fuochi d’artificio a cui Inoue l’aveva invitata appena il mese precedente.

A quei tempi, mai avrebbe immaginato di dover morire a causa della propria negligenza. A causa di quei sentimenti umani cosi tiepidi, che tanto l’avevano riscaldata durante il periodo trascorso lontana dalla Soul Society

Si chiese, in quell’istante, dove fossero i suoi amici umani. Se li immaginò tutti insieme, magari in spiaggia, riuniti attorno ad un fuoco caldo a suonare la chitarra, come in quei vecchi telefilm americani che una volta aveva guardato a casa di Ichigo

Un’improvvisa fitta al petto la fece sobbalzare, più dolorosa di qualunque ferita mortale.

Ichigo.

Le parole pronunciate da Renji, improvvisamente, le rimbombarono vivide nella testa. E’ un rapporto non confermato. Cinque ryoka. Uno ha una spada alta quanto lui e i capelli arancioni.

Un’altra fitta, più acuta della precedente.

Si chiese se avesse dovuto essere felice della presenza del ragazzo alla Soul Society [lui era li, era vivo]. Quella era stata la prima impressione, tuttavia ora aveva paura, dio, se aveva paura… non l’aveva capito, quello stolto, possibile che non l’avesse capito, che lei voleva solo proteggerlo?

Che se n’era andata, col cuore distrutto, frantumato in mille pezzi, che l’aveva lasciato a morire sull’asfalto bagnato dalla pioggia, unicamente per assicurarsi che ci fosse una, un’unica possibilità che sopravvivesse?

Adesso, quell’unica possibilità, quella sola speranza, era svanita. Lui sarebbe morto… per un motivo tanto futile e irragionevole, poi. Per lei. Valeva davvero cosi tanto, quella sua vita destinata a spegnersi di li a poco, cosi tanto perché lui abbandonasse il suo focolare sicuro a Karakura per inoltrarsi in territorio ostile? Quell’idea, per un attimo fugace, la rese irrazionalmente felice.

Lui voleva salvarla. Lui la rivoleva indietro. Lui era li per lei. Lui stava combattendo per lei. In un slancio momentaneo d’entusiasmo, pensò addirittura che lei fosse importante per lui quanto lui l’era per lei.

Quella gioia irrazionale, tuttavia, si spense subito dopo, soppiantata da una paura immane. Perché, nonostante la sensazione di sicurezza che l’aveva avvolta alla notizia della presenza di Ichigo, sapeva che lui non doveva essere li. Che non avrebbe dovuto seguirla.

Perché Dio non era rimasto a casa, al sicuro, perché non aveva tentato di proteggere la vita che era faticosamente riuscito a tenersi stretto?

Gli aveva urlato che non l’avrebbe perdonato se mai l’avesse seguita, l’aveva insultato, eppure… eppure, Dio, lui adesso era li, era tanto vicino, forse l’avrebbe rivisto ancora una volta prima di morire, o forse addirittura lui l’avrebbe salvata e portata via con se, oppure…

Un’altra scossa di reiatsu, più forte delle altre, la fece rabbrividire.

Perché, stavolta, non aveva dubbi su chi appartenesse.

Rannicchiata in un angolo, le dita esili intrecciate da loro e i capelli corvini a lambirle le spalle fasciate di stoffa bianca, Rukia chiuse gli occhi e, tacitamente, pregò.

I only pray you’ll be fine

 

 

 

3. Ichigo e Rukia [ It’s only a dream, the one I’m living? ]

L’intensa luce giallastra pizzicò gli occhi chiusi di Ichigo, che, di riflesso, strinse le palpebre. Infastidito, si costrinse a socchiudere gli occhi meditando già su cosa fare a Ganju quando l’avesse beccato a tirargli scherzi idioti del genere; tuttavia, quando mise a fuoco l’ambiente nel quale si trovava, non poté fare a meno di restare spiazzato per qualche attimo, chiedendosi dove fossero finite le fogne lugubri e sporche nelle quali pensava di essersi assopito.

Dinanzi a lui, un lucido pavimento grigiastro si estendeva per metri e metri, circondato da altissime mura bianche che parevano arrivare fino al cielo. L’unica, flebile luce proveniva dalla minuscola strettoia rettangolare posta in cima a quella che comprese essere una torre.

Turbato, Ichigo fece un rapido giro su se stesso e nuovamente rimase di sasso: alle sue spalle, pochi metri di distanza, Ganju ed Hanatarou dormivano placidamente proprio dove li aveva lasciati, avvolti dal buio del condotto fognario. Constatò con una certa incredulità che il lurido pavimento delle fogne s’interrompeva improvvisamente, come in corrispondenza di una linea invisibile, lasciando il posto alla distesa biancastra vista in precedenza.

Ancor più incredulo, Ichigo spinse lo sguardo fino al fondo della torre, dove era certo d’aver visto qualcosa muoversi: una macchia biancastra, vagamente indistinta, sbucata improvvisamente fuori dalle tenebre che l’avvolgevano.

Come spinto da un’ urgenza improvvisa, lo shinigami le si avvicinò, a passi lenti, le dita che istintivamente si tesero in avanti nel tentativo di raggiungerla. Quando finalmente la vide, gli mancò il fiato: e, improvvisamente, capì di star sognando.

Rukia.

Rukia, la shinigami che tanto aveva bramato salvare, e che ora era davanti a se, integra, viva, vera.

Lei lo guardò, gli occhi azzurri sbarrati e vagamente lucidi, i capelli scuri a incorniciarle il viso perlaceo, più pallido ed emaciato di quanto Ichigo lo ricordasse, ma ugualmente bellissimo. Le labbra rosee e sottili, silenziosamente, articolarono il suo nome.

« I…chi…go », sussurrò, e il biondo capì che fosse incredula quanto lui. Probabilmente, si disse, dev’essere un sogno. Nient’altro che un sogno. Eppure, poteva mai credere che la ragazza vestita di bianco che avanzava a piedi nudi verso di lui fosse nient’altro che un’illusione?

Rimase a fissarla, incerto su cosa fare, mentre le proprie dita, disobbedienti ad ogni suo tentativo di ritirarle, continuavano a sfiorare l’aria in direzione di Rukia, come ad esprimere il desiderio di raggiungerla. D’altronde, lei fece lo stesso. Allungò le dita sottili verso quelle del ragazzo, e lui la imitò.

Pochi centimetri prima che potessero sfiorarsi, tuttavia, in corrispondenza della linea invisibile le loro mani tese incontrarono un ostacolo, una parete di vetro, cosicché non poterono toccarsi. Rimasero a fissarsi a vicenda, gli occhi leggermente lucidi e le labbra strette, i palmi delle mani che lambivano lo scoglio invisibile che li separava, cosi vicini eppure cosi irraggiungibili.

Prima di potersi trattenere, Ichigo mormorò il nome della ragazza. « Rukia… ».

Lei sussultò, poi gli sorrise, lievemente, gli occhi socchiusi colmi di tenerezza. « Cosa ci fai qui? », chiese in un sussurro, ma era certa di non volerlo sapere. Bastava che lui restasse.

« Non ne ho idea, » rispose l’altro,  « Dormivo e mi sono ritrovato qui all’improvviso. Credo che… che sia un sogno ».

Rukia annuì. « Già, lo pensavo anch’io. Ma chi è che sta sognando? Io oppure tu? ».

« Non chiederlo a me! », sbuffò Ichigo, ma la sua espressione si addolcì immediatamente, i lineamenti più distesi di come Rukia li avesse mai visti. E, improvvisamente, capì che tutta la rabbia che aveva provato verso di lui alla notizia della sua presenza alla Soul Society era svanita, cosi, in un soffio. Ora, più di ogni altra cosa, desiderava unicamente stargli vicino.

D’altra parte, Ichigo lo sapeva, Dio se lo sapeva, che lei l’avrebbe preso a calci ed insultato, se solo non si fosse trattato un maledettissimo sogno… eppure, importava qualcosa?

Lui e Rukia erano insieme. Tutt’il resto del mondo, la fuori, poteva anche andare a morire.

 

« Non avresti dovuto, » sussurrò Rukia, dopo un po’, e Ichigo capì immediatamente a cosa si riferisse. « Non avresti dovuto. Eri salvo. Avresti potuto sopravvivere. Perché hai…? ». Aveva cominciato a singhiozzare.

Con un sospiro, Ichigo si lasciò cadere sul pavimento umido, la schiena premuta contro la colonna invisibile che li separava. Rukia, gli occhi lucidi, fece lo stesso.

« Sai benissimo perché l’ho fatto, » esordì il sostituto, mentre, lo sguardo fisso davanti a se, vegliava sul sonno silenzioso dei propri compagni. « Credevi che ti avrei lasciata andare? Credevi che non avrei fatto nulla per impedirlo? ».

Rukia scosse il capo, le dita che involontariamente andarono a sfiorare la parete in corrispondenza di quelle dell’amico. « Ammetto di averci sperato ».

Ichigo rise sottovoce. « Sei più illusa di quanto immaginassi ».

« Già, » confermò lei, con un mezzo sorriso.

Ripiombarono nuovamente nel silenzio, impegnati unicamente a godersi la reciproca compagnia, pregando, scongiurando intanto che nessuno decidesse di svegliarli, proprio in quell’istante.

« Ti salverò, » annunciò Ichigo, d’improvviso, voltandosi verso di Rukia. Lei incrociò i suoi occhi scuri accesi di decisione e si sentì invadere da un’impagabile sensazione di sicurezza e protezione, e si disse che avrebbe potuto credergli, avrebbe potuto credere che davvero lui l’avrebbe salvata… tuttavia, il contatto con la superficie fredda del muro invisibile la riportò alla realtà. Con una stretta al cuore, sussurrò. « Non puoi, Ichigo. Lo sai, che non è possibile ».

L’altro emise un profondo sospiro, rassegnato. « Io voglio credere che lo sia. Ci crederò sempre, non importa cosa tu dica e quante volte mi darai dello stolto ».

Rukia rise, senza entusiasmo. « Stolto, » sussurrò di riflesso. « Sei uno stolto, Kurosaki Ichigo ».

« Lo so. E, se vuoi la verità, sono fiero di esserlo ».

« Sei davvero deciso a… »

« Quante volte devo ripetertelo, ancora?! », sbottò lui. « Io ti salverò, non importa cosa mi dirai! ». Si zittì un attimo e la guardò, vide i suoi occhi cerulei farsi lucidi e si chiese quante volte l’avesse vista piangere, prima di quel giorno. « Vorrei solo proteggerti, » sussurrò, ed un attimo dopo sbarrò gli occhi perchè Rukia, nello stesso istante, aveva pronunciato la stessa identica frase.

Si guardarono negli occhi, sorpresi e un po’ imbarazzati, mentre, istintivamente, le dita si cercavano oltre la superficie fredda che li separava.

E rimasero li, vicini eppure lontani, insieme eppure divisi, Kurosaki Ichigo e la prigioniera della torre bianca.

 

 

Simply, I don’t want to grow away from you

 

 

 

 

 

 

 

Author’s corner.

Bene, bene, non vi libererete mai di Lou XD. Difatti, eccomi qui, accompagnata da una delle mie (ormai abituali u__u”) fanfic Ichiruki <3. (Eh si, lo so, prima o poi vi stuferete, ma cosa devo farci io? ù__ù).

Aaaallora, vediamo cos’è che dovevo dirvi… innanzitutto, i titoli dei primi due POV. Il primo, quello di Ichigo, è una frase pronunciata da lui stesso in uno dei musical, non ricordo esattamente quale, ma credo il Live Bankai Show XD. Il secondo, quello di Rukia, è invece una frase detta da lei sia nell’anime che nel manga. Insomma, io adoro quel “Dove sei ora, Ichigo?”, tanto che non ho potuto non inserirlo XD.

Infine, il titolo della fanfic, Kurosaki Ichigo and the prisoner of the white tower, l’ho atrocemente rubacchiato da Harry Potter and the prisoner of Azkaban. Che ci volete fare, sono ossessionata da HP, negli ultimi tempi ù___ù.

Io ho ancora intenzione di riempire EFP di Ichiruki, eh, quindi preparatevi XD. Spero che la fanfic vi piaccia e ringrazio chi ha recensito Then Farewell, e chi l’ha aggiunta ai preferiti *O*. Vi adoro tutti <3.

Un saluto alle black berries, sempre mia fonte d’ispirazione, e grazie a Yue che mi ha aiutata con il titolo del terzo POV XD.

 

Sayonara,

Lou

   
 
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