Kurosaki
Ichigo and the prisoner of the white tower
1.
Kurosaki Ichigo [ I’ll definitely find you, with this
hand ]
Vagamente frastornato, Ichigo
socchiuse le palpebre appiccicaticce e appesantite dal sonno e si sforzò di
mettere a fuoco il panorama deserto delle fogne nelle quali lui e i suoi
compagni –Ganju e Hantarou- dimoravano ormai da
giorni.
Tentò di mettersi a sedere; al minimo movimento,
tuttavia, una fitta lancinante in pieno petto lo costrinse a rinunciare
all’impresa. Dio,
imprecò sottovoce, maledizione…
Si affrettò ad esaminare la ferita, bendata alla meno
peggio, che aveva ripreso a sanguinare copiosamente. Merda, imprecò ancora.
Alla sua destra, il minuscolo Hanatarou
era ancora immerso nel sonno e Ganju, la cui figura enorme era nettamente in contrasto col minuto quarto
seggio, russava sonoramente.
Ichigo pensò
che non fosse il caso di svegliare Hanatarou. Era certo che lui avesse nuovamente
trascorso l’intera notte ad occuparsi delle loro ferite, finendo poi per
crollare addormentato senza neppure accorgersene.
Grande, sbuffò
il sostituto, e io sono riuscito a
distruggere il suo lavoro in due secondi netti.
Dopo aver preso mentalmente nota di fare qualcosa
per la propria impazienza, Ichigo strinse
di più le bende arrossate che gli circondavano il torace, nel tentativo di
arginare il flusso di sangue. Funzionò.
Riuscì addirittura –dopo non pochi imbarazzanti
tentativi- a sollevarsi sulle proprie gambe e muovere qualche passo incerto
lungo il fetido corridoio che li ospitava, senza che l’ormai familiare senso di
nausea misto a vertigini lo costringesse a ritornare disteso.
Dopo pochi minuti di escursione
silenziosa, tuttavia, la testa prese a pulsargli innaturalmente e rammentò solo
in quell’istante la presenza dell’ennesima benda, che gli stringeva la fronte e
s’annodava dietro la nuca. Con un’altra imprecazione, tornò a sedere,
rassegnato.
Il capo abbandonata contro
il muro, ripercorse con la mente l’ultimo combattimento, quello nel quale s’era
procurato le ferite che tanto lo irritavano.
Chissà
come sta Renji. Si stupì non poco di quel pensiero, formulato inconsapevolmente;
quasi come gli stesse a cuore la sorte di colui che
l’aveva ridotto in quello stato pietoso. Ma dopotutto, si costrinse
ad ammettere, anche lui voleva solo proteggerla.
Nient’altro che proteggerla.
[Proprio come lui]
Strinse i pugni fino a conficcare le unghie in
profondità nella carne.
Dio se lo sentiva, in quel momento, il senso di
colpa soffocante che gli opprimeva il petto e bruciava l’animo fin nei suoi più
reconditi anfratti. Dio, se non gli
erano tornate in mente proprio in quell’istante le parole dette, urlate da Renji,
che era colpa sua, solo colpa sua, se Rukia fosse morta.
« Lo so benissimo, » sussurrò tra i denti,
reprimendo a stento la rabbia bruciante che gli montava dentro.
[Rabbia verso
se stesso, rabbia verso coloro che l’ostacolavano, rabbia verso la propria umiliante debolezza].
E immaginò Rukia
sorridergli. Rukia dargli dello stolto. Rukia dormire nel proprio armadio. Rukia
fingersi una ragazzina beneducata mentre, a scuola, si prodigava
in inchini e moine.
Sarebbe morta. A causa sua.
Mai prima d’ora il significato di quelle semplici
parole gli era stato tanto chiaro. Gli rimbalzarono nella testa, come un silenzioso
coro di urla disperate, fino a penetrare nel profondo
del proprio animo. E, allora, capì che non l’avrebbe
permesso.
L’avrebbe
trovata, ne era certo, anche solo per
potersi beare della vista dei suoi occhi cerulei che, solo guardandolo,
gl’infondevano tutta la sicurezza di cui avesse bisogno.
E l’avrebbe finalmente ripagata
di quel debito che, giorno dopo giorno, s’ingrandiva pesando sul proprio cuore
come un macigno opprimente.
[Ma lo conosceva, Ichigo,eccome se lo conosceva, il vero motivo per cui volesse salvarla].
I
also wish only to protect you
2. Kuchiki Rukia [
What a narrow sky. Where
are you now, Ichigo? ]
Rukia reclinò
leggermente il capo di lato, le mani giunte strette in petto. Tese l’orecchio,
nel tentativo di udire un qualche rumore, ma l’unico suono che le arrivò fu
quello attutito delle voci agitate provenienti dall’esterno, probabilmente ai
piedi della torre.
Si chiese cosa stesse
accadendo, la fuori, perché tutti fossero tanto inquieti e, soprattutto, si
sforzò d’identificare i proprietari delle scosse di reiatsu
che, di tanto in tanto, riuscivano a raggiungerla all’interno della sua
prigione immacolata.
Oltre la minuscola strettoia rettangolare, Rukia poteva vedere il cielo celeste estendersi a perdita
d’occhio e si trovò a rimpiangere, seppure per un solo, minuscolo istante,
coloro che in quel momento stavano godendosi la calda giornata estiva, magari
all’ombra refrigerante di un albero o in compagnia degli amici più cari.
I compagni di scuola e le liete giornate trascorse
sulla terra, ormai, parevano lontane secoli luce. Rukia
si scoprì a chiedersi come sarebbe stato, per lei, trascorrere le vacanze
estive in loro compagnia e magari, perché
no, partecipare a quel festival di fuochi d’artificio a cui Inoue l’aveva invitata appena il mese precedente.
A quei tempi, mai avrebbe immaginato di dover
morire a causa della propria negligenza. A causa di quei sentimenti umani cosi tiepidi, che tanto l’avevano riscaldata
durante il periodo trascorso lontana dalla Soul Society…
Si chiese, in quell’istante,
dove fossero i suoi amici umani. Se li immaginò tutti insieme,
magari in spiaggia, riuniti attorno ad un fuoco caldo a suonare la chitarra,
come in quei vecchi telefilm americani che una volta aveva guardato a casa di Ichigo…
Un’improvvisa fitta al petto la fece sobbalzare,
più dolorosa di qualunque ferita mortale.
Ichigo.
Le parole pronunciate da Renji,
improvvisamente, le rimbombarono vivide nella testa. E’ un rapporto non confermato. Cinque ryoka.
Uno ha una spada alta quanto lui e i capelli arancioni.
Un’altra fitta, più acuta della precedente.
Si chiese se avesse dovuto essere felice della
presenza del ragazzo alla Soul Society
[lui era li, era vivo]. Quella era
stata la prima impressione, tuttavia ora aveva paura, dio, se aveva paura… non l’aveva capito,
quello stolto, possibile che non l’avesse capito, che lei voleva solo
proteggerlo?
Che se n’era andata, col cuore distrutto,
frantumato in mille pezzi, che l’aveva lasciato a
morire sull’asfalto bagnato dalla pioggia, unicamente per assicurarsi che ci
fosse una, un’unica possibilità che
sopravvivesse?
Adesso, quell’unica
possibilità, quella sola speranza, era svanita. Lui
sarebbe morto… per un motivo tanto futile e irragionevole, poi. Per lei. Valeva davvero cosi tanto, quella
sua vita destinata a spegnersi di li a poco, cosi
tanto perché lui abbandonasse il suo focolare sicuro a Karakura
per inoltrarsi in territorio ostile? Quell’idea, per
un attimo fugace, la rese irrazionalmente felice.
Lui voleva salvarla. Lui la rivoleva indietro. Lui
era li per lei. Lui
stava combattendo per lei. In un
slancio momentaneo d’entusiasmo, pensò addirittura che lei fosse importante per
lui quanto lui l’era per lei.
Quella gioia irrazionale, tuttavia, si spense
subito dopo, soppiantata da una paura immane. Perché, nonostante la sensazione
di sicurezza che l’aveva avvolta alla
notizia della presenza di Ichigo,
sapeva che lui non doveva essere li. Che non avrebbe dovuto seguirla.
Perché Dio non era rimasto a casa, al sicuro,
perché non aveva tentato di proteggere la vita che era faticosamente riuscito a tenersi stretto?
Gli aveva urlato che non l’avrebbe perdonato se mai
l’avesse seguita, l’aveva insultato, eppure… eppure, Dio, lui adesso era li, era tanto vicino, forse l’avrebbe rivisto ancora una volta prima di morire, o forse
addirittura lui l’avrebbe salvata e portata via con se, oppure…
Un’altra scossa di reiatsu,
più forte delle altre, la fece rabbrividire.
Perché, stavolta, non aveva dubbi su chi
appartenesse.
Rannicchiata in un angolo, le
dita esili intrecciate da loro e i capelli corvini a lambirle le spalle
fasciate di stoffa bianca, Rukia chiuse gli occhi e,
tacitamente, pregò.
I
only pray you’ll be fine
3. Ichigo e Rukia [
It’s only a dream, the one I’m living? ]
L’intensa
luce giallastra pizzicò gli occhi chiusi di Ichigo, che, di riflesso, strinse le palpebre. Infastidito,
si costrinse a socchiudere gli occhi meditando già su cosa fare a Ganju quando l’avesse beccato a
tirargli scherzi idioti del genere; tuttavia, quando mise a fuoco l’ambiente
nel quale si trovava, non poté fare a meno di restare spiazzato per qualche
attimo, chiedendosi dove fossero finite le fogne lugubri e sporche nelle quali pensava di essersi assopito.
Dinanzi
a lui, un lucido pavimento grigiastro si estendeva per
metri e metri, circondato da altissime mura bianche che parevano arrivare fino
al cielo. L’unica, flebile luce proveniva dalla minuscola strettoia
rettangolare posta in cima a quella che comprese essere una torre.
Turbato,
Ichigo fece un rapido giro su se stesso e nuovamente
rimase di sasso: alle sue spalle, pochi metri di distanza, Ganju
ed Hanatarou dormivano placidamente proprio dove li
aveva lasciati, avvolti dal buio del condotto fognario. Constatò con una certa
incredulità che il lurido pavimento delle fogne s’interrompeva improvvisamente,
come in corrispondenza di una linea invisibile, lasciando il posto alla distesa
biancastra vista in precedenza.
Ancor
più incredulo, Ichigo spinse lo sguardo fino al fondo
della torre, dove era certo d’aver visto qualcosa muoversi: una macchia biancastra,
vagamente indistinta, sbucata improvvisamente fuori dalle
tenebre che l’avvolgevano.
Come
spinto da un’ urgenza improvvisa, lo shinigami le si avvicinò, a passi lenti, le dita che
istintivamente si tesero in avanti nel tentativo di raggiungerla. Quando finalmente la vide, gli mancò il fiato: e, improvvisamente,
capì di star sognando.
Rukia.
Rukia, la shinigami che tanto aveva bramato salvare, e che ora era
davanti a se, integra, viva, vera.
Lei lo
guardò, gli occhi azzurri sbarrati e vagamente lucidi, i capelli scuri a incorniciarle il viso perlaceo, più pallido ed emaciato di
quanto Ichigo lo ricordasse, ma ugualmente
bellissimo. Le labbra rosee e sottili, silenziosamente, articolarono il suo
nome.
« I…chi…go… », sussurrò, e il biondo capì che fosse incredula
quanto lui. Probabilmente, si disse, dev’essere un sogno. Nient’altro che un sogno.
Eppure, poteva mai credere che la ragazza vestita di
bianco che avanzava a piedi nudi verso di lui fosse nient’altro che
un’illusione?
Rimase a
fissarla, incerto su cosa fare, mentre le proprie dita, disobbedienti ad ogni
suo tentativo di ritirarle, continuavano a sfiorare l’aria in direzione di Rukia, come ad esprimere il desiderio di raggiungerla.
D’altronde, lei fece lo stesso. Allungò le dita sottili verso quelle del
ragazzo, e lui la imitò.
Pochi centimetri prima che potessero sfiorarsi,
tuttavia, in corrispondenza della linea invisibile le loro mani tese
incontrarono un ostacolo, una parete di vetro, cosicché non poterono toccarsi. Rimasero
a fissarsi a vicenda, gli occhi leggermente lucidi e le labbra strette, i palmi
delle mani che lambivano lo scoglio invisibile che li separava, cosi vicini
eppure cosi irraggiungibili.
Prima di
potersi trattenere, Ichigo mormorò il nome della
ragazza. « Rukia… ».
Lei sussultò, poi gli sorrise, lievemente, gli occhi socchiusi colmi di tenerezza. « Cosa ci fai qui? », chiese in un sussurro, ma era certa di non volerlo sapere. Bastava che lui restasse.
« Non ne
ho idea, » rispose l’altro, «
Dormivo e mi sono ritrovato qui all’improvviso. Credo che… che sia un sogno ».
Rukia annuì. « Già, lo pensavo anch’io. Ma chi è che sta sognando? Io oppure tu? ».
« Non
chiederlo a me! », sbuffò Ichigo, ma la sua
espressione si addolcì immediatamente, i lineamenti più distesi di come Rukia li avesse mai visti. E,
improvvisamente, capì che tutta la rabbia che aveva provato verso di lui alla
notizia della sua presenza alla Soul Society era
svanita, cosi, in un soffio. Ora, più di ogni altra
cosa, desiderava unicamente stargli vicino.
D’altra
parte, Ichigo lo sapeva, Dio se lo sapeva,
che lei l’avrebbe preso a calci ed insultato, se solo non si fosse trattato un
maledettissimo sogno… eppure, importava qualcosa?
Lui e Rukia erano insieme. Tutt’il resto del mondo, la fuori,
poteva anche andare a morire.
« Non
avresti dovuto, » sussurrò Rukia, dopo un po’, e Ichigo capì immediatamente a cosa si riferisse. « Non
avresti dovuto. Eri salvo. Avresti potuto
sopravvivere. Perché hai…? ».
Aveva cominciato a singhiozzare.
Con un sospiro, Ichigo si lasciò cadere sul
pavimento umido, la schiena premuta contro la colonna invisibile che li
separava. Rukia, gli occhi
lucidi, fece lo stesso.
« Sai
benissimo perché l’ho fatto, » esordì il sostituto, mentre, lo sguardo fisso
davanti a se, vegliava sul sonno silenzioso dei propri compagni. « Credevi che
ti avrei lasciata andare? Credevi che non avrei fatto
nulla per impedirlo? ».
Rukia scosse il capo, le dita che involontariamente
andarono a sfiorare la parete in corrispondenza di quelle dell’amico. « Ammetto
di averci sperato ».
Ichigo rise sottovoce. « Sei più illusa
di quanto immaginassi ».
« Già, »
confermò lei, con un mezzo sorriso.
Ripiombarono
nuovamente nel silenzio, impegnati unicamente a godersi la reciproca compagnia,
pregando, scongiurando intanto che nessuno decidesse di svegliarli, proprio in quell’istante.
« Ti
salverò, » annunciò Ichigo, d’improvviso, voltandosi
verso di Rukia. Lei incrociò i suoi occhi scuri
accesi di decisione e si sentì invadere da un’impagabile sensazione di
sicurezza e protezione, e si disse che avrebbe potuto
credergli, avrebbe potuto credere che davvero
lui l’avrebbe salvata… tuttavia, il contatto con la superficie fredda del
muro invisibile la riportò alla realtà. Con una stretta al cuore, sussurrò. «
Non puoi, Ichigo. Lo
sai, che non è possibile ».
L’altro
emise un profondo sospiro, rassegnato. « Io voglio credere che lo sia. Ci
crederò sempre, non importa cosa tu dica e quante volte mi darai
dello stolto ».
Rukia rise, senza entusiasmo. « Stolto, » sussurrò di
riflesso. « Sei uno stolto, Kurosaki Ichigo ».
« Lo so.
E, se vuoi la verità, sono fiero di esserlo ».
« Sei
davvero deciso a… »
« Quante
volte devo ripetertelo, ancora?! », sbottò lui. « Io
ti salverò, non importa cosa mi dirai! ». Si zittì un
attimo e la guardò, vide i suoi occhi cerulei farsi lucidi e si chiese quante
volte l’avesse vista piangere, prima di quel giorno. «
Vorrei solo proteggerti, » sussurrò,
ed un attimo dopo sbarrò gli occhi perchè Rukia,
nello stesso istante, aveva pronunciato la stessa
identica frase.
Si
guardarono negli occhi, sorpresi e un po’ imbarazzati, mentre, istintivamente,
le dita si cercavano oltre la superficie fredda che li separava.
E rimasero li, vicini eppure lontani, insieme eppure
divisi, Kurosaki Ichigo e
la prigioniera della torre bianca.
Simply,
I don’t want to grow away from you
Author’s corner.
Bene,
bene, non vi libererete mai di Lou XD. Difatti, eccomi qui, accompagnata da una delle mie (ormai abituali
u__u”) fanfic Ichiruki
<3. (Eh si, lo so, prima o poi vi stuferete,
ma cosa devo farci io? ù__ù).
Aaaallora, vediamo cos’è che dovevo dirvi… innanzitutto, i titoli dei primi due POV. Il primo, quello di Ichigo, è una frase pronunciata
da lui stesso in uno dei musical, non ricordo esattamente quale, ma credo il
Live Bankai Show XD. Il secondo, quello di Rukia, è invece una frase detta da lei sia nell’anime che nel manga. Insomma, io adoro quel “Dove sei ora, Ichigo?”,
tanto che non ho potuto non inserirlo XD.
Infine, il
titolo della fanfic, Kurosaki Ichigo and the prisoner of the white tower, l’ho atrocemente rubacchiato da Harry Potter and the prisoner of Azkaban. Che ci volete fare, sono ossessionata da HP, negli
ultimi tempi ù___ù.
Io ho
ancora intenzione di riempire EFP di Ichiruki, eh, quindi preparatevi XD. Spero che la fanfic vi piaccia e ringrazio chi ha recensito Then Farewell, e
chi l’ha aggiunta ai preferiti *O*. Vi adoro tutti
<3.
Un
saluto alle black berries, sempre mia fonte
d’ispirazione, e grazie a Yue che mi ha aiutata con il titolo del terzo POV XD.
Sayonara,
Lou