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Autore: Adrjane    04/09/2015    4 recensioni
"Guardandoti negli occhi ricordo soltanto di aver visto il tuo volto in sogno."
Rabindranath Tagore.

Lui era lì.
Appoggiato al muro che la guardava, ma non disse nulla.
Si abbassò a prendere la tracolla che aveva poggiato a terra, ma quando si rialzò la sua figura allo specchio era ancora più vicina, si voltò distinto trovandoselo vicino.
Aveva gli occhi più profondi che avesse mai visto.
Guardandolo ancora non si spiegava il motivo per il quale lo avesse sognato così tante volte.
Il silenzio aleggiava su di loro.
«Ciao.», le sussurrò.
«Ehm…Ciao?», ricambiò incerta, schiarendosi la voce.
«Hai bisogno di qualcosa?», gli chiese non capendo cosa volesse da lei.
«Solo di provare una cosa.», le rispose sintetico fissandola, «Non urlare, non voglio farti del male.», aggiunse.
«Cosa?», chiese ingenuamente, confusa e leggermente spaventata.
Ma la sua domanda non ebbe risposta perché le sue labbra furono sulle sue, dando vita ad un casto bacio.
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Storia interamente revisionata e modificata.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Premessa dell’autrice.

Ieri (03-09-15) avevo postato questa storia, ma rileggendola e con la spinta della recensione di una lettrice (L_Red) ho deciso di revisionare e modificare il testo.
Quindi se dovesse esserci qualche lettore/lettrice di ieri, spero che questa modifica sia di vostro gradimento.
Detto ciò, buona lettura!

IL RAGAZZO DELL’AUTOBUS.
SINGOLO ATTO.

 

Guardandoti negli occhi ricordo soltanto
di aver visto il tuo volto in sogno.

Rabindranath Tagore.

 

«Mmh…», si ritrovò a mugugnare infastidita dalla musichetta elettronica che proveniva dal cellulare; svogliatamente si sollevò quel che bastava per metter fine alla sveglia, per poi alzarsi definitivamente e dirigersi verso il bagno.
Stava sciacquando i capelli quando le venne in mente il sogno che aveva fatto quella stessa notte.
Un volto. Un volto che le dava il tormento da quasi una settimana.
Esattamente cinque giorni prima aveva cominciato a fare dei sogni, tra loro ricorrenti.
Il sogno cominciava con lei, che come da abitudine, prendeva l’autobus per spostarsi, e quando arrivata alla fermata doveva scendere si ritrovava sempre accanto la figura di un ragazzo - che aveva sempre lo stesso volto - e che insieme a lei pigiava il pulsante per far aprire le porte del mezzo. Quando la mattina dopo si alzava cercava di ricordare il volto ma niente, non riusciva a capire chi fosse, o cosa tutto ciò significasse.
Uscì dalla doccia, e asciugò i suoi capelli scuri aventi delle ciocche tinte di rosso, fermandoli poi con una molletta; vedendo l’orario si apprestò a vestirsi e truccarsi in maniera leggera con una matita celeste e un po’ di mascara.
Scese al piano di sotto per andare in cucina a prendere una brioche al volo, «Ci vediamo più tardi.», disse ai suoi genitori per poi dargli un bacio e uscire di casa.
Una volta arrivata alla fermata, per ingannare il tempo, si mise le auricolari alle orecchie, mandò un messaggio alla sua amica più stretta dicendole dell’ennesimo sogno. La mente contorta della sua amica aveva elaborato, questi, come una sorta di visione del futuro, ma lei non ci credeva completamente, erano solamente dei sogni.
Non si accorse della vibrazione del suo cellulare poiché arrivò l’autobus, vi salì cercando con gli occhi un posto libero, che con la sua solita fortuna non trovò, così con la mano destra si appoggiò agli appositi sostegni per evitare di cadere.

●●●

Delle urla soffocate lo svegliarono.
Grugnendo infastidito, si rotolò sul fianco, seppellendo il volto sotto il cuscino.
Il rumore si attutì leggermente, sapendo di non riuscire più a prendere sonno scalciò via le coperte.
Una volta in piedi esaminò la stanza: dei vesti ed il cartone della pizza, che era stata la sua cena la sera prima, giacevano a terra.
Poi guardò il letto sfatto, con poca voglia tirò su il lenzuolo sul materasso, dicendosi mentalmente che l’avrebbe fatto una volta tornato a casa.
Raccolse il cartone, lasciando i vesti sparsi sulla moquette. Prese degli indumenti puliti, l'indossò ed uscì dalla stanza.
Altre urla riempirono il corridoio, sbuffando, prese con stizza le chiavi di casa e senza farsi sentire si lasciò dietro le urla e la porta di casa.
«Casa… Ma per favore.», si ritrovò a sussurrare tra i denti a bassa voce, mentre si incamminava alla fermata dell’autobus.
Ogni giorno era la stessa storia: si svegliava e l’unico suo pensiero era quello di uscire da quelle quattro mura.
Da quando i suoi genitori si erano traditi avvicenda in quella casa non c’era più pace.
Le urla erano diventate un’abitudine, tanto che i vicini neanche ci facevano più caso. Così come i suoi genitori non facevano più caso a quando e in che stato lui rientrasse o uscisse da casa.
L’unico motivo per il quale non era andato a vivere da solo, lasciando che quei due si urlassero addosso era la sua piccola sorellina, davanti la quale i genitori si comportavano come niente fosse.
Ed era per lei che non si era discusso di nessun divorzio.
Calciando un sassolino, abbandonò i pensieri che gli passavano per la testa.
Comminò per qualche altro metro e si appoggiò ad un palo aspettando che il mezzo arrivasse.
Quando vide l’autobus in lontananza si scostò dal palo. Ed una volta arrivato davanti a sé salì, con una piccola speranza nel cuore.
La speranza di vederla.

●●

Due fermate dopo sentì il suo cuore perdere un battito, e non per via della brusca fermata ma per la persona che era appena salita e che si era avvicinata a lei per poter timbrare il biglietto.
L’aveva guardato per un breve attimo ma guardandolo negli occhi ricordò soltanto di aver visto il suo volto in sogno.
Quel ragazzo era lo stesso che vedeva apparire nei suoi sogni, ed ora era davanti a lei posizionato a qualche passo di distanza.
Non un sogno. Ma la realtà. Era la realtà quella, non un sogno.
Si ricordò del messaggio che aveva inviato, ma del quale non aveva letto la risposta, così prese il cellulare dalla tasca posteriore dei suoi jeans.
Ah! Te lo ripeto: per me è un sogno premonitore. Sai spero tanto che lo incontrerai veramente a questo ragazzo dell’autobus; almeno mi tolgo lo sfizio di dirti: “Te l’avevo detto!”, visto che non mi stai mai a sentire.”, così recitava il messaggio, e si ritrovò a sorridere davanti alla schermo del cellulare, per poi digitare velocemente la risposta.
Beh…Mi sa che te lo puoi levare ‘sto sfizio.”, invia a +39******5, invio in corso, invio riuscito.
Che significa…? Ma perché giusto oggi non l’ho preso con te l’autobus?!”, lesse mentalmente, in risposta le inviò una risatina e un “Eh, sai com’è… Il destino ha voluto così!”, la prese in giro sapendo quanto lei credesse nel fato.
Ripose il cellulare in tasca e si voltò cercando di evitare di guardarlo.

●●●

Non appena fu sul mezzo un sorrisetto ben celato gli spuntò in viso.
Lei era lì.
Le si avvicinò per timbrare il biglietto, per poi restare a qualche passo di distanza da lei.
Non capiva perché quella ragazza dai lineamenti delicati e di cui non sapeva il nome, non appena l’aveva visto aveva strabuzzato lievemente gli occhi, per poi arrossire leggermente.
Ad un certo punto la vide portare la mano nella tasca posteriore dei suoi jeans, dal quale estrasse un cellulare.
La osservò sorridere allo schermo. Molte volte l’aveva vista sorridere mentre, supponeva, leggesse qualche sms, e si chiedeva ogni volta con chi parlasse e cosa la facesse sorridere in quel modo così dolce e accattivante allo stesso tempo.
Riscossosi dai suoi pensieri la vide digitare una qualche risposta.
Messaggiò per un altro po’, poi con un sorriso divertito riposò il telefono nella tasca dei jeans che indossava.
Una volta riposto il cellulare si voltò, dandogli le spalle.
Ebbe la strana sensazione che volesse evitare anche solo di guardalo per sbaglio.
Scuotendo la testa e insultandosi mentalmente per la stupidaggine che ebbe pensato si sistemò meglio sulla parete su cui si era poggiato, vista l’assenza di posti, e chiuse gli occhi, non prima di averla osservata un altro po’.

●●

Era quasi estate e su quel mezzo c’era dell’aria viziata, e si moriva dal caldo. Si mosse per prendere la bottiglietta che aveva dentro la tracolla, ma un rumore stridulo e la fermata brusca del bus le fece quasi perdere l’equilibrio.
«Ma che…?», si ritrovò a sussurrare voltandosi verso il conducente per capire cosa fosse successo.
Bene, solo questo ci mancava!, si ritrovò a pensare, quando l’autista li pregò di scendere dal mezzo.
«Oh, scusa.», le disse proprio lui, dopo averla accidentalmente colpita al braccio, una volta sceso.
«Nulla.», rispose con un’alzata di spalle.
«Mi dispiace dirvi che c’è un piccolo guasto al motore, quindi ci vorrà un’oretta o più prima di poter ripartire.», annunciò sempre l’autista, scusandosi per l’imprevisto, e aggiungendo che momentaneamente avrebbero potuto fermarsi all’Autogrill vicino. Con un sospiro si incamminò, come tutti gli altri, verso quest’ultimo; avrebbe preso una bibita per dissetarsi.
Magra consolazione., si disse.
Inconsciamente si ritrovò a cercare tra le persone quel ragazzo, ma non lo trovò, scosse la testa entrando in Autogrill, prese una lattina d tè freddo e andò a pagarla.

●●●

Una brusca frenata gli fece aprire gli occhi di scatto.
Vide la confusione anche sul volto del resto degli altri passeggieri, e si chiese cosa fosse successo.
Un mormorio delle persone che lo circondava si fece più concitato quando il conducente chiese gentilmente di scendere.
Una coppia di ragazzini lo spinse ed accidentalmente colpì la ragazza che cominciava ad essere per lui un pensiero fisso.
«Oh, scusa.», le disse per scusarsi di averla colpita al braccio, una volta sceso.
«Nulla.», fu la sua riposta con un’alzata di spalle.
Una volta scesi tutti il conducente spiegò che vi era stato un piccolo guasto al motore e che quindi ci sarebbe voluto del tempo per poter ripartire, cercò di scusarsi aggiungendo che se avessero voluto sarebbero potuti andare all’Autogrill lì vicino.
Imprecando mentalmente si allontanò da quella massa di gente.
D’altronde ci sarebbe voluto un bel po’ prima di poter risalire sul bus.

●●

Quando uscì si sedette su una panchina -non molto distante dagli altri passeggeri-, e venne subito affiancata da una donna anziana che cominciò a blaterare facendole venire un mal di testa insopportabile. Cercò di finire quella sorta di conversazione in più modi, ma ogni volta quella signora riusciva a trovare un nuovo argomento di discussione di cui parlare, e non sapendo più come fare si limitò ad annuire a tutto ciò che diceva senza realmente ascoltarla.
Le era capito più volte di alzare lo sguardo ed incontrare quello del ragazzo, che era magicamente riapparso; era bello, e non era la sola a pensarlo visto che due ragazzine vicino a lui ridacchiavano e lo stavano letteralmente mangiando con gli occhi.
«Mi scusi signora, mi sento poco ben.», la donna seduta vicino a lei non le fece neanche completare la frase che subito cominciò a tartassarla di domande: «Oh cara! Che hai? Vuoi che ti prenda qualcosa?».
«No, no. Non si preoccupi, vado al bagno a rinfrescarmi un po’.», le disse alzandosi e camminando a passo svelto verso il bagno della stazione di servizio.

●●●

Dopo essersi allontanato si era andato a stendere sotto un albero lontano qualche metro da dove si trovava il mezzo. Senza accorgersene si era addormentato.
E quando si svegliò imprecò contro se stesso.
Una volta aperti gli occhi si era ritrovato sudato, e con un alzabandiera totalmente inadeguata.
La causa? Lei, il suo “Nulla.” e la sua voce dannatamente sensuale.
Dopo essersi ripreso, seccatosi dai suoi pensieri che avevano preso una brutta piega, ritornò al bus.
Accanto a lui vi si erano fermate due ragazze, carine a detta sua, ma il loro modo di ridacchiare e il loro sguardo insistente lo stava infastidendo.
Cercò con lo sguardo la ragazza di cui non sapeva il nome, e la vide seduta su una panca vicino ad un’anziana signora.
Aveva la netta sensazione che la signora non le avesse dato un attimo di tregua visto il viso teso della giovane.
Un sorriso divertito gli spuntò sulle labbra, ma quando vide il capo della ragazza sollevarsi verso la sua direzione lo nascose. Sostenendo il suo sguardo.
Dopo diversi sguardi, lei, non osò più guardarlo.
La vide farsi aria con la mano, per poi passarsela sul petto e scendere lentamente in mezzo al seno e posarsi sull’addome.
Quel gesto così privo di malizia, gli fece mancare l’aria.
E si maledì. Non poteva per un gesto così, così stupido perdere la testa.
Preso dalle sue fantasticherie non la vide alzarsi e allontanarsi dalla panchina.
Fece girovagare lo sguardo, finché non la vide entrare nel bagno dell’Autogrill.
Un’idea malsana lo colpì con un fulmine in ciel sereno. E fregandosene del buon senso la seguì.

●●

Si ritrovò davanti ad una porta dove vi era appeso un cartellino con su scritto che il bagno era unico, quindi sia per gli uomini che per le donne, vi entrò sperando che fosse pulito.
Si bagnò i polsi con l’acqua fresca, si umettò le guance, poi alzò il capo con l’intento di sistemarmi alla bell’e meglio i capelli, però il riflesso che si ritrovò nello specchio non glielo permise.
Lui era lì.
Appoggiato al muro che la guardava, ma non disse nulla.
Si abbassò a prendere la tracolla che aveva poggiato a terra, ma quando si rialzò la sua figura allo specchio era ancora più vicina, si voltò distinto trovandoselo vicino.
Aveva gli occhi più profondi che avesse mai visto.
Guardandolo ancora non si spiegava il motivo per il quale lo avesse sognato così tante volte.
Il silenzio aleggiava su di loro.
«Ciao.», le sussurrò.
«Ehm…Ciao?», ricambiò incerta, schiarendosi la voce.
«Hai bisogno di qualcosa?», gli chiese non capendo cosa volesse da lei.
«Solo di provare una cosa.», le rispose sintetico fissandola, «Non urlare, non voglio farti del male.», aggiunse.
«Cosa?», chiese ingenuamente, confusa e leggermente spaventata.
Ma la sua domanda non ebbe risposta perché le sue labbra furono sulle sue, dando vita ad un casto bacio.
La cosa che più la sorprese è che si ritrovò a desiderare quel bacio, ricambiandolo.
Oddio!, pensò, Sono in un bagno, di un Autogrill, a baciare un totale sconosciuto.
Ma i suoi pensieri coerenti vennero troncati dalle sensazione che ebbe non appena la lingua del ragazzo le sfiora le labbra. Chiedendole il permesso.
Con un verso, che esprimeva la sua confusione ma al tempo stesso la sua voglia, glielo concesse.
Era un gioco di lingue, nessuno dei due era propenso a smettere, tanto che dovettero separarsi per mancanza d’aria.
Fu un secondo, si riguardarono negli occhi e le loro bocche si ritrovarono. Il bacio si fece sempre più spinto, finché lui non arpionò le sue mani sui suoi fianchi, sollevandola e appoggiandola sul marmo del lavandino riprendendo il bacio da dove si era interrotto.
Scese a baciarle il collo lentamente, mentre con una mano le tolse la molletta che teneva in alto i suoi capelli, «Come ti chiami?», le domandò tra un bacio e l’altro.
«Camilla.», rispose ansimando, per poi prendere l’iniziativa e ricambiare i suoi baci umidi.
«Mmh…Non mi hai detto il tuo nome.», gli disse a due millimetri dalla pelle del suo collo.
«Non me l’hai chiesto.», disse lui roco,« Pensavo fosse scontato.», controbatté, mordendolo dove prima l’avevo baciato.
«Mattia.», gemette.
Quando, però, le posò la mano sul bordo della sua maglietta con l’intento di levargliela, lo fermò.
«Io... Non sono una…», gli disse, cercando di fargli capire di non essere una poco di buono.
Anche se la voglia di averlo era straziante.

●●●

A quelle parole arrestò i suoi movimenti.
Era chiaro che stava cercando di fargli capire che non fosse una puttana.
Ma che cazzo mi è passato per la testa?!, fu il suo primo pensiero.
Cazzo, e se è vergine?!, fu il secondo.
Ma che cazzo mi è passato per la testa?!, pensò nuovamente dandosi del coglione.
«Scusa. Non penso che tu lo sia…», disse creando della distanza tra i loro corpi.
Stava per aggiungere dell’altro quando abbassò lo sguardo sul petto di lei, trovando la maglietta slabbrata e il solco invitante dei suoi seni.
«Io...», sospirò, «Oh Dio. Non puoi capire quanto ti desidero.», continuò dopo un attimo.

●●

Quella semplice frase l’aveva fatta fremere.
Si sentiva scossa da brividi lungo tutto il corpo.
Mi desidera? Come, perché?, cominciò a pensare tra sé e sé.
«Cos…Che significa?», gli domandò.
«Senti, lo so, noi due non ci conosciamo, so da cinque minuti il tuo nome, non so quanti anni hai, non so nulla di te.», cominciò lui, come un fiume in piena.
«E non so nemmeno per quale assurdo motivo sogno di farti mia dalla prima volta che ti ho vista sull’autobus ed abbiamo premuto assieme quel maledetto bottoncino, okay?!», finì con lo stesso tono.
E fu allora che si ricordò doveva l’aveva visto la prima volta.
Si, ricordò che era talmente in ritardo ed irritata che aveva in mente solo di chiamare la fermata, e non aveva fatto caso a chi avesse chiesto scusa per aver in pratica schiacciato il dito di un altro passeggero, guardandolo di sfuggita.
Era successo esattamente cinque giorni fa.
Ed anche lei aveva cominciato, da allora, a fare dei sogni su di lui.
Era così chiaro il sogno.
Si ritrovò con la bocca schiusa a guardarlo.
«Oh, al diavolo l’essere una poco di buono!», esclamò accorciando la distanza che si era venuta a creare, e baciandolo.

●●●

Non ebbi il tempo di registrare la sua esclamazione che mi ritrovai la sua dolce bocca sulla mia.
Riprendemmo a baciarci ed accarezzarci da sopra i vestiti.
Aveva un tocco talmente delicato, che aveva paura che quello fosse l’ennesimo sogno su di lei.
Ma quando gli accostò le labbra all’orecchio, e gli sussurrò di spogliarla, capì che no, non era un sogno.
La sua voce era troppo vivida per esserlo.
Lentamente come a chiederle nuovamente il permesso le poggiò la mano sul bordo della maglietta, in risposta gli poggiò una mano sulla sua e insieme la sfilarono.
Tolto il primo indumento, si spogliarono avvicenda, dedicando baci ad ogni parte del corpo dell’altro che prima era nascosto dai vestiti, i quali giacevano sul pavimento lurido.
La sua pelle era liscia e calda. Ed incendiava la mia.

●●

La loro pelle era bollente, non avrebbe saputo dire chi lo fosse di più dei due.
I gemiti e i sospiri divennero sempre di più quando la privò del reggiseno, prese a baciarle il petto con foga, facendole inturgidire i capezzoli poi parve riprendersi e fermarsi, «Sarà meglio che andiamo in bagno, in caso entrasse qualcuno.», le disse e lei annuì frastornata.
Si infilarono dentro nel primo bagno, e ripresero ad esplorare reciprocamente le loro bocche.
C’erano solo due strati che separavano i loro corpi: il loro intimo, e in men che non si dica si privarono anche di quello.
Già da prima sentiva la sua erezione pulsare sulla sua coscia, ma adesso il contatto era più intimo tanto da scatenarle dei brividi lungo tutto il corpo, facendola anche gemere.
Sentì la sua eccitazione crescere mentre i loro corpi si univano. Si sentiva piena, completa.

●●●

Stava impazzendo. Voleva farla sua.
Ma il minimo di contegno e razionalità che ancora risiedeva in lui, lo fece riprendere, e fermandosi il tempo che bastava le sussurrò di spostarsi in un cubicolo.
Una volta dentro ripresero ad esplorarsi con bocca e mani.
Aveva fantasticato sul suo corpo, ma le sue fantasie non le rendevano giustizia.
L’intimo che entrambi indossavano era diventato di troppo, ed inutile. Così in men che non si dica se ne privarono.
E l’attimo dopo la sentì gemere per via della sua eccitazione a contato con la sua pelle.
La baciò delicatamente il collo e poi, le fu dentro.

●●


I loro corpi fusi, ricoperti da una patina di sudore, si muovevano con costanza, addossati alla parete, fin quando l’orgasmo non li raggiunse.
Ansimarono stanchi ancora uniti per poi scambiarsi un altro bacio.
Quando fu uscito da dentro di lei, uscì dal bagno per raccattare velocemente i loro indumenti, così si rivestirono con calma scambiandosi sguardi complici, uscendo poi dal bagno come se non fosse successo nulla.
Appena arrivarono alla panchina, dove prima era seduta, notarono che l’autobus era funzionante e si affrettarono per salirvi.
Ma prima che potesse anche solo fare un passo per il mezzo, la mano di Mattia le strinse la sua.
Si voltò verso di lui, guardandolo interrogativa. Non si aspettava un simile gesto.
«Non penserai che adesso io ti lasci andare, così, vero?», chiese retorico guardandola negli occhi.
Ricambiò lo sguardo non sapendo come reagire.
Vedendo che non rispondeva, le baciò lievemente la guancia per poi sussurrarle:
«Permettimi di conoscerti veramente.».
Senza aspettare una sua risposta, come a darle tempo per pensarci, salirono sul bus.
Una volta partito, Camilla prese il cellulare, sotto lo sguardo curioso del ragazzo.
Sai? Sento che da questa notte in poi i sogni con Il ragazzo dell’autobus avranno un finale un po’ diverso dal solito.. Invia.

 

 

 

 

Note d’autrice.

Salve!
Come mia abitudine, ci tengo a scrivere che spero che chiunque sia arrivato a leggere fin qui sia rimasto soddisfatto e non pensi di aver perso tempo.
Scrissi questa storia due anni fa, e non so perché non la pubblicai.
Nel settore delle “Originali-Romantico”, è la seconda volta che pubblico una mia creazione.
La prima che pubblicai fu una storia a rating rosso, quindi anche se ho già pubblicato qualcosa in questo settore, è pur sempre una prima volta per me.
Spero che possiate apprezzarla.
Ed anche se non è una vera e propria storia romantica spero di essere riuscita a trasmettere tramite ciò che ho scritto qualche emozione.
Sarei davvero lieta di leggere qualche vostro commento, per sapere cosa ne pensate di questa storia e ovviamente del mio modo di scrivere; critiche e/o consigli sono ben accetti!
Grazie, e a presto!

Adriana.

  
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