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Autore: Dandelion And Burdock    04/09/2015    1 recensioni
"Mette un po' in soggezione, l'arena vuota".
Ascolto consigliato: I Wanna Be Yours, Empty Arena Version
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alzo le gambe e appoggio i piedi sullo schienale del sedile di fronte a me, incrociandoli. Mette un po’ in soggezione, l’arena vuota, con tutti questi seggiolini liberi, chiusi e reclinati in attesa di essere occupati, le luci spente ed un silenzio lungo, largo e quasi ridondante. È un silenzio strano, questo, raro da vivere e per certi versi anche magico; un silenzio in pausa, in letargo, un silenzio che aspetta fremente di compiere l’agognata metamorfosi e lasciare il posto al gracchiare degli amplificatori, alla musica, alle grida e ai canti. È un onore farne parte, anche solo per un po’.
Si accendono le luci sul palco mentre dalla cabina alle mie spalle arriva la voce gracchiante di Tom, il sonico, diffusa dagli altoparlanti: -Okay, ragazzi; ricordate che più collaborate, prima finiamo-.
Ridacchio mentre da dietro le quinte spunta Jamie, alle prese con la cinghia della chitarra; lo segue Alex, già pronto, che si posiziona al centro del palco e viene raggiunto poco da Nick mentre Matt, finito di sistemare il charleston, solleva le bacchette e fa per battere i primi quattro quarti a vuoto. Alex lo ferma alzando una mano e si avvicina al microfono.
-Tom, il volume?
-Tutto già regolato, razza di idiota. Io, a differenza tua, il mio lavoro lo so fare.
Alex alza il medio con un sorriso felino, poi fa un cenno del capo a Matt, che ridendo alza di nuovo le bacchette sopra la testa.
Uno,
due,
tre,
quattro.
Sorrido spontaneamente ed involontariamente quando il silenzio cede accondiscendente il posto al suono, al rumore, puro, vellutato, che mi scivola addosso come una coperta calda mentre le note rotolano e rimbalzano una dopo l’altra sulle pareti e sulle sedie vuote, sul soffitto alto ed arcuato e su di me, che in mezzo a questa enorme arena semplicemente ascolto, respiro, penso e vivo un po’.
Alex mi lancia un’occhiata furtiva e sorride; e chiaro che si sta godendo il momento tanto quanto me.
Penso a quanti passi sono passati sopra a questo pavimento, a quante cartacce e lattine vuote ci sono finite sopra, a quante felpe sono state dimenticate su questi sedili e a quanti sorrisi ed emozioni ha ospitato questo posto, notte dopo notte, concerto dopo concerto. A quanti artisti hanno calcato quello stesso palcoscenico dove ora le Monkeys stanno facendo il soundcheck, a quanti sonici hanno impartito ordini dalla cabina pochi metri dietro le mie spalle, a quanti membri dello staff hanno montato e smontato megaschermi e scenografie, a quanti cavi sono stati collegati e a quanti mixer e amplificatori sono stati maneggiati. A quanti sogni, consapevoli ed inconsapevoli, si sono realizzati qui dentro.
Ricambio il sorriso di Alex, pensando a tutte queste cose ed anche a molte altre, mentre il ritornello mi rimbomba dolcemente nella testa con rispetto ed eleganza quasi remissiva.

Perché è solo questo che conta, in fondo: il silenzio si trasforma in rumore così come la vita diventa improvvisamente morte, così come l’amicizia a volte si trasforma in amore o forse anche in odio.

Ma per ora a noi non importa.
   
 
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