Anime & Manga > Lupin III
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Autore: Fujikofran    05/09/2015    3 recensioni
Fujiko, ormai settantenne, si trova in Italia perché ha saputo che Lupin si trova nel Belpaese e lo sta cercando, per un motivo ben preciso, oltre che per salutarlo. Ma la soluzione, invece, verrà da parte di Jigen, grazie al quale Fujiko potrà rivedere un'altra persona: Goemon. Brano da ascoltare durante la lettura: "Ancora ancora" di Mina
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fujiko Mine, Goemon Ishikawa XIII, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il tempo passa per tutti'
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Torino
L’aria calda non intaccava ancora gli ultimi scampoli di primavera e, nella città sabauda, non si sudava nemmeno un po’, soprattutto all’ombra dei freschi portici dirimpetto a Piazza Castello. Una donna, indecisa se sedersi nel primo caffè storico che aveva adocchiato o nell’altro accanto, alla fine scelse il secondo, accomodandosi all’interno, dato che il primo le piaceva soltanto di fuori, per lo stile liberty dell’insegna. Si tolse i delicati guanti di pizzo bianco, si scostò il suo elegante cappello di paglia e indossò i suoi occhiali da presbite, dalle lenti leggermente scure, per leggere il menu che le avevano appena portato. Una cameriera dall’aria paciosa e sorridente le chiese in inglese che cosa avesse desiderato ordinare, ma lei rispose in francese: voleva il liquore della casa e dei biscotti di pasticceria. Un cameriere, poco più che ventenne, si sentì come trasalire, nell’osservare quella donna, e la signora che gestiva il locale, dalla cassa, gli lanciò un’occhiata complice, ma, allo stesso tempo di rimprovero.
-Cammina che potrebbe essere tua nonna, neh…- gli mormorò poi la donna, quando il ragazzo le si avvicinò per darle un’ordinazione.
Poteva essere sua nonna, sì, quella donna raffinata, seduta al tavolino del caffè torinese, ma era molto bella ed era impossibile non rimanere a bocca aperta, nel guardarla. Sollevò delicatamente il bicchiere e sorseggiò il piacevole liquore della casa, accompagnandolo con uno dei biscottini che le avevano portato. Era tanto tempo che non tornava in Italia e si era fermata a Torino perché non conosceva quella città, che in tanti le avevano consigliato di visitare, per la sua bellezza unica e composta. Accavallò le gambe, avendo poi premura di coprirle con il suo vestito chiaro di lino. Dei sandali bordeaux lucidi e con il tacco alto le fasciavano le caviglie. Desiderava accendere la sua sigaretta elettronica, ma poi desistette dal pensiero di farlo: non le sembrava corretto spargere del vapore in quel locale così bello. 
Pagò il conto ed uscì, pronta per passeggiare per Torino, con in mente un unico pensiero: ritrovare delle persone, una in particolare, della cui presenza in Italia aveva saputo dall’informatore più attendibile che lei potesse conoscere. Quella donna era Fujiko Mine, l’informatore un suo amico di vecchia data italiano e la persona che presto avrebbe visto-ne era convinta-era Lupin III, con cui aveva perso i contatti ormai da parecchi anni. Mentre attraversava la strada per percorrere i portici di via Pietro Micca, per poi raggiungere l’elegante piazza Solferino, Fujiko mise una mano nella sua borsa, per tirare fuori il suo smartphone e chiamare l’informatore. Giunta nella piazza, si sedette su una panchina e gli telefonò. 
-Allora, Guido, novità?-
-Si trova a Roma e con lui c’è anche Daisuke Jigen-
“Due piccioni con una fava” pensò lei.
-Non mi hai ancora detto perché vuoi vedere quel ladro, lo hai sempre respinto e trattato come…-
-…fatti miei, Guido, semplici fatti miei-
“Roma” pensò “…quante volte ci siamo stati e quanti furti insieme!”
Nonostante avesse avuto un colpo di fulmine per la città sabauda, Roma era quella che amava di più e, nonostante  non ci fosse più tornata, da quando si era ritirata fuori Parigi, la ricordava bene. 
La mattina seguente prese un treno dell’alta velocità, con un groppo in gola per aver salutato la stazione torinese di Porta Susa. “Tornerò in questa meravigliosa città”, pensò tra sé e sé, mentre un giovanotto le si era seduto accanto, dopo aver controllato sul biglietto se il suo fosse il posto giusto.  Si sentiva osservata e, sbirciando il biglietto del giovane, lesse la sua destinazione, Roma Tiburtina e gli chiese, in inglese, qualche informazione sulla capitale italiana. “Bene” pensò tra sé e sé “da quello che ho capito, dovrò prendere un altro treno e poi da lì una sorta di metropolitana, per andare a Ostia, sul mare: Lupin e Jigen si trovano lì”.


Roma
Appena arrivata a Roma controllò l’indirizzo da raggiungere, Guido le aveva detto che Lupin e Jigen soggiornavano lì, da una sorta di affittacamere. Prese poi, dalla stazione Piramide, la cosiddetta “Freccia del mare”, la metropolitana all’aperto che porta a Ostia, il litorale di Roma. Appena arrivata alla stazione Ostia Centro, fece una passeggiata per l’isola pedonale, che trovò deliziosa, mentre gustava il sole che le toccava la pelle e la brezza che le passava una mano tra i capelli. Si recò poi nel luogo in cui sapeva di poter trovare i due ladri. Non li vide e decise di riprendere la sua passeggiata. Si accorse poi che, seduti a un bar, c’erano due persone che somigliavano incredibilmente a Lupin e Jigen. Non sapeva come avvicinarsi a loro, non erano in contatto da tantissimo tempo ed era imbarazzata all’idea di rivolgere loro la parola. Si finse una turista e chiese ai due delle informazioni. 
-Sei sempre bellissima, cherie- le disse il primo uomo.
Non c’erano dubbi: era Lupin e l’altro Jigen.
Fujiko abbracciò entrambi gli uomini, faticando a nascondere una certa emozione nel vedere coloro che avevano trascorso con lei parte della sua vita.
-Arsene, tu invece sei un po’ ingrassato, ahahahaha…Daisuke, tu sembri più giovane ora!-
-Forse perché dimostravo tanti anni allora- le rispose Jigen, facendole l’occhiolino.
Fecero cenno al cameriere del bar di portar una sedia e da bere, Fujiko si accomodò, aggiustandosi il vestito, per non scoprire troppo le gambe. Lupin la osservava come un bavoso, proprio come accadeva tanti anni prima e ogni tanto buttava l’occhio anche Jigen. “Sono rimasti proprio gli stessi” pensò tra sé e sé. 
-Ci hai cercati?- domandò Lupin.
-Una coincidenza non mi pare- rispose la donna –e magari vi state domandando il perché: ho saputo della tua presenza in Italia, io ero nelle vicinanze e allora... Non credevo di trovare anche Jigen…Io però cercavo te, perché…no, va beh, perdonami, ma non posso dirti il motivo-
-Mi hai messo la pulce nell’orecchio, cherie: ora voglio saperlo, quel motivo-
-Non ti ho cercato per ferirti di nuovo, ma…ecco, la persona che mi ha riferito del tuo soggiorno a Roma mi ha anche detto che tu sei in contatto con Goemon-
-Sbagliato, mia cara, non sono io ad essere in contatto con Goemon, ma è Jigen. Io non lo vedo e non lo sento da tanti anni, esattamente come te, a quanto pare-
-Già, sono io ad essere in contatto con lui- affermò Jigen, versandosi da bere-ho io il suo numero di cellulare, però sappi che ora lui è fuori dal giro, è sposato da anni e ha tre figli, per cui…-
-…ti ringrazio per le informazioni, ma sei fuori strada, non ho intenzione di cercarlo per tornare insieme a lui, volevo solo rivederlo, come si fa con un vecchio amico e volevo cogliere l’occasione per vedere tutti voi-
-Non ce la racconti giusta, cherie!- intervenne Lupin.
-Non sono affari vostri, sinceramente-
-Che bel modo di salutarci, bellezza, Jigen ed io non ti vediamo da anni, ci cerchi e non ti degni di darci un minimo di spiegazione se non: “sto cercando Goemon”?-
-Lasciala perdere…non darle confidenza, siamo stati così bene questi anni senza cacciarci nei casini per mano sua…E comunque, Fujiko, noi siamo in partenza per New York, andiamo a trovare mia figlia-
-Figlia?-
-Sì, ho avuto una figlia, sono cose che nella vita possono accadere…a te non è capitato, per caso?-
Fujiko si azzittì, sentì di avere gli occhi lucidi e di trattenere a stento le lacrime. Indossò gli occhiali da sole, alzandosi dal tavolo del bar e tirando fuori delle monete per pagare la sua consumazione-
-Che fai? Vuoi andare via?- domandò Lupin.
-Sì, ho capito di non essere la benvenuta…Jigen, il numero di Goemon puoi tenertelo e dimenticatevi di avermi vista-
Si incamminò, ma Lupin le corse incontro, dandole un biglietto: 
-Ecco il numero di Goemon…Non ho smesso di credere che per te avrei sempre fatto tutto, andando anche contro me stesso-
Poi abbracciò la donna, che ricambiò l’abbraccio, dandogli poi un bacio sulle labbra.
-Sappi che non ho mai smesso di volerti bene, Arsene, forse perché siamo uguali e io un po’ di bene verso me stessa lo provo-
-Non mi lasci il tuo numero?-
-Non ce n’è bisogno: ti ritroverò lo stesso, così come ritroverò il tuo affascinante amico pistolero…A presto!-
Fujiko si rese conto che Jigen, pur non avendola salutata, non aveva smesso di osservarla, mentre se ne andava via. Sentiva il suo sguardo su di sé. A differenza di Lupin, lui non era mai stato in grado di dirle quello che provava per lei, un sentimento malcelato dietro a un finto odio che, nel corso degli anni, veniva placato ogni qual volta, dopo una violenta litigata, erano finiti a letto insieme. Anche se poteva sembrare il contrario, era Lupin quello più forte dal punto di vista emotivo.
-Ce la siamo lasciata sfuggire, anche questa volta- commentò Jigen a mezza voce. 
Lupin lo guardò, gli fece un sorriso che aveva il sapore dell’amarezza e poi si accese una sigaretta.
Fujiko era sul balcone del suo albergo, in via Veneto, che contemplava con una certa malinconia, pensando che quella via sontuosa non fosse più quella della Dolce Vita -che lei un po’ aveva frequentato giovanissima negli anni Sessanta-ma una strada dove la facevano da padrone gli autobus, i bar per turisti e questi ultimi sudaticci con zaini pieni, i panama in testa e terribili sandali ai piedi. Tirò poi fuori il suo smartphone e prese in mano il bigliettino con  il numero di Goemon, come se fosse una reliquia. Si sentiva tremare, proprio lei che non temeva mai niente e nessuno, nemmeno nelle innumerevoli situazioni pericolose in cui negli anni si era venuta a trovare. Compose il numero, non le importava di spendere un patrimonio per una telefonata, i soldi non le mancavano. Si sentiva le forze meno e provare quella sensazione che conosceva solo quando si trattava di lui, l’unico che, dal punto di vista emotivo, sapeva ridurla ai minimi termini: la paura. Sì, aveva paura e tanta. 
-Pronto…-
Eccola, era la voce calda e inconfondibile di Goemon.
-Chi parla?-
Fujiko era tentata di chiudere la conversazione, ma poi non lo fece, raccogliendo tutta se stessa in un unico gesto di coraggio: pronunciare il nome di lui.
-Fujiko…sei tu, Fujiko, vero?-
Colse un guizzo di emozione, quando lui le chiese chi fosse.
-Sì, Goemon, sono io-
Ci fu un momento di silenzio, che sembrò, in realtà, durare ore.
-Non dare la colpa a Jigen, che mi ha dato il tuo numero: sono stata io chiederlo, sono stata io a cercarti. Ti prego, non riagganciare!-
-No, non lo sto facendo…Dove sei?-
-Sono a Roma e tu?-
-Kyoto…ma tu vorresti…-
-Sì, vorrei vederti, Goemon, vorrei solo salutarti, una rimpatriata come si fa con i vecchi amici. Ho salutato anche Lupin, oltre a Jigen-
-Sono più di trent’anni che non ci vediamo e…-
-Lo so. Ma se tu non vorrai, a me fa già piacere averti sentito. Mi preme solo sapere se stai bene, mi basta questo-
-Sto bene…dammi due giorni di tempo, non lasciare Roma: ti raggiungerò-
-Ma no, non…-
-Non muoverti da lì, mi devo fare tredici ore circa di viaggio per salutarti, se non mi aspetti credo che mi arrabbierò tantissimo-

Mezza giornata in aereo quanto poteva essere, se confrontata con tre decenni di lontananza reciproca? È ciò  che doveva aver pensato Goemon il quale, tre giorni dopo quella telefonata, era giunto a Roma, per rivedere Fujiko. Sapeva che non lo aveva carcato per trarlo in inganno, come aveva fatto in passato, sapeva che, dall’ultima volta che si erano visti, Fujiko era già da tempo una donna diversa, oltre ad essere colei che gli aveva fatto scoprire l’amore, quando lui era poco più che un adolescente. 
L’appuntamento era davanti all’hotel in cui soggiornava Fujiko. Quando lui arrivò, in abiti tra il sobrio e l’elegante, lei non era ancora scesa dalla sua stanza. Forse non era nemmeno all’interno dell’hotel. Invece, era lì e scese pochi minuti dopo e rimase immobile nel vedere che Goemon era proprio davanti a lei. In quell’attimo li separavano pochi metri e tre decenni in cui non si erano più visti. Fujiko esitò ad avvicinarsi e rimase sorpresa di come lui non fosse cambiato quasi per niente, nonostante fosse brizzolato e avesse i tratti del volto leggermente induriti. Ma non avrebbe mai avuto dubbi sul fatto che fosse lui. Il suo aspetto elegante e virile lo avrebbe riconosciuto anche a chilometri di distanza. Si salutarono e rimasero, per un attimo, abbracciati.
-Ma...Goemon, come mai hai il bagaglio con te?-
-Perché non ho trovato ancora un posto dove sistemarmi...sono partito così di fretta da non aver avuto tempo di prenotare una stanza in un albergo-
-Va bene, allora posso chiedere se...-
-...s-se hanno una stanza così almeno non perderemo tempo per darci appuntamento e...-
-Veramente intendevo nella mia, di stanza, è enorme ed è divisa in due parti, avrai comunque una zona tutta tua-
Goemon accettò la proposta di Fujiko, che era arrossita. “Praticamente è come se gli avessi chiesto di dividere con me la mia camera d’albergo, non vorrei fraintendesse” pensò tra sé e sé la donna. 
Cosa poteva fraintendere colui che aveva diviso tanti momenti con lei e per giunta di profonda intimità? Ma erano passati molti anni e il ghiaccio tra i due poteva essersi nuovamente formato. Goemon, però, non sembrava affatto imbarazzato, nonostante stesse mantenendo un atteggiamento discreto, che però non lasciava a Fujiko molti dubbi: non aveva prenotato alcun albergo per poter finire nella sua stanza e tutto ciò era più chiaro del cielo assolato di prima mattina. Del resto lui era sempre stato così, ossia diretto, ma senza essere mai troppo insistente, e questo modo di fare l’aveva conquistata, al contrario di quello di Lupin, fin troppo invadente, e di Jigen, troppo cinico per i suoi gusti.
Fujiko era andata a riferire in reception che Goemon avrebbe diviso la sua suite con lei e proprio lì si recarono poco dopo. Entrambi avevano bisogno di sistemarsi, per poi poter uscire insieme. “Non posso crederci: sono di nuovo con lui”, pensò Fujiko, mentre si faceva una doccia. Goemon, invece, si era messo a riposare nella sua parte di stanza, divisa da una porta da quella della donna che lo aveva invitato a stare da lei e che, dal primo momento in cui lo aveva rivisto, non aveva smesso di avere il batticuore. “Mi sento le palpitazioni come i primi tempi in cui stavamo insieme” pensò ancora lei “come quando mi diceva di essere innamorato di me. Ma gli piacerò ancora? Se mi ha raggiunto forse sì...”. Si abbandonò per alcuni istanti ai ricordi, ai momenti in cui avevano condiviso la vita insieme, oltre i furti con la banda, che col tempo aveva iniziato a diventare sempre meno importante, perché esistevano solo loro due e il loro amore, così forte fino al punto in cui si era resa conto di aspettare un bambino, concepito durante una memorabile vacanza ad Acapulco, meta gettonata tra gli anni Settanta e Ottanta. E l’anno di quel soggiorno messicano era stato il 1979. Ma il bambino era poi nato morto e Fujiko, per un po’, non doveva averne, per ordine dei medici. Nove mesi di entusiasmi, aspettative e il progetto di sposarsi ma, invece, quel dramma aveva distrutto la coppia e col tempo i due si erano allontanati. No, non doveva più pensare ai lati più tristi della sua vita, Fujiko, perché era di nuovo con il suo Goemon. Non era più suo, ma di un’altra da parecchi anni, ma sentiva che ognuno era sempre parte dell’altro, altrimenti lui non si sarebbe trovato mai in quella suite.
Decisero di uscire, iniziando a passeggiare prima per via Veneto e poi soffermandosi ad osservare la bellezza del Tritone di piazza Barberini. Parlavano poco e non delle rispettive vite, si guardavano intorno e ogni tanto esprimevano un giudizio su ciò che li circondava.
-La plasticità di questa statua mostra tutta la sua magnificenza e forza fisica- commentò Goemon- non ero mai stato in questa piazza-
-Già, è davvero bello- rispose Fujiko, “come sei sempre stato tu”, pensò poi tra sé e sé. 
Si scambiarono un sorriso, poi ripresero a camminare, soffermandosi a guardare alcune vetrine di via del Tritone. Fujiko si rendeva conto che stavano compiendo le stesse azioni di quando erano una coppia, ma non erano né per mano né abbracciati e, apparentemente, tra i due c’era freddezza, anche se ogni tanto si guardavano dritto negli occhi, come se fossero pronti ad avvicinarsi per darsi un bacio. 
Si spinsero lungo via del Corso, dove la moltitudine di gente che si accalcava davanti alle vetrine dei negozi in franchising rendeva la passeggiata piuttosto fastidiosa, anche se Fujiko si sentiva felice di prendere Goemon sottobraccio.  Lui sembrava esserne contento. Decisero di cenare in un ristorante giapponese molto noto nella Capitale per essere tra i migliori, con autentica cucina nipponica. Il posto era elegante, la clientela numerosa, ma regnava il silenzio, poiché nessuno si azzardava a fare la minima confusione.
-Perché mi hai cercato?- domandò Goemon, dopo aver posato il menu –Lo so, la mia domanda è banale, ma fino ad ora stranamente non te l’avevo posta-
Fujiko per un attimo esitò a rispondere.
-Perché nella vita si ha sempre voglia di rivedere dei vecchi amici. Non succede solo a me, Goemon-
-Non ricordo di essere mai stato tuo amico- le rispose l’uomo, accennando un sorriso. Poi arrivò una cameriera.
Furono ordinati diversi piatti, il conto sarebbe stato salato, ma Fujiko e Goemon non erano sprovvisti certamente di denaro. 
-Ti chiedo scusa- riprese a parlare Goemon, ma...se hai intenzione di coinvolgermi in qualche furto...insomma, credo che Jigen ti abbia detto che nella vita ormai faccio tutt’altro che il ladro. Ho già pagato il conto salatissimo del mio passato-
- Beh, anche io ho dovuto pagare il mio conto, cambiando identità, grazie alla quale non ho fatto un giorno di carcere. Comunque non ho intenzione di commettere furti né di rimettere in piedi la banda: non ne ho bisogno, sono molto ricca-
-Ce l’hai fatta a diventarlo...volevi questo dalla tua vita, giusto?-
-Perché, a te sono mai mancati i soldi? Sei ricco di famiglia e hai seguito la via della spada perché cercavi il brivido, in fondo. Un ribelle mascherato da tradizionalista...E ora non mi sembri un morto di fame. Comunque, non so se il mio obiettivo principale, nella vita, fosse di essere ricca-
-Nessuno ha la certezza di quello che vuole davvero dalla propria vita...Comunque, hai ragione, non sono un morto di fame, vivo di rendita anche io, perché anche mia moglie è ricchissima e gestiamo un dojo dove insegniamo ai ragazzi a usare la spada. Gratis, ovviamente-
Al tavolo arrivarono le prime portate.
-E com’è tua moglie?-
Goemon tirò fuori il suo smartphone e mostrò a Fujiko una foto di sua moglie.
-Ma quanti anni ha? Sembra molto più giov...
-H vent’anni meno di me...-
-Jigen mi ha detto che avete tre figli-
-Sì, il maschio di 20 e le due femmine di 17 e di 10. Tu invece?-
-Io cosa?- 
Fujiko aveva un tono quasi allarmato. Poi guardò le foto dei figli di Goemon.
-Sei sposata? Hai famiglia?-
-Mi ero sposata, quindici anni fa, con un coreano cresciuto in Giappone. Era un bell’uomo, alto, espressione perennemente enigmatica e allo stesso tempo ironica, labbra piccole e carnose. Mi ero infilata in un casino e lui mi aveva tirata fuori. Poi ci eravamo innamorati, ma il matrimonio era durato solo due anni:scoprire che era affilato alla yakuza mi fece provare disgusto per lui e lo lasciai. Da allora mi sono trasferita vicino Parigi-
-Forse non lo amavi sul serio. Non si lascia un uomo solo perché è uno yakuza, visto che anche tu provieni dal mondo criminale, non ti pare?-
-Non lo so...comunque no, non ho avuto figli. Non sono diventata genitore come te-
-Ti sbagli, tu lo sei stata, cioè...-
Ci fu un attimo di silenzio:avevano iniziato a mangiare.
-No...lui non l’ho mai visto vivo e...-
-...ma era pur sempre nostro figlio!-
La cena proseguì, i due non si parlarono fino a quando non uscirono dal ristorante. Il conto lo aveva pagato Goemon. Non avevano litigato, ma, semplicemente, non ritennero necessario parlare. Si fermarono a piazza San Silvestro, si sedettero su una panchina e Fujiko si guardò intorno, per osservare la gente che transitava nella piazza o che si sedeva. Si mise a fumare la sua sigaretta elettronica e si accorse che Goemon la stava fissando.
-Fujiko...ma tu...ecco...come ti senti? Dentro di te, dico-
-Mah...la vita poteva offrirmi delle chance migliori, però i cocci rotti li ho raccolti tutti, anche se ancora soffro per tanti aspetti. Tu, invece, ti senti davvero realizzato?-
-Sí, sono sereno-
-Non potrebbe essere diversamente:hai una bella moglie, tre figli bellissimi...sai che le femmine sono identiche a te? Mi fa piacere che tu sia felice-
-Chi ti ha detto che io sia felice? Ho detto solo che sono sereno. Sono due cose diverse-
-Ma, scusa...-
-Sto benissimo con mia moglie e non ho nessun rimpianto, conduco una vita molto agiata, circondato da molto affetto, ma la felicità è un’altra cosa-
Non parlò più e sfiorò la mano sinistra di Fujiko.
-La felicità eravamo noi quattro,vero? La nostra banda...-
-No, per me esistevi solo tu-
Fujiko appoggiò la testa sulla spalla di Goemon, entrambi poi rimasero a osservare la luna che riusciva a non farsi coprire completamente  dai palazzi della piazza, che iniziava a spopolarsi. Poco dopo si incamminarono, in una via del Corso semi-deserta e, indecisi su dove andare, si spinsero a Piazza del Popolo, dove presero un taxi.
Era quasi mezzanotte e, appena rientrati nella loro suite, Goemon era pronto a ritirarsi nella sua parte e diede la buonanotte a Fujiko, ma, pochi attimi dopo, entrambi sentirono bussare alla porta. La donna aprì e vide il portiere che recava un mazzo di rose rosse. Non erano tante, ma la composizione era originale e bella, di gusto. 
-Scusate, questi sono per la signora che soggiorna in questa suite-
-S-sono per me? Non vedo nessun biglietto-
-Eh, non lo so, ma mi hanno detto di portarli qui-
Fujiko ringraziò, si girò verso Goemon, ma lui si era ritirato a dormire. Bussò alla sua porta.
-Goemon...stai già dormendo? Volevo sapere se...No, niente-
“Ma se è stato lui, quando li avrà presi?” si domandò. Sperava fosse lui ad averglieli regalati. 
Goemon aprì la sua porta.
-Ti stai chiedendo quando li abbia presi? Appena sono arrivato a Roma, ho poi chiamato questo hotel e ordinato di farteli portare in camera stasera. Semplice,no?-
Fujiko ringraziò e riuscì a stento a trattenere le lacrime.
-L’ho fatto per esprimerti la mia gratitudine per esserti ricordata di me, per avermi pensato e perché...questa è la serata più emozionante che abbia mai vissuto da...da quando quella volta mi avevi detto che avremmo avuto un figlio:io ti amo ancora, Fujiko Mine-
-Anche io...-
-Il tempo ci ha divisi, ma noi siamo stati più forti di lui-
Si diedero un bacio, poi un altro e tanti altri ancora, ma quella notte Goemon non tornò a dormire nella sua parte di suite. Il passato era tornato a farsi sentire, suggellato da una notte d’amore durante la quale sembrava che, per Fujiko, le lancette dell’orologio avessero fatto un balzo indietro:lo stesso modo di accarezzarla e di prenderla, la stessa intensità di respiro che sentiva su di sé mentre lui la amava. Un brivido l’attraversò per tutto il corpo, dopo che ebbero finito. Ogni cosa era tornata al suo posto, almeno quella notte, perché entrambi sapevano che presto si sarebbero nuovamente separati, per tornare alle rispettive vite. Ma si erano ritrovati e, per loro, contava solo questo.
(C) Fujikofran 


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