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Autore: Macy McKee    06/09/2015    0 recensioni
[Ambientata durante l'espisodio 12 di Eternal summer]
Non era un problema – non era nemmeno strano – vedere gli occhi chiusi di Rin così vicini da scorgere la trama della pelle sulle palpebre. Non lo era neanche guardarlo e rendersi conto che si era avvicinato abbastanza da respirare sul suo cuscino, respiri regolari che Haruka avrebbe potuto contare se avesse voluto.
E a ogni respiro la domanda riecheggiava fra le pareti. Gli aveva chiesto se non aveva provato nulla, quando si erano affrontati.
Haruka non aveva risposto, e ora il quesito era tornato a tormentarlo nel sonno e negli istanti di veglia.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Haruka Nanase, Rin Matsuoka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note: Scritta per l'event Winter is coming week del gruppo We are out for prompt su Facebook, per il prompt " RinHaru, Haruka non capiva le situazioni. Anche con Rin che respirava sul suo cuscino, continuava a non capirle."
È il mio debutto in questo fandom, e dato che solo nell'ultima settimana devo aver scritto un migliaio di storie su questo anime, probabilmente sarà l'inizio di una lunga permanenza qui.
Ambientata durante il viaggio in Australia in Eternal Summer.
Se siete come me, sarà fonte di frustrazione U.U
 Deep within your own mind

You hold the answers deep within your own mind.
Consciously, you've forgotten it.
That's the way the human mind works.
[Understanding - Evanescence]
 
Haruka si era addormentato con le onde dell’Oceano che avevano sorvolato che gli riempivano la mente e si era svegliato con l’eco delle parole di Rin che gli rimbombava nelle orecchie.
Si era svegliato di scatto, come dopo un incubo. Come quando durante la notte l’acqua lo tradiva in un vortice di dubbi e timori e gli toglieva l’aria.
Questa volta, però, non si sentiva soffocare.
Al contrario, sembrava stranamente naturale svegliarsi così.
Come se la continuità fra l’addormentarsi pensando all’acqua e lo svegliarsi pensando a Rin fosse un dato di fatto.
Lo era.
Haruka non lo comprendeva a fondo – non comprendeva e decideva di non comprendere molte cose -, ma, in qualche modo, i due mondi erano profondamente connessi. Il mondo in cui viveva per nuotare e sentire l’acqua accoglierlo e il mondo in cui Rin era al suo fianco – o davanti a lui, sfidandolo a raggiungerlo.
Non comprendeva, Haruka, che l’idea di allontanarsi da entrambi i due mondi faceva un po’ paura. Non se n’era reso conto quando aveva affrontato Rin durante il torneo, quando aveva sentito il bisogno di non permettergli di abbandonare.
Non voleva ammetterlo, forse.
Ma la domanda rimasta senza risposta, un pugno chiuso e una fitta allo stomaco come uniche repliche, risuonava ancora nella stanza.
E Haruka non capiva. Non capiva il significato dell’importanza che la sua mente attribuiva a quella domanda e non capiva perché, in qualche modo, sentisse il bisogno di includere Rin nel suo futuro.
E nel suo presente.
Era ancora più difficile da elaborare, forse, la consapevolezza di aver incluso senza rendersene conto coscientemente l’amico nel suo presente. Eppure, sembrava così naturale che Rin fosse lì che Haru aveva impiegato diversi minuti per rendersi conto che il ragazzo si era avvicinato un po’ nel sonno.
Di certo non è stato un problema per lui, aveva pensato Haru, facendo eco alle parole che aveva rivolto a Rin quando avevano spento la luce. Che non sarebbe stato un problema condividere il letto, una volta addormentati, così gli aveva detto.
Non lo era nemmeno ora che gli occhi di Haru erano aperti e scrutavano l’oscurità, anche se lui non afferrava il significato di questo.
Non era un problema – non era nemmeno strano – vedere gli occhi chiusi di Rin così vicini da scorgere la trama della pelle sulle palpebre. Non lo era neanche guardarlo e rendersi conto che si era avvicinato abbastanza da respirare sul suo cuscino, respiri regolari che Haruka avrebbe potuto contare se avesse voluto.
E a ogni respiro la domanda riecheggiava fra le pareti. Gli aveva chiesto se non aveva provato nulla, quando si erano affrontati.
Haruka non aveva risposto, e ora il quesito era tornato a tormentarlo nel sonno e negli istanti di veglia.
Non aveva provato qualcosa, quella volta?
Non significava altro che ciò che era stato detto, ma nella mente di Haruka la domanda assumeva un valore diverso.
Diventava un “Hai provato qualcosa che vuoi provare di nuovo, nel futuro? O vuoi rinunciarci?”
In alcuni momenti, quando i suoi pensieri si facevano un po’ più confusi, diventava anche un “Non provi nulla?”
Rin lo considerava incapace di provare emozioni?
No, Haruka sapeva che non era così.
Era solo un po’ troppo difficile comprendere le emozioni, a volte.
Lo era anche in quel momento.
Il desiderio di non permettere all’amico di uscire di nuovo dal suo futuro e il suo respiro così vicino, e lui non capiva. Non capiva le situazioni, Haruka. Non le capiva nemmeno in quel momento.
Era sempre stato bravo, ad allontanare le domande difficili. Ad allontanare le persone nell’istante in cui queste si preoccupavano per lui, perché le preoccupazioni altrui lo incatenavano, portavano coloro che gli stavano intorno a premere perché prendesse una certa direzione.
Non aveva allontanato Rin, però.
Gli aveva permesso di preoccuparsi per lui e gli aveva permesso di avvicinarsi – di avvicinarsi in ogni senso, come in quel momento.
Continuava a non capire – a non capire le situazioni e a non capire se stesso.
Aveva trovato una risposta, o una parvenza di risposta, un istante prima che il sonno lo raggiungesse di nuovo. La risposta alla domanda e la risposta ai dubbi. Insieme alla risposta, sarebbe potuta arrivare la consapevolezza di dove si trovava. Di cosa – chi – era accanto a lui, così vicino da non poter essere allontanato.
Ma si era addormentato, e al suo risveglio ogni ricordo della sua veglia si era dissolto in un vortice di sogni confusi.

 
   
 
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