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Autore: Shrader__    06/09/2015    1 recensioni
Sam è un ragazzo 'atipico', come a lui stesso piace definirsi. Spettatore dei continui tentativi dei genitori di nascondere i loro problemi coniugali e di una vita che non gli appartiene, custode di un segreto che ferisce e cura il suo cuore allo stesso tempo, l'adolescente sceglie di avvolgersi in un bozzolo fatto di commenti taglienti e cinicamente ironici su ogni cosa e persona che incontra.
Dopo l'arrivo di una ragazza, però, il mondo di Sam subirà uno stravolgimento, e non sarà l'amore a cambiarlo. Sarà una scoperta a renderlo sensibile a ogni cosa che gli accade intorno.
Tutti lo proteggono, tutti lo ingannano. Sam camminerà sospeso sul sottile filo che separa realtà e menzogna. Cadrà. Una volta nella realtà, quella seguente nella menzogna.
Intraprenderà un viaggio attraverso il suo passato e le sue emozioni, con una compagna dalla personalità ambigua e difficile da comprendere. Tutto ha a che fare con il suo passato, niente gli appartiene nel suo presente. Anche la sua relazione amorosa, forse l'unica base solida su cui può poggiare i piedi, verrà scalfita e vacillerà. Un'unica parola fungerà da chiave per raggiungere la verità: Sam.
Genere: Comico, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Dopo aver visto la sagoma di Audrey scomparire in una vialetto qualche decina di metri più avanti, decisi di rientrare anch'io. 
La prima giornata a scuola non era stata granché proficua, se si esclude l'incontro con la mia nuova amica. Frequentavo il secondo anno delle superiori alla mia vecchia scuola. In effetti non mi è dispiaciuto molto abbandonarla, se non per qualche piccolo dettaglio. Diciamo che non ero quello che si definirebbe "sfigato", ma ci andavo molto vicino. Avevo pochi amici e quelli che avevo non erano molto contenti della mia presenza. Non voglio fare la vittima, ho un carattere piuttosto complicato, direi atipico. Sono il solito ragazzo disadattato, figlio di genitori tutto sommato amorevoli ma piuttosto devoti al trasloco facile. Non mi dispiace molto, però mi sento sempre un po' sballottato. Sono storie trite e ritrite, cose che sono frequentissime in questo continente - e nel mondo, credo -. Non mi sento l'ombelico del mondo. 

Prima di rientrare controllai l'interno della mia bella villetta verde acqua. Mia madre stava ancora scavando in uno dei mille scatoloni ancora imballati. Siamo qui da due settimane e c'è ancora roba da sistemare. Sembrava di essere in una puntata di Sepolti in casa.
Iniziai a cercare la chiave nuova di zecca all'interno della tasca interna dello zaino. Infilai la mano e iniziai a spostarla a tentoni nella sacca di tessuto. La chiave non c'era. Odio disturbare mia madre, perché quando si concentra nel mettere a posto entra nel suo mondo. Interrompere la sua fase creativa significa scatenare una sicura reazione negativa. Dopo una preparazione psicologica a quello che mi aspettava, premetti il bottone. Il campanello emise uno strano rumore metallico, sembrava una papera robot. 
«Chi è adesso?!»
Il tono non era amichevole. Fa sempre così, anche se non si è vista ombra d'uomo dal primo mattino.
«Sono io, mamma.» Lo dissi con un leggero tono sommesso. C'era un'implicita richiesta di scuse.
«Sam, ma a che cazzo ti servono le chiavi se non ad aprire la porta?!»
Mia madre non è un tipo volgare, ma in quei momenti tira fuori il meglio di sé. Non si preoccupa che io possa assumere atteggiamenti violenti o ripetere quello che dice da quando avevo sette anni. La fase mamma-gentile-e-amorevole se n'è andata per lasciare spazio alla modalità casalinga-disperata.
«Scusa mamma, credo di averle lasciate dentro stamattina. Potrai mai perdonarmi?» Chiedo quando mi si staglia la sua figura accigliata e furiosa sulla soglia. Ero ironico e questo accentua l'incazzatura. 
«Vedi di non fare tanto il deficiente e entra» 
Okay, era meglio se sgattaiolavo di sopra mentre cercava di ricordare dove andava messa quella ciotola di ceramica. Avrebbe potuto lanciarmela contro entro i seguenti dieci secondi. 
Quando salii la scalinata sentii mia madre imprecare. Sapevo che quando avrebbe esaurito il suo repertorio di parole poco carine pronunciate in modo rabbioso sarebbe tornata la mamma amorevole e apprensiva di sempre. A volte penso che soffra di doppia personalità, ma non gliene parlerei mai. Soprattutto in quei momenti. 

Una volta entrato in camera - occupata per tre quarti da scatoloni vuoti e per il restante quarto da roba presa da quegli scatoloni ancora ammassata per terra e sulla scrivania - sprofondai nel mio bel lettone nuovo. Era uno degli aspetti più positivi del trasloco a Colton Hills. Mi immobilizzai a fissare un gigantesco ragno che stava tessendo un'elaborata ragnatela che pendeva qualche metro sopra il mio naso. Non sono un tipo schizzinoso, almeno non in fatto di insetti e aracnidi. Mi avrebbe fatto compagnia. Lo avrei chiamato Willy. Il mio secondo amico. Niente male, Sam, proprio niente male. 
Era uno di quei momenti filosofici in cui fissi qualcosa e pensi all'andatura della tua esistenza; il che non è particolarmente piacevole se sei Samuel Everston.
Il momento intimo con la mia mente venne disturbato dallo squillo ovattato del mio Motorola. Era un trillo piuttosto fastidioso accompagnato dalla consueta vibrazione sconnessa. Guardai lo schermo. Un numero qualsiasi. Lo rilessi più volte. Nada. Decisi di non rispondere. 
Ripresi il mio momento di riflessione. Ero in piena lotta con l'istinto di andarmi a prendere una lattina di Red Bull, quando il cellulare ricominciò a suonare e a vibrare. La cosa mi urtava non poco. Sono un tantino irascibile, forse non si è notato. 
Sempre quel numero che non aveva uno straccio di significato per me. Che seccatura. Siccome sono un dio generoso, decisi di rispondere.
«Pronto?»
«Ehi, ciao!» Stavo cercando di identificare la voce femminile allegra e spensierata, poi ricordai.
«Audrey?» Il sospetto che fosse davvero una stalker in erba s'insinuò più insistente nella mia mente. 
«Volevo chiederti se ti va di...» La interruppi. 
«Audrey, come hai il mio numero di telefono?» Cercai di controllare il tono della voce, ma ero piuttosto inquietato e un tantino spaventato. 
«Hai presente gli elenchi telefonici? Oggi ci è stato recapitato quello aggiornato e c'era anche il tuo numero. Forte, no?» Un mistero era risolto. Se ne era creato un altro, però. 
«D'accordo, ma come sapevi il mio cognome? Non mi dirai che hai tirato a indovinare» 
«Certo che no! Non sono così fortunata. Ho chiamato tutti i numeri dei Samuel che c'erano, fino a quando non ho incontrato quello giusto. Qui a Colton Hills ci sono centoventiquattro Samuel, non è incredibile?» Il suo tono era davvero sorpreso e divertito. Okay, c'erano due possibilità: si era follemente innamorata di me oppure era una pazza schizzata. Propendevo per la seconda. 
«Non ti sembra un tantino esagerato? Avresti potuto aspettare domani e chiedermelo di persona» 
«Lo so, ma mi andava di uscire adesso e con qualcuno di nuovo. Quindi... andiamo al centro commerciale?» Il suo tono non era nemmeno vagamente timido o sommesso: era un tono normale, come se ci fossimo conosciuti da una vita e fossimo migliori amici da quando ci ciucciavamo il pollice. Che poi io non l'ho mai fatto. 
«Ehm... non lo so, sai, ho un po' di disordine in casa e volevo dare una mano...» non ero molto credibile. 
«So che non hai niente fare, stai mentendo.» Probabilmente era una strega o qualcosa del genere. 
«Dai, non ci staremo più di un paio d'ore!»

Fui costretto ad acconsentire. Stavo per andare al centro commerciale con una potenziale stalker che avevo visto solo una volta e che aveva passato la precedente mezz'ora a chiamare a casa di un centinaio di Samuel completamente a caso. Bravo Sam, stavi probabilmente mandando in frantumi la tua promessa di avere un primo rapporto consenziente.
   
 
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