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Di fronte al mutamento l’amore inorridisce più che di fronte alla distruzione.
Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano II, 1879/80
Ipocondria da cambiamento.
“Cos’è
questo?”
Molly
distoglie lentamente lo sguardo dalla provetta che sta reggendo. Sorride a
Sherlock e John, che sono appena entrati nel laboratorio. “Ciao, ragazzi,” li
saluta, posando la provetta e procedendo all’identificazione della successiva.
“Rispondi
alla domanda, Molly.” Se l’irritazione sul suo volto lascia adito a dubbi
legittimi (Sherlock tende ad esserlo con problematica frequenza e allarmante
facilità), il tono di Sherlock purtroppo è inequivocabile e lei non può
ignorarlo. “Cosa. È. Questo,” lo sente scandire.
“Ti
riferisci ai capelli?” Molly si stringe nella spalle con disinvoltura, nel
movimento i capelli le sfiorano le spalle in un’onda leggera e morbida.
“Niente. Mi andava di farlo, tutto qui. Avevo voglia di un cambiamento.”
Sherlock
ha un fremito visibile alla parola ‘cambiamento’, reagisce come se lei avesse annunciato
l’apocalisse o pronunciato il nome di
suo fratello. “E questa voglia di un cambiamento doveva necessariamente
concretizzarsi in un drastico cambiamento di immagine?”
Molly
non è sicura di riuscire a decidere cosa trovi più bizzarro: il fatto che
Sherlock prenda tanto a cuore la sorte del suo cuoio capelluto o l’uso,
assolutamente corretto, ma non meno inquietante, che ha appena fatto della
parola immagine. Riderebbe se solo avesse la certezza che la sua risata avrebbe
speranze di alleggerire la tensione nell’aria o di attenuare il fastidio che,
nonostante ogni buon proposito, ora sta suo malgrado provando. “Sono solo
capelli, Sherlock,” cerca di minimizzare, ma il suo buonumore è irrimediabilmente
compromesso e la sua voce suona più seccata di quanto vorrebbe.
“Ricresceranno.”
“So
bene come lavora la fisiologia dell’organismo umano e conosco le dinamiche dei meccanismi di base a livello molecolare delle funzioni di cellule e organi. Ciò di cui, tuttavia, non sembri palesemente tener conto è
il fattore tempo. Occorreranno anni
prima che raggiungano la precedente lunghezza.”
“Che anni siano allora!” sbotta
Molly, rivolgendogli un’occhiata gelida. “E con questo non ho intenzione di
spendere una parola di più sull’argomento.”
“Bene, ma se pensi che –”
Molly gli volge la schiena decisamente,
nello stesso momento in cui John decide di intervenire e con voce perentoria,
in cui il rimprovero e l’avvertimento sono indiscussi, lo richiama.
“Bene!” esclama Sherlock, anche
lui spazientito. Pur non avendo modo di osservarlo, perché di spalle, Molly può
immaginarne l’espressione alterata dal modo in cui è scattato. “Va bene!”
Rimane immobile, irrigidita nella
sua posizione concentrata fino a quando non sente le porte del laboratorio
sbattere con malagrazia, dopo che lui le ha attraversate per uscire. Allora
rilassa le spalle in un gesto di contrizione e stanchezza insieme, si passa una
mano tra i capelli, frustrata.
“Si può sapere che accidenti gli è
preso?” domanda a John. Lui la sta guardando con l’aria rammaricata tipica di
quando è costretto a rimettere insieme i pezzi che Sherlock si lascia dietro dopo
le sue esplosioni di rabbia, rigurgiti di noia e umore nero.
Molly si acciglia, si prende
l’estremità di una ciocca e la esamina criticamente, improvvisamente insicura.
“Anche a te sembrano tanto orribili?”
John solleva le mani, mostrandole
i palmi. “Sinceramente, Molly, sono i tuoi capelli. Non ritengo necessario che
sia io a ricordarti che sei liberissima di farci quello che vuoi per quel che
mi riguarda, anche tingerli di nero e sperimentare una di quelle pettinature in
stile punk. Solo, in quel caso avvertimi prima, okay? Voglio avere il telefono
a portata di mano per immortalare la faccia che farebbe Sherlock.”
Il ghigno che le rivolge è
irresistibile e Molly scoppia a ridere. “Consideralo fatto.” Sta per riprendere
la provetta che stava apprestandosi a studiare prima del loro arrivo, ma la sua
attenzione si proietta nuovamente sulle porte del laboratorio. Pensa a Sherlock
e si domanda dove possa essere andato, cosa stia pensando e facendo.
John segue la direzione del suo
sguardo e sospira, sfregandosi la nuca. Sembra sul punto di dirle qualcosa, ma
Molly lo procede. “Credi che dovrei –” muove le mani in quella direzione,
lasciando cadere la sentenza nel silenzio tra loro. Raggiungerlo, parlargli… dio solo sa come volesse concludere.
“Lasciagli un po’ di tempo per
sbollire. È di Sherlock che stiamo parlando. Reagire in modo esagerato fa parte
del suo carattere.”
A quello Molly non può che
annuire, ma lo fa meccanicamente, distratta. La sua mente sta elaborando,
compiendo voli pindarici. “Perché credi che lo abbia fatto? Reagire così,
intendo. In fondo si tratta soltanto di capelli.”
“I cambiamenti lo intimidiscono o
forse…” John la guarda con occhi improvvisamente straniti.
“Forse?” lo invita a proseguire.
“Niente, un’idea stupida.” Scuote
la testa. “Ma…”
“Cosa?” chiede Molly con maggiore
insistenza.
John non la sta più guardando, ma
la perplessità è sparita e sebbene quando le risponde suoni divertito, i suoi
occhi ora hanno una luce folgorata di comprensione. “Probabilmente i tuoi
capelli dovevano davvero piacergli.”
┌┘∫≈♪●◊▪∫└┐
“Questo cos’è?
Sherlock potrebbe innervosirsi per
l’insulsità della domanda, ma non è quello inaspettatamente ad offenderlo. È
piuttosto l’aria sconcertata che Molly aveva dipinta in faccia quando lo ha
visto entrare e ancora di più, lo è quella di confusione e cauta diffidenza con
cui adesso sta squadrando alternativamente lui e il pacchetto che pochi istanti
orsono le ha porto, dopo averlo preso dalla tasca interna del Belstaff.
Storce la bocca e cercando di non
darlo a vedere, espone brevemente: “Un regalo.”
Il suggerimento viene accolto da
Molly con un sbuffo e un’alzata d’occhi al cielo. “Questo lo vedo, solo che…
non capisco. Perché mi hai fatto un
regalo?” Lo fissa come un puzzle e se fosse un uomo diverso, dalla natura più
semplice e spontanea, Sherlock si sentirebbe a disagio per l’occhiata che lei
gli ha lanciato. Ma lei è Molly,
Molly Hooper e non lascerà che gli occhi della sua patologa di fiducia, per
quante emozioni riescano ad esprimere tutte insieme, lo innervosiscano.
Sherlock si esibisce in tutta la
sua altezza con un cipiglio inalberato, ma Molly non ne è particolarmente toccata,
anzi nemmeno sembra notarlo. Che l’atteggiamento di Molly nei suoi confronti
sia mutato è un mistero che gli è noto da tempo, eppure è in quel preciso
momento che si accorge della portata effettiva di quel drastico mutamento e di
quanto profondamente tutto ciò intacchi la sua sicurezza. È quasi con nostalgia
che ripensa alla vecchia versione di Molly. Quella Molly, con cui era così
semplice avere a che fare, non l’avrebbe mai fissato tanto sfacciatamente,
quella Molly aveva uno sguardo liquido di adorazione a cui non doveva spiegazioni,
non avrebbe mai dovuto dimostrare alcunché.
Sherlock si schiarisce la voce, si
costringe a guardarla quando l’istinto primo sarebbe di guardare ovunque tranne
che lei. “Mi dicono che sia consuetudine comune alle masse comprare un dono per
farsi perdonare un torto fatto a un amico. Nel nostro caso si tratta di un
presente per porgerti le mie sincere scuse. Ho reagito in modo infantile e mi
dispiace. Sei una donna adulta in grado di prendere decisioni sulla gestione
della propria vita e sul proprio aspetto fisico senza dover interpellare
nessuno, nella più completa libertà di pensiero e autonomia.” Il discorso è
stato snocciolato tutto d’un fiato e Sherlock non può che esserne fiero.
Peccato che Molly non appaia convinta. La sua concentrazione è tutta per il
pacchetto e le sopracciglia sono corrugate, ha la bocca serrata. Ciononostante,
quando rialza la testa, il suo viso è ammorbidito da una luce di indulgenza e
qualcosa di più sfuggente. Tristezza? Sherlock
cerca di indovinarne la natura.
“È stata Mary,” intuisce Molly con
ammirevole perspicacia. “Mary ti ha costretto a dirlo.”
Come se Mary o chiunque altro potesse
costringerlo a dire o fare qualunque cosa che lui non voglia. L’accusa è
infamante, ma Sherlock deve riconoscervi un fondo di verità, a dispetto di
tutto. “Forse,” riconosce, “ma non è questo il punto.”
Molly incrocia le braccia sul
petto, in chiaro segno di sfida. “No?” chiede, sfrontata.
“No. Ti sto dicendo che mi
dispiace. Mi sono comportato da –”
“Perfetto idiota?” gli viene in
soccorso con un sorriso impertinente.
“Non tirare la corda, Molly. Non
prendi la situazione con la dovuta serietà.”
“Dal mio punto di vista sei tu che
la prendi con eccessiva serietà. Ricordi? Non sono io quella da reazioni
esagerate, il che è esattamente il motivo
per cui ci troviamo ad avere questa discussione.”
“Potrei confutarti.”
“Pensavo fossi venuto ad
aggiustare le cose. Non è facendomi arrabbiare che le migliorerai.”
“Ci stiamo allontanando dal punto,”
la interrompe Sherlock. Fa un respiro profondo e poi spiattella la verità
scomoda che lo sta divorando come una tenia dall’interno: “Il punto è che mi
piacevano.”
Molly esita, per la prima volta
mostra un’emozione diversa dalla circospezione con cui l’ha trattato sin
dall’inizio. All’improvviso c’è una traccia di vulnerabilità assolutamente
inedita e si rincorrono ombre di ricordi passati. “Ti… piacevano?” indugia
sull’ultima parola come se non credesse lei stessa a quanto sta dicendo.
“I tuoi capelli, sì,” afferma
Sherlock con rinnovata sicurezza di fronte all’insicurezza di lei. “Certo che
mi piacevano!”
“Oh.” Molly si morde il labbro
inferiore ed è ritrovando ritagli della vecchia Molly che Sherlock capisce
appieno le ragioni della rabbia che le ha dimostrato per essersi tagliata i
capelli. Non la vuole diversa da com’è.
“E non potevi semplicemente dirmi questo invece che questionare?”
Sherlock fa per ribattere, ma
stranamente si ritrova a corto di parole. “Ammetto,” dice con una certa
difficoltà, “che sarebbe stata l’opzione più sensata e logica.”
“Lo sarebbe stata di certo!” Molly
sta sorridendo e lui deve costringersi a non sorriderle di rimando.
“Perciò è tutto sistemato ora.”
Il sorriso di Molly assume una
sfumatura più cupa e il glorioso trionfo di un attimo viene cancellato dal dubbio.
“Dipende.”
“Da quali fattori?”
“Uno solo,” risponde lei,
ricominciando a cincischiare il pacchetto regalo. “Da te, Sherlock. Credi di
poterti abituare a vedermi così? All’improvviso posso sembrarti diversa o…
estranea, ma credi di riuscire a non badarci più di quanto sia lecito?”
Sta per risponderle bruscamente
che quella sia in assoluto la cosa più sciocca che abbia mai sentito, ma un
particolare lo trattiene. Molly si è appena sistemata i capelli dietro le orecchie,
quei capelli che hanno dato il via a tutto, che lei ha brutalmente tagliato e
reso fatalmente diversi da quelli che lui aveva imparato ad ammirare, che ha
tinto di un colore così distante dalla calda gradazione a cui per tanti anni
lui ha contemplato con una fissità affascinata e ignara della quale si è
rifiutato di accettare l’esistenza.
Molly appare diversa, più sicura
di sé, più decisa nel prendere posizione, più disposta ad esprimere giudizi e
consigli non richiesti, a far valere le proprie ragioni, a far sentire la sua
voce che non tentenna oramai. Ma è la stessa Molly ostinata e sensibile, acuta
e perseverante, la costante amabile che gli dimostra il lato gentile del
coraggio, quello onesto della forza. È Molly e non cambierà, non importa cosa
succeda o di qualunque colore decida di avere i capelli. Sarà la stessa Molly
anche da vecchia e il suo sorriso rimarrà sempre una finestra di luce calda nel
mare di oscurità e freddo che a volte è la sua vita.
Sherlock si sente la bocca
asciutta. Non la vuole diversa da com’è, ma neppure la vuole uguale a com’era. Non
vuole il passato, si rende conto. “Non dire assurdità, Molly,” ribatte con un
accento di durezza che ricalca quello del passato. “Non saranno dieci pollici
di capelli tagliati a renderti diversa o un’estranea ai miei occhi.”
Il sollievo in Molly è istantaneo.
C’è un’ultima cosa, ancora.
Sherlock allunga una mano, lentamente, verso la fronte di Molly e le scosta con
delicatezza una ciocca, più corta e chiara di quanto sia mai stata da quando la
conosce, che le ricade sul sopracciglio. Se non fosse un pensiero sciocco,
direbbe che entrambi hanno trattenuto il respiro. “Questo nuovo taglio ti
dona.”
Molly gli sorride, grata, trova
l’altra sua mano e gliela stringe con forza. “Grazie, Sherlock.”
E se la mano temporeggia un attimo
più del dovuto, di quanto sia necessario, sulla testa in una carezza di
conforto, (lo stesso indugio deliberato simile a quello di un altro momento, un
bacio sulla guancia e un saluto che sapeva di addio), cosa c’è di male? In
fondo è di Molly la testa in questione.
E Molly cambierà, come ognuno di
loro, ma rimarrà sempre Molly.
N/A:
Torno dopo mesi di silenzio e
inattività con qualcosa che spero, per quanto piccola sembri e nei fatti sia,
essersi rivelata una piacevole lettura, tutto sommato. Ieri notte guardavo “Il
segno dei tre” e per caso, mentre ero su Tumbrl, mi è capitata sotto gli occhi
una foto adorabile di Louise Brealey, (http://redonline.cdnds.net/main/thumbs/17486/louise_brealey_02_copy__square.jpg) l’attrice che interpreta la nostra Molly e niente, dopo
mesi di nulla cosmico, mi sono sentita prudere le mani per la voglia che avevo
di carta e penna. Come al solito ovviamente ho lasciato che il formicolio
l’avesse vinta e rieccomi qui. È stato un anno un po’ fiacco questo, a
differenza di quello passato e delle ultime cose che ho scribacchiato nessuna
mi convince davvero, compresa questa. Mi era mancato tutto questo: voi, loro,
la sensazione di scrivere e il rileggere per la centomillesima volta, una volta
finito, per ricontrollare e fare i soliti accorgimenti, stare lì a litigare con
una parola di troppo o una che stona, un paragrafo troppo lungo, una frase che
non vuole proprio decidersi a suonare giusta, scorrevole.
Prometto che tenterò di essere più
presente (da marzo sono stati mesi impegnativi: nuovo lavoro, nuova città e rientro
a casa compreso). Nel frattempo spero che questa mia sia stata gradita e vi sia
piaciuta, almeno un pochino :) <3 <3
Ruta
SCENA BONUS - EXTRA
“Non puoi vendicarti di Molly,
tagliandoti i capelli.”
Tornato a casa, questa è la scena
che gli si presenta davanti, qualcosa di ricorrente nella sua quotidianità
domestica: Mary cerca di far ragionare Sherlock. È una lotta improba, ma John
preferisce concedersi un attimo di tregua, rifugiandosi in cucina, prima di
affiancarla.
“Perché?”
“Perché è infantile e stupido.”
“Esattamente ciò di cui parlo!”
Sherlock ha una nota di trionfo e la voce si Mary si fa pericolosamente bassa.
“Stai dicendo che Molly si è comportata in modo infantile e stupido quando ha
deciso di tagliarsi i capelli?”
Il silenzio di Sherlock sfuma nel
verso sconfortato di sua moglie. “Tu hai un grave problema,” la sente
dichiarare. Uno soltanto? pensa John.
“Sei un ipocondriaco del cambiamento.”
C’è di peggio. John
sorbisce lentamente il suo caffè, gioendo della conversazione nella stanza
contigua e ascoltandoli rallegrato. C’è
di peggio e cioè che reagisce al cambiamento con l’allarmismo di un fanatico
della teoria del complotto.
“Ripeti dopo di me, Sherlock.
Viviamo all’alba della modernità.” Il tono di Mary dissuade dal contraddirla,
ma Sherlock è un bastian contrario e ovviamente prova a ribattere.
“È davvero necessario?”
“Sono incinta e mi hai appena
fornito ottime ragioni per credere che tu sia un maschilista refrattario alle
pari opportunità, perciò fammi il favore di tacitare ogni protesta e ripeti
dopo di me.”
È in quel momento che John decide
di fare il suo ingresso nel salotto. “Io farei come dice se fossi in te.” Li
trova entrambi nelle solite posizioni, quelle che si era aspettato ed è un
feroce orgoglio che prova, constatando di avere avuto ragione, sapendo di
conoscerli a tal punto da riuscire a prevederne azioni e reazioni e
formulazioni di pensiero.
Mary è stesa sul divano, le
braccia che abbracciano la curva del pancione e le gambe sollevate sopra una
montagna di cuscini adibiti allo scopo. Sherlock, invece, è sprofondato nella
poltrona che gli piace chiamare sua, con la testa reclinata oltre il margine e
le braccia che penzolano dai braccioli come quelle di Cristo sulla croce.
“Nascondi il sorriso compiaciuto,
soldato,” lo redarguisce Mary, ma ha lo sguardo che ride.
“Sissignora.” John la asseconda,
mettendosi sull’attenti, prima di chinarsi a baciarla.
“E vai a comprarmi del pollo al
curry.”
“Vuoi anche qualcosa da bere?”
“Aggiungi un frullato ai mirtilli
e puoi aspirare a una promozione.”
“Vedi?” John si indica
platealmente, rivolto a Sherlock. “È così che funziona con le signore.”
Lui fa una smorfia.
“Assecondandole?”
“Ascoltando i loro bisogni,” lo
corregge John. “Anticipando i loro desideri.”
“In pratica assecondandole, come
ho detto.”
John ci riflette sopra, prima di
scoppiare in una risata incredula. Trova incredibile come nove volte su dieci
Sherlock riesca a rigirare a proprio vantaggio quanto gli altri dicono. “In
pratica, sì,” è costretto ad ammettere.
“Ritorniamo al dunque, Sherlock.”
Mary riprende la lezione di ‘Educare alle Donne Moderne’ non appena lui esce
per infilarsi il cappotto. “Molly è una donna adulta e io rispetterò il suo
diritto sacrosanto a gestirsi la vita come meglio crede. Rispetterò la sua
libertà di scelta e la sua autonomia che le permette di prendere le decisioni
che ritiene più opportune.”
“Io –” inizia Sherlock, atono.
“Tutto questo è ridicolo!”
L’arma migliore di Mary sono i
suoi sguardi intimidatori e quello che quasi sicuramente ha appena rivolto a
Sherlock deve essere il migliore del repertorio perché la solfa ricomincia subito
dove l’altro l’aveva interrotta.
John Watson scuote la testa e
sorride, in pace con il mondo. Dio, se li
ama entrambi.