Summerhall
«Ser, quella va là in fondo»
ripeté per la decima volta. Ser Duncan era un cavaliere coraggioso, un amico
fidato, ma a volte dava prova di essere dannatamente poco sveglio; avrebbe
dovuto esserci abituato ormai, dopo gli anni passati insieme.
«Perfetto» approvò. Nel lungo
corridoio scavato nelle viscere del castello tutto era pronto, sistemato
secondo le sue precise disposizioni. Fece allontanare tutti, voleva un minuto
per riflettere: quella notte lui avrebbe fatto la storia, lui avrebbe
risvegliato la più grande forza che il mondo avesse mai conosciuto.
Istintivamente ripensò a quel giorno di appena un anno prima, il giorno in cui
lui aveva delineato definitivamente il suo destino e quello della sua famiglia,
il giorno il cui ricordo, perfettamente cristallizzato nella mente, continuava
a tormentarlo.
“Ma padre, come puoi essere
così cieco” aveva ribattuto il figlio, il suo primogenito, Duncan “Dici di
voler risvegliare i draghi per ridarci la forza dei nostri antenati, eppure
rifiuti tutte le tradizioni che li hanno resi grandi?!”
Che avesse ragione? si era
chiesto, che mescolarsi con gli altri avesse
indebolito il loro sangue, il loro potere? Ma l’incesto era un abominio; i
septon lo avevano sempre condannato, i grandi lord, così come il popolino,
aborrito.
Così l’aveva congedato,
zittendo ogni sua ulteriore protesta voltandogli le spalle.
Nessuno gli aveva mai detto
che essere padre sarebbe stato così difficile, neppure Aemon, né Duncan. Ma in
fondo loro che ne potevano sapere, avevano pronunciato un voto, le gioie e i
dolori dei figli erano estranei a loro.
“Forse è la cosa giusta da
fare” la voce della sua amata sposa aveva riempito l’aria subito dopo che la
porta si era richiusa. Era rimasta lì per tutto il tempo, celata dai veli del
letto a baldacchino, nella stanza attigua. Quanto era brava a rendersi
invisibile tra quelle lenzuola, sgusciandone fuori con la stessa agilità di una
gatta, silenziosa e sensuale.
“Forse tutto quello che
abbiamo fatto, tutte le gioie, i dolori, tutto quanto è servito a portarci qui,
a vedere finalmente nascere il principe promesso. Pensa Aegon, noi potremmo
esserne testimoni, il tuo nome scritto per sempre nella storia” aveva detto,
sorridendo mentre si avvicinava a lui per abbracciarlo. Aegon le aveva
accarezzato il viso, un gesto ripetuto mille volte. Era così incantevole e
perfetto, come se il tempo non avesse minimamente intaccato la sua bellezza, ma
anzi, l’avesse accresciuta.
Ed era stato così fino alla
fine, quando gli dèi si erano presi gioco di lui, strappandogli via quella
moglie troppo amata, impedendole di assistere al miracolo che insieme avevano
contribuito a realizzare.
Aveva conosciuto Betha durante un
banchetto a palazzo. Lei era la dama di compagnia di una qualche lady, doveva
essere importante, forse suo padre si aspettava che la sposasse, dopo che Aegon
si era dimostrato categorico nella sua decisone di non sposare né Daella né Rhae;
tuttavia, non aveva avuto occhi che per lei. Era ancora giovane, da poco
tornato dai suoi viaggi in giro per il continente; i capelli avevano cominciato
a ricrescergli, forse non aveva proprio l’aspetto di un principe, eppure lei… qualcosa era scoccato quel giorno, una
scintilla, trasformatasi poi in un incendio divampante.
A quel tempo tutti i suoi
fratelli erano ancora vivi ed era suo zio a regnare, pertanto aveva potuto
seguire il suo cuore. Aveva sposato Betha, la bruna bellezza di Raventree Hall,
per amore, e nel nome dell’amore aveva preso tutte le decisioni, e quando lui,
Aegon, quarto figlio di un quarto figlio, era stato incoronato Re, per amore
dei suoi figli non aveva esitato nel prometterli quando ancora erano in fasce.
Era necessario: se l’era ripetuto così tante volte che alla fine se n’era
convinto.
Ma poi, uno dopo l’altro,
tutti i suoi figli si erano ribellati a quelle nozze: Duncan aveva sposato una
specie di folletto cresciuto tra gli alberi, Daeron sembrava preferire gli
uomini e poi… poi anche lui era morto. E Shaera e Jaehaerys si erano innamorati
tra loro… L’incesto si era già insinuato nella sua famiglia, che cosa poteva
cambiare, cosa avrebbe ottenuto se avesse impedito quel matrimonio?
Amore… così aveva capito. Tutti
i suoi figli si erano sposati per amore, non per obbligo, Aerys e Rhaella si
amavano? Non lo aveva creduto allora e adesso ne era tristemente certo.
Era tempo, decise. Salì la
piccola scala a chiocciola, in cima alla quale lo attendevano i suoi Duncan.
Emerse dalle tenebre e, subito prima di sigillare la botola che si apriva nel
pavimento, innescò la miccia. In pochi secondi l’incendio verde sarebbe
divampato all’interno, bruciando, incenerendo, partorendo i nuovi draghi. Aveva
opportunamente modificato il cunicolo segreto che collegava la Sala Grande con
l’esterno della fortezza. Esattamente dietro alla piattaforma reale, infatti,
suo nonno Daeron aveva fatto scavare un tunnel, una via di salvezza per i
Targaryen, che, in caso di assedio, li avrebbe condotti un miglio lontano, al
sicuro.
«Ne sei proprio certo, Egg?»
ser Duncan lo chiamava ancora così, a volte, quando qualcosa lo preoccupava.
«Sicurissimo» disse, quasi
sussurrando, come se non volesse disturbare le sue creature ancora dormienti
“Non per molto” si disse. Aveva fatto rinforzare le pareti di pietra,
sigillando le due bocche di uscita, isolando l’enorme incubatrice, trasformando
quella via di fuga in una gigantesca fornace ardente. E infatti, come previsto,
udì il ruggito delle fiamme propagarsi nello spazio sotto i suoi piedi,
percependone via via l’intenso calore. Stava funzionando, lo sentiva, poteva udire
distintamente il rumore dei gusci spezzati. Stavano venendo alla luce, la
pietra stava tornando alla vita.
Crack!
Un rumore che riempì l’aria,
mozzando il respiro dei presenti. Non assomigliava allo spezzarsi delle uova,
non sembrava il ruggito di un drago, non era niente di quello che si era
aspettato di sentire, nulla di ciò che avrebbe dovuto essere. Abbassò lo
sguardo e vide le assi e le pietre del pavimento spezzarsi sotto i suoi piedi,
mentre una voragine si apriva e si allargava senza criterio, veloce,
mostruosamente veloce. Ser Duncan lo afferrò e di colpo si ritrovò con il petto
compresso contro la spalla del gigante, trascinato verso… verso dove? Vide la
piattaforma allontanarsi e poi sparire, ingoiata insieme allo scranno reale e
insieme… con orrore vide il baratro ingoiare suo figlio. “Duncan!” tentò di
urlare, ma il fumo gli ostruiva la gola, gli mozzava il respiro, mentre gli
occhi cominciarono a bruciargli, e cosa ancora peggiore, Aegon non avrebbe
saputo dire se le lacrime scaturissero per il dolore di aver appena visto suo
figlio scomparire o per la caligine che cominciava ad avvolgere le colonne, le
belle statue, l’aria stessa. Le fiamme verdi eruppero nella Sala, un tempo
maestosa, risalendo fino… fino alle stelle, perché solo allora si rese conto
con terrore che il tetto non esisteva più, crollato miseramente su sé stesso,
su di loro. Infatti, la folle, cieca, corsa del suo cavaliere, del suo amico,
si era bruscamente arrestata: Aegon era ora disteso a terra, coperto di sangue.
Cercò di muoversi, ma la cenere, i detriti, il fumo, il fuoco, erano ovunque. Di
suo figlio non c’era traccia; lo cercò, come se avesse dimenticato che solo
pochi attimi prima, lui, il suo primogenito che portava il nome del suo primo e
forse unico amico, era morto, inghiottito dalle fauci del mostro verde. Infine
vide ser Duncan, il gigante buono, abbattuto, come in uno dei tanti tornei che
non aveva mai saputo vincere. Vide il fuoco verde avanzare, freddo come il
gelido smeraldo, eppure rovente come il respiro di un drago. Ed eccoli i
draghi: vide il principe promesso, la lunga chioma argentea, nascere dalle
ceneri e, attorno a lui, tre piccoli draghi: uno nero, uno verde e uno crema.
Un drago doveva morire perché un altro potesse nascere? Era quello dunque il
prezzo, era sempre stato così. Avrebbe riso se il fumo non gli avesse serrato
la gola, i polmoni, in una stretta mortale.
E infine lo sentì: il rombo
tuonante della distruzione. Una seconda Valyria si abbatté sui Targaryen, questa
volta annientando uomini molto più miseri e draghi di pietra. L’imponente
palazzo di Sala dell’Estate implose, collassando su sé stesso, seppellendolo come
avrebbe fatto con il più comune degli uomini.
Morì sereno; un attimo prima
aveva compreso, aveva visto, aveva agito per il bene, per il regno, ma
soprattutto aveva adempiuto alla sua promessa: aveva ucciso il ragazzo.
Non morì come Egg, morì come
Aegon Targaryen, quinto del suo nome, Re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi
Uomini, Lord dei Sette Regni e Protettore del Reame.