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Autore: Holly Rosebane    07/09/2015    0 recensioni
Michael suona per vivere. Si esibisce con la sua chitarra tutti i pomeriggi in piazzola.
Eireen lo ammira in silenzio, e compone poesie su di lui.
Calum ha una passione smisurata per i dolci. E per una cassiera dai capelli blu.
Stacey è un po' isterica e serve in un bar all'angolo, di fronte alla piazzola. Non sopporta il disordine, e ancor meno un insistente giovane dai tratti vagamente orientali. Il quale passa di lì tutti i giorni.
Luke non è bravo con le parole e non riesce a relazionarsi con il prossimo. Preferisce che i suoi disegni parlino per lui.
Sydney è innamorata dell'arte. E della bravura di quello sconosciuto, incontrato casualmente in una caffetteria.
-
«Un po’ come la storia dell’Akai Ito, il “filo rosso del destino”. La leggenda narra che ognuno di noi ha un sottile spago scarlatto legato al dito mignolo. L’altra estremità, stretta al medesimo dito, appartiene alla nostra anima gemella».
«Ma potremmo non incontrarla mai», ribatté Sydney. Luke sorrise, scuotendo la testa.
«Impossibile. Siamo destinati a trovarci».
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III.
Colori

 
 
«
Profumo di fiori di pruno:
sorge improvviso il sole
sul sentiero di montagna
»
(Basho - Haiku)


 
 
Le matite erano il suo mondo. Dal momento esatto in cui la mina sfiorava il foglio ruvido, la sua realtà prendeva vita. Plasmava qualsiasi pensiero gli attraversasse la mente con le dita, lavorando con il chiaroscuro. A volte, stringeva la matita fra i denti e sfumava con i polpastrelli. Contatto con la propria arte, immergersi fino in fondo nella realtà che gli apparteneva.
Luke Hemmings non si poteva certo definire un ragazzo estroverso. Anzi. Trovava spesso superflua qualsiasi parola. A lui bastava un brandello di carta per parlare. Non era bravo a trasmettere emozioni con la voce. Se la cavava meglio con gli sguardi.
Quasi nulla attirava davvero la sua attenzione, eppure tutto era capace di ispirarlo. Non aveva molti amici, né li voleva. Un buon libro era più che sufficiente. Ignorava di essere bello. Per lui, la bellezza risiedeva nel mondo, al di fuori di lui. Non si accorgeva nemmeno di tutte le occhiate speranzose che gli rivolgevano le ragazze, mentre camminava per strada.
I lisci capelli che portava acconciati in modo scomposto, erano della stessa calda sfumatura dell’oro liquido. I suoi occhi non erano molto grandi. Chiari, dal taglio europeo e le iridi color cielo estivo, schermati da lunghe ciglia. Quando sorrideva, evento raro, divenivano ancor più sottili. Il suo naso era diritto e perfetto, ben proporzionato. Le labbra carnose e di un dolce rosa pallido assumevano spesso una linea riflessiva, decorate da un piercing all’estremità inferiore sinistra. Molti gl’invidiavano quel biancore di porcellana della sua pelle. Spesso gli chiedevano se fosse normale, una tinta così chiara. Allora lui si stringeva nelle spalle, scuotendo la testa. Non gli piaceva parlare.
Quel pomeriggio si trovava in un caffè sotto casa, aspettando che si facesse più fresco. Dipingere in strada con le bombolette alle due, sotto il sole, non era un’idea molto allettante. Così aveva ordinato una spremuta d’arancia e ingannava il tempo disegnando sul suo blocco.
«Accidenti, che meraviglia».
Alzò lo sguardo e rimase lì, fermo dov’era, con la matita a mezz’aria e gli occhi spalancati. Quella giovane… era la più strabiliante opera d’arte che avesse mai avuto il piacere di ammirare.
Fluenti capelli biondo chiaro, i cui ciuffi della frangia ricadevano dolcemente sulla sua fronte, mentre più in basso, altre ciocche ricciolute scivolavano sul seno. Pelle di porcellana, aria da principessa delle fiabe. Grandi occhi dalle iridi ghiaccio, piccolo nasino alla francese e bocca carnosa e rosea. Era alta meno di Luke, e indossava una divisa da tennis. Blu elettrico e gialla. Il fisico generoso s’intravedeva da come gli indumenti le scivolavano addosso, evidenziando un corpo dalle fattezze morbide, seppur toniche.
Quella giovane era china sulla spalla dell’artista, e osservava strabiliata il piccolo cerbiatto che lui aveva abbozzato sul blocco schizzi.
«G-grazie», balbettò Luke, lasciandosi scivolare il carboncino dalle mani. Notando quella stramba reazione, la bionda si tirò su immediatamente.
«Scusami, non volevo interromperti. È solo che quel disegno… sei veramente bravo. Continua pure», disse, sorridendo e facendo un passo avanti. Il suo volto, già di per sé luminoso, quando diventava allegro la faceva sembrare un angelo. O meglio, quella era stata l’impressione di Luke.
«Come ti chiami?» Chiese l’artista, meravigliandosi della sua stessa intraprendenza. La bionda gli tese la mano. Una piccola e opalina mano dalle gentili dita da pianista.
«Sydney. E tu?»
«Luke Hemmings».
Si strinsero la mano, e il mondo parve fermarsi per un brevissimo istante. Giusto il tempo, per quelle dita estranee, di inseguirsi, conoscersi e infine lasciarsi nuovamente.
Calò un imbarazzato silenzio fra i due, rotto solamente dal rumore dei bicchieri e delle stoviglie, inframmezzato dalle chiacchiere della clientela nella caffetteria.
«Aspettavi qualcuno?» Domandò Sydney, guardandosi attorno. Luke scosse la testa, arrossendo lievemente. Non era abituato a confrontarsi così apertamente con gli estranei. Specie con gli angeli scesi in terra in tenuta sportiva.
«Allora posso offrirti da bere?»
«Per quale ragione?»
«Mi sentirò meno in colpa dopo, quando mi siederò accanto a te per guardarti disegnare».
Luke scoppiò a ridere e Sydney lo imitò di riflesso. Trascorsero l’ora seguente l’uno di fronte all’altra. L’artista disegnava, e la giovane con la divisa da tennis osservava la sua mano scorrere agile sul foglio, scurendo qui e schiarendo là, lasciando che il piccolo cerbiatto prendesse vita sulla carta. Non aveva mai aperto bocca, era rimasta tutto il tempo in silenzio, ammirata.
Quando il disegno fu completato, Luke ci aggiunse una data e poi lo firmò. Quindi fece attenzione a strappare con cura il foglio, e lo tese a Sydney.
«Per me?» Si stupì lei, fissando l’A3 che l’altro teneva sospeso di fronte al suo volto. Luke annuì.
«Ti piaceva così tanto…» e si strinse nelle spalle. La bionda lo prese, raggiante. Rimase alcuni attimi ad osservarlo fra le sue mani e poi lo piegò con estrema attenzione, in modo che non si rovinasse. Lo infilò in una delle tasche della sacca sportiva che aveva a tracolla e poi si alzò. Prese Luke per mano.
«Hai da fare, per tutta la prossima ora?» Domandò. Il ragazzo, che già aveva lievemente sobbalzato per quell’ennesimo contatto con le sue dita, scosse energicamente la testa, di nuovo rosso in volto per l’imbarazzo.
«Vieni con me, fra poco avrò una partita importante» disse, e lo trascinò fuori dalla caffetteria senza indugio.
«…P-perché proprio io?» Balbettò Luke, quando si fermarono ad un semaforo, attendendo di poter passare. Sydney lo fissò per un breve istante, poi sorrise.
«Poco fa, hai condiviso qualcosa di importante per te… con me. Ora mi tocca ricambiare il favore», rispose.
«Ma io non volevo niente in cambio».
«Lo so. Però mi piaci, con questo piercing al labbro. Mi era venuta voglia di passare del tempo insieme a te, conoscerti meglio».
Scattò il verde, e Sydney riprese a camminare, due passi avanti a Luke, le dita intrecciate alle sue.
 In strada c’era un rumore pazzesco, ma l’artista non sentiva nulla. Solo il ritmico battito del suo cuore accelerargli nelle orecchie.
 


Quando arrivarono al campo da tennis, la compagna e il duo di avversari di Sydney erano già lì. Gli spalti riempiti per metà da amici o parenti delle giocatrici, le quali si spostavano o rumoreggiavano allegramente. Ogni tanto, si sentiva la risata di qualche bambino diffondersi attorno. La bionda entrò nel campetto, dove la sua partner faceva stretching per le gambe. La salutò con un cenno del capo. In tutto questo, la sua mano era ancora saldamente stretta a quella di Luke, che iniziava già ad imbarazzarsi dietro di lei.
«Ce ne hai messo di tempo, Sydney!» Commentò una giovane non molto alta, dall’aria simpatica e il sorriso contagioso. Teneva lunghi e lisci i capelli color noce moscata legati ben stretti in una coda alta, e aveva un aspetto fresco e riposato. Indossava la stessa divisa di Sydney, ma indosso a lei aveva tutto un altro effetto. Si chiamava Laurel, a giudicare da come la bionda l’aveva appellata poco prima.
Abbracciò l’amica e le scompigliò i capelli con un gesto fraterno. Poi, i suoi occhi sottili dal taglio felino si posarono su Luke. Con i capelli biondo grano indisciplinati, la vissuta canotta nera, i jeans strappati grigio scuro e gli anfibi, non doveva apparire come il massimo della normalità. Specie quando stringeva un blocco schizzi in una mano e le dita di Sydney nell’altra. Eppure, la sua straordinaria bellezza si amalgamava bene con quella tenuta da artista maledetto, più alto della media e dallo sguardo espressivo.
«Chi è questo ragazzo?» Chiese Laurel, alzando un sopracciglio. La bionda guardò Luke e poi la sua amica, sorridendo.
«Il mio portafortuna».
 


La partita si concluse con un 4 a 2 per il duo di Sydney, e ogni punto che segnava, la bionda lo dedicava allo strano ragazzo con il piercing e i vestiti strappati, seduto in prima fila sugli spalti.
Dopo aver giocato, si fece la doccia prima di tutte le altre e poi schizzò via dallo spogliatoio con i capelli bagnati che le sbattevano sulla schiena e un cambio pulito, salutando Laurel con un occhiolino e un sorriso. Trovò Luke appoggiato alla rete metallica, accovacciato vicino all’ingresso, mentre fumava indisturbato. Sydney rimase ferma ad ammirarlo, per qualche secondo.
La luce del tramonto donava una tonalità dorata alla sua pelle, facendo spiccare le labbra e il colore quasi rossiccio dei suoi capelli. Era molto alto e con un fisico invidiabile. Stringeva la sigaretta fra indice e medio, il braccio poggiato sul ginocchio piegato. Il blocco schizzi giaceva ai suoi piedi, adagiato nell’erba, come un naturale prolungamento di se stesso. Dimostrava almeno vent’anni, o forse meno. E sembrava terribilmente fiero nella sua solitudine.
Era per quello che Sydney l’aveva trascinato con sé alla partita. Le era parso… triste, in quella caffetteria. Sentiva che tutto ciò che quel giovane possedesse era l’arte. Ma gli mancava una cosa fondamentale, che fogli e carboncino non avrebbero mai potuto trasmettergli.
 Sydney si avvicinò a lui, e lo vide portarsi la sigaretta alle labbra, aspirare brevemente e poi sbuffare lentamente. Sottili nubi grigiastre, che si disperdevano nell’aria aranciata del tramonto di Melbourne.
«Hai ancora i capelli bagnati», disse Luke, dando un colpetto al filtro con il pollice, facendo cadere la cenere in eccesso. Sydney si passò distrattamente la mano fra le umide ciocche dorate, scompigliandole un po’.
«Non importa, tanto fa caldo. Si asciugheranno da soli».
Luke si alzò in piedi, stiracchiandosi brevemente. Era davvero alto. Parecchio più di Sydney. Guardò la sigaretta, consumata per metà, e la gettò a terra. Calpestandola con la suola consumata dei suoi anfibi.
«Piaciuta la partita?» Chiese la bionda. L’artista annuì.
«Sei brava», commentò.  Raccolse il blocco schizzi e fece qualche passo avanti.  Poi si voltò verso Sydney.
«Ora puoi dirmelo», esordì. «Perché mi hai portato qui?»
«No», rispose Sydney, scuotendo la testa. «Non ora».
«E quan…»
«Devi andare da qualche parte?»
«…A casa».
«Ti accompagno», disse, prendendogli nuovamente la mano.
 


Durante il tragitto, parlarono del più e del meno. Luke aveva cominciato ad aprirsi un po’ di più, sentendo che Sydney raccontava parte della sua vita. Buffo notare come, quella volta, fosse l’artista a camminare due passi avanti, le dita allacciate a quelle della bionda.
Gli piaceva ascoltare Sydney. Aveva una bella voce melodiosa, con un particolare accento inglese. Se fossero stati a casa sua, avrebbe fatto sedere la bionda sul divano e lui si sarebbe accucciato ai suoi piedi, disegnando. Sarebbe rimasto lì a sentirla per ore, senza mai stancarsi.
Apprese che veniva dall’Inghilterra, ma risiedeva a Melbourne da quasi dieci anni. Le piaceva moltissimo giocare a tennis, ballare e aveva una strana fissa per le rock bands anni ‘80. Quando arrivarono sotto casa, a Luke dispiacque lasciarla andar via.
«E così abiti qui?» Chiese Sydney, osservando il portone di un condominio senza troppe pretese dinanzi ad una piazzola.
«Sì, al terzo piano».
«Da solo?»
«I miei mi pagano l’affitto e gli studi alla scuola d’arte. Gestiscono una grossa società per azioni, ecco perché», si affrettò a spiegare. Non gli piaceva particolarmente rivelare di provenire da una famiglia molto agiata. Preferiva lasciare spazio all’anonimato. E così faceva, in generale. Eppure, con Sydney sentiva di poter parlare di qualunque cosa.
«Beh… beato te!» Commentò la bionda, ridendo. Luke sorrise, passandosi una mano fra i capelli dorati. L’altra stringeva ancora le dita di Sydney, restia a lasciarle scivolare lontano.
«Adesso puoi dirmelo?»
«Cosa?»
«Perché…»
«Ah, no. Neanche adesso», scosse la testa convinta. L’artista sospirò.
«È davvero così importante saperlo al momento giusto?» Domandò, impaziente.
«Mi hanno insegnato l’attesa è la parte migliore di qualsiasi evento», rispose sorridendo.
«Sì, ma ora siamo nel 2015, Sydney…»
«Quanti anni hai?»
«Diciannove».
La ragazza sgranò gli occhi, basita. Non sembrava così piccolo. Colpa dell’altezza, che ingannava mortalmente, o dei modi di fare? Ciononostante, gli anni di differenza erano pur sempre quattro, fra loro due. Ma Sydney decise di non dargli peso. Infondo, l’età era solo un numero anagrafico.
«Beh, alla tua età io sapevo aspettare» disse, risoluta. Luke roteò gli occhi, ma le labbra lo tradirono già, mostrando un sorrisetto divertito.
 Intanto si erano avvicinati molto. L’artista poteva sentire il fresco respiro della bionda mescolarsi con il suo. Gli occhi percorsero avidamente il suo volto, saziandosi di ogni centimetro di pelle perfetta, di ogni fremito di ciglia. Si soffermò sulle labbra. Quelle belle labbra piene e rosee, lievemente dischiuse e forse un po’ disorientate.
Fu un impulso inarrestabile e primordiale, non passò nemmeno per il cervello. Arrivò direttamente alla mano libera, che si poggiò piano sulla guancia di Sydney e alle labbra di Luke, che premettero dolcemente su quelle morbide della bionda. Durò un attimo, ma parve un’eternità. Il primo a scostarsi fu proprio il giovane artista, smarrito per primo dalle sue stesse azioni.
«Ecco, io… io non so aspettare», si scusò, fissando negli occhi Sydney. Lei sorrise, senza fare una piega.
«Invece hai scelto proprio il momento giusto».



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Nota: ogni autore ha un suo personaggio preferito, all'interno di una storia. Beh, il mio, qui, è Luke. Lo sento particolarmente vicino a me, sia per quanto riguarda la parte artistica che per il comportamento, mi ricorda molto anche una persona alla quale ero tanto legata. Oh beh. Long live memories.
Siamo arrivati al penultimo capitolo di questa piccola long! Sono felice dell'accoglienza ricevuta, soprattutto perché non era nulla di impegnativo, ecco. Come già detto in The Hollow Men, aggiornerò anche questa una volta a settimana, lunedì o martedì, a causa di impegni vari! Spero che ciò non sia un problema per voi!
Bene. Scappo a rispondere anche qui alle recensioni, ringraziandovi come sempre per tutto il tempo che spendete per me e le mie storie, sia leggendole, sia inserendole in qualche parte della vostra biblioteca virtuale di EFP! Alla prossima!



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