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Autore: Martin Eden    08/09/2015    3 recensioni
Seguito de "Lo scrigno del potere" (pensavate di esservi liberati di me? :P)
Sono passati sei lunghi anni da quando Will Turner è ritornato nella sua Port Royal, sei lunghi anni a pensare che cosa farne della sua vita. Niente è andato secondo i suoi piani. Elodie Melody Sparrow è libera per mare, ma non gli è mai capitato di rivederla. Nè lei nè il suo squinternato fratello Jack Sparrow.
Ma se i loro destini si incrociassero di nuovo? E non certo per caso...
Storia scritta con l'aiuto di Fanny Jumping Sparrow, fedele compagna di avventure :)
Genere: Avventura, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jack Sparrow, Nuovo Personaggio, Will Turner
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pirati dei Caraibi - Avventure per mare'
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CAP. 1 – NON C’E’ DUE SENZA TRE

 
 
Sei anni dopo.
 
 
   Will Turner aprì la portafinestra che dava sul giardino e uscì nel tiepido sole di quella mattina.
   Il rumore del mare vicino corse a salutarlo: sciaquio di onde in calma, grida di gabbiani, una dolce melodia per chi sapeva ascoltare.
   Will si appoggiò alla balaustra del balcone e si lasciò accarezzare da mani gentili e incorporee. L’odore salmastro rievocava troppe cose alla sua mente, ricordi che non aveva il coraggio di cancellare: gli erano cari e dolorosi allo stesso tempo.
   La brezza gli raccontava di un amore perduto tra quelle onde azzurre, un amore di cui Elizabeth sapeva poco o nulla, e che in ogni caso non avrebbe capito. Per questo non glielo aveva raccontato. Lei era ancora bella come un tramonto di sera, ancora piena di vita nonostante le disavventure passate, nonostante la stanchezza e una malinconia a cui lui non aveva mai potuto partecipare.
   No, questo era un segreto tra lei e l’oceano. Il suo piccolo segreto.
   Will spaziò con lo sguardo nel cortile. Sorvolò i cespugli di rose, così malcurati. Avrebbe voluto che ci fosse un bambino, lì a giocarci, ma il destino non aveva donato a lui e Elizabeth la gioia di quel figlio tanto desiderato e cercato, per chissà quale ragione. Certo che il fato è strano, a volte. Li aveva salvati da mille pericoli per poi toglier loro quella piccola felicità. Strano davvero.
   Elizabeth ne era rimasta molto delusa. Così delusa che a tre anni dal matrimonio aveva pensato che era meglio non provarci più con tanta tenacia; a dire il vero, avevano quasi smesso di provarci del tutto. Altri tre anni erano passati da allora, ma questo non era servito a migliorare le cose fra loro. Elizabeth si era rinchiusa sempre più in se stessa, come un riccio; lui, dal canto suo, tentava di costruire la serenità su deboli fondamenta. Non ce l’aveva fatta. E nemmeno lei.
   Un giorno, dopo una delle solite discussioni – che ormai coronavano le loro giornate, tutte uguali -, era fuggita in camera, aveva raccolto i suoi vestiti e li aveva stipati nel baule. Il giorno dopo aveva già chiamato il facchino, e a nulla erano valsi gli sforzi di Will per farla restare. Gli aveva gridato in faccia la sua verità e la sua rabbia, un’ultima volta.
   Poi se n’era andata, trascinandosi dietro quell’abito che ormai le stava stretto, ma di cui andava così orgogliosa. Era sempre stata una donna orgogliosa, e anche in quel momento lui non aveva potuto non ammirarla. Controluce, contro di lui, in strada, sotto quell’ombrellino sgualcito. Non gli aveva nemmeno detto addio, né rivolto un cenno di saluto.
   Will non aveva potuto farla tornare, non quella volta. Ripensandoci, gli venivano in mente soluzioni che non avevano mai sperimentato, parole che non erano mai state dette, sentimenti che forse sarebbe stato il caso di appendere al muro, ma ormai era tutto inutile. Non aveva più una donna con cui parlarne. Quella casa era vuota, con lui dentro, fagocitato da tanta nullità.
   Will, in effetti, si sentiva nulla ora. Anzi, a volte non si sentiva nemmeno. Andava al lavoro, fabbricava le solite spade, si guadagnava da vivere col sudore della fronte; poi tornava a casa. Così si andava avanti, senza troppe pretese.
   Spesso non si rendeva conto se fosse notte o giorno. Non dormiva molto bene, ultimamente, e i suoi sogni erano popolati da fantasmi scuri che lo aggredivano e lo trascinavano giù, in un buio senza fine. Spesso aveva la sensazione di precipitare verso il basso, ma non toccava mai il fondo di quel baratro. Riposare non era più un piacere, ma solo il prolungamento dell’incubo che stava vivendo e da cui cercava di riscattarsi, invano. Si sentiva debole e solo.
   Era debole e solo.
   Alzò gli occhi: un rumore, poco lontano.
   Aguzzò la vista e tese l’orecchio. La vita gli aveva insegnato che essere sospettoso era solo un bene. Ma non vedeva nulla, con quel sole.
   Si concentrò di più. Ripercorse il vialetto che da casa sua conduceva in strada, fino ad arrivare al cancello chiuso. Dalla sua posizione poteva vedere bene anche la strada stessa, e su questa ricadde la sua attenzione.
   Aveva scorto una figura che camminava spedita, a un passo quasi febbrile, all’altro lato dell’acciottolato. Portava un mantello lungo e scuro, e un buffo cappello da marinaio; i movimenti come dettati da fretta e timore. Will lo osservò a lungo, immobile.
   Gli ricordava qualcuno.
   La figura attraversò la strada deserta; si guardò un po’ intorno, come a controllare che non ci fosse nessuno. Will la vide ripararsi il viso con una mano, quando si voltò verso di lui e la sua casa. Attraverso l’inferriata del cancello sembrava un fuorilegge che contempla la libertà a lui negata.
   Aveva uno sguardo insistente e sfacciato, di fronte al quale Will si irrigidì, colpito da un dubbio improvviso e pungente. Il suo cuore perse un battito, in quel momento.
   Non si accorse nemmeno della piccola figura accanto allo sconosciuto. Non si accorse nemmeno delle parole della sua anziana vicina di casa, che aveva assistito a tutta la scena dal suo giardino, né del suo rauco “Dove vai, Will?”. Corse di sotto, con addosso solo dei calzoni consunti e la prima camicia che aveva trovato, sparsa per casa. Se lo sarebbe ricordato per una vita intera: quel giorno era domenica.
   Will ora avvertiva il cuore scoppiare. Incespicò sulle scale e atterrò quasi di sedere in fondo ai gradini. Si rialzò, infilandosi malamente anche l’altra manica della blusa.
   Uscì nel sole e per un attimo ne fu di nuovo accecato. Era una bellissima mattina di quella primavera. Ma, riavutosi, si rese conto che non aveva avuto un’allucinazione. La figura scura era ancora là, dietro al cancello, e non c’erano dubbi ora.
   Quello era Jack Sparrow. Un pirata. Il suo miglior nemico.
 
- Tu qui?- esclamò Will, corse al cancello – Non ci credo!-
- In carne ed ossa, compare.- rispose il pirata, con un sorriso sghembo.
   Un improvviso attacco di bile riempì la bocca di Will con un sapore amaro:
- Vattene, Jack! Questo non è posto per te!- gli sibilò contro, come un serpente a sonagli provocato da un bastone.
- Che razza di benvenuto è questo?- accortosi che nonostante tutto l’altro aveva appena tirato il chiavistello, Jack entrò a forza nel cortile, trascinandosi dietro una piccola ombra.
   Will tentò di fermarlo, ma, non riuscendoci, si limitò a richiudere il cancello e a raggiungerlo, con una luce tutt’altro che benevola negli occhi. Si maledisse per essere stato, una volta in più, così ingenuo.
- Jack, vattene da qui, subito!- cercò di cacciarlo.
   Quel pirata era sempre stato sinonimo di guai, per lui; ora che aveva ritrovato una specie di tranquillità, Will non voleva cadere di nuovo in una nuova spirale di avventure rocambolesche, rischiando ancora la vita per un pugno di mosche.
   Jack Sparrow lo fissò, ridacchiando:
- Non sei cambiato, mio caro William.- constatò.
- Nemmeno tu.- l’altro gli si avvicinò – Che cosa diavolo vuoi?-
- Da te? Io, nulla.-
- Allora perché sei qui?-
- Semplice questione diplomatica.-
- Jack, dimmi che cosa vuoi e vattene. Non voglio rischiare la pena di morte un’altra volta per colpa tua. Io non voglio tornare a essere un pirata a metà, non dopo tutti questi anni. Stavo così bene senza di te!- guardò in basso, e si rese conto solo in quel momento di un piccolo particolare – E questo bambino, da dove viene?-
   Jack sorrise:
- Finalmente te ne sei accorto!- esclamò poi.
   Si chinò alle spalle del piccolo, una creaturina di sei anni o giù di lì, avvolta in un vestito troppo grande per lui. Sembrava piuttosto intimorito.
   Jack lo pizzicò amorevolmente. Una risata cristallina si sparse presto nell’aria e risvegliò in Will desideri segreti...e un po’ di sana invidia. Gli sarebbe piaciuto poter fare altrettanto con i suoi figli: giocare, ridere, scherzare con loro. Se solo ne avesse avuti.
   Jack circondò il bambino con le braccia e poggiò il viso accanto al suo. Poi guardò Will, che solo in quel momento notò una certa somiglianza tra i due.
- Questo - Jack parlò con calma, con un tono divertito – è il motivo della mia visita.-
   Will, interdetto, ci mise qualche secondo per realizzare:
- Tuo figlio?- chiese, titubante.
- Non proprio.- Jack sorrise ancora, poi si rivolse al bambino – Piccolo, vuoi spiegare al signore chi sono io?-
- Io non sono piccolo, zio Jack!- strepitò lui, chiaramente infastidito da quel nomignolo.
   Jack lanciò un’altra occhiata significativa a Will, che strabuzzò gli occhi: aveva sentito bene? Jack era...zio?
   Quindi quel bambino...
- E’ il figlio di Élodie?- domandò, senza fiato.
   Élodie, la sorella di Jack Sparrow, era stata importante, per lui, in passato. Si erano amati, appassionatamente, sei anni prima, finchè il destino e le loro inconciliabili personalità non li avevano separati; di conseguenza, si erano inevitabilmente persi.
   Era strano ricordare quei momenti ora, davanti agli occhi ingenui di quel piccino, e pensare che forse era tutto un brutto sogno, che il tempo non era scivolato crudele su di loro, che non li aveva cambiati poi così tanto. Poter credere, per un momento, di essere tornato su quella nave, di essere tornato a essere un pirata accanto a lei.
- Esatto.- la voce di Jack riportò Will alla realtà – Questo adorabile marmocchio è proprio figlio di mia sorella. Guardalo! Assomiglia tutto a uno Sparrow...e tira anche bene di spada!-
- Sììììì, e fra un po’ riuscirò a batterti, zio!- trillò tutto contento il frugoletto – Quando giochiamo ancora alle spade?-
- Presto, piccolino...-
- Non sono piccolo!-
- Perché l’hai portato qui?- li interruppe Will: udire Jack essere chiamato “zio” gli faceva male.
   Il bambino lo guardò da sotto in su, con una leggera smorfia di disappunto sul viso; lui si sentì dolorosamente trafitto da quegli occhi bruni e curiosi, che lo studiavano così sfrontatamente: gli occhi di Élodie Melody Sparrow.
- Sua madre mi ha chiesto di portarlo da te.- spiegò Jack – Io ho semplicemente adempiuto al suo volere.-
- Dov’è la mamma, zio?- si intromise il bambino. Ora piagnucolava – Avevi promesso che se avessi fatto il bravo, me lo avresti detto!-
- La mamma ha da fare, adesso...- Jack accarezzò i capelli bruni del bimbo – e non voleva che tu ti annoiassi per colpa sua: per questo siamo qui.- guardò allusivamente Will, e Will capì che c’era dell’altro, ma che davanti al piccolo il pirata doveva mentire spudoratamente – E’ lei che ha deciso così.-
- Perché? Che c’entro io nei suoi affari?- Will allargò le braccia, esasperato – Sono passati sei anni, Jack. Io non ho mai visto suo figlio prima d’ora. Se lei ha da fare, non sarebbe più logico che questo bambino stia con suo padre, adesso?-
- Per l’appunto!- il sorriso di Jack si faceva meno enigmatico, ma Will si rifiutò di capire.
   Il pirata si rivolse al piccolo:
- William, ti presento William...- sghignazzò, compiaciuto del suo gioco di parole.
   Poi continuò, e Will vide la sua fine disegnata a caratteri cubitali sul viso del suo miglior nemico:
- William, ti presento tuo figlio.- concluse il pirata.
   Poi, fin troppo tranquillamente:
- Ora mi offriresti gentilmente una tazza di tè?-
 
   Will si sentì mancare. Sentì le gambe cedere, il mondo vorticare come un ciclone impazzito attorno a lui. Fu costretto ad appoggiarsi alla prima cosa che trovò, e cioè a una grande anfora decorativa, colma di terra e di fiori, lì a fianco. Per poco non ci sbattè il naso. Sentiva che il sangue si era ritirato dalle vene e un terribile formicolio l’aveva preso in tutto il corpo. Era diventato pallido come un cencio.
- Dev’essere il caldo...- borbottò Jack Sparrow, storcendo il naso di fronte a quella reazione – Non hai una bella cera, William.-
   L’altro inghiottì lentamente un po’ d’aria:
- Già, in fondo mi hai solo comunicato che sono padre da sei anni senza saperlo!- ribattè con una voce che suonava terribilmente strozzata.
- Cose che accadono...- minimizzò Jack, con un’alzata di spalle.
“Questa è la volta buona che muoio” pensò Will.
- Cioè...per te seminare figli in giro per il mondo è una cosa...normale?!- Will stentava a crederci.
- Rischi del mestiere, compare. Così è la vita. Così sono le donne, più che altro.-
- Jack, io...credo di stare per svenire.-
- Suvvia, William!- il pirata accorse per sorreggerlo – Comprendo la tua sorpresa, ma ti prego di non farla più complicata di quello che è già! A proposito...la tazza di tè?!-
   Will guardò il bambino, che assisteva alla scena con aria interrogativa. Suo figlio.
   Santo Iddio. Suo figlio!
   Gli sembrava di sognare. Ma sì, certo, sicuramente. La sera prima si era lasciato un po’ andare, aveva bevuto un po’ troppo vino. Si era addormentato. Doveva essere ancora sul letto, senza ombra di dubbio, e tutto quello che stava succedendo stava succedendo nella sua testa.
   Quanto avrebbe voluto svegliarsi ora!
   Jack lo stava scuotendo come una palma da cocco:
- William! Riprenditi, Santo Cielo! Non ho tutto questo tempo da perdere!- gli urlava in un orecchio.
   Così Will, per forza di causa maggiore, fu costretto a ripiombare in quella realtà assurda:
- Ah sì, la tazza di tè...- tartagliò, incapace di infilare un pensiero coerente dietro l’altro.
   Non era una sogno. Oddio. Non era un sogno!
- Ecco.-
   Jack tolse improvvisamente il suo sostegno, e Will per poco non cadde. Scosse la testa, tentando di riprendersi:
- A-andiamo...- ancora malfermo sulle gambe, li guidò verso casa sua.
   Jack si girò per beccare il frugoletto, che intanto era saltellato un po’ più in là. Difatti, l’attenzione del piccolo William si era distolta presto da loro e dal loro blaterare inconcludente e si era appuntata su un bruco. Il bambino si era accucciato ad osservare l’animaletto, che strisciava ai suoi piedi; ogni tanto lo toccava, e quello si avviluppava su se stesso, facendolo ridere. Quindi, lo stuzzicava ancora di più, e il povero bruco non faceva certo i salti di gioia, anzi.
   Jack arrivò a interrompere quell’idillio, facendo alzare William da terra e spazzolandogli alla meglio i vestitini sgualciti, in modo a dir poco paterno. Will non aveva mai visto il pirata in quei panni, eppure non avrebbe dovuto sembrargli tutto così fuori dal mondo: quel bandito aveva carne e ossa, aveva avuto una famiglia, tempo fa, forse ce l’aveva ancora. O forse ne aveva una nuova, chissà. In fondo, era anche lui un essere umano, di che cosa doveva sorprendersi?
   Il piccolo William scappò dalle mani di Jack per correre ai cespuglietti di rose. Lì si nascondevano sempre un sacco di farfalle, e lui le aveva viste subito. Suo zio gli corse dietro, in modo a dir poco buffo.
   Will osservò il bambino in quella scoperta del mondo esterno e pensò che era proprio come l’aveva sempre desiderato.
 
   Dentro casa c’era un odore forte di spezie, come quando Elizabeth se n’era andata. Era da un po’ che non aveva compagnia.
   Will li condusse attraverso lo stretto ingresso, fino alla cucina. Aveva solo un mobilio spartano da offrire, niente di particolarmente morbido o confortevole. Non che pensasse di avere ospiti tanto presto, o che a Jack potesse importargliene più di tanto, ma forse al bambino – suo figlio – sarebbe piaciuto essere accolto in una casa che sembrasse un po’ più “casa”, ecco.
   Ancora sottosopra per la recente rivelazione, Will mise a bollire l’acqua per il tè. Si sentiva come sollevato a un metro da terra, la sua mente fluttuava già per altri lidi, piena dell’eco di fantasie inespresse.
- Lascia stare, William.- lo fermò Jack Sparrow – In verità, mi fa schifo il tè, a meno che non sia opportunamente corretto. Volevo solo sedermi.- e si lasciò andare su una seggiola malmessa, con una certa soddisfazione.
   Will allora non si preoccupò più del bollitore. Si sedette anche lui al tavolo, di fronte a Jack, ma non riusciva ancora a essere rilassato; a dire il vero, non sapeva nemmeno se era ancora vivo, dopo tutta quella confusione in testa.
   Nell’altra stanza, il bambino faceva capriole per terra.
   Will fissò Jack. Era indeciso se incenerirlo o fargli un monumento per avergli permesso di conoscere suo figlio.
- So che cosa stai pensando.- affermò il pirata, sogghignando.
   L’altro abbassò lo sguardo, imbarazzato. Non sapeva da che parte iniziare. Fissava il pulviscolo danzante nella luce che pioveva dalla finestra, respirava quel silenzio interrotto solamente dai movimenti leggeri del piccolo William nell’altra stanza; e non sapeva che fare. La vita gli aveva insegnato che alcune cose è meglio non saperle mai; altre cose, invece, è sempre meglio saperle subito. Il problema era essere capaci di distinguere quelle cose, possibilmente prima di agire.
- Hai qualcosa da dirmi, vero?- Will cercò di guardare Jack negli occhi, ma il pirata gli sfuggì. A dire il vero, era già distante da un pezzo, ma lui non se n’era accorto. Glielo leggeva nelle ombre del viso, perso in nuvole lontane.
   Will attese che tornasse, con la paura che non tornasse più.
- William deve stare qui per un po’.- Jack fu rapido, conciso e assassino.
- Qui?- ripetè Will, completamente in alto mare – Come sarebbe a dire “qui”?-
- Qui, ivi giunti, in questo luogo medesimo, comprendi?- insistette Jack – Ti deve bastare.-
   Continuava a guardare altrove. Will non capiva. L’istinto gli diceva che Jack la sapeva molto più lunga di quanto non desse a vedere; il problema era che non voleva dirglielo. Lo odiò profondamente, come lo aveva sempre odiato in passato per questa sua caratteristica.
- Da chi stai scappando, Jack?- continuò.
   Il pirata gli scoccò una sbirciata sospettosa:
- Io? Da nessuno.-
- Non ci credo.-
- Ascolta, William.- Jack si sporse in avanti, faccia a faccia con il vecchio compagno di avventure – Non sono qui per caso, se è questo che ti interessa sapere. Questo non è un gioco. E’ inutile che mi chiedi, lo sai benissimo che non posso dirti nulla e se anche potessi, non lo farei. Per stavolta ti dovrai accontentare.-
- E’ successo qualcosa a Élodie?- Will sentì un’atroce stretta al cuore, appena pronunciò quelle parole.
   Jack era più che mai reticente:
- Non lo so.- ammise – Ma se la vedi, se le vuoi dire che non so più dove cercarla...-
- E’ sparita?- Will tremò al solo pensiero.
- Si è nascosta.- Jack sospirò – William, devo andare.-
   Si alzò, con una certa convinzione. Continuava a guardarsi attorno, a guardare fuori dalle finestre, come se avesse paura che qualcuno stesse ascoltando o potesse vederlo lì. Will non voleva sembrare esagerato, ma gli sembrava che l’inquietudine stesse per la prima volta sopraffacendo Capitan Jack Sparrow.
- Ti affido William.- il pirata gli rivolse uno sguardo carico di speranza – Tienilo con te e proteggilo. Torneremo a prenderlo, quando potremo.-
- Tu e chi?- chiese Will.
   Ma Jack era già altrove, era già da William. Fermo sulla soglia della porta dell’altra stanza, sembrava non volersi avvicinare più di così. Attese che il bambino si accorgesse di lui e che gli corresse incontro. William si abbarbicò alle sue gambe, ridendo e nascondendo il viso.
   Will vide gli occhi del pirata farsi lucidi. Jack si chinò per prendere in braccio il nipotino, che sgambettò felice nell’aria. Gli sussurrò qualcosa all’orecchio, qualcosa che Will non riuscì nemmeno a intuire. Gli sfuggiva ogni logica, in quella storia.
   L’unica cosa di cui poteva essere certo, era che lui c’era dentro fino al collo.
   Jack mormorò piano qualcosa a William, e subito il bambino volle scendere per dirigersi verso la finestra. Sembrava stesse cercando qualcosa lì intorno, o magari fuori. Chissà che cosa gli aveva detto quel filibustiere di suo zio.
   Will si alzò, allarmato: sentiva che stava per succedere qualcosa, qualcosa di potenzialmente spiacevole.
   Infatti, Jack si rivolse immediatamente a lui, con aria losca e una certa impazienza, nascosta senza troppa cura sotto i suoi vestiti e la sua pelle:
- Fammi uscire.- gli ingiunse, in modo piuttosto sintetico – Gli ho detto che c’era un gabbiano appena fuori dalla tua finestra. William va pazzo per i gabbiani. Fammi uscire ora, possibilmente di nascosto.-
   Will non riusciva a comprendere. Aggrottò le sopracciglia, controllando William, ancora davanti alla finestra, voltato di schiena.
   Jack era nervoso:
- William!- lo richiamò - Non deve vedermi andare via. Lui mi sta sempre appresso. Ma io non posso portarlo con me stavolta.- gli spiegò, sommariamente.
- Gli hai raccontato una bugia...- Will era al limite del disgusto – per scappare.-
- William, non c’è altro da fare!-
- Sei un vigliacco, Jack.- con una smorfia di profonda disapprovazione, Will gli indicò una piccola porta sul retro della casa – Vattene pure. Esci di qua e, se vuoi, non farti mai più vedere. Mio figlio non si merita la tua cattiveria. E’ solo un bambino.-
   Jack alzò gli occhi al cielo:
- Non puoi capire...- sospirò, mentre si muoveva verso la porta che Will gli aveva indicato – Comunque non importa. Devo andare.-
- Mi chiederà di te.- gli fece notare Will – Forse riesce ancora a vederti mentre lo abbandoni qui.-
- Non l’ho abbandonato, l’ho affidato a te!- Jack era sulle spine. Will se ne chiese il motivo – Non deve venirmi dietro. Che ne so io, distrailo! Occorre solo qualche minuto.-
   Will sentì che gli montava una tale rabbia, dentro, che se Jack fosse stato a portata di mano era certo che gli avrebbe tirato un pugno. Per William, ma forse anche per tutti gli altri torti che a causa sua aveva subito. Ma forse Jack lo sapeva, e per questo era già quasi alla porta, inseguito dagli occhi dardeggianti di Will, impietrito al suo posto.
- Grazie.- mormorò il pirata, prima di scomparire.
   Come richiuse la porta, Will ebbe come un improvviso conato di vomito. L’aveva veramente lasciato andare senza farsi dire niente di più a proposito di quello che stava succedendo? Se Jack era un vigliacco, lui era vigliacco due volte. Si disprezzò dal più profondo del cuore.
   Si voltò verso il bambino, triste per non aver visto quel gabbiano che non c’era. A Will sembrava passata un’eternità da quando si trovava in piedi accanto la porta di quella stanza, ma si rese conto che tutto era successo troppo in fretta, forse in pochi minuti. Jack non c’era più. Lui stesso non c’era più, era come inebetito.
   Il piccolo si guardò intorno. Poi guardò lui:
- Dov’è zio Jack?- chiese, mentre spaziava nella stanza vuota, in cerca di un segno.
   Chissà dov’era. Anche Will se lo domandò; ma l’altro era probabilmente già lontano, lontano da loro, lontano da tutto.
   In ogni caso, lui era l’ultima persona che avrebbe potuto saperlo.
   Si accorse che il piccolo William si stava agitando, che si muoveva quasi spasmodicamente da un lato all’altro della camera, come una mosca impazzita contro un vetro. Capiva il suo sconcerto.
- Dov’è zio Jack?- strillò il bambino, ormai  con le lacrime agli occhi.
   Fissava Will con l’insistenza di chi vorrebbe che accadesse un miracolo. Ma lui non era Dio, e per i miracoli non era attrezzato. Non era riuscito nemmeno a far scaturire un miracolo per se stesso.
- Non...io non lo so, dov’è andato.- ammise.
   William cominciò a piangere e a pestare i piedi. A gridare. Le lacrime sgorgarono calde e lucide e rotolarono sulle sue guanciotte simpatiche. Ma stava piangendo di dolore. Chiamava disperatamente:
- Zio Jack! Zio Jack, vieni fuori! Per favore! Dove sei? Torna!-
   Si mise a correre per tutta la stanza, mentre Will presidiava la porta e assisteva, muto e impotente, a quella scena. Non sapeva come fare a calmarlo, e aveva paura a muoversi: un movimento falso e William sarebbe scappato da quella casa, ne era certo. Temeva si sarebbe buttato in strada; magari si sarebbe perso per cercare quello squinternato di suo zio. Will non poteva permetterlo.
   Il bambino piangeva senza più requie. Un pianto scoraggiato e angosciante come solo quello di un bambino potrebbe essere. I suoi lamenti salivano di tono a ogni passo che compiva in quel presente, contro ogni mobile contro il quale andava a sbattere nel suo dolore cieco. Will cominciava a temere che potesse farsi male sul serio. Ma non riusciva a muoversi per raggiungerlo, davvero. Era sgomento di fronte a quello spettacolo terribile.
- ZIO JACK! ZIO JACK!- William girava come una trottola, in preda al panico.
   Nell’altra stanza, il bollitore aveva cominciato a fischiare, sempre più insistentemente. Quel suono si mescolava agli urli acuti del piccolo, si aggiungeva al baccano generale e faceva impazzire Will.
   Aspettare che l’uragano si calmasse fu l’impresa più eroica che avesse mai affrontato. Una tempesta di pensieri affollava la sua mente, mentre i lampi dei lamenti del suo bambino gli perforavano le orecchie.
   Era un tormento vederlo così. Will sperò che finisse presto. Sperò e pregò a occhi aperti, quell’infuocata mattina. Finchè la sua richiesta non fu esaudita.
   Lentamente, fin troppo lentamente, William perse tutte le sue energie. Continuava a piangere senza sosta, ma aveva rallentato: era distrutto, forse stanco, sicuramente annientato dal dolore della perdita di Jack. Che avanzo di galera, Jack.
   Will indovinò che il bambino stava per cedere e si tenne pronto, con il fiato in gola. Appena cadde seduto per terra, Will corse ad abbracciarlo. Lo afferrò e lo strinse forte a sé: lui non l’avrebbe abbandonato, mai. Si beccò un paio di calci e pugni, ma tenne coraggiosamente stretto al petto William, mentre sentiva che la camicia si bagnava delle sue lacrime.
   Lo tenne finchè non sentì che perdeva un po’ di forze. Singhiozzava ancora, teneva la stoffa stretta tra le dita e tirava, quasi a volergliela strappare. Will chiuse gli occhi e attese, respirando profondamente e augurandosi che quel contatto fosse abbastanza per proteggere William dalla sua voragine di paura.
- E’ andato via! Mi ha lasciato!- frignava il bambino, tra i singulti.
- Vedrai che non ti ha lasciato. Lui ti vuole bene. Non ti devi preoccupare. Ha detto che tornerà presto.- cercò di accarezzarlo, ma il bambino si scostò. Will non insistette.
- Lui dice sempre “presto”.- replicò sconsolato William.










***CIAOOOOOA TUTTI!!!!!!***
Rieccoci finalmente! Vi si sono diradate un po' le nebbie del mistero? Ora si dovrebbe essere accesa qualce piccola luce! Che ne pensate?!
Alla prossima :)
by Martin Eden

 
  
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