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Autore: theuncommonreader    08/09/2015    2 recensioni
[Eschilo, "I Sette Contro Tebe"][Eteocle\Polinice]
La prima volta che avevano giaciuto assieme sapevano entrambi di stare sbagliando, ma il fatto che la notte li nascondesse rendeva tutto più facile da accettare.
Scritta per l'evento "Winter Is Coming Week" indetto dal gruppo FB "We are out for prompt".
Genere: Angst, Dark, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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il fratello ucciso uccise

WE ARE OUT FOR PROMPT - WINTER IS COMING WEEK 31 AGOSTO - 6 SETTEMBRE

Titolo: il fratello ucciso uccise

Personaggi: Eteocle; Polinice. Eteocle/Polinice.

Prompt © Aika Morgan: Eteocle/Polinice. #1: "La prima volta che avevano fatto l'amore, sapevano entrambi di stare sbagliando, ma il fatto che la notte li nascondesse rendeva tutto un po' più facile da accettare." #2: Il duello in cui si uccidono a vicenda.

Note: Il titolo è una citazione dalla tragedia di Eschilo "I Sette Contro Tebe".

[Per correttezza, scrivo che è un poco riveduta dall'originale, nonostante sia rimasta perlopiù identica. Ho solo cambiato qualche parola e l'ordine di un passaggio o due, per rendere il tutto più scorrevole.]


OoOoOoOoOoO

La prima volta che avevano giaciuto assieme sapevano entrambi di stare sbagliando, ma il fatto che la notte li nascondesse rendeva tutto più facile da accettare.

Avevano condiviso un grembo, pensava Eteocle mordendo le labbra di Polinice con baci feroci, sarebbero potuti essere un solo individuo.

Dopo, quando ancora il seme non era asciutto sul corpo sudato di Polinice, egli si era voltato, cercandolo la sua bocca senza gentilezza, per ripicca.

Erano giovani, e le loro colpe facilmente venivano perdonate, dimenticate; gli dei erano lontani, e forse che non dividevano con loro l’icore, mischiato al sangue umano di antenati più prossimi?

Erano giovani, ed erano invincibili: si davano battaglia nel campo d’addestramento, con lance, con spade, a terra o sul cocchio; si procuravano a vicenda tagli e ferite, e dopo, soli, leccavano via il sangue assieme al seme che sporcava loro le cosce, i ventri.

Erano fratelli, e si amavano; ma quando quell’amore legittimo era scivolato sotto l’ala protettrice di Dioniso, Eteocle non se ne era reso conto.

I loro abbracci erano sempre una guerra; l’uno sopraffaceva l’altro nel kliné, con la stretta delle dita, il succhiare delle labbra, le carezze della lingua.

Era incesto, sì. Ma loro erano dei in terra, e nessuna schiava, nessuna principessa dai morbidi seni, profumata di mirra, poteva competere con l’odore di Polinice dopo la battaglia, salato di sudore e ferroso di sangue.

Eteocle aveva smesso di domandarsi quando la fine avesse avuto principio.

Quando Edipo si era acciecato, Giocasta aveva scelto la morte.

Loro erano forti e uniti, insieme, ma un seme aveva iniziato a germogliare in Polinice.

Eteocle aveva chiuso gli occhi, lasciato che le carezze violente del gemello, il compagno di quel grembo maledetto, scacciassero il dubbio, una colpa diversa da quella degli amplessi del loro sangue comune. 

Avvolti nel manto di Nyx, progettavano di dominare assieme. Avrebbero preso spose, avuto figli da offrire alla patria; ma la notte, Tebe poteva lasciarla loro per godere del loro peccato, dell’eredità di Edipo.

Ingenuo Eteocle.

Polinice cresceva e la sua forza aumentava, luttuosa, letalmente casuale.

L’assassinio e l’omicidio li stimava niente, il valore di un uomo era senza conseguenza di fronte al proprio. Eteocle vigilava e consigliava. Difficile quietare il bollore del proprio animo; ancor più difficile quietare la sete di Polinice, che nel kliné e fuori da esso non aveva limiti.

A che pro onorare gli dei, a che pro frenare gli impulsi, se la loro schiatta, già maledetta, non poteva cadere più in basso nell’Erebo?

Ma un fondo c’era, e Eteocle, ricompensato dalla sorte per l’animo saggio ancorché ardente, per il rispetto degli dei, l’onore dei sacrifici, era re quando scacciò il gemello dalla città di Cadmo, immolando il sangue alla patria.

Polinice non lo avrebbe perdonato mai; e non poteva viverne senza.

Argo non era la sua patria, la figlia di Adrasto non era la sua metà. Polinice era perso in un dedalo da cui nessuno poteva salvarlo, e dunque, presi con sé empi e giusti, tornò a casa, a morire, o a vincere.

Riponeva fiducia nella lancia di Eteocle: ai mali, quando capitavano, non si poteva sfuggire. Il suo fratello amato, odiato, conosceva la colpa e ne portava il peso sulle spalle ampie; preghi e scongiuri non lo avrebbero dissuaso dai sussurri di Giustizia, l’effigie sullo scudo dono di Adrasto, che a Polinice non aveva parlato mai.

Come potevano, estranei, distinguere due per aspetto identici, egualmente fieri nella rabbia, egualmente spezzati nella morte?

Quando la lancia di Eteocle si conficca nel fianco sinistro, Polinice vola col pensiero alle sorelle, ma gli occhi acciecati da sudore, sangue e lacrime, fissano quelli del fratello.

Dicono che Polinice, ucciso, uccise; ma è Eteocle a spostarsi sulla sua traiettoria, perché la lancia lo colpisca nel medesimo punto, perché i loro respiri si mischino nell’ultimo viaggio.

   
 
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