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Autore: Scrivomegliodicome_vivo    10/09/2015    0 recensioni
"Il fatto che tu sia presente, pur non essendoci mai stata,
mi fa perdere la testa. "
Giulia ha ventidue anni e una vita che spesso le sembra spenta.
Andrea non conosce limiti e ottiene sempre tutto quello che vuole.
Due mondi che non s'appartengono, due realtà che non riescono mai a trovarsi davvero.
Da una parte il gioco, il desiderio, l'incontrollabile voglia di vincere, dall'altra parte le fragilità, le innocenze, la consapevolezza di aver perso per la prima volta la testa per qualcuno.
"La mia è voglia di viverti, la tua solo voglia di avermi.
Due cose così vicine tra loro, eppure così incompatibili. "
Un banale incidente che non può essere altro che un incidente di percorso.
"La verità è che, in termini psicologici, tu sei quel desiderio che il mio super io tenta in tutti i modi di censurare.
Sei il mio desiderio inaccettabile.
Allora non mi importa se non mi sceglierai. Ti ho già scelto io."
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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incidenti di percorso:
capitolo primo.
                                                            
  Di: Tiziana Laudani; 


La mia corsia era invasa da motorini e moto, e mi precedeva una - chissà quanto lunga- fila di 
automobili che aspettavano esattamente come me che il traffico defluisse.
E io sarei già dovuta essere a lavoro mentre l'inferno della città mi sovrastava di rumori e strani odori, e non potevo fare altro che pensare a Roberto e quanto il suo livello di incazzatura avesse già sicuramente oltrepassato il limite. 
Me lo immaginavo già, tutto impettito, con la solita camicia azzurra e i capelli ricci e scuri, il sorriso enigmatico di chi ne conosce sempre una più del diavolo e gli occhi color nocciola da cucciolo. Roberto, se non si è ancora capito, era il mio datore di lavoro, un ragazzo sulla trentina con una carriera alle spalle che tutt'oggi mi stravolge. Fa lo psicologo a tempo pieno e io, che dir si voglia, facevo la sua assistente.
Vogliamo chiamarmi tirocinante? Assistente sexy? Segretaria? Forse tutti e tre i termini anche se, pur piacendomi, la parola sexy non mi rappresentava molto. 
Insomma, qualsiasi fosse il mio appellativo io con questo lavoro riuscivo a pagarmi gli studi.
Avevo soltanto ventidue anni, i capelli castani neanche troppo scuri, lunghi sotto le spalle e mossi, gli occhi neri e un fisico decisamente nella norma.
Mentre le auto erano ancora tutte ferme abbassai il finestrino e sistemai i capelli ribelli e stravolti, come se fosse possibile addomesticarli e renderli soltanto un poco più decenti. Mi piaceva sognare insomma. Svoltando destra, in una stradina neanche troppo grande, avrei trovato finalmente la strada sgombra e meno infernale, così decisi di cambiare direzione facendo bene attenzione alle altre auto e ai motorini che non avevano nessuna pietà per le povere ragazze in ritardo come me; la faccenda accadde proprio sul più bello, proprio quando credevo di essermi liberata dei problemi.
Un motociclista, infatti, ignorando del tutto la mia presenza e anche il codice stradale, avanzò senza segnalare e centrò in pieno la mia auto. 
Delirio.
Provai ad evitare l'impatto portandomi ancora a destra e finendo con lo sbattere contro il muro, cosa che non fece altro che accrescere il mio stato già abbastanza psicopatico.
Di bene in meglio.
Vidi, palesemente infastidita, l'idiota della moto mentre spegneva quell'aggeggio infernale e con lo sguardo serio lo perlustrava come fosse l'unica cosa interessante di cui preoccuparsi.
"Ancora non ve l'hanno strappata la patente?" Mi urlò senza neanche alzare il viso dalla sua moto. 
"Come?" Pensavo di non aver capito, magari si trattava soltanto della mia immaginazione, quel ragazzo non poteva avermi detto una cosa del genere.
"Hai sentito." L'arroganza intrisa nella sua voce mi fece perdere la pazienza, così, ignorandolo del tutto, provai a riaccendere l'auto, niente. 
"Dai, muoviti." sussurrai più all'auto che a me. 
"Parli da sola?" 
"Mi hai mandato in panne l'auto." Urlai facendo segno al tizio di stare un po' zitto. 
"Non potevi stare più attenta?" 
"Sei tu che dovevi stare attento!"

"Io lo sono sempre. " Ammiccò.
"Senti, io non ti conosco e non sono neanche molto propensa a farlo, quindi..." mi avvicinai al motociclista e mi infastidì il fatto che ancora aveva addosso il casco e non si preoccupava minimamente di toglierlo. 
Vi rendete conto di quanto potevo essere sfigata? Io si. 
" Ci sono due cose che puoi fare." Sbuffai. " La prima è toglierti dalle scatole e smetterla di fare l'uomo di mondo, visto che il danno lo hai fatto tu e che mi stai anche abbastanza antipatico."
"E la seconda?"
" La seconda è: muovi quel culo e aiutami ad accendere l'auto."
" Ah, si?"
"Spero tu sia in grado di fare la tua scelta in silenzio religioso."
 
"Sono in ritardo." Si lamentò lui prima di togliersi il casco. Il problema è che nell'istante esatto in cui si tolse il casco qualcosa, se pur in maniera lieve, si mosse dentro di me, sperai si trattasse della colazione. Il motociclista aveva gli occhi blu elettrico e i capelli neri come il carbone, spettinati e sexy. E voi vi starete chiedendo, che diavolo hai aspettato a saltargli addosso? Anche io me lo chiedo, ma il suo modo di fare annullava completamente il suo aspetto. 
"Voi donne, sarete la mia rovina." Mi disse scuotendo la testa.
" Potrei anche chiamare i carabinieri e raccontare che mentre svoltavo a destra un pazzo ha provato a superarmi a sinistra. A quel punto sarei degna di chiamarmi rovina."
Lo guardai ridere per qualche secondo e poco dopo lo vidi farsi serio, con gli occhi catapultati addosso ai miei prese la mia mano destra e mi sfilò dal dito il portachiavi.
Lo odiavo già, era così insopportabilmente bello da risultare irriverente, mi chiedevo da dove venisse, e perché si comportasse così, ma ero consapevole del fatto che uno come lui non poteva piacermi sul serio. 
 Prese posto sul sedile del conducente con un gesto diplomatico e provò ad accendere la macchina, sentimmo un altro rombo di motore e poi niente, il silenzio.
"Maledizione." Guardai l'orologio mentre lo sconosciuto spostava l'auto spingendola di fianco al marciapiede.
Aveva un fisico scolpito - sicuramente da anni di palestra- e un braccio possente.
"Niente da fare, la tua auto è fuori servizio." Mi voltai a guardare la sua moto e tornai su di lui. 
"Andiamo."
"Andiamo?"
Mi chiese sorpreso. " Dove?" 
" Accompagnami tu, sono in ritardo e non posso fare incazzare ulteriormente il mio capo, quindi andiamo."
"In realtà stavo giusto facendo la cosa che mi hai - molto gentilmente devo dire - suggerito."
"Il silenzio religioso, dici?"

"No." Disse avvicinandosi a un palmo dal mio naso. " togliermi dalle scatole."
"La cavalleria è morta?"
" Non mi sembri una capace di andare in giro in moto."
"Anche tu all'inizio non sembravi un tipo che dice stronzate, eppure..."
Mi passò il casco, con un ghigno in bocca e poi con un movimento saltò in sella alla sua moto. 
"Come vuole lei, madame. Si tenga stretta."
Partimmo e mentre il vento continuava a sbattermi in faccia mi maledicevo per aver commesso un tale fatto, mi tenevo stretta a lui e più stringevo più avevo paura di rotolare già per terra.
" Allora, dov'è che devi andare?"
"Alla Centoventitrè."
"Ah, la conosco, ci lavora un mio amico. In ogni caso, ti avevo chiesto di tenerti, non di stritolarmi."
Mi ammonì e il mio viso prese fuoco.
"Ah." Feci, come per scusarmi. "E' che ho paura di cadere."
" O ti piacciono i miei addominali?"
"Gli addominali non sono male, ma preferisco il cervello e qui non credo ce ne sia qualcuno."

" Ah, quindi sei una di quelle ragazze che giudica le persone senza conoscerle?"
"Tu sei il classico ragazzo, quelli come te li riconosco sempre."
"Illuminami allora."
Rallentò per svoltare a destra e io mi avvinghiai ulteriormente a lui, senza neanche rendermene conto.
Gli addominali c'erano eccome, e io stavo usufruendo di tutto quel ben di Dio, anche se non esattamente quello il mio interesse in quel momento, volevo soltanto arrivare sana e salva a lavoro e dimenticare per sempre quella faccia e quella voce irritante.
Lo sentii ridere. 
" Pieno di soldi, ti svegli ogni mattina con una ragazza diversa e non ricordi neanche il suo nome. Sei bravissimo con le parole." Feci una smorfia e cambiai tono di voce. " amore hai lo sguardo che ammalia, tesoro non potrei mai dimenticarti, sono un povero ragazzo incompreso che non ha ancora trovato la sua strada" sospirai. " così la trova lei ed è quasi sempre in basso, dentro i pantaloni."
Si fermò ad un semaforo e si girò a guardarmi.
"Sei sempre così acida?" 
"Soltanto con chi mi fa arrivare tardi a lavoro."
"Comunque, io sono Andrea, piacere."  

Io non risposi, che senso avrebbe avuto dire il mio nome ad uno sconosciuto che neanche lo avrebbe ricordato? Per di più ad uno che neanche sopportavo. Sarei arrivata a lavoro e avrei dimenticato quella brutta mattinata. Forse lo avevo già ripetuto troppe volte.
"Siamo arrivati, fifona."
Scesi da quel bestione di moto porgendogli il casco. "Grazie per il passaggio, divertiti con gli altri incidenti." Feci per andarmene, ma Andrea mi afferrò per un braccio, lo guardai in cagnesco e alzai gli occhi al cielo.
"Non mi hai detto come ti chiami."
"Perché non è necessario saperlo. "
Gli sorrisi freddamente e mi allontanai da lui a passi svelti.
"Comunque prego!" Mi urlò, riaccendendo la moto.
Salii le scale che avevo già il fiatone, ero stanca e sfinita, pensavo alla mia macchina e ad Andrea e volevo soltanto che quella giornata finisse, trovai Roberto seduto sulla poltrona di pelle nera, con i gomiti sulla scrivania e l'aria leggermente preoccupata.
"Dove diavolo eri finita?"
" Non partiva l'auto e ho avuto una specie di incidente."
"Specie? Che ti sei fatta?

"E' complicato, ma sto bene."
"Ne sei sicura?"
" Sicura."

"Devo andare a discutere di un fatto con un mio amico, torno tra qualche ora, annota gli appuntamenti e sistema l'agenda."
"Sarà fatto."






Avevo appena acceso una sigaretta pensando che mi andava bene, tutte le pazze potevano anche rompermi le palle, ma come minimo dovevano darmela dopo. 
Roberto mi aspettava da chissà quanto tempo e quella lì aveva quasi preteso di salire in moto con lo sconosciuto che - tra le altre cose- l'aveva incidentata, e non come avrebbe voluto, ovviamente.
Mi aveva parlato con una tale arroganza senza neanche dirmi il suo nome.
Probabilmente si chiamava Furia o Tornado per il modo di travolgere e quella lingua tagliente che avrei sicuramente utilizzato in altri modi più funzionali e meno noiosi, non ne incontravo una così da chissà quanto tempo.
Spensi il motore e scesi dalla mia moto, togliendomi il casco. 
Non mi capitava una ragazza così da... mai, sorrisi tra me e me pensando a quant'era difficile trovare una ragazza così decisamente infastidita dai miei modi, una che non che non avrebbe mai fatto scendere giù per la spalla - accidentalmente ovvio- la spallina della maglietta. Mi aveva parlato, guardato e persino toccato come se fossi uno dei tanti, quasi come se su di lei, l'effetto che avevo sempre riscontrato nelle altre, era nullo, forse il mio fascino non la colpiva. 
"Roberto!" Salutai il mio amico con il solito sorriso e cercai mentalmente di accantonare ciò che era successo quella mattina.
"Scusami Andrea, ma ho avuto un contrattempo. " 
"Sei arrivato adesso?" 
"Si ho avuto un problema con la ragazza che lavora da me."

"Le donne portano solo problemi, ecco la verità. Sono arrivato adesso anche io, ci sediamo? " Gli occhi di quella ragazza erano neri, non troppo grandi, ma decisamente profondi e il suo profumo era semplice, ma buono.
"Si, certo."
"Allora, di che volevi parlarmi?"
"Sono in un bel casino, amico."

"Qualcosa di grave?" Scrutai nello sguardo di Roberto un lampo di preoccupazione. 
"No, niente di serio. Ma è un bel casino."
"Di che tipo?"

"Ti ricordi la festa di Sabato? Quella di cui ti parlavo la settimana scorsa."
"Saranno presenti i più importanti professori di Oxford. Lo so, me l'hai ripetuto sessanta volte. "
"Appunto."
"Andrà tutto bene."

"Non verrà nessuno, Andrea, il che significa che ho soltanto buttato soldi nel cesso e che farò una figura di merda."
"Non sei riuscito a combinare niente?!"
"E' che tra il lavoro e le donne, non riesco mai a trovare tempo. Pensavo che più la festa fosse divertente, più quelli di Oxford si sarebbero accorti di me, ma non sapranno neanche chi sono. "
"Bastava semplicemente spargere la voce."

"Lo faresti tu?"
"Eh?"
"Spargeresti tu la voce?
"
"In un giorno?"
"Si, tu hai molte conoscenze Andrea, lo sai. Bastano poche persone, ma buone."
"Tu hai bisogno di uno psicologo."
Ironizzai.
"Chiedi a tuo padre, lui è un pezzo forte, no?."
"Lascia fuori mio padre da questa storia."
Pensai agli occhi di mio padre fissi sui miei, eravamo così simili e allo stesso tempo troppo diversi. 
Mio padre era sempre stato un uomo buono, uno di quelli pieni di soldi con la fissa per le cose belle, uno che però fino ad ora aveva sempre sbagliato le tempistiche. 
Amava quando era troppo tardi, si metteva in gioco troppo presto, sbagliava quando c'era da fare la cosa giusta. Dopo la morte di mia madre il nostro rapporto era cambiato, lui si sentiva colpevole della sua morte e anche una parte di me lo riteneva colpevole.
Ogni volta che guardavo lui, vedevo anche l'assenza di lei.
All'inizio mi era sembrato impossibile tornare alla vita di tutti i giorni senza soffrire troppo.
Mia madre mi mancava ad ogni respiro, tanto che l'idea di poter tornare a vivere senza la sua presenza, mi risultava impossibile.
Andare a dormire senza la sua buonanotte, passeggiare per casa senza sentirla intorno, non sentire più le sue ramanzine o la sua voce era come non vivere, come se dopo anni di luce, non vedessi più. E la mattina mi svegliavo credendo di aver fatto solo un brutto sogno, come quando se bambino e fai un incubo di domenica mattina, quando hai paura che sia tutto vero ma poi apri gli occhi e la senti che canta in cucina e allora sai che va tutto bene, che può ancora abbracciarti, che sei sul tuo letto e a casa tua. 
Ma io la sua voce non la sentivo più e passeggiavo per casa con la speranza di vederla ancora, anche per l'ultima volta. Era l'unica persona di cui mi fidavo, e se n'era andata, comunque da quel giorno era cambiato tutto, esattamente come ero cambiato io.
"Andrea? Hai capito? Ci sei?"
" Eh?" Mi passai una mano tra i capelli tornando a quella realtà e a Roberto. 
"Questa cosa che siamo amici deve finire. Tu chiedi troppi favori amico."
"E tu mi freghi tutte le donne, ma chi ti ha mai detto niente."

"E chi può darti torto? Ti aiuto Roberto, ma soltanto perché così avrò più possibilità di divertirmi. La mia gente è più simpatica. "
" Adesso hai la tua gente? Comunque Grazie amico. " Si alzò in piedi e mi sorrise. "Adesso vado da Giulia, non vorrei che combinasse qualche casino dei suoi. Quella ragazza è un tornado."
Lo guardai curioso, rimpensando agli occhi scuri di quella ragazza, anche lei era un tornado e ne ero certo. 
"Ovviamente un tornado sexy." Disse Roberto, rispondendo ai miei quesiti silenziosi.
"Quando non ci sono i testimoni, tutte le ragazze sono sexy."
"Giulia lo è davvero, dovresti conoscerla."
"Un giorno di questi."

"Tanto domani sarà alla festa."
Non avevo mai attribuito il termine sexy a nessuna delle ragazze con cui ero stato, insomma, avevo fatto sesso con tante di quelle donne da non pormi più il problema.
Non che fossero brutte, me ne sarei guardato bene dal dirlo, eppure ero giunto ad una mia considerazione personale secondo cui la donna sexy dei miei sogni non doveva essere brava a toglierti i pantaloni o a sfilarsi la maglietta, doveva farmi impazzire già prima, già con i vestiti addosso e ormai mi risultava difficile impazzire per una donna vestita, probabilmente perché avevo la certezza che l'avrei spogliata subito. 


 
   
 
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