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Autore: IllyriatheSmurf7    11/09/2015    6 recensioni
Ora che si trova davanti a lei, Clarke si rende conto di quanto stupida sia stata a credere di riuscire a voltare pagina, di riuscire a dimenticare.
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Ciao a tutti! Questa è la prima storia che posto su questo sito, e sono un po' nervosa. Se vi piace, fatemi sentire la vostra opinione! :)

Clarke si sveglia di soprassalto con un urlo bloccato in gola. I suoi occhi si aprono, ma per un momento eterno non è sicura di dove si trovi: è circondata dall'oscurità. Le ombre che danzano davanti ai suoi occhi somigliano a spettri oscuri, venuti a torturarla, a chiedere giustizia. E' solo quando il crepitio del fuoco attira la sua attenzione che finalmente riesce a riacquistare consapevolezza. E' ancora nella foresta. Clarke lascia andare un respiro ma non ottiene alcun sollievo. Non c'è mai sollievo, mai.

La luna è alta e il mattino non è neanche lontanamente vicino, ma lei già sa che non tornerà a dormire. Il fuoco vicino al suo sacco a pelo non basta più a riscaldarla, e le gocce di sudore freddo che scorrono lungo il suo collo la fanno tremare. E' una cosa che odia perché, proprio come l'incessante martellare del suo cuore, è un promemoria. La conseguenza fisica dell'incubo che l'ha obbligata a svegliarsi. Quelli che inizialmente credeva fossero fantasmi, adesso li riconosce come le ombre degli alberi intorno alla radura dove sta riposando. Ma la luce del fuoco è fioca, e tutte quelle ombre rimangono opprimenti e minacciose. Chiunque potrebbe nascondersi lì, riflette, ma lo stomaco le si torce quando si rende conto di quanto sia realmente in errore. Non dovrebbe essere lei ad avere paura dei mostri nascosti nel buio. Lei è il mostro.

Clarke appoggia la testa contro il tronco dietro di lei e chiude gli occhi. Sono passati mesi dal giorno in cui ha lasciato Camp Jaha senza voltarsi. Non sa quanti, e non le importa realmente, perché si sente esattamente uguale. Non ha ottenuto nulla con il suo esilio autoimposto. Pensieri, ricordi, immagini la tormentano ancora. Quando dorme vede volti bruciati, bambini che gridano di dolore. Questa notte c'era Maya: la dolce, coraggiosa Maya, che ha rischiato la vita per aiutarli solo per essere ripagata con una morte atroce. Nell'incubo di Clarke, lei brucia. La carne sul suo viso si scioglie mentre guarda Clarke, ma non urla. Invece, c'è un piccolo sorriso sul suo volto, è il messaggio è chiaro per Clarke. Un giorno proverai le pene dell'inferno anche tu, è quello che meriti.

Clarke apre gli occhi il più rapidamente possibile. Sapere che era solo un incubo non l'aiuta, perché sa che Maya ha ragione. E' vero, se lo merita.

Il suo sguardo si posa sulla sua mano destra, e il suo cuore si stringe nel petto pensando a quanto è patetica. La mano è guarita ormai, ma le cicatrici sono ancora lì, saranno lì per sempre. Per ricordarle del suo fallimento e della sua codardia. La sua mente la riporta a quel giorno. A quando, dopo un altro incubo che aveva portato il suo cuore quasi a esplodere e l'aveva lasciata senza fiato, quell'irresistibile bisogno era cresciuto dentro di lei. Il bisogno di capire, di provare. Provare quello che avevano provato loro. Un bisogno così intenso e insistente che le aveva fatto spingere la mano dentro al fuoco.

Clarke fissa quella mano, la pelle terribilmente deturpata. Undici secondi. Era durata undici secondi prima di cedere e strappare violentemente via la mano dalle fiamme. E' ancora così vivido nella sua mente: il dolore straziante che sembrava non avere fine. L'odore nauseante di carne bruciata. Le sue urla acute e il momento in cui si erano trasformate in un singhiozzio disperato. Lo stesso pensiero di quel giorno la colpisce nuovamente mentre rammenta quegli avvenimenti. Hanno provato lo stesso insopportabile dolore su tutto il corpo. Lei ha condannato gente che l'aveva aiutata, Maya, bambini innocenti, a una morte atroce, e non ha neanche la forza di sopportare un po' di quel dolore per più di qualche secondo. 

Le dita della sua mano sinistra sfiorano la pelle mutilata, scurita e tesa, e la nausea cresce dentro di lei. Non è disgustata dalla vista, ma sa che potrebbe entrare nel fuoco, lasciare che la consumi fino a renderla cenere, e non sarebbe comunque abbastanza a purificarla dai suoi peccati. Perché è la sua anima a essere sporca, e corrotta, e non c'è modo di tornare indietro.

Non può avere redenzione, non può avere pace. Quelli sono desideri di cui non è più degna, proibiti. Tutto ciò che le è rimasto è la colpa. Ed è giusto così.E' tutto quello che dovrebbe avere dopo i crimini indicibili che ha compiuto. Non dovrebbe nemmeno cercare di liberarsi di quella colpa, lo sa bene. Questo è ciò che l'ha fermata dal varcare i cancelli di Polis, due giorni prima. Qualunque cosa sperasse di trovare nella capitale, non la merita. Le parole di Dante risuonano nella sua testa, come hanno fatto innumerevoli volte in passato, ogni volta che la sua volontà di sopportare la propria punizione aveva minacciato di vacillare.

Lo sopporto io, così che non debbano farlo loro.

Si. Deve sopportare la colpa. Colpa che, è arrivata a rendersi conto, rimarrà con lei per sempre, consumando e corrodendo tutto ciò che è rimasto dentro di lei, fino a fare di lei un'ombra che appassisce. Uno storpio corpo senz'anima che vaga sulla Terra, solo. Non degno di vita, ma neanche degno di morte.

All'improvviso un suono raggiunge le sue orecchie. Non rumoroso, quasi impercettibile, ma lei riesce a sentirlo comunque. I suoi sensi si sono amplificati negli ultimi mesi, essendosi trovata costretta a migliorare le sue abilità per essere in grado di sopravvivere in solitudine. La vecchia Clarke non l'avrebbe mai notato, ma la persona che è diventata sa che lo schiocco di un ramoscello che ha appena sentito non è un rumore comune. Il battito del suo cuore accelera quando si rende conto che c'è qualuno nella foresta.

Lì sdraiata nel suo sacco a pelo, Clarke sa di essere esposta, così scatta in piedi e avanza verso il luogo da cui era arrivato il suono. Non ha senso nascondersi o cercare di scappare. Lei sa che non si tratta di un animale. Il fuoco ha sempre tenuto le creature lontane. No, Clarke sa che c'è una persona nascosta dietro agli alberi. Non sa quali possano essere le sue intenzioni, ma non ha paura. Non è rimasto molto in grado di spaventarla, a parte se stessa.

Clarke si ferma in mezzo alla radura. La sua presa sulla pistola è sicura quando alza le braccia e punta l'arma verso la foresta.

"So che sei lì. Vieni fuori."

L'unica risposta che ottiene è il profondo silenzio della notte, interrotto solo dal crepitio del fuoco. Prova un'altra volta, ma nuovamente, la foresta rimane silenziosa, cercando di convincerla di aver immaginato tutto. Di essere stata sola così a lungo da essere diventata paranoica. E per un momento una parte di comincia a crederci, finché non ottiene la prova contraria. 

Perché vede del movimento nelle ombre, finché una figura emerge con esitazione dagli alberi, per fermarsi proprio davanti a lei. E Clarke smette di respirare.

Non può muoversi, ed è sicura di poter sentire il suo cuore smettere di battere dentro al petto. Clarke ha visto molto nella sua vita, e ha anche fatto davvero molto. Nel suo breve tempo sulla Terra, ha visto e fatto cose che mai avrebbe immaginato possibili quando viveva sull'Arca. Quasi nulla può scioccarla ormai. Ma ora, in questo esatto momento, Clarke si rende conto che non c'è nulla di più lontano dalla verità. Perché vedere quegli occhi verdi è abbastanza per diffondere uno shock paralizzante attraverso tutto il suo corpo. Quegli occhi che brillano ogni volta che la fioca luce del fuoco li colpisce, come se appartenessero non a un umano, ma a un essere soprannaturale. Quegli occhi che le danno il senso di essersi persa nell'angolo più oscuro e sacro della foresta. Che le fanno sentire di aver raggiunto le profonde, tormentate acque di un mare che ha visto solo in sogno, e di essere pronta ad abbandonarsi a loro. Quegli occhi che vorrebbe la tormentassero solo nei suoi incubi, ma che continuano ad apparire nei suoi sogni.

"Tu..." E' l'unica cose che Clarke riesce a sussurrare in quel momento. Lo shock è ancora troppo intenso. Non è neanche in grado di pronunciare il suo nome, non ancora. Quel nome è legato a troppo. Intimidazione, paura, disperazione che si erano trasformati lentamente e improvvisamente in rispetto, comprensione, fiducia. Non è ancora del tutto sicura su quando era arrivato il calore. La brama nel suo petto, il lento bruciare in fondo allo stomaco, che labbra incredibilmente gentili avevano trasformato in una fame ardente, quasi impossibile da sopprimere. Ma si ricorda esattamente il momento in cui quelle labbra, quelle labbra che le avevano dato conforto e rifugio, avevano strappato il calore via dal suo cuore per sostituirlo con il ghiaccio. Ricorda il momento le sue speranze erano state schiacciate e trasformate in crudo, lancinante dolore.

E ora che si trova davanti a lei, Clarke si rende conto di quanto stupida sia stata a credere di riuscire a voltare pagina, di riuscire a dimenticare. Fissarla è abbastanza perché tutte quelle emozioni contrastanti si riversino nuovamente su di lei, con una tale intensità che la mano con cui tiene la pistola inizia a tremare. 

Il senso di stupore lentamente inizia ad affievolirsi, e Clarke comincia a riottenere il controllo sui propri sensi. E' in quel momento che vede lo sguardo di Lexa spostarsi leggermente sul suo braccio sollevato, e si rende conto che la terrestre ha notato i suoi tremori. E' questo che la spinge ad abbassare l'arma. Non c'entra nulla con la consapevolezza che Lexa non è una minaccia. Ma Clarke non vuole che veda quanto è realmente colpita. La rende furiosa pensare a quanto potere la ragazza dai capelli scuri ancora ha su di lei.

"Non volevo spaventarti."

Gli occhi di Clarke quasi si chiudono e deve chiamare a sé tutta la sua forza per non lasciarsi scappare un profondo e tremante sospiro. La voce di Lexa è calma, delicata, timida quasi. E' priva della severità e solennità che Clarke le ha sentito usare durante incontri di consiglio o con i suoi soldati prima di una battaglia. E', invece, il tipo di voce che usava quando erano sole, mentre si nascondevano per brevissimi momenti dal peso delle loro responsabilità. Cercando rifugio una nell'altra, senza neanche rendersene conto. E' in quel momento che Clarke sa di non star fissando il Comandante. Il suo aspetto aveva già fornito alcuni indizi alla bionda: niente guardia sulla spalla, il cappotto regale rimpiazzato a favore di una semplice giacca di pelle, il volto privo di quella pittura di guerra capace di trasformare lo smeraldo dei suoi occhi in acciaio. Ma la sua voce è la prova definitiva. C'è solo Lexa in piedi di fronte a lei.

E Clarke non può affrontare tutto questo. Non può affrontare il vortice di emozioni che quella ragazza risveglia in lei. Clarke è già un disastro, e questo è semplicemente troppo. Così fa l'unica cosa che può per sopravvivere. Accetta il dono di Lexa. Lascia che il ghiaccio la invada, lo lascia congelare e uccidere. E quando l'unica cosa che riesce a sentire è il gelo, Clarke prega che il suo scudo di ghiaccio sia abbastanza per proteggerla.

"Ti sopravvaluti se credi che quella fosse anche solo una possibilità. Non mi aspettavo semplicemente di vederti. Mai più."

"Lo so..." Lexa annuisce, una volta sola, come Clarke le ha visto fare dozzine di volte. "Neanche io mi aspettavo di rivederti, Clarke."

Sentire la terrestre far scivolare il suo nome sulla sua lingua in quel modo, come una preghiera che non ha più speranza di ottenere risposta, è quasi schiacciante, e Clarke deve fisicamente girarsi per riprendersi. Non ha bisogno di questo. Ha bisogno del distacco, del ghiaccio. Così chiude gli occhi e si rifiuta di concentrarsi su quell'accenno di sofferenza che ha sentito nella voce di Lexa. Invece si concentra sulle sue parole, sul reale significato nascosto dietro di esse. E quando sente una nuova emozione minacciare di emergere, invece di rifiutarla Clarke ci si aggrappa con tutta se stessa. Ed è quasi sorpresa da quanto facile e... confortante... è per lei accogliere il proprio rancore.

"Già, posso solo immaginare quanto sorprendente debba essere rivedere qualcuno che hai tradito e lasciato a morire."

Clarke si gira di nuovo, ma è ancor prima di incontrare il suo sguardo che sa che le sue parole hanno colpito la terrestre. Ha sentito il modo in cui cui il suo respiro si è spezzato. La tensione nelle sue spalle rende il tutto solo più ovvio, e Clarke dovrebbe essere cieca per non vedere il lampo di dolore nei suoi occhi. Eppure, Lexa non risponde. Si limita a fissare il terreno, senza dire nulla, e Clarke non sa se sentirsi più sollevata o infuriata alla mancanza di risposta.

Passano lunghi momenti prima che si renda conto che Lexa non ha intenzione di dire nulla. Potrebbe provocarla, ma da quello che ha visto non sembra poter essere molto d'aiuto, e lei è troppo stanca per sprecare energie inutilmente.

"Beh, dato che abbiamo avuto una conversazione così bella..." sospira con irritazione, "Io mi sdraio di nuovo. Tu... non lo so, fai quello che ti pare, per quanto me ne importa."

Si sta incamminando nuovamente verso il suo giaciglio quando la voce di Lexa la ferma all'improvviso. "Il tuo fuoco si sta spegnendo..." Clarke torna a fissarla con un sopracciglio sollevato. Di tutte le cose che avrebbe potuto dire... "Congelerai se non lo ravvivi."

All'assurdità delle parole di Lexa, Clarke non può non lasciarsi andare a una risatina sarcastica. Ora si preoccupa per lei. "Sono sopravvissuta per mesi, di sicuro non mi ucciderà un po' di freddo adesso. Se eri così preoccupata, avresti dovuto farti viva durante l''inverno."

Lexa fissa lo sguardo in lontananza e mormora qualcosa così piano che Clarke quasi non sente. Ma quando finalmente riesce a comprendere le parole pronunciate, si rende conto che il Comandante probabilmente sperava che lei non le sentisse. "Non sapevo come trovarti..."

"E ora? Come mi hai trovata ora?" Lexa fa un paio di passi in avanti prima di notare il modo in cui Clarke si è irrigidita, e dunque si ferma immediatamente.

"I miei esploratori ti hanno vista vicino alle porte di Polis, due giorni fa, e mi hanno informata."

Si, ha senso. Ma Clarke non riesce a non sentirsi irritata per essere stata localizzata con tale facilità. Credeva di essere stata abbastanza attenta da non essere notata. Tutti i suoi sforzi sembrano inutili ora. La ragazza ripone la pistola nella cintura dei pantaloni e incrocia le braccia sul petto, uno scudo di carne e ossa, prima di sollevare la testa. C'è uno sguardo duro sul suo viso.

"Allora? Si, sono passata vicino alla tua amata Polis. Ho commesso qualche tipo di crimine, è per questo che sei qui? Ho violato qualche termine della nostra alleanza? Ah aspetta, avevo dimenticato che non esiste più alcuna alleanza." Non è orgogliosa delle sue parole, del veleno che cola dalla sua bocca, ma liberarsi di una parte di esso la fa stare bene. Il suo sollievo è tuttavia breve, perché non vede dolore sul volto di Lexa. Solo confusione.

Clarke la fissa con uno sguardo accigliato, e inclina la testa da un lato, invitando silenziosamente Lexa a spiegarsi. Ma sicuramente non si aspettava di sentire le sue parole successive. "L'alleanza resiste."

"Cosa?" Non può nemmeno far finta di non essere toccata da quello che ha appena sentito. E' semplicemente incredibile. Dopo tutto quello che è successo, dopo un tradimento così sconvolgente, non riesce a immaginare la sua gente desiderosa di mantenere un' alleanza con colore che li hanno lasciati a morire.

"Come?" La sua voce è molto meno ferma di quanto vorrebbe. 

"Non ci è voluto molto prima che le voci che la Montagna era caduta cominciassero a diffondersi. Gli Uomini della Montagna sono morti, tutti quanti. La Skai Heda ha sconfitto i mostri e ha salvato tutta la sua gente. Questo è quello che hanno detto." Clarke può sentire le crepe formarsi nel suo scudo di ghiaccio, quando le immagini di faccie sciolte le attraversano la mente. Il suo sguardo vaga per qualche secondo, fisso ovunque tranne che sul volto di Lexa, fino a posarsi sui propri piedi. E' così concentrata ad allontanare quelle immagini che questa volta, quando Lexa si avvicina lentamente, Clarke non reagisce. Sta respirando a malapena quando la terrestre va avanti. "Non potevo crederci all'inizio. Non sembrava possibile. Ma poi ho deciso subito di cavalcare fino aI tuo campo..." si ferma per un istante, "per vedere te..."

Ma Clarke se n'era già andata a quel punto. La ragazza prova a immaginarsi cosa sarebbe successo se fosse rimasta. Cosa avrebbe provato se avesse visto Lexa arrivare a Camp Jaha per discutere un'alleanza che le aveva tolto tutto. E' sollevata quando la voce di Lexa riempie di nuovo lo spesso silenzio. In questo modo, può distrarsi da pensieri che non fanno altro se non infliggerle tormento.

"E' stata Abby a dirmi che te ne eri andata. Ed è stata sempre lei a propormi di mantenere l'alleanza intatta, nonostante–" si blocca, ma è già troppo tardi. Clarke sa bene quello che stava per dire, e alza lo sguardo per incontrare gli occhi inquieti di Lexa. La sua rabbia per il tradimento si risveglia dentro di lei, come un animale selvaggio che viene pungolato con un bastone. Deve fare meglio di così, Clarke pensa, quando sente quella rabbia ribollire in fondo al suo stomaco.

"Perché mia madre dovrebbe volere un'alleanza con te?" La sua voce è fredda, dura, e Clarke è leggermente più soddisfatta.

"Ci siamo trovate d'accordo sul fatto che entrambi i nostri popoli avevano bisogno di pace. Che troppe vite erano già state perse..."

Clarke non riesce a non ridere con scherno. Le parole di Lexa fanno sembrare tutto così maledettamente facile. Niente più guerra, possiamo vivere in pace. Niente più spargimenti di sangue. Ma non è Lexa quella che ha versato il sangue. Non è lei che ha commesso un vero e proprio genocidio. Clarke sopporta quel peso così che la sua gente possa avere pace, e ogni altro giorno lei può tollerarlo. Ma non oggi. Non quando la ragazza che le ha voltato le spalle si trova davanti a lei, per parlare di come ora, ora, i loro popoli possono coesistere.

Clarke chiude gli occhi e passa una mano sul suo viso. All'improvviso è esausta, come se tutta l'energia le fosse stata succhiata via dalle vene. Il suo corpo e il suo spirito sono assetati. Assetati di pace, calma, sollievo, e tutto quello che ottiene è angoscia. Perché la ragazza in piedi davanti a lei non soltanto è la personificazione di tutto quello che ha cercato di dimenticare, ma le ha appena rinfacciato il suo crimine indicibile, e Clarke è sicura che una lancia nel petto farebbe meno male di questo.

Troppe vite erano già state perse. Che modo elegante per parlare di un massacro.

Clarke odia Lexa per quest. Odia il modo attento in cui sceglie le proprie parole. Odia che stia provando a proteggere Clarke dal proprio peccato. Odia che perfino osi parlare di qualcosa a cui non ha assistito, qualcosa a cui ha voltato le spalle. Ma più di tutto, Clarke odia essere costretta a odiarla. Perché tutte le sue energie sono già impegnate a provare a tenere insieme i brandelli della sua anima, e ora questo... questo è semplicemente troppo estenuante.

"Tu non eri lì a vedere. Non parlarmi di vite perse quando tu non eri lì a vedere." La sua voce è bassa, gli occhi ancora chiusi. E' solo per un attimo però, perché i corpi bruciati sono di nuovo là, dietro le sue palpebre, e lei non ha la forza di affrontarli. Quella forza è stata portata via da tristi, tormentati, meravigliosi occhi verdi.

"Clarke-"

"Perché sei venuta qui?" Non le dà il tempo di finire. Non la lascia nemmeno iniziare. Clarke non ha intenzione di sentire qualunque cosa Lexa abbia da dire, che sia un'altra lezione di vita o una scusa inutile. E' troppo tardi per entrambe. Clarke apre gli occhi e guarda la terrestre con durezza. Lexa la sta a sua volta fissando con una tale intensità che Clarke è sicura che sia in grado di guardarle dentro. Ma i suoi occhi allo stesso tempo emanano pura vulnerabilità. Sono una finestra: Lexa può vedere l'anima di Clarke, ma sta silenziosamente pregando Clarke di guardare la sua. 

E' una tale tentazione, abbandonarsi a quella preghiera silenziosa, ma Clarke è decisa a non concedere nulla alla ragazza davanti a lei. Il suo sguardo è acciaio, rende i suoi occhi insensibili mentre pretende una risposta diretta dal Comandante. Lexa capisce, ed emette un debole sospiro prima di parlare.

"Te l'ho detto. I miei esploratori ti hanno vista. E io volevo essere sicura che fossi davvero tu."

"Avresti potuto mandare i tuoi guerrieri. Invece sei qui. Perché?" Clarke non concede a Lexa alcuna tregua. E' risoluta, incurante del chiaro disagio che la mora sta provando. Clarke osserva il modo in cui la sua gola si muove come per deglutire, e quando trova la forza per parlare, la voce di Lexa non è più forte di un sussurro.

"Avevo bisogno di vederti..."

I pensieri di Clarke viaggiano a un particolare giorno. Lo ricorda con precisione impressionante, anche se sembra appartenere a un'altra vita. Si ricorda di essersi alterata per l'atteggiamento troppo impudente del Comandante. Si ricorda di essere scattata e di aver usato parole fatte apposta per sconvolgere, parole che avevano trasformato un intimidatorio, orgoglioso Comandante in una ragazza piccola e ferita. Ricorda la sicurezza sparire dagli occhi della ragazza, per essere rimpiazzata dalla stessa vulnerabilità che può vedere ora. E ricorda un'altra confessione, sussurrata da labbra tremanti e urlata da occhi lucidi. Proprio come adesso. 

L'unica differenza è che quella volta le parole di Lexa avevano lasciato Clarke stordita. Bisognosa di aria fresca che potesse raffreddare la sua pelle bollente, e incredibilmente, impossibilmente assetata. Ora invece sente ancora una stretta al cuore, ma come risposta Clarke lascia che il suo guscio di ghiaccio si indurisca, rigettando anche il più piccolo accenno di quel sentimento senza nome che aveva provato in passato.

"Beh, mi hai vista. Puoi andare ora." Clarke dà le spalle a Lexa. E' orgogliosa di quanto la sua voce suoni distaccata. E' riuscita a superare questo incontro senza cedere, e vuole quasi sospirare di sollievo al pensiero che sia finito. 

E' quello che pensa, almeno. Perché dopo un paio di passi verso il suo sacco a pelo, si rende conto di non aver udito nulla. Non ha sentito il rumore di qualcuno che si sta allontanando. L'unico suono è fatto dai propri passi. Clarke si gira di nuovo, e infatti, Lexa è ancora là, ferma sul posto.

"Che c'è, non mi hai sentito? Te ne puoi andare," Clarke insiste, ma Lexa non si muove. Clarke è così frustrata dalla mancanza di risposta che la vena nel suo collo inizia a pulsare per la rabbia. "Vattene!" Clarke lancia un braccio verso gli alberi dietro Lexa, facendole cenno di andarsene. E' esasperante: Clarke non aveva bisogno di questo, lei voleva solo il distacco. Ma più a lungo Lexa rimane lì, semplicemente a fissarla, più diventa difficile per Clarke mantenere la calma.

La ragazza è quasi pronta a spingere fisicamente via Lexa, quando la terrestre finalmente decide di parlare.

"Cosa fai qui, Clarke?" La sua voce è tenue, Clarke riconosce cenni di preoccupazione, tristezza, e qualcosa che assomiglia a colpa. Lo sguardo di Lexa poi si sposta, e Clarke vede il suo petto sollevarsi quando spinge un respiro pesante dentro ai suoi polmoni. "Cosa ti stai facendo?"

E' solo allora che Clarke segue la linea dello sguardo di Lexa, e i suoi occhi si spalancano quando si rende conto che la mora sta fissando la sua mano bruciata. Clarke istintivamente la stringe in un pugno e incrocia le braccia sul petto, in un inutile tentativo di nascondere ciò che è già stato visto.

"Quello che faccio qui, e quello che faccio a me stessa non ti riguarda." Sta cercando di non far tremare la sua voce così tanto che la gola le inizia a fare davvero male.

"Ma io vedo che non stai bene," Lexa insiste. "Non puoi andare avanti così per sempre. Ti sta consumando. Se continui su questa strada, tu–"

"Basta," Clarke la interrompe aspramente. "Non voglio le tue lezioni. Ne ho avute tante abbastanza da durare per dieci vite, quindi risparmiatelo."

Clarke pensa a tutte le volte che Lexa aveva provato a insegnarle come essere un leader, a farle comprendere tutte le ardue scelte che sarebbe stata costretta a fare, tutti i sacrifici. E pensa a ogni volta che lei aveva rifiutato quelle idee, cercando di aggrapparsi alla convinzione di poter vincere una guerra e rimanere una brava persona. Lo stomaco le si annoda dolorosamente quando pensa a quanto fosse in errore. A quanto in errore era sempre stata.

"Sei stata una brava insegnante..." Vuole apparire sarcastica, ma la sua voce è venata di malinconia."Dovresti essere orgogliosa di me, ho imparato alla fine. Avevi ragione. Per vincere, devi essere pronta a fare qualunque sacrificio, a fare qualsiasi cosa. Anche diventare un mostro." Prende un profondo respiro e chiude gli occhi quando sente il bruciore delle lacrime. Nonostante tutto il controllo che sta esercitando su se stessa, il sospiro che lascia la sua bocca è comunque terribilmente tremulo. "E io ho vinto, Lexa..."

E' la prima volta da quella fatidica notte che Clarke dice il suo nome ad alta voce, ma il suono di quelle poche lettere mentre escono dalle sue labbra è ancora così familiare. Come se tutto questo tempo non avesse fatto altro se non sussurrare quel nome ancora e ancora.I

"Non sei un mostro, Clarke. C'è ancora luce in te..."

La bionda pone nuovamente lo sguardo su Lexa. Assorbe tutto. Il modo in cui il corpo della terrestre è teso, sforzandosi di non muoversi da dove si trova, sforzandosi di non compiere i pochi passi che le separano, per rispettare il desiderio di Clarke di mantenere le distanze. Il modo in cui continua a deglutire, per scacciare il groppo che è sicuramente bloccato nella sua gola. Il modo in cui la sta fissando, come se Clarke avesse appena peccato per aver insinuato di essere qualcosa di diverso dalla più luminosa stella del cielo, tanto meno un mostro. E tutto questo fa balenare la rabbia in Clarke. Perché quello che sta provando è così contrastante, e doloroso, e rassicurante. Odia Lexa... Vuole odiarla... Ha il diritto di odiarla... Eppure odiarla sembra una blasfemia totalmente nuova. L'unica cosa di cui Clarke è certa è che è arrabbiata. E' così arrabbiata, perché la ragazza davanti a lei la rende così confusa. Perché riversare il suo odio su di lei non è facile come dovrebbe essere. Perché Lexa osa provare a consolarla, a darle la falsa speranza di essere ancora una brava persona, mentre quello che sta facendo in realtà è rafforzare il suo dolore. Se mai c'era una luce dentro di lei, si è ormai trasformata nella più profonda delle oscurità.

"Qualunque luce ci fosse dentro di me, se n'è andata." Clarke vede una palla da calcio in un salone da pranzo. Una piccola gamba accanto ad essa, una gamba che non si muoverà più, che non correrà più, che non prenderà a calci quella palla mai più.

"Hai fatto quello che dovevi–"

"Ho fatto quello che tu mi hai costretta a fare." Clarke le punta bruscamente un dito contro per accentuare le proprie parole. Il sibilo che esce dalla sua bocca è intriso di violenza e rancore, e all'improvviso sopprimere quel turbinio di emozioni diventa una sfida impossibile. "Non sarei qui ora se tu non mi avessi tradita, quindi ti prego, risparmiami le tue parole di conforto."

Clarke nota i cambiamenti nella postura di Lexa. La terrestre raddrizza la schiena, si irrigidisce, e il continuo stringersi della sua mascella è la prova fisica che sta cercando di mantenere il controllo. Sta cercando di essere il Comandante senza emozioni. Ma non può nascondersi da Clarke, e il lieve tremolio nella sua voce la tradisce.

"Sto cercando di aiutarti..."

Clarke la fissa per un attimo prima di lasciarsi andare a una risata priva di allegria. E poi la lascia morire prima che abbia il tempo di trasformarsi nel singhiozzo nascosto in fondo alla sua gola. Un segno di debolezza, Lexa lo chiamerebbe. Invece Clarke prende un acuto respiro attraverso i denti serrati, e la sua faccia si contorce per la rabbia che non riesce più a contenere.

"Non ho bisogno del tuo aiuto ora. Mi serviva quella notte. Avevo bisogno che rimanessi al mio fianco, che credessi in noi, che ti fidassi di me. Avevo bisogno di un'alternativa a un piano che mi ha costretta a dannare la mia anima!" La bionda è costretta a sbattere le palpebre ripetutamente, perché i suoi occhi hanno iniziato a bruciare. "Ma tu me l'hai portata via. Perché te ne sei andata. Ci ha lasciati. Hai– hai lasciato me!"

Clarke preme la sua mano contro il petto, proprio sopra il cuore, ed è troppo tardi per trattenere l'urlo che ha ormai lasciato la sua bocca. "Mi hai abbandonata!"

Non ha mai avuto una reale occasione di affrontare tutte le emozioni che le azioni di Lexa hanno provocato in lei. Aveva perso interesse nei loro confronti quando le proprie azioni l'avevano trasformata in un'anima persa. Ma ora ci sono solo loro due, e gli occhi liquidi della terrestre contengono una tristezza tale che Clarke per un secondo si convince che Lexa stia soffrendo più di lei. E' solo per un secondo, però. Perché la sua mente le fornisce un'immagine impressa per sempre nella sua memoria. Un viso incrostato di sangue, pittura da guerra che inghiotte tutta la luce, occhi rabbuiati a tal punto che il verde bosco si è trasformato in  freddo grigio acciaio. Pensa alla disperata supplica che aveva fatto con i propri occhi, e alla risposta senza pietà che aveva ricevuto.

E non ce la fa più. I suoi muri iniziano a sgretolarsi, e Clarke si lascia sommergere dal suo dolore e dalla sua furia.

"Dopo tutto quello che ho fatto, dopo che mi avevi detto che ti fidavi di me, dopo tutto quello che avevamo condiviso... maledizione, ti ho dato la mia fiducia e tu mi hai pugnalata alle spalle! Hai offerto la mia gente come carne da macello per gli Uomini della Montagna e mi hai lasciata a morire! Eravamo alleati! Eravamo–" Clarke deve fermarsi. Non sa cosa voleva dire, perché non ha una parola adatta a descrivere quello che erano davvero. "Ma eravamo tutti sacrificabili per te, vero? Non ti è mai importato..."

"Tu sai che questo è falso, Clarke," dice Lexa in fretta. E Clarke lo sa. Sa che Lexa vorrebbe essere senza pietà e in grado di respingere i propri sentimenti, ma Clarke l'ha vista fallire miseramente. Proprio come ha visto quella singola lacrima brillare sulla guancia del Comandante proprio prima che se ne andasse. Il problema è che ora è lei che non vuole avere interesse, e lei è molto più abile della terrestre. "Ma te l'ho detto. Ho fatto quella scelta con la testa, non con il–"

"Tu non hai un cuore," Clarke ringhia senza esitazione. Non ci crede nemmeno, ma dare sfogo alla sua rabbia è piacevole per una volta. Ha un disperato bisogno di sollievo, e Lexa è un obiettivo facile. "Tu sei fredda, e cattiva. Sei morta dentro." Un brivido le corre lungo la schiena. " E ora, grazie a te, lo sono anch'io..."

Lexa non si muove, sembra paralizzata. E' così ferma che Clarke non è neanche sicura stia respirando. Ma quando intravede le sue mani stringersi a pugno, Clarke sa che le sue parole l'hanno colpita. Bene. E quello è solo il primo segno. Nell'oscurità, il fuoco morente disegna una danza fluttuante di luce e ombre sul volto della terrestre, e quando per un istante gli occhi di Lexa sono pienamente illuminati, Clarke vede quanto realmente velati sono. Il momento passa immediatamente, tuttavia. Dopo aver preso un lungo respiro, Lexa volta la testa e allontana gli occhi da Clarke per fissare il terreno.

No. Assolutamente no. L'ira di Clarke cresce dieci volte a quella vista. Non ha intenzione di lasciare Lexa cavarsela così. Prima di rendersene conto, Clarke è già scattata in avanti e ha compiuto i pochi passi che le separano. Si ferma solo quando sono centimetri lontani una dall'altra.

"No, dannazione. Non puoi farlo!" La voce le trema, proprio come il corpo. "Guardami, Lexa! Mi hai già voltato le spalle in passato, non puoi farlo di nuovo! E' troppo facile non dire nulla e girare la testa, e non hai alcun diritto di farlo ancora. Mi senti? GUARDAMI!"

Clarke afferra la spalla della ragazza e la scuote finché Lexa non incontra nuovamente il suo sguardo. Da questa distanza, Clarke può assorbire ogni singolo dettaglio della faccia di Lexa, niente passa inosservato. I suoi occhi leggermente più aperti, sorpresi dal tocco inaspettato; il delicato rossore sulle sue guance; il modo in cui le sue labbra piene sono appena aperte. Sono così vicine una all'altra che è quasi doloroso, e Clarke si arrabbia con se stessa quando si rende conto che una parte di lei brama di chiudere definitivamente lo spazio tra loro due. Decide di rinchiudere quella parte di sé. Non ha abbastanza forza per affrontare le potenti emozioni che la terrestre è capace di provocare in lei, così le usa. Prende il potere che Lexa ha su di le e lo usa per nutrire la sua ira.

"Sei una codarda," Clarke sibila. "Non hai neanche il fegato di guardarmi. Proprio come non hai avuto il fegato di lottare. Hai preso la strada facile e–"

"Pensi che sia stato facile per me?" Lexa la interrompe improvvisamente, la sua voce sicura come non era ancora stata dal momento in cui era apparsa. E' la prima volta che mette qualche tipo di calore nella sua risposta. Il tono è ancora basso, ma è tutto negli occhi. Gli lascia urlare quello che la voce può appena sussurrare.

"Fare quella scelta... lasciare te, a morire," Non indora la pillola, non prova a nascondere la gravità delle sue azioni dietro parole vaghe. "E' stata una delle decisioni più dolorose che abbia dovuto prendere nella mia vita. Quella notte ci sono state lacrime sul mio volto, perché volevo essere libera, ma non lo ero." 

"Eri libera... Eri libera di rifiutare l'accordo. Eri libera di essere una brava persona."

"Io appartengo al mio popolo, Clarke!" La bionda si zittisce quando sente l'improvvisa impennata di volume nella voce di Lexa. "Ora e per il resto dei miei giorni. Finché sono Comandante, la mia priorità dovranno sempre essere loro. Non importa quello che voglio io. Non ho libertà di scelta."

Poi gli occhi di Lexa si fanno più gentili. Si morde il labbro inferiore, quasi insicura se continuare a parlare o no. Ma alla fine, la terrestre emette un sospiro e si costringe a dirlo. "Proprio come tu non hai avuto libertà quella notte..."

A quelle parole, il respiro si arresta nella gola di Clarke. La sua mano scivola via dalla spalla di Lexa e un debole sussulto le sfugge. Quando il suo terrificante crimine viene menzionato, la testa inizia a girarle e incespica all'indietro, mentre i suoi occhi vagano, fissi su tutto e nulla.

"Clarke, tu–"

"No." La parola è strozzata quando lascia la bocca di Clarke. Sa che Lexa ha visto la sua afflizione, ma non vuole avere questa conversazione, non può avere questa conversazione. E' già sull'orlo di perdere il controllo, così cerca di fermarsi prima che sia troppo tardi. Ma ha sottovalutato il desiderio di Lexa di offrirle conforto.

"Un vero leader deve fare delle scelte difficili. Hai fatto quello che era meglio per il tuo popolo, Clarke. Torturarti per questo non ha senso. Io comprendo il tuo dolore ma–"

All'inizio, Clarke non sa bene cosa sia successo. Tutto quello che il suo cervello ha registrato sono un rumore secco e poi silenzio. Sta tremando violentemente, e il sangue le risuona nelle orecchie, ma è solo quando si concentra su Lexa che capisce quello che realmente è successo. Il dolore pulsante alle nocche sinistre riceve una spiegazione quando vede quanto è arrossato lo zigomo di Lexa. La testa della terrestre è scattata di lato, i tendini nel collo tesi al limite, al mascella serrata al punto che probabilmente fa male.

Il tempo si ferma per un momento, lo shock per quello che è successo lascia Clarke paralizzata. Ma poi i suoi occhi si posano sulle braccia di Lexa: vede quanto sono rigide, costrette in quella posizione, costrette a rimanere ferme lungo i fianchi. Ed è in quel momento che Clarke capisce quello che Lexa ha appena fatto. Si rende conto che il suo pugno è andato a segno solo perché Lexa si è rifiutata di reagire. Solo perché Lexa le ha concesso quel momento di sfogo. Si è fatta colpire. Per compassione? Per colpa? Per amore? Clarke non lo sa, ma odia che le sue azioni siano state nuovamente condizionate dalla ragazza davanti a lei.

E non ci vede più.

"Vaffanculo..." Clarke sente il sangue andarle alla testa. C'è un secondo in cui ancora prova a trattenersi, ma Lexa volta la testa per fissarla nuovamente, e i suoi occhi sono troppo simili a com'erano quella notte. E Clarke non può più tornare indietro. 

"VAFFANCULO!" urla con tutta la voce che ha. Le ritorna tutto alla mente. Ogni ricordo, ogni dolorosa emozione che ha provato a sopprimere per tutto questo tempo la colpisce come un'inarrestabile maremoto, e Clarke tira fuori tutto. Nessun controllo, nessun freno. E' troppo tardi per loro.

"Non osare dire che comprendi il mio dolore! Tu non sai niente, Lexa! Io sono quella che ha dovuto farlo, non tu! Tu te ne sei andata, e io ho dovuto ucciderli. TUTTI QUANTI! Ho tirato quella leva e li ho sterminati!" Gli occhi le si riempiono di lacrime che offuscano la sua vista, ma Clarke non si ferma. Al contrario, urla ancora più forte, liberando tutta la sua rabbia e la sua colpa.

"Ho ucciso persone che ci avevano aiutato! Innocenti, Lexa! Bambini! Ho ucciso dei BAMBINI! Li ho guardati urlare, e bruciare, ho visto il terrore e dolore nei loro occhi. Io ho vissuto tutto quello, non tu, perche tu sei ANDATA VIA!" All'improvviso si sente male. Si piega in due, le mani sulle ginocchia a sostenerla, e prende dei respiri corti e affannati, in un disperato tentativo di non vomitare. Quando guarda brevemente in alto, vede un braccio stendersi lentamente verso di lei, e reagisce come se qualcuno stesse cercando di bruciarla con un ferro rovente.

Scatta su e scaccia violentemente il braccio di Lexa con uno schiaffo. " Non toccarmi!" Attraverso le lacrime, Clarke giura di riuscire a vedere il propio dolore riflesso sul volto di Lexa, ma non le importa. E' troppo ferita, il suo dolore è troppo intenso. Il suo sangue sembra acido sotto la pelle, e ogni respiro è come inalare aria tossica. Non ha una parola per descrivere quello che sta provando, non è neanche sicura che esista.

"Guarda il tuo capolavoro, Lexa!" Clarke gesticola selvaggiamente verso se stessa. Le parole vengono fuori dalla sua bocca liberamente. Lei è un vulcano in eruzione, e vuole affogare Lexa nella stessa lava che la sta bruciando viva dall'interno. "L'allievo ha superato il maestro. Avevi ragione quando hai detto che avrei fatto quello che hai fatto tu. Ho fatto di peggio! Molto di peggio! Sei contenta? Sono come te, un 'vero leader'!"

Le ultime due parole sono intrise di scherno. Mentre fissa Lexa, c'è un sorriso falso e forzato dipinto sul volto di Clarke. E' peggio che urlare e ben presto la bionda contrae le labbra, e la sua faccia si contorce, le lacrime pericolosamente vicine a cadere lungo le sue guance. I suoi occhi si chiudono quando sente Lexa dire nuovamente il suo nome. Nonostante il desiderio viscerale di Clarke di provare disgusto per qualunque cosa connessa alla terrestre, non riesce a non sentire che il modo in cui sussurra il suo nome ha un effetto purificante. Che scherzo sadico.

"Non ho mai voluto che tu provassi tutto questo," Lexa dice. "Non ho mai voluto che tu ti sentissi come–"

"Non è che tu non volevi che io mi sentissi come un mostro." Clarke la interrompe, un fuoco ardente nel suo sguardo. "Semplicemente hai pensato che non avrei più provato nulla. Mai più. Perché mi hai lasciata a morire. E ti dirò una cosa, Lexa. Preferirei essere morta piuttosto che essere quello che sono ora." Non sta nemmeno più urlando. Non è necessario affinché le sue parole colpiscano Lexa come un proiettile.

"La morte è un fato migliore di questo. Di essere come te."

Un silenzio assordante riempie l'aria attorno a loro, ingoiando ogni cosa. Non dà via di fuga alle parole urlate e sibilate. Invece, nel suo nulla tutto risuona ad alta voce, e il peso delle cose dette sembra crudelmente accentuato. E' apparsa un'espressione sul volto di Lexa che Clarke non riesce a leggere. I suoi lineamenti si sono induriti, sta cercando di nascondersi dietro la maschera di Comandante, ma Clarke la conosce abbastanza da vedere che le sue parole la stanno consumando da dentro.

Clarke aspetta. Aspetta che Lexa si difenda, che risponda alle feroci accuse, che le dia la prova di essere davvero il mostro che Clarke ha un disperato bisogno che lei sia. Ma nulla di tutto questo succede. Lexa continua solamente a guardarla, e il cuore di Clarke è stretto da una morsa. La gentilezza in quella foresta liquida che è lo sguardo di Lexa è disarmante. C'è tristezza nei suoi occhi, più intensa di prima, ma c'è anche accettazione. Non cercherà di portare Clarke a cambiare il suo giudizio su di lei. E infatti, dopo un altro istante che pare eterno, Lexa annuisce.

"Comprendo, Clarke..."

Clarke sgrana gli occhi per un secondo, prima che le sue sopracciglia si avvicinino in un'espressione accigliata. Non capisce davvero come una persona possa essere così snervante. La risposta inaspettata le fa aprire leggermente la bocca, ma la bionda scuote rapidamente la testa, incredula.

"Tutto qui? E' tutto quello che hai da dire, davvero?"

Questa volta non riceve nemmeno una risposta. Una diretta, almeno. Perché lo sguardo di Lexa si allontana furtivamente da Clarke, e non c'è bisogno di aggiungere altro. Una nuova ondata di rabbia investe Clarke. Le grandi vene sulle sue tempie pulsano dolorosamente, e lei inizia a domandarsi se sia possibile realmente esplodere di frustrazione. Alza le braccia in un gesto di profonda seccatura e sbuffa.

"Oh, andiamo! Sei incredibile, Lexa! Perché devi essere così?!" Tutto della terrestre la manda ai matti, ma nulla più della sua contorta filosofia di vita. La filosofia che non lascia spazio per la debolezza, per i sentimenti. La stessa filosofia che le ha fatte finire in questa situazione. "Siamo nella foresta, in mezzo al nulla! Non c'è nessuno qui tranne noi, e comunque tu non ce la fai, vero? Hai sempre bisogno di essere così dannatamente forte! Perché, Lexa? Perché non puoi lasciarti andare per un secondo? Perché devi essere sempre così f–"

"Non sono forte."

Le parole sono appena sussurrate, ma zittiscono Clarke immediatamente. La bionda alza un sopracciglio con fare interrogativo. Lexa ancora non la sta guardando, ma Clarke vede il continuo su e giù della sua gola, una prova del suo disagio. E quando finalmente, dopo un debole sospiro, Lexa torna a fissarla, Clarke vede incertezza e timore nei suoi occhi. Non comprende il senso di quello sguardo fino a che Lexa non ricomincia a parlare.

"Vorrei essere forte, Clarke, ma non lo sono. Sono debole. Sono diventata debole il giorno in cui ho posato gli occhi su di te..."

Parole così semplici. Ma Clarke riconosce il reale significato celato dietro di loro. Comprende quello che Lexa sta confessando davvero. Lo aveva già fatto: esprimere quello che prova attraverso frasi indirette. Non tutti. Non te. Il feroce Comandante che trema al pensiero di esporre direttamente i propri sentimenti. Ma Clarke sa quello che ha appena detto, e mille 'ti amo' impallidirebbero al confronto con l'ammissione di Lexa. La gola di Clarke è all'improvviso una landa arida. E' come se qualcuno avesse acceso un fuoco dentro di lei. Calore si diffonde nel suo cuore, poi nello stomaco. E' quasi sorpresa quando lo sente propagarsi ancora più in basso, in mezzo alle sue gambe.

Clarke si crogiola nel tepore evocato dalle parole di Lexa. Per un momento tutto sparisce. Lei è solo una ragazza che sta fissando un'altra ragazza che le ha appena confessato il suo amore, e non vuole nulla se non gettarsi tra le braccia della terrestre e perdersi in lei. Ma all'improvviso Clarke si sente sopraffatta. L'intensità di quello che sta provando la terrorizza. E' troppo tutto insieme, e allora indietreggia. Calore è sostituito da freddo, e spuntoni di ghiaccio si fanno strada a forza nel suo cuore.

Clarke indurisce il viso il più possibile, e fa tutto in suo potere per privare i suoi occhi di qualsiasi emozione.

"Puoi tornare a essere forte. Non c'è nulla qui per te. Comandante."

Clarke odia se stessa per quello che sta facendo, ma allo stesso tempo non può fare altro. Il suo cuore è fragile, e a proteggerlo ha solamente la sua gabbia di rabbia e freddezza. Se lasciasse entrare qualunque cosa, se lasciasse entrare l'amore di Lexa, il suo scudo si frantumerebbe, lasciandola nuda, esposta. E così colpisce la ragazza che si è appena messa a nudo davanti a lei,  la ragazza che si è esposta completamente. Decide di ferire Lexa quando è più vulnerabile.

Clarke vede gli occhi di Lexa oscurarsi, il dolore per il pungente rifiuto è visibile sul suo volto. Clarke è disgustata da se stessa quando si rende conto che una parte di lei prova piacere a guardare Lexa soffrire. Una sorta di vendetta malata per il dolore che la terrestre aveva inflitto a lei. Clarke vuole farla scattare. Vuole provocare una reazione nel gelido Comandante. Vuole che Lexa si abbassi al suo livello.

Ma la ragazza dai capelli scuri la delude. Non ci sono urla, o pianti. Solo dettagli discreti mostrano la reale estensione della tristezza di Lexa. Non sembra nemmeno arrabbiata, solo... rassegnata. 

Le due ragazze si fissano a vicenda per un altro istante. Poi Lexa emette un debole respiro e annuisce lentamente.

"Non mi aspettavo una risposta diversa. Comprendo, Clarke," ripete. La sua voce è bassa, quasi incerta, ma non c'è traccia di rancore in essa. Poi qualcosa cambia, così in fretta che Clarke quasi non se ne accorge. Lexa drizza la schiena, solleva la testa, e di colpo la gentile, vulnerabile ragazza è nuovamente nascosta dietro il suo terrificante titolo. Se non per il fatto che Lexa non è mai stata in grado di nascondere la vera sé a Clarke, ma deve provarci questa volta. Ha bisogno di provarci. "Venire qui è stato un errore. Desideravo aiutarti, ma vedo che la mia presenza non fa altro che disgustarti, e l'ultima cosa che voglio è causarti altro dolore."

Clarke si acciglia, confusa. Un momento fa era lei a controllare la situazione, ma ora Lexa sta rigirando le loro posizioni e sta mettendo fine alla conversazione. Alle sue condizioni. 

"Capisco che sei arrabbiata con me, hai ogni motivo per esserlo. Non ti chiederò di perdonarmi per quello che ho fatto, perché non posso chiedere scusa. Non posso scusarmi per aver scelto di salvare il mio popolo. Ma sappi questo, Clarke..." La bionda desidera credere che Lexa stia mentendo, ma può vedere i suoi occhi, e c'è solo pura onestà lì. "Non ho mai voluto farti del male, e mi dispiace per la sofferenza che stai provando ora. Non posso cambiare quello che è accaduto, ma vorrei che le cose fossero andate diversamente.

Lexa prende un forte respiro dal naso, e Clarke nota una leggera contrazione nella sua mascella. "Comprendo se mi detesti. E non voglio che tu soffra più di quanto non stai già facendo ora. Quindi andrò. Non ti costringerò più alla mia presenza, Clarke."

Quando vede Lexa prendere un ultimo, profondo respiro, e poi girarsi, Clarke rimane inizialmente sbalordita. Rimane là ferma, ammutolita, a fissare la terrestre allontanarsi. Un senso di deja-vu la colpisce, quando la sua mente viaggia fino al loro ultimo incontro, terminato nello stesso modo. Ci rincontreremo.

Ma poi il suo cuore si stringe dolorosamente, e il sangue inizia a ribollirle nelle vene. Prima di rendersene conto, l'intero corpo di Clarke inizia a tremare di un sentimento troppo intenso per poter essere descritto come rabbia. Non riesce a crederci. Lexa lo sta facendo di nuovo. La sta abbandonando. Ancora. E quello che è peggio, non lo sta facendo per crudeltà, lo sta facendo per affetto. Lo sta facendo per Clarke. La sua cura e la sua bontà sono esasperanti, e per Clarke è difficile vederla come un mostro. Clarke ha bisogno di sapere che sono entrambe persone orrende, che non è sola. Ma le azioni di Lexa dicono il contrario, e Clarke si sente solo più sola e colpevole. Resta là in piedi, nuovamente sconvolta dall'imprevedibile comportamento di Lexa. Ma se lo shock è grande, non è abbastanza a paralizzarla come quella fatidica notte. Non ha intenzione di restare in silenzio questa volta.

"Tutto qui? Mi lasci di nuovo? Dov'è il tuo coraggio, Comandante?" Clarke la provoca, sperando di farle perdere la testa, di distruggere la sua compostezza. Ma Lexa continua a camminare, ignorando le parole di Clarke. E la bionda è così furiosa che lascia che il suo lato più oscuro prenda il controllo. Si abbandona a quella parte di sé che detesta, quella parte di sé che vuole vedere Lexa soffrire più di ogni altra cosa.

"Mi domando se sei rimasta così frigida quando è morta Costia."

E Clarke ottiene quello che voleva. Perché Lexa si ferma. L'accenno di un sorriso cattivo appare sulla faccia della bionda quando si rende conto che ha trovato il modo di colpire Lexa, e immediatamente scaccia tutto ciò nella sua mente e nel suo cuore che le grida che quello che sta facendo è sbagliato. E crudele. Non le importa. Sta soffrendo, e un cuore che soffre non usa la logica.

"Si, Lexa. Mi domando se sei riuscita a mantenere la calma quando hai ricevuto la sua testa," Clarke sibila. Ogni parola è velenosa, ma la sua bocca sta funzionando con una volontà propria, sputando fuori cattiveria dopo cattiveria. Clarke comincia ad avanzare lentamente verso Lexa, ora totalmente ferma, la schiena rigida in un modo innaturale. "Anche se, questa parte non mi è mai stata molto chiara. Ho sempre dato per scontato che la Nazione del Ghiaccio ti avesse mandato la sua testa, ma tu mi hai detto che è stata torturata. Come fai a saperlo? Ti hanno mandato la sua testa e il suo corpo? Ti hanno mandato il suo corpo senza testa? Com'è andata?"

Ha ridotto la distanza tra loro a pochi metri, e Lexa ancora non si è voltata. Ma questa volta Clarke sa bene quanto a fondo stanno tagliando le sue parole. Le braccia della terrestre sono rigide, i pugni serrati, e sta tremando. Ma il demone che ha preso il controllo dell'anima di Clarke non ha pietà e continua a spargere sale su ferite mai guarite.

"Lo sai che è colpa tua, vero? Costia è morta a causa tua. Perché ha avuto la sfortuna di amarti. E scommetto che durante i suoi ultimi istanti ha maledetto il tuo nome e il tuo amore per lei. Se non ti avesse mai incontrata, si sarebbe risparmiata tutta quella sofferenza. Non è stata la Nazione del Ghiaccio a ucciderla. Sei stata tu. Tutto quello che tocchi si trasforma in sangue, e morte."

Clarke usa parole affilate come lame. Con ogni malignità che fuoriesce dalla sua bocca, può sentire piccoli pezzi di ciò che era rimasto della sua anima dissolversi. Non crede nemmeno a ciò che dice, questa è la parte peggiore, perché ogni parola è gratuitamente sadica. Ma è troppo tardi per tornare indietro, e lei ha bisogno che Lexa provi un dolore tanto intenso quanto quello che le sue azioni hanno causato a Clarke. 

Quando finalmente smette di parlare, cala il silenzio tra le due. Un silenzio così spesso che nemmeno un coltello potrebbe tagliarlo. L'unico suono udibile è lo scoppiettio del fuoco che sta in qualche modo ancora bruciando. Clarke è concentrata solo sulla ragazza di fronte a lei, però. La guarda, aspettando. Poi Lexa piega la testa in avanti, e Clarke sente il più lieve accenno di un singhiozzo. E' in quel momento che sa di aver avuto orribilmente ragione: neanche il Comandante può restare impassibile dopo quello che ha detto.

Clarke aspetta il suo scoppio emotivo, il suo collasso. E continua ad aspettare. Ma passa molto tempo, e Lexa non fa nulla. Non si volta nemmeno. Rimane lì, a testa bassa, in silenzio. Clarke arriva a un livello di frustrazione tale che si passa una mano sul viso con foga ed emette uno sbuffo di esasperazione.

"E di nuovo, non hai nulla da dire! Davvero, non capisco come riesci a essere una così fredda–"

"La sua testa."

Non è più forte di un sussurro, c'è a malapena del suono nelle sue parole, ma Clarke lo sente comunque e smette di parlare. Aggrotta le sopracciglia mentre fissa la terrestre, confusa da quella risposta. Ma è quando Lexa sospira piano e va avanti che Clarke capisce a cosa la mora si sta riferendo. "Mi hanno mandato la sua testa..."

Sta rispondendo alla sua domanda precedente, una domanda che Clarke aveva posto solo per ferire Lexa, una domanda che pensava non avrebbe ricevuto risposta. Per un secondo, il mostro dentro di lei quasi riprende il controllo, ed è pronta a provocare Lexa su quell'argomento delicato. Ma quando sente le parole successive della terrestre, soffocate, vacillanti, Clarke perde completamente la facoltà di parlare.

"Ma mi hanno mandato una delle sue orecchie prima."

E poi Lexa, lentamente come mai prima, si volta per guardarla, e Clarke non riesce a fermare il sussulto che le sfugge dalla bocca. Le basta un'occhiata, un'occhiata per sapere che lo sguardo sul viso di Lexa la tormenterà per il resto della sua vita. La terrestre è pallida, più di quanto non lo sia mai stata. Le sue labbra sono leggermente aperte, tremanti, le spalle curve. Non c'è più traccia di sicurezza o austerità nella sua postura, e sembra così indifesa. Ma i suoi occhi... i suoi occhi rimarranno impressi nella memoria di Clarke per sempre. Sono offuscati dalle lacrime che straordinariamente non sono ancora cadute lungo le sue guance. Le gocce salate fanno brillare i suoi occhi e hanno trasformato le sue iridi da smeraldo a un blu più scuro del cielo notturno. E il dolore che li colma è una pugnalata al cuore di Clarke. No, non dolore. Agonia. Un'agonia antica ma mai superata. Sempre presente ma tenuta nascosta dietro ai muri di Lexa. Fino ad ora. Perché Clarke ha appena fatto crollare quei muri, e Lexa non è mai stata più vulnerabile.

"Poi mi hanno mandato le sue dita. Una ad una, senza unghie," La sua voce è tremante e afflitta, proprio come i suoi occhi. E' insopportabile assistere al tormento scritto sul suo viso, ma il suo sguardo è talmente penetrante e intenso che Clarke non è in grado di guardare da un'altra parte. I loro occhi restano incatenati quando Lexa va avanti con i dettagli della sua orrenda storia. "Poi quello che era rimasto delle sue mani. Poi un sacchetto, che conteneva- che conteneva alcuni dei suoi denti. E ancora... Hanno continuato a mandarmi pezzi di lei, finché mi sono resa conto che, anche se fossi riuscita a trovarla, lei non si sarebbe mai più ripresa. E il mio cuore era straziato dal bisogno di riavere il mio amore accanto a me e il desiderio che la uccidessero e basta per porre fine alle sue sofferenze..."

Le parole di Lexa suscitano la nausea in Clarke, insieme a un profondo senso di colpa per aver costretto la terrestre a rivangare il suo doloroso passato. La rabbia di Clarke ha cominciato a scemare, per essere sostituita dalla vergogna. Trattiene un sospiro di sollievo quando finalmente Lexa distoglie lo sguardo, per fissare nel vuoto. Sembra così giovane e vecchia allo stesso tempo. Clarke la osserva nel silenzio della notte. Studia il suo sguardo, così infelice e colpevole. Studia la curva della sua gola, e nota che Lexa sta avendo problemi a deglutire. I suoi occhi sono rossi, e non sbatte le palpebre. Se lo facesse, si rende conto Clarke, le lacrime inizierebbero a cadere sul suo viso.

"So che è stata colpa mia," Il suo tono è molto più basso di prima, rauco. "Tutto quello che mi hai detto... io l'ho già detto a me stessa in passato, ancora e ancora... Ho passato così tante notti a desiderare che non ci fossimo mai incontrate, a desiderare di essere semplicemente andata via il giorno in cui l'ho incontrata per la prima volta. La Nazione del Ghiaccio l'ha torturata a morte a causa del suo amore per me. E' morta per me." Clarke all'improvviso pensa alla notte in cui ha ucciso Finn, la notte in cui Lexa aveva pronunciato parole estremamente simili. E sentendo la sofferenza nella sua voce, Clarke non può non pensare che, quando ha tolto per misericordia la vita a Finn, Lexa abbia provato una fitta di gelosia. Gelosia all'impossibilità di fare lo stesso per la sua amante scomparsa, all'impossibilità di risparmiarle tutto quel dolore.

"E no..." Clarke torna alla realtà per trovare gli occhi di Lexa nuovamente fissi su di lei. "Non ho mantenuto la calma, Clarke... Ho lasciato che il dolore mi consumasse. Ho distrutto villaggi degli Azgeda. Ho torturato e ucciso i loro capi. Ho massacrato uomini, donne, bambini. Sono diventata così assetata di sangue che persino i miei guerrieri mi temevano. E se Anya non mi avesse convinta a negoziare con la Regina del Ghiaccio, avrei trascinato il mio popolo in una guerra che sarebbe costata la vita alla maggior parte di loro."

Lexa inspira profondamente, sforzandosi di riprendersi. "Sono diventata frigida in quel momento. Perché guardare negli occhi la donna che aveva ucciso Costia e chiamarla mia alleata era troppo doloroso... Perché pensare al mostro in cui le mie emozioni mi avevano trasformata era troppo terrificante... Quindi lo so, Clarke. So quello che ho fatto, e so cosa sono..."

La terrestre chiude gli occhi e prende un altro profondo, lungo respiro. Si passa una mano sul volto, scacciando via le lacrime e le emozioni, e Clarke la guarda riprendere lentamente il controllo su se stessa. Si rende conto di essere gelosa di quell'abilità. Aveva sempre creduto che i suoi sentimenti la rendessero forte, ne era sempre stata fiera. Ma ora che le stanno facendo a brandelli il cuore, Clarke vorrebbe solo essere in grado di sopprimerli come Lexa.

"So che mi hai detto tutto questo per ferirmi," Quando la terrestre riapre gli occhi, Clarke vede solo accettazione in loro. "Tu vuoi che io soffra come stai soffrendo tu. Lo capisco, Clarke," annuisce "e lo accetto..."

Ora che le lacrime stanno svanendo dagli occhi di Lexa, Clarke può sentirle prendere forma nei propri occhi. Il petto le si stringe dolorosamente sentendo quelle parole: lo accetta. Come se fosse un martire. Come se fosse lei la brava persona e Clarke il mostro. Sente il suo cuore stritolato in una morsa di vergogna, colpa, dolore. Odio.

"Solo che non succederebbe, vero?" La sua voce è più roca di quanto non lo sia mai stata. "Tu non soffriresti, perché sei così dannatamente brava ad annullare i tuoi sentimenti. Accettarlo non ti rende una brava persona. Tu non sei una brava persona. Non puoi esserlo, perché sei fatta di pietra."

Lexa non risponde questa volta. Si limita a fissare Clarke, e i suoi occhi esprimono tutta la sua tristezza e il suo rimpianto, dimostrando il contrario di quello che Clarke ha appena affermato. Ma Lexa non prova neanche a farle cambiare idea. Sostiene il suo sguardo per un altro istante, poi un debole bisbiglio fuoriesce dalle sue labbra.

"Addio, Clarke..."

Clarke sgrana gli occhi quando si rende conto che Lexa sta per andarsene. Sarà nuovamente sola con il suo dolore, e Lexa andrà avanti. E nulla la terrorizza più di questo, si rende conto. Così quando Lexa le volta le spalle, il corpo di Clarke è impietrito dal terrore e acceso dalla collera. 

"No, non puoi farlo... Ferma... FERMA!"

Non sa come succede. Tutto quello che sa è che, senza neanche rendersene conto, si ritrova la pistola in mano. Il click dello scatto della sicura risuona nel silenzio, ed è quel suono che spinge Lexa a voltarsi nuovamente. Clarke vede lo stupore sul suo viso alla vista della pistola puntata contro il suo petto. Gli occhi della terrestre si movono velocemente dalla canna dell'arma al viso di Clarke.

"Clarke?" C'è cautela nella sua voce, ma Clarke non trova traccia di paura, e serve solo a sconvolgerla di più. Ha perso qualsiasi abilità di rimanere lucida, è guidata solo dalle emozioni che la stanno facendo a pezzi da dentro. Sa che Lexa può vedere tutto questo. Gli occhi di Clarke si fanno rapidamente lucidi, il braccio che tiene la pistola trema violentemente, e il suo cuore batte contro la sua cassa toracica con una tale forza che Clarke è quasi sicura Lexa può sentirlo.

"Non posso- Non posso permetterti di-" Quello che viene fuori dalla sua bocca somiglia vagamente a un piagnucolio, e non sa nemmeno quello che vuole dire. O fare.

"Vuoi spararmi?"

"ZITTA!" Clarke urla, e stringe la presa sulla pistola "Stavi per farlo di nuovo, non è vero? Farmi a pezzi e poi lasciarmi. Non questa volta, Lexa. Sono stufa! Sono stufa di essere l'unica a soffrire, l'unica a sentirsi in colpa!" La sua faccia si contorce, rivelando tutto il suo strazio. "Non posso più essere l'unica a soffrire..."

Lexa non si muove. Clarke sa che la terrestre potrebbe disarmarla facilmente, ma non lo fa. Non cerca neanche di ragionare con lei, non prova a chiedere pietà. Nulla.

"Sei convinta che io meriti di morire," Clarke non risponde, ed è abbastanza per Lexa. "E che la mia morte allieverà il tuo dolore... Se è questo quello che credi, Clarke, io non ti resisterò."

Le parole di Lexa la colpiscono come un pugno nello stomaco. Le sta dando il permesso di ucciderla. Proprio come il pugno in faccia, poco prima, si sta sacrificando per aiutare Clarke. Solo che questa volta sarebbe il sacrificio supremo. C'è un attimo in cui Clarke lo tiene seriamente in conto. Premere il grilletto. Uccidere Lexa. Potrebbe chidere gli occhi e sparare, perché non potrebbe mai farlo fissando quell' oceano verde. Ma si rende in fretta conto che starebbe solo facendo un favore a Lexa, la libererebbe solo dal suo dolore e fardello. E Clarke rimarrebbe sola con la sua agonia e i suoi spettri. Ed è crudele, ed egoista, ma lei è esausta. Un singhiozzo straziante le sfugge quando si rende conto di non avere via d'uscita. Finché non le viene in mente. Una brutale soluzione appare chiara nella sua testa.

E preme la pistola contro la propria tempia.

La reazione è immediata. Lexa sgrana gli occhi e il suo corpo si tende verso Clarke, ma quando la bionda preme la pistola con ancora più forza, Lexa si blocca. Clarke lo vede ora. Il panico, la paura che oscura i suoi occhi. La terrestre non può sopprimerli ora.

"Clarke, cosa stai facendo?" Non sembra nemmeno Lexa. La sua voce è strozzata, pressante. Spaventata.

"L'unica cosa che posso, Lexa." Una lacrima le cade sul viso arrossato. "L'unica cosa che metterà fine al dolore..."

"No, no..." Lexa scuote la testa freneticamente, e Clarke si domanda se questo era l'aspetto che aveva il giorno della scomparsa di Costia. "Non sei lucida. Metti giù la pistola e–"

"Non dirmi cosa fare!" Clarke urla, e Lexa alza le braccia in gesto di resa. Clarke non l'ha mai vista così sconvolta: i suoi occhi guizzano dalla pistola al volto di Clarke, e sta a malapena respirando.

"Allora non puntare quella pistola contro te stessa!" La sua voce è forte tanto quanto quella di Clarke, e lascia trapelare tutta la sua angoscia. "Puntala contro di me. E' quello che volevi, giusto? E' me che vuoi far soffrire..."

"E' questo il senso!" Clarke sbatte ripetutamente la canna contro la tempia. Il metallo è freddo contro la sua pelle rovente, e può sentire una goccia di sudore scenderle lungo il viso. "Questa è la soluzione per tutto! Se lo faccio, smetto di soffrire. Il mio dolore se ne va... Ma il tuo rimane," sibila attraverso i denti serrati.

Osserva il volto di Lexa e nota subito il momento in cui la terrestre capisce. Il momento in cui panico puro la invade. La sua bocca si apre e chiude più di una volta, come se stesste cercando di pensare a qualcosa da dire per convincere Clarke a non farlo. Eppure non dice nulla. A parole, almeno. I suoi occhi dicono più che abbastanza.

"Potresti vivere con questo, Lexa? Potresti vivere con la consapevolezza di aver causato la morte di un'altra persona che ami?" Basta solo uno sguardo a Clarke per ottenere la risposta di cui ha bisogno. Questa è una tortura per Lexa, Clarke lo sa. E' una tortura per entrambe. Mai nella sua vita Clarke aveva immaginato di poter fare del male a qualcuno così deliberatamente e crudelmente. E' ripugnata da quello che è diventata. Non può vivere con quello che è diventata. Il peso della pistola nella mano l'aveva sempre disturbata in passato, ma non ora.

"Meritiamo di soffrire, Lexa," La sua faccia si contorce, il dolore sfigura i suoi lineamenti, e deve sforzarsi per mandare giù il groppo bloccato in gola. "Ma io non ho più forze. Non ce la faccio più..."

Lexa sta ancora tremando, le labbra strette in una linea sottile, e inspira profondamente, probabilmente per impedire a un singhiozzo di sfuggirle. Clarke non ha mai visto nessuno sembrare così disperato in tutta la sua vita. Sa che la terrestre sta cercando una soluzione, una qualsiasi soluzione, e sa che la disperazione dipinta sul suo volto è la prova che non ha trovato nulla. E' bloccata, impotente. C'è un velo di lacrime che le copre gli occhi e parla del il suo tormento interiore. Dice che Lexa preferirebbe qualsiasi tipo di straziante tortura a questo. Dice che Clarke ha ragione: questo la distruggerà per sempre. Ma Lexa non riesce a dire nulla. Nessuna parola lascia le sue labbra, tranne una. Una preghiera silenziosa. Un nome. 

"Clarke–"

"SMETTILA DI DIRE IL MIO NOME!" lei urla. E' insopportabile. Sentire il suo nome sussurrato con così tanto amore dalla persona che dovrebbe odiare di più al mondo.

"Non hai il diritto di dire il mio nome in quel modo, non più! Tu mi hai spinta a questo!" Clarke dà sfogo alla sua rabbia, gridando con tale asperità da ferirsi la gola. "TI ODIO! Ti odio perché mi hai lasciata, hai trasformato la mia vita in un inferno, perché mi hai tradita e mi hai costretta a diventare un mostro!" Ma non si ferma lì. Sarebbe solo metà della verità, e lei vuole essere completamente onesta. Vuole esporre la sua anima a Lexa. Ora, finché può.

"Ti odio, perché quando sei apparsa da dietro gli alberi iI cuore ha minacciato di esplodermi nel petto, e ho pensato di svenire. Ti odio perché riesco a sentire il tuo profumo, ed è maledettamente inebriante! Ti odio perché il tuo sorriso mi appare in sogno, e mi sveglio con il sapore delle tue labbra sulle mie. Ti odio... perché non riesco a odiarti." Gli occhi le bruciano, e non sa come abbiano fatto le sue lacrime a non cadere ancora. "Ti odio perché è più facile odiare me stessa che odiare te..."

La voce di Clarke è bassa oramai. E' andata progressivamente rompendosi durante il suo accesso d'ira. La pistola è ancora piantata contro la sua testa, ma tremando con tale forza che è costretta a sistemare il braccio più di una volta. Per tutto il tempo, i suoi occhi non hanno mai lasciato Lexa, osservando il mutare di emozioni nei suoi occhi. La paura è sempre lì, ma viene presto raggiunta da dolore, poi colpa, e poi shock. Shock per l'inaspettata confessione di Clarke. E' chiaro che Lexa non pensava che Clarke potesse provare per lei altro se non odio e disgusto dopo il tradimento. Ma la terrestre si sofferma su quella scoperta solo per un attimo, e presto la preoccupazione la invade nuovamente. E così fa qualcosa di inaspettato. Prende il suo pugnale. 

Clarke aggrotta le sopracciglia e si irrigidisce immediatamente. Per un secondo crede che Lexa voglia usarlo per disarmarla, ma non è mai stata più in errore. E rimane a bocca aperta quando Lexa preme la punta della lama contro il proprio petto.

"Hai ragione. Quel dolore che stai provando... L'ho causato io. Io ti ho fatto questo. Io merito di morire..." Sta cercando di mantenere la voce salda, ma vacilla a ogni pausa. "Per quello che ti ho fatto, mi strapperò il cuore e te lo consegnerò. Lo farò, adesso, ma tu ti devi fermare. Metti giù la pistola. Non farti questo a causa mia..."

Clarke sa che non sta bleffando. Sa che Lexa farà tutto quello che ha detto, e la cosa la terrorizza. La terrorizza che Lexa sia pronta a dare la sua vita per lei senza pensarci due volte. E la paura che sta provando le fa realizzare quanto stolta sia stata ad anche solo pensare di poter uccidere la ragazza davanti a sé. No. Non vuole che Lexa muoia. Ma il suo dolore è ancora lì, come un macigno nello stomaco. Come una lama che la scortica dall'interno.

"Ma io sono ancora colpevole, e continuo a soffrire. E non ce la faccio più..." Clarke sussurra, e Lexa scuote nuovamente la testa, paura e disperazione dipinte sul suo viso. Cerca di respirare, ma esce solamente un lamento.

"Clarke, beja..." Sentire la lingua nativa di Lexa, sussurata con voce così tremante e priva di speranza, è una lama che penetra il cuore di Clarke. Lei sa quello che significa prima ancora che Lexa lo traduca. Le uniche parole che pensava non sarebbero mai state pronunciate dal Comandante.

"Ti prego..."

In quel momento, tutto sembra amplificato a Clarke. Il suo braccio trema, i muscoli stanchi di sostenere il peso della pistola così a lungo. Il metallo sembra ghiaccio contro la sua pelle. La notte è tutto tranne che calda, ma lei sta sudando, e i vestiti la soffocano. Pensa a dove si trova, a quello che sta facendo, e nulla ha senso. Non si è mai sentita così persa e sola in tutta la sua vita. Tranne per il fatto che c'è un'altra persona in piedi davanti a lei che condivide il suo stesso fato. E' persa e sola proprio come lei. Sono solo loro due, due anime spezzate e scoperte. Sono connesse, Clarke arriva a comprendere. Lo saranno per sempre, legate oltre ogni logica o desiderio. Lei potrebbe mettere fine a tutto ora, ma significherebbe anche distruggere l'anima di Lexa. E se nella sua angoscia e collera di pochi minuti prima il pensiero la tentava, ora è solo terrificante. Pensa a tutte le persone che ha ucciso, a tutti i peccati che ha commesso. Uno in più dovrebbe sembrare insignificante e invece è tutto. La colpa la sta già divorando viva.  L'unica altra vita che potrebbe prendere è la propria, ma sa cosa vorrebbe dire per Lexa. Si domanda se sarebbe in grado di farlo. Potrebbe scegliere di morire come un mostro per mettere fine al suo dolore?

"Sono diventata morte..." sussurra, fissando l'oscurità della foresta. Allontana lo sguardo per un istante infinitesimale, ma è abbastanza.

Succede tutto troppo in fretta. Con la coda dell'occhio Clarke vede un movimento. Volta la testa e non vede nessuno dove Lexa si trovava prima, ed è ancora impegnata a pensare che dovrebbe essere impossibile muoversi tanto in fretta, quando una mano forte si stringe intorno al suo polso, tirando il braccio via dalla sua testa e cercando di strapparle la pistola. Clarke viene presa dal panico e si trasforma in puro istinto. Nel caos del momento la logica va in fumo e lei lotta senza pensare. E prima di rendersene conto, il suo dito si stringe sul grilletto della pistola.

Nel momento in cui parte il colpo, lo sparo riecheggia come un tuono nel silenzio della notte.

Le orecchie di Clarke fischiano dolorosamente e la ragazza si sente stordita. Non sa nemmeno quello che è successo davvero, ma la pistola fumante è ancora nella sua mano, e lei respira ancora. Le ci vuole un momento per riottenere la concentrazione. Ma quando finalmente la sua mente torna limpida, la vista di fronte ai suoi occhi le va balzare il cuore in gola.

Lexa è a terra. I suoi occhi sono chiusi e non si muove. Clarke la fissa, paralizzata dall'orrore, e sente la bile riempirle la bocca quando vede che la guancia destra della terrestre è interamente coperta di sangue. Il suo corpo è attraversato da tremiti continui, e la terrificante arma che sta ancora tenendo le cade di mano. Clarke cerca di respirare, ma la sua gola è chiusa e per quanto si sforzi l'aria si rifiuta di raggiungere i suoi polmoni. Si passa una mano tra i capelli, rifiutandosi di credere a quello che ha fatto. Ha sparato a Lexa. Viene invasa dalla nausea e questa volta fare lunghi respiri non l'aiuta. Perché non riesce a respirare. Ha un urlo bloccato in gola e non riesce a farlo uscire. Clarke chiude gli occhi, impietrita, il peso dell'orrore che ha appena commesso le sta già schiacciando l'anima. Sta per annegare nella sua rinnovata colpa, quando lo sente. 

Un lamento. Gli occhi di Clarke si aprono e fissano la ragazza che dovrebbe essere morta. Clarke resta totalmente a bocca aperta quando si rende conto che Lexa non è assolutamente morta. La terrestre si lamenta di nuovo, e lentamente apre gli occhi. E' come se qualcuno avesse appena ridato vita a Clarke. Guarda in shock mentre Lexa sbatte le palpebre un paio di volte, cercando di mettere a fuoco. Si tocca la faccia con la mano, e fa una smorfia di dolore al primo contatto con la guancia insanguinata. E' solo allora che Clarke lo nota: nel panico, aveva solo visto sangue e aveva pensato al peggio. Ma ora può vedere il lungo taglio profondo che attraversa lo zigomo di Lexa, e si rende conto che, per qualche miracolo, il proiettile l'ha solo sfiorata.

La terrestre scuote la testa per scacciare il senso di vertigini e poi, lentamente, si tira su, metà seduta metà sdraiata sul terreno. Troppo debole per alzarsi. E' solo in quel momento che i loro occhi si incontrano. Clarke fissa quel verde così vivido e intenso. Vivo. Non c'è traccia di rabbia, nemmeno ora. C'è solamente la stessa preoccupazione per lei, per qualcuno che le ha appena sparato in faccia. Clarke pensa con orrore a quello che voleva fare, a quello che ha appena fatto, a quello che sarebbe potuto succedere. Ed è troppo. La combinazione di sollievo e disperazione la travolge.

All'improvviso il singhiozzo che era bloccato nella sua gola riemerge. Non può ingoiarlo questa volta e sfugge dalla sua bocca. E' presto seguito da un altro, ancora più straziante, e Clarke non può tornare indietro. Sente qualcosa spezzarsi nella sua anima. Questo è il momento in cui si rende conto di quanto realmente sia caduta in basso, di che tipo di persona è diventata. Quando quella consapevolezza la colpisce, come un fulmine durante una tempesta, il dolore e la colpa diventano troppo insopportabili e impossibili da sopprimere. Di fronte allo sguardo preoccupato di Lexa, Clarke barcolla sul posto per qualche secondo. E come se quello stesso dolore e quella colpa fossero divenuti tangibili per schiacciarla fisicamente,, Clarke cade a terra.

Quei primi singhiozzi sono seguiti da un altro, e poi un altro ancora, e presto Clarke è seduta a terra in lacrime, a piangere come non aveva mai fatto prima, nemmeno alla morte di suo padre. Preme la faccia contro i pugni chiusi e continua a piangere senza freni, dondolandosi avanti e indietro come una bambina. Non c'è modo di fermare le lacrime che le scorrono sulle guance. Il suo cuore è così pesante nel petto, e Clarke si chiede se i terrestri hanno ragione. Se la reincarnazione è reale, e che può aver fatto in una vita precedente per meritare di soffrire così tanto in questa.

"Non- non so p-più chi sono..." la sua voce è spezzata da continui singhiozzi, e potrebbe stare parlando con se stessa per quanto le importa nel suo dolore, ma sa che Lexa sta ascoltando ogni parola. "Non so cosa sono d-diventata."

Assapora le gocce salate sulle labbra, mentre le lacrime continuano a scendere, e Clarke pensa che non si fermeranno mai. Con gli occhi chiusi può vedere tutte le persone che hanno trovato la loro fine a causa sua. Sta annegando nel loro sangue e nelle loro urla.

"Non posso vivere così, n-non posso vivere con la c-colpa... Sono un m-mostro. Sono un mostro..."

Clarke tiene il viso tra le mani mentre ripete quelle parole, la voce tremula e scossa da singhiozzi, finché non sente un rumore soffuso. Alza la testa e vede che Lexa si è spostata più vicino a lei. Clarke fissa il suo volto insanguinato, e vede che anche i suoi occhi sono rossi e pieni di lacrime non versate. Lexa non inizia a piangere, tuttavia. Invece, allunga la mano verso di lei, verso il suo viso. I suoi movimenti sono lenti, esitanti, danno a Clarke tutto il tempo di scegliere se accettare il suo tocco o no. Clarke non si ritira, e quando le dita di Lexa giungono a sfiorare appena la sua pelle, si rende conto che non c'è nulla di cui abbia bisogna più di questo. Inclina la testa, permettendo a Lexa di toccarle pienamente il volto. Si abbandona totalmente a quel contatto, e non fa resistenza quando la mora la fa avvicinare a sé. Clarke si piega in avanti e preme la faccia nella curva del collo di Lexa, e continua a piangere su di lei.

Clarke sente Lexa portare l'altro braccio intorno a lei, con la stessa solita incertezza, per tenerla vicina. Clarke trema involontariamente al primo tocco, e la mano di Lexa si irrigidisce immediatamente, ma Clarke si rilassa in fretta in quell'abbracio gentile, e accetta quel conforto che non si merita. Continua a piangere tra le braccia di Lexa, singhiozzando senza freni. Non sa quando succede, ma a un certo punto Clarke solleva le braccia e le stringe attorno a Lexa, aggrappandosi a lei come se fosse l'unica cosa a impedirle di affogare nelle sue lacrime. La terrestre emette un sospiro tremante, e nella sua angoscia la ragazza del cielo è colpita dalla consapevolezza che Lexa ha bisogno di questo tanto quanto lei.

Le lacrime continuano ad arrivare, e Clarke si sta ancora disperando, ma sopra tutti i suoi singhiozzi, all'improvviso sente la voce di Lexa. Sta sussurrando cose nella sua lingua madre, e Clarke non capisce una parola, ma il suono è incredibilmente rassicurante. Quelle parole di cui non saprà mai il significato le danno conforto e calmano il suo spirito, e lentamente, dopo quella che sembra un'eternità, il suo pianto si affievolisce e le lacrime si fermano.

Lexa smette di parlare quando si rende conto che Clarke si è calmata, ma nessuna delle due si muove. Clarke sta tremando leggermente ora, spossata da quella crisi, e rimane ferma, deliziandosi nel calore del tocco di Lexa e nel suo profumo, aghi di pino e foglie fresche, che è inebriante proprio come ricordava. Inspira l'essenza di Lexa, e non fa nulla per interrompere quel momento, perché sa che nel momento in cui lo farà, tutti i suoi fantasmi e i suoi peccati torneranno a torturarla. Vuole solamente questo piccolo momento di pace prima di tornare alla sua espiazione.

Clarke preme la testa più a fondo nella spalla di Lexa, e le sue labbra scivolano sulla clavicola della ragazza. Clarke lo nota subito: Lexa ha un sussulto quando le sue labbra entrano in contatto con la pelle nuda, e un brivido le attraversa il corpo. Clarke sa che non ha nulla a che fare con il freddo, perché vedere l'effetto che lei ha su Lexa provoca la stessa reazione in lei.

Clarke lentamente solleva il viso. Il suo naso sfiora prima il lungo collo di Lexa, e poi la guancia, fino a che si ritrovano faccia a faccia. C'è a malapena qualche centimetro di distanza tra di loro. Gli occhi di Clarke sono fissi in basso, sulle labbra tremanti di Lexa. Sa che è sbagliato: sa che questo non la libererà dal suo tormento, sa che questa è l'ultima cosa che dovrebbe fare, che dovrebbe volere. Ma lei lo vuole. Sono lontante da tutto e tutti, ci sono solo loro due qui, in questo purgatorio. E Clarke sa che questo non metterà fine alla sua agonia, ma le darà un momento di libertà dal dolore. Le permetterà di respirare per un momento.

Qualunque dubbio potesse ancora avere la abbandona quando solleva lo sguardo e i suoi occhi incontrano quelli di Lexa. C'è ancora un sottile velo di lacrime che li fa risplendere come cristalli. Il verde dei suoi occhi ha assunto una nuova sfumatura, e Clarke pensa che Lexa deve aver camminato attraverso la foresta e rubato il suo spirito. Perché i suoi occhi sono la foresta. Dopo una giornata di pioggia, quando i raggi del sole hanno appena iniziato a filtrare tra gli alberi, facendo brillare ogni foglia quando la luce le attraversa. Persino con quell'enorme taglio e il viso imbrattato di sangue, Clarke non ha mai visto qualcosa di così bello.

E prima di poter rovinare tutto pensandoci troppo a lungo, Clarke si sporge in avanti e preme le labbra contro quelle di Lexa. Il bacio è dolce, casto, più delicato del primo che si erano scambiate una vita prima. Eppure, nel momento in cui il salato delle lacrime si dissolve e lei assapora Lexa sulle sue labbra di nuovo, Clarke si dimentica come respirare. Il calore che nasce da quel bacio si diffonde ovunque nel suo corpo, sciogliendo il ghiaccio che si era radicato nel suo cuore. Sente la mano di Lexa, ancora contro la sua guancia, tremare appena, e la terrestre emette un delicato sospiro. Un sospiro che Clarke sente ovunque, un sospiro che vibra contro le sue labbra.

Clarke preme di più nel bacio. L'ulteriore pressione è a malapena percepibile, ma Lexa la nota, e dal profondo della sua gola arriva un suono che è un misto tra un mugolio e un gemito. Clarke sente la mano sulla sua schiena scivolare lentamente fino alla sua vita. I movimenti di Lexa sono esitanti, delicati, sempre incredibilmente gentili, ma provocano delle reazioni e sensazioni in Clarke che lei non aveva mai provato prima. Presto il timido contatto non è più abbastanza per Clarke, e allora apre la bocca, prendendo il labbro inferiore di Lexa tra le sue. La terrestre è attraversata da un brivido, ma quando Clarke passa la sua lingua sulla morbida carne intrappolata nella sua bocca, Lexa emette un gemito così pieno di desiderio che Clarke inizia a quasi a soffrire tanto è eccitata.

Lexa segue Clarke, lasciandole avere il controllo su tutto. La sua presa si fa più salda sul fianco di Clarke solo quando sente la bionda premere il suo corpo con passione contro di lei. Le loro labbra si separano solo per un istante, e solo per riprendere fiato, ma si ritrovano in fretta. E quando Clarke riprende a tormentare Lexa con la sua lingua, questa volta la mora si lascia andare e apre la bocca, concedendo a Clarke l'entrata che voleva disperatamente. Sentendo la lingua di Lexa contro la sua, l'eccitazione di Clarke si duplica, si triplica, e la ragazza stringe le cosce, cercando un po' di frizione che possa alleviare la dolorosa brama in mezzo alle gambe. Un debole lamento le sfugge per essere catturato dalla bocca di Lexa, e i suoi tocchi diventano sempre più audaci. Clarke intreccia una mano nei capelli di Lexa, tirandola ancora più vicina a sé, mentre l'altra mano scivola sotto la sua maglietta per accarezzarle la schiena, e il gemito che viene fuori dalla gola di Lexa è quasi la morte di Clarke.

Lexa è più tesa di Clarke, ma il suo desiderio per la bionda è forte tanto quanto quello che Clarke sente per lei, se non di più, e lentamente si perde nel momento, toccando ed esplorando la ragazza venuta dal cielo. Clarke trema sentendo le mani di Lexa nei suoi capelli, sulla sua pelle.

Questo è quello che Clarke voleva. Questo momento di oblio. La sua mente è offuscata, annebbiata da tutto ciò che è Lexa. Ma non è ancora abbastanza. Lei ha bisogno di qualcosa che uccida il dolore, anche solo per poco. Il suo corpo si muove da solo, le sensazioni che sta provando sono travolgenti. Spinge una coscia tra le gambe di Lexa, ed è sicura di essere vicina a venire quando sente Lexa strusciarsi su di lei. I suoi baci diventano sempre più aggressivi, uno scontro di bocche e denti e lingue. L'intensità del proprio desiderio quasi spaventa Clarke, ma lei è sicura che morirà se non riuscirà a toccare ogni centimetro di Lexa nei prossimi dieci secondi. Così la smette di perdere tempo. Continua a baciare Lexa con la stessa fame, ma le sue mani percorrono tutto il corpo della terrestre fino a trovare il loro obiettivo: la cintura di Lexa. Inizia ad armeggiarci, cercando freneticamente di aprirla ad occhi chiusi. Quando sente la fibbia cedere, Clarke è quasi troppo eccitata perfino per pensare. La sua mano è sull'orlo dei pantaloni della mora, può sentire i muscoli nello stomaco di Lexa  tremare, e lei stessa trema in trepidazione.Ma prima di potersi abbandonare al proprio desiderio, succede qualcosa che non si sarebbe mai aspettata. Lexa si ritira.

Scatta via, sarebbe una migliore scelta di parole.

Clarke non si rende conto subito di quello che è successo. La sua mente è ancora annebbiata, c'è una nube di desiderio a offuscare i suoi pensieri. Apre gli occhi per l'improvvisa mancanza di calore contro il suo corpo, e vedendo Lexa, un insieme di guance rosse, labbra livide e respiro affannoso, sa di avere lo stesso aspetto. L'unica cosa che Clarke non comprende è la chiara espressione di rimpianto nei suoi occhi che cozza con tutto il resto. Non la sta nemmeno guardando, Clarke realizza.

"Mi dispiace..." Lexa ansima, cercando di riprendere il fiato che Clarke le ha rubato. Poi scuote la testa, chiudendo gli occhi.

Clarke si acciglia, e la fissa confusa e scioccata. Non capisce: sa quello che Lexa prova per lei, e ha visto il modo in cui ha reagito al suo tocco. Lexa la desidera, Clarke ne è sicura. Allora perché?"

"Che significa?" Clarke chiede, il suo respiro affannato come quello della terrestre. Lexa deglutisce profondamente, e il sospiro che emette dopo un lungo silenzio è troppo pesante per i gusti di Clarke.

"Clarke..." Di nuovo il suo nome, pronunciato come se lei fosse la cosa più pura ad aver camminato sulla Terra. Lexa apre nuovamente gli occhi e si costringe a fissarla. I loro volti sono a centimetri di distanza, ma a Clarke sembra che ci sia un oceano a separarle.

"So cosa stai cercando di fare." 

Il cuore di Clarke sprofonda in fondo al suo stomaco. Non sa perché è sorpresa, Lexa sa leggerla meglio di chiunque altro. Ma comunque, Clarke è scioccata. "So che vuoi affogare il tuo dolore in un momento di oblio, so che vuoi dimenticare. Ma non funzionerà. Il tuo dolore tornerà, più violento di prima. Fidati."

Clarke capisce che Lexa sta parlando per esperienza, e si domanda se lei abbia mai fatto lo stesso per cercare di dimenticare Costia. Ma all'improvviso è terrorizzata: perché, se non può avere nemmeno un momento di pace, allora è perduta.

"Clarke..." Lexa la chiama di nuovo, vedendo l'angoscia sul suo viso. "Questo mettera un freno al tuo dolore per un istante, ma ti causerà più tormento in futuro. Io non voglio questo. Io voglio che il tuo dolore abbia fine."

"Ma non può..." Clarke sussurra dopo un momento. Non riesce a credere di essere di nuovo a questo punto, la voce rotta e le lacrime negli occhi.

"Si. Si, può."

Clarke aggrotta le sopracciglia, cercando di comprendere cosa intende. E' solo quando vede la profonda tristezza e rassegnazione sul suo viso che capisce cosa sta realmente dicendo. E il suo cuore si ferma.

"No–" sussurra, scuotendo la testa, rifiutando l'idea di quello che Lexa sta proponendo.

"Se non ti avessi tradita, tu non avresti mai dovuto uccidere tutte quelle persone. Ti ho messa io in quella posizione. E' colpa mia..."

"No, sono stata io! Ho scelto io di farlo. Io sono colpevole!" Sente di nuovo quel groppo in gola, e non riesce a credere di stare nuovamente per piangere.

"Ma quella colpa di sta distruggendo, Clarke..." dice Lexa con voce gentile. Non sta rinnegando le azioni di Clarke, ma dice il vero quando afferma che Clarke non ce la fa più. E poi fa la sua terribile offerta. "Lascia che la sopporti io per te..."

Clarke chiude gli occhi e le sfugge un singhiozzo. No, non può farlo. Non può essere codarda fino a questo punto. "Non posso lasciartelo fare," sussurra, scuotendo la testa. 

"Ti ho causato troppo dolore, Clarke. Hai sofferto abbastanza. Se questo è quello che posso fare per allontanare quel dolore da te, è quello che farò."

"Ma non è giusto, e tu–"

"Vuoi tornare a essere te stessa?" la interrompe Lexa. La sua voce è ferma, ma Clarke sente comunque il lieve tremito in essa, che rivela quanto realmente doloroso questo sia anche per la terrestre. "Vuoi tornare a essere Clarke?" ripete, più saldamente questa volta, mettendo da parte le sue emozioni.

Clarke la guarda negli occhi, quegli occhi in grado di vedere nel suo cuore. Sa che Lexa conosce già la risposta, proprio come conosce il suo tormento interiore, lo scontro tra essere coraggiosa e sopportare, e l'arrendersi. Ma la terrestre aspetta le parole di Clarke, la conferma che questo è quello che vuole. No, non quello che vuole–non vorrà mai questo–ma quello di cui ha bisogno. Clarke dovrebbe dire no, dovrebbe rifiutare questa via di fuga, ma il suo cuore è pesante contro il suo petto, e l'offerta di Lexa è incredibilmente invitante. Non è mai stata il tipo di persona a scegliere la strada facile, ma sente il peso di quello che ha fatto schiacciarla ogni giorno di più. Qui, nell'oscurità, non è un guerriero caduto dal cielo, non è un leader leggendario, proprio come Lexa non è il Comandante. Qui lei è una diciottenne con troppi fantasmi per la sua giovane erà, e non è più abbastanza coraggiosa per portare quel peso. Allora guarda negli occhi di qualcuno che crede che l'amore sia una debolezza, ma che non sa di essere in realtà la persona più forte in quel mondo crudele. Clarke vacilla sotto il suo sguardo e le sue barriere crollano.

E si arrende.

Il suo debole cuore cede egoisticamente, e lei annuisce, dando a Lexa la risposta che le serviva.

"Allora chiudi gli occhi..." sussurra Lexa. Clarke la guarda per un ultimo istante, intravedendo le lacrime negli occhi della terrestre, prima di fare come ha detto. Quando sente delle mani delicate prenderle il viso e una fronte posarsi gentilmente contro la sua, il respiro le si blocca in gola, e deve reprimere un singhiozzo. Il respiro tremante di Lexa è sulle sue labbra, così diverso da prima. E' venato di tristezza, e rimpianto, e amore, e Clarke non ha mai conosciuto qualcosa di più intimo. La ragazza del cielo pensa a quanto sfortunate sono state a incontrarsi in un mondo così crudele. Si permette di pensare a quello che avrebbero potuto essere in un'altra vita, ma solo per un momento. Non può soffermarsi su quei pensieri e sopravvivere a questo. Così, con asprezza, Clarke svuota la sua mente, e aspetta che Lexa le dia il suo doloroso dono.

"Li ho uccisi io," Lexa sta cercando di svuotare la voce da ogni emozione, e Clarke sa che questo è l'unico modo che ha per superare ciò che sta facendo. "Io sono responsabile della loro morte, il loro sangue è sulle mie mani. Ognuno di loro, ogni innocente, ogni bambino... sono morti a causa mia. Dillo."

Clarke esita, la realtà della mostruosità che sta facendo la frena, ma Lexa non le dà il tempo di vacillare.

"Dillo, Clarke." ripete, con più insistenza, finché Clarke non emette il più flebile dei sussurri. 

"Li hai uccisi tu..."

"Dillo ancora."

"Li hai... li hai uccisi tu." Questa volta la sua voce è più ferma, e Lexa sospira piano. Clarke non sa se per contentezza o disperazione.

"Voglio che tu lo ripeta nella tua mente, ancora e ancora, finché qualsiasi altra cosa non ti sembra una menzogna. Cancella ogni traccia di te stessa da quel crimine. Non eri lì, c'ero io. Non hai tirato tu la leva, sono stata io. E' la mia responsabilità, la mia colpa..."

Clarke lascia che ogni parola venga assorbita. E' orribile che lei sia già in grado di sentire gli effetti su di sé. Il suo stomaco si torce al pensiero di quello che sta lasciando fare a Lexa, ma ora che, dopo così tanto tempo a portare questo peso da sola, qualcuno le ha teso una mano, il suo cuore sembra già più leggero, la morsa intorno a esso più lenta. Quando sente il leggero tremore nella mano di Lexa, Clarke è all'improvviso riluttante, e prova a spingere via questa sensazione di sollievo. Conosce il peso delle sue azioni, il loro potere di divorarti, la disgusta essere abbastanza codarda da lasciare che Lexa se ne faccia carico. Ma Lexa non le permette di essere coraggiosa. Sistema la sua mano e tiene Clarke stretta a sé, il suo tocco non più delicato, come se stesse cercando di cancellare ogni buona memoria che Clarke potrebbe avere di lei.

"Non sei colpevole, Clarke. Non meriti quel fardello. Dillo a te stessa, riponi la colpa dove dovrebbe essere, e i tuoi fantasmi smetteranno di tormentarti. Li ho uccisi io. Dillo."

"Li hai uccisi tu..."

"Io sono il mostro, non tu."

"Tu sei il mostro, non io..."

"E' colpa mia."

"E' colpa tua..."

Con ogni parola, Lexa purifica Clarke dai suoi peccati, e allo stesso tempio ricopre se stessa di fango. Il cuore di Clarke si fa più leggero dove quello di Lexa si fa più pesante. La terrestre beve il veleno dalle vene di Clarke, così che la ragazza del cielo possa tornare a respirare. E sorprendentemente, funziona. Funziona orribilmente. La voce di Clarke si fa progressivamente più sicura nel riversare il suo dolore su Lexa. Fino a che la terrestre non dice qualcosa che la fa esitare.

"Mi odi."

Clarke apre la bocca, ma non ce la fa a dirlo. Non importa che lo abbia urlato pochi momenti prima. Odiare Lexa va contro tutto quello che è. Sta già piazzando la sua colpa sulla terreste: fare lo stesso con il suo odio sarebbe troppo crudele. Ma Lexa sembra aver capito la sua lotta interiore, e così incoraggia Clarke a infliggerle ancora più dolore.

"Devi dirlo, o questo non funzionerà. Devi odiarmi, con la stessa veemenza con cui odiavi te stessa. Fallo, Clarke. L'hai detto prima, puoi farlo ancora..." La sua voce è rauca, ed è una lancia nel cuore di Clarke, ma asseconda Lexa lo stesso.

"Ti odio..." Mai prima delle parole erano sembrate così amare in bocca.

"Più sicura." Lexa deglutisce profondamente.

"Ti odio," ripete, con la stessa mancanza di sicurezza. La fronte di Lexa si muove contro la sua, e Clarke sa che lei sta scuotendo la testa.

"Devi convincere te stessa... Pensa a tutti quei morti," Un blocco ostruisce la gola di Clarke. Immagini terrificanti appaiono dietro le sue palpebre. Sono flash continui, e tutto è luminoso e vivido, una serie di corpi bruciati e facce sofferenti, un paio di occhi d'acciaio circondati da pittura scura e da sangue, una mano su una leva. Ma non è la propria mano che Clarke vede questa volta. "Pensa ai bambini, pensa a Maya, pensa a tutto quello che gli ho tolto, pensa a loro mentre bruciano e soffocano e–"

"TI ODIO!"

E' un urlo strozzato, colmo di lacrime e dolori, e le sembra di aver appena sputato tutto il veleno che aveva in corpo. All'improvviso si ritrova ad ansimare, sopraffatta da quello che è appena successo, mentre Lexa sembra aver smesso di respirare. Clarke vorrebbe poter aprire gli occhi e vedere le emozioni sul volto della terrestre, ma non ci riesce. Se lo facesse, sarebbe stato tutto vano.

Oltre il battito irregolare del suo cuore, Clarke sente l'accenno di un singhiozzo. Silenzioso in modo quasi impossibile, ma risuona nelle orecchie di Clarke come l'esplosione di un missile. E poi Lexa si fa nuovamente a pezzi per Clarke. Sprofonda nuovamente in quel dolore che Clarke sa che sta provando, e viene in suo aiuto.

"Torna alla tua vita. Puoi farlo ora... E ogni volta che ti sembra di annegare, ogni volta che la colpa minaccia di riemergere, pensa a quello che hai provato ora. Metti la mia mano su quella leva e riversa tutto su di me. Scaccia ogni sentimento confuso che provi per me, e concentrati solo sul tuo odio, su quello che ho fatto per meritarlo." Lexa è forte, ma neanche lei può impedire alla sua voce di rompersi questa volta. "E sarai libera..."

Poi cade il silenzio tra loro. Clarke vorrebbe poter dire qualcosa, ma non ci sono parole questa volta. Il terrificante dono di Lexa sta funzionando, e Clarke è distrutta da questo. Vorrebbe poter dire a Lexa che non deve farlo, che non ha bisogno della sua forza, che possono essere deboli insieme, ma sarebbe una bugia Clarke comprende il senso delle parole di Lexa. Sarai libera. Lexa vuole concederle quella libertà. La libertà di essere solo una ragazza, la libertà di essere innocente. La libertà che lei ha perso tanto tempo fa, o che non ha mai avuto, pensa Clarke. Anche se significa strapparsi il cuore per farlo.

Il tempo scompare mentre Lexa la tiene. Clarke assapora quel tocco che l'ha guarita, e inspira nuovamente il suo profumo, ora finché può. Quando sente Lexa prendere un respiro attraverso i denti stretti, pensa a quanto questo le stia costando, a come questa ragazza rotta si stia rompendo in pezzi ancora più piccoli solo per aggiustare il cuore ferito di Clarke. Clarke apre la bocca per la prima volta dal suo disperato urlo, ma quelle parole odiose saranno l'ultima cosa che Lexa avrà sentito venire da lei. Perché prima che Clarke possa parlare, Lexa solleva la testa e preme le labbra contro la sua fronte, lasciando un bacio gentile che sembra un sole infuocato contro la sua pelle. Poi Clarke la sente sussurrare, quella lingua che Clarke vorrebbe poter comprendere riecheggia nelle sue orecchie, parole di cui non conosce il significato le scorrono nelle vene.

"Leida, ai keryon..."

E all'improvviso Clarke è circondata dal freddo. L'affettuoso tocco se n'è andato dalla sua pelle, e un soffio d'aria fredda la fa tremare. Lentamente apre gli occhi, e vede quello che sapeva già avrebbe visto. Nulla. C'è solo l'oscurità della foresta di fronte a lei. Perché Lexa se n'è andata.

E' sparita nella notte, come se non fosse mai stata lì, come se fosse stata uno spirito venuto a salvare l'anima di Clarke, come se fosse stata solo un sogno vivido. Ma le nocche di Clarke le fanno ancora male dove si sono scontrate con ossa e carne, il suo fianco ancora freme con la memoria di una mano gentile, e le sue labbra sono ancora calde con i suoi baci. No. Lexa era molto reale. Era un tuono venuto a risvegliare la sua anima spezzata. Era pioggia gentile che l'aveva inondata, purificandola dal dolore e dalla colpa.

E Clarke non sta bene. La sua colpa se ne sta andando, un peso piazzato su spalle più forti delle sue, ma lei non è più la stessa. Il dolore è sostituito dal torpore, e sa che vivere sarà più tollerabile ora. Forse un giorno sarà pronta a rinascere, ma per ora c'è il vuoto nei suoi occhi e il freddo nelle sue mani.

Clarke lascia correre le dita della sua mano bruciata sulle sue labbra. Nulla sa di Lexa più di questo: dolore e piacere, odio e amore. Poi la sua mano scende fino a fermarsi proprio sul suo cuore. Pensa a Lexa, a come ha ferito la sua anima e a come l'ha guarita, e si rende conto che la terrestre ha ragione. Può tornare alla sua vita. E' libera, codardamente libera. Ma quella libertà ha un prezzo. Perché la ragazza con la tristezza nei suoi occhi di smeraldo ha portato via il suo dolore e la sua colpa, ma ha anche portato via una parte del suo cuore. Quello che un tempo era in frantumi ora è ricomposto, ma Clarke non è ancora intera.

I suoi fantasmi non sono più suoi, e non la tormenteranno più. Accettare l'offerta di Lexa ha trasformato la terrestre nel suo unico fantasma. Il cattivo da odiare. Il colpevole. Ma Clarke fissa le profondità della foresta, e sa che quella parte del suo cuore che è stata rubata dal suo petto non la vedrà mai in quel modo. Sentirà sempre la sua mancanza. Quella parte del suo cuore ricorderà sempre il profumo di aghi di pino e foglie fresche e tremerà e soffrirà.

No. Clarke non è più spezzata. Ma non è integra. Perché una ragazza dai capelli scuri e dagli occhi che sembrano la foresta ha rubato una parte del suo cuore.

E lei sarà sempre gioia che saprà di dolore.

PS: Leida, ai keryon=addio, mia anima

 

   
 
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