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Autore: Sea    13/09/2015    3 recensioni
Il ragazzo della biblioteca è il classico esempio di ragazzo emarginato, lontano dalla società e dai contatti amichevoli, ma dietro il suo aspetto e i suoi modi c'è una storia complessa, una grave perdita. La vita sembra essersi stancata di lui, ma Ed continua ad andare al lavoro e a combattere contro il suo patrigno e il suo fratellastro per non perdere l'eredità di suo nonno: la sua casa. Sua nonna e la sua chitarra sono le uniche cose che gli restano, ma gli eventi prenderanno una piega inaspettata e tra un lavoro e l'altro, Marina entrerà prepotentemente nella sua vita.
Ecco una nuova storia dopo Afire Love! Spero di non deludere le aspettative. :)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Sheeran, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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VIII
 


Quando quella mattina Marina non si era presentata in biblioteca, una metà del suo essere era sollevata, l’altra metà invece era delusa.
Il discorso di sua nonna gli rimbombava nella testa, convincendolo sempre di più che lei avesse ragione, che per una volta poteva darsi una possibilità. Non si era esercitato allo specchio per salutarla, aveva deciso che si sarebbe comportato d’istinto, magari cercando di non farsi prendere troppo dall’agitazione, ma lei non era venuta.
Aveva messo in conto di non vederla affatto per quella giornata piena di neve, così si diresse al caffè di fronte per pranzare da solo. Quando entrò facendo suonare il campanello, il proprietario baffuto lo salutò, già pronto per prendere la solita ordinazione, ma prima che lui parlasse, l’uomo alzò nuovamente la mano. Si voltò d’istinto per guardare chi ci fosse dietro di lui, quale dei tanti assidui del posto ed invece la figura infagottata di Marina si presentò ai suoi occhi. Era così piccola che quasi spariva negli abbondanti strati di tessuto che la avvolgevano, ma la sorpresa sul suo volto e poi il suo sorriso gliela fecero sembrare di nuovo una donna. Il suo cuore perse un battito.
  • Ehi, Edward! – fece lei, avvicinandosi. – Sei in pausa?
  • Marina!
Aveva una strana voglia di sorriderle e di parlare con lei, di qualunque cosa. Per una volta, si sarebbe assecondato e continuò a parlare.
  • Sì, sono venuto a pranzare. E tu?
  • Oggi la scuola è chiusa per la neve ed ho approfittato per andare a trovare Jody, stamattina, però adesso mi tocca studiare e quindi…
  • Quindi, pranzi qui? – chiese, senza pensare alle conseguenze.
  • Ti siedi con me?
Era così naturale, per lei. Non aveva avuto nessuna difficoltà a chiedergli di pranzare insieme, come farebbero due normali “amici”.
  • Oh…va bene.
Erano anni che pranzava da solo o cenava da solo o faceva qualsiasi cosa da solo. Quando era stato lui ad invitarla al bar, non era stata la stessa cosa, forse perché era troppo confuso dalle emozioni contrastanti che provava, ora invece era soltanto ammirato dalla sua gentilezza.
Lei si avviò ad un tavolo qualsiasi, senza pensare al fatto che lui avesse il suo posto personale, ma gli sembrò scortese chiederle di cambiare postazione, quindi la seguì in silenzio. Si accomodò, impacciato, di fronte a lei e si sfilò il cappotto, scoprendo interamente la sua figura debilitata. Quella volta, Ben aveva evitato di colpirgli il viso, concentrandosi invece sulle coste e sulle gambe, quindi il suo danno non le era visibile. Almeno, guardandolo, non avrebbe dovuto vedere le solite macchie violacee. Prese un silenzioso respiro, costatando che il tavolo era il più esposto della sala e che in pratica lo avrebbero visto tutti e avrebbero di certo notato che era in compagnia. Sperò che questo non nuocesse alla sua reputazione.
Marina tirò via il cappello bianco che le copriva la testa e lo posò insieme al cappotto sulla parte libera del divanetto in pelle. Indossava un maglione spesso quanto tre dei suoi messi insieme.
  • Che giornata, eh? – e guardò fuori, portandolo a fare la stessa cosa.
  • Spero – cominciò, impacciato. – che non nevichi ancora.
  • Già, altrimenti non so come farò a tornare a casa.
  • Abiti molto lontano? – in effetti, la neve era molto alta.
  • Più o meno a 3,5 km da qui. Anche tu, suppongo, dato che vieni in bici.
  • Sì, abito verso il centro.
Il pensiero della sua casa lo turbò, ma fu distratto ben presto dal cameriere che portava le loro ordinazioni.
Marina guardava la sua porzione di lasagna con sguardo famelico.
  • Anche a te piacciono le lasagne? – chiese lui.
  • A chi non piacciono? Uhm, l’argomento cibo fa al caso nostro, allora!
Sorrise, imbarazzato da quella sua volontà di conoscerlo. Anche lui stava diventando curioso.
  • Vediamo, qual è il tuo piatto preferito?
  • Fish and chips. – disse, indicando il suo piatto.
  • Avrei dovuto immaginarlo.
Nel giro di mezz’ora fu in grado di provare la più grande varietà di sensazioni che avesse mai sperimentato: era questo che si provava a parlare con un’amica?
Lentamente, la sua mente si abituava all’idea di rispondere a domande e a commentare spontaneamente qualcuna delle sue osservazioni, e quel pranzo risultò per lui più piacevole di quanto credesse.
  • Bene, Edward, adesso mi sembra di conoscerti un po’ meglio. Sei sicuro che non ti dispiaccia pranzare con me?
  • Ma no! No, scusami-
  • E di cosa? Smettila di scusarti sempre. – disse lei, senza smontare il suo sorriso.
  • Io non sono uno molto loquace, ma non mi dispiaci. Cioè, sei gentile.
Ripensò a sua nonna e avrebbe voluto che lei potesse leggergli nel pensiero per togliersi dall’imbarazzo.
  • Non so come spiegarmi, è solo che è da tanto che non…parlo con qualcuno.
  • L’avevo capito, Edward. Non dimenticare che sono un’insegnante, certe cose non mi sfuggono. – sorrise. – Non preoccuparti, non penserò mai che tu voglia offendermi, non ti ci vedo proprio.
Per la prima volta da quando si era seduto di fronte a lei, sentì il suo sorriso allargarsi in modo spropositato. Si portò una mano nei capelli rossi, come per aggiustarli e poi tornò a guardarla.
Per un attimo lei ricambiò il suo sguardo, poi, come se avesse avuto un’illuminazione, guardò l’orologio.
  • Edward! – e lui si allarmò. – Devi aprire la biblioteca!
  • Merda!
Si alzò di scatto dal divanetto quando vide gli studenti in attesa fuori dalla porta, già con gli occhi sugli orologi. Marina si alzò, afferrando il suo cappotto e fiondandosi dietro di lui in mezzo alla neve. Lo vide letteralmente correre dall’altra parte della strada col cappotto che svolazzava intorno ai suoi fianchi e fu incerta se seguirlo, ma poi lui si voltò e con la mano le fece segno di stargli dietro. Allungando il passo, riuscì ad affiancarlo e a vedere il suo volto spaventato, ma lei non sapeva che stava rischiando il licenziamento.
Non la guardava più, il suo sguardo azzurro era concentrato sulle chiavi tintinnanti. Percorsero il muro ovest dell’edificio, tutto scrostato, pieno zeppo di neve fresca alla base e raggiunsero il retro. Non aveva mai visto quel posto prima, ma riconobbe subito la sua bici azzurra appoggiata accanto ad un piccolo magazzino, col sellino pieno di neve. In un lampo, Ed aprì la porta e si precipitò dentro ad aprire ai ragazzi, senza proferire una parola. Sparì nel buio di uno stanzino.
Marina entrò, titubante, chiudendosi la porta alle spalle e cercò di orientarsi. Seguì la luce proveniente dalla porta e durante il tragitto vide lo spazzolone e il secchio con cui quella testa rossa stava cantando giorni prima e le venne da ridere al pensiero che un uomo grande e grosso cantasse di nascosto in una biblioteca. Stava per oltrepassare l’uscio ed entrare nella grande sala, ma il viso pallido di Edward le andò incontro, riportandola dentro, al buio.
Non capiva cosa stesse succedendo, sentiva solo le sue mani sulle spalle e il suo respiro troppo vicino.
  • Ascolta bene, - parlava a bassa voce mentre la spingeva in un angolo. – sta arrivando il responsabile, nasconditi qui dietro – ed appese il suo cappotto ad un vecchio gancio – e non fiatare.
Lui alzò un lembo del cappotto blu e ve la infilò di forza dietro.
Marina si zittì quando sentì una voce chiamare il rosso e fare il suo ingresso nello stanzino. Non vedeva niente, ma immaginava la scena.
  • Sheeran, cosa stai facendo?
  • Uh, signore, stavo…cercando una nuova risma di fogli. – lo sentì dire, abbastanza calmo da non farsi scoprire.
  • Cerca di sbrigarti, c’è fila al bancone. – un attimo di silenzio. – Sei solo?
  • Certo, signore. Come sempre.
Sentì i passi dell’uomo avvicinarsi verso di loro e temette di essere scoperta. Trattenne il respiro, sperando che se ne andasse il prima possibile, ma sembrava che non ne volesse sapere. Ed, per coprirla, si mise davanti al cappotto e rimase immobile. Vide le sue Vans consumate accanto ai suoi stivali, sentì il suo calore e immaginò le sue spalle muoversi col suo respiro.
  • Cerca di dare una pulita, più tardi. – disse quello, con tono scortese.
  • Sì, signore.
Riprese fiato non appena sentì i passi allontanarsi, ma attese ancora finchè lui non le picchiettò un dito sul corpo, per farla uscire. Quando la fioca luce arrivò ai suoi occhi, vide la sua figura vicina e visibilmente agitata davanti a lei. I suoi occhi azzurri risplendevano anche lì, dietro quella parete e lo immaginò attraversare quella stanza tutti i giorni di tutto l’anno, col freddo o col caldo, con i suoi lividi e i suoi pensieri. Sentì le guance andarle in fiamme quando lui si voltò definitivamente verso di lei e le mise una mano sulla spalla. Si stava cacciando in un bel guaio.
  • Stai bene? – chiese lui. – Scusa, se ti avesse visto, mi avrebbe licenziato in tronco.
  • No, io- scusa tu, non dovevo seguirti. – cercò di spiegare.
  • No, ti ho detto io di farlo. La prossima volta presterò più attenzione.
La prossima volta.
Aveva davvero detto così, lui, con quella faccia e quel carattere e quelle ansie. E l’aveva portata nel retro, dove non era ammesso nessuno se non lui e aveva rischiato il licenziamento.
Distolse lo sguardo da lei e fece un passo indietro, permettendole di allontanarsi dal muro.
Prima che potesse dire qualsiasi altra cosa, le fece capire che era il momento di uscire, avvicinandosi all’uscio. Marina uscì dallo stanzino quando lui le fece segno di farlo e andò dritta ad uno dei banchi, come se avesse appena fatto la fila al banco dei prestiti. Quando si sedette sulla vecchia sedia di legno, lo vide aiutare qualcuno a compilare il modulo del prestito, per poi allontanarsi alla ricerca del libro richiesto. Era stato piacevole pranzare con lui, ma non doveva farsi prendere dalle fantasie, anche mentre lo guardava attraversare la sala con la mascella contratta e il passo morbido. Aveva un aspetto così…così…
Non sapeva definirlo, ma c’era qualcosa in lui che l’attraeva, anche se sapeva bene che un interesse diverso da quello che diceva di avere per lui, sarebbe stato soltanto dannoso. E poi ancora non lo conosceva bene, magari avrebbe scoperto il suo vero carattere e non le sarebbe piaciuto poi così tanto. Quando sparì dietro gli scaffali, lasciò cadere la testa sul banco, cercando di convincersi a studiare e a finire quella benedetta tesi.
 
Durante l’intero pomeriggio, non era riuscito a parlare di nuovo con Marina o a incontrare i suoi occhi, ma non riusciva a smettere di guardarla o di pensare a quel pranzo.
Non si stava innamorando di lei, non era uno dall’amore facile, era semplicemente sorpreso da se stesso. Non sapeva di poterlo fare, pranzare con qualcuno, conoscerlo meglio, aveva dimenticato cosa significasse, ma ora si era accorto che ne aveva disperatamente bisogno. Non che tutta la paura fosse sparita nel giro di un’ora, ma aveva finalmente eliminato dalla lunga lista il taboo sui contatti umani: gli facevano bene.
Con Marina era come se non avesse più bisogno di ignorare gli sguardi altrui, non gli importava più di notare che gli altri lo giudicassero, in un certo senso si sentiva libero, perché lei era disposta a conoscerlo. E lui voleva farsi conoscere, eliminare il falso mito sul ragazzo della biblioteca. Non mangiava bambini di notte e non succhiava sangue dai colli delle vergini, era soltanto un ragazzo.
Ora sapeva che il colore preferito di Marina era il blu, che le piacevano i pancakes e la Nutella, che era nata esattamente il 31 Dicembre del suo stesso anno e che non aveva una macchina con cui tornare a casa, più tardi. Magari avrebbe potuto allungare un po’ la strada verso casa e darle uno strappo in bici. O forse no. Magari era troppo avventato.
Per fortuna il suo responsabile non l’aveva vista, ma per arrivare ad entrare nello stanzino qualcuno doveva aver fatto la spia, perché quell’uomo odiava quel posto. Non ci entrava mai.
Ogni tanto si guardava intorno, cercando di sorprendere qualcuno ad osservarlo, ma puntualmente vedeva i presenti ignorarlo, come sempre.
Nell’ora che gli restava prima della chiusura della biblioteca, sistemò i libri restituiti dell’intera giornata e quell’attività lo tenne parecchio impegnato e parecchio lontano da dove voleva essere. Mentre sistemava i libri, si sentiva meno solo e addirittura prese a fischiettare. Non vedeva l’ora di raccontarlo a sua nonna e magari un giorno gliel’avrebbe presentata. Poi magari potevano pranzare insieme il giorno dopo e andare insieme all’Hawking, quel sabato. Calmati, Ed. Una cosa alla volta. Devi ancora scoprire che genere di musica le piace, quindi è un po’ presto per fare progetti.
Quando posò l’ultimo libro ed uscì dal labirinto di scaffali, erano rimaste soltanto tre persone, di cui una stava andando via, un’altra si alzava per infilarsi il cappotto e l’ultima era Marina, in piedi al banco dei prestiti.
Le si avvicinò, credendo che lo stesse aspettando e quando fu lì, lei prese subito a parlare.
  • Ti aspetto per andare via, tanto non ho niente da fare. – il suo viso era sereno, mentre lo guardava negli occhi. I suoi capelli castani erano una cornice per i suoi occhi verdi.
  • Oh. – fece una pausa. – Va bene!
Lei tornò a sedersi, nell’attesa che quei minuti scorressero e rimanessero soli. Ed spense il computer, tolse le scartoffie dal bancone, svuotò i cestini, rimise a posto le sedie e chiuse la porta d’ingresso a chiave. Mentre sentiva la serratura cigolare, percepì il suo petto appesantirsi. Socializza – si ripeteva – puoi farcela.
Sii naturale.
  • Io ho finito. – disse, mentre tornava al bancone, diretto nello stanzino.
Sentì i suoi passi raggiungerlo nell’oscurità e si infilò il cappotto. Lei rimase in silenzio, mentre Ed stringeva la sciarpa al collo e cercava le chiavi nella tasca.
Quando aprì la porta, la neve entrò prorompente all’interno: nevicava anche troppo per i suoi gusti. Guardò Marina, che storceva le labbra e aggrottava lo sguardo.
Come avrebbe fatto a tornare a casa?
Uscirono fuori in silenzio, cercando di abituarsi al freddo pungente e di non restare intrappolati nella neve alta. Quando fu certo che la porta fosse chiusa, andò a prendere la bicicletta e la scrollò per far cadere la neve dal sellino. Si incamminò verso di lei, che prese a seguirlo verso la strada, con la sciarpa che le copriva anche il naso. Quando furono sul marciapiede, prese la parola spontaneamente.
  • Prendi il pullman?
  • Ehm… - guardò verso la fermata, leggendo qualcosa sul display luminoso. – A quanto pare no. Corse sospese.
Si portò le mani alla testa, in segno di disperazione. Ed guardò la fermata vuota, poi le strade innevate, poi lei. Non poteva lasciarle percorrere 3,5 km nella neve alta.
  • Vieni, ti do uno strappo a casa.
Lei lo guardò con gli occhi spalancati.
  • Davvero? – quasi le sembrava di arrecargli disturbo.
  • Se vuoi. – disse, facendo spallucce. Forse aveva osato troppo.
Pulì il sellino con le mani nude e vi montò. Per fortuna la sua bici era vecchia ed aveva ancora la barra principale alta. Lei sembrò non capire cosa dovesse fare.
  • Devi sederti davanti a me, sul ferro. Lo so, non è comodo.
Fece un passo verso di lui e quando fu convinta, si girò e cercò di sedersi. Lì per lì le sembrò di cadere e dovette aggrapparsi a lui per non capitombolare, ma riuscì a trovare un certo equilibrio quando Ed mise entrambe le mani sul manubrio. Con la borsa in grembo, si sentì circondata. Quasi al sicuro.
  • Tieniti.
Riavvolse la catena e spinse col piede sul pedale per partire.
  • Dove devo andare?
  • Oh, già! – disse, distraendosi dal pensare a quella situazione. – Abito dov’è la chiesa di Santa Maria del Popolo, a Grimace Street.
  • Va bene. – fece lui, guardando soltanto la strada vuota. – Tutto bene, lì?
Incastrata com’era tra lui e la bici, non poteva dire di stare comodissima, ma le sue spalle la proteggevano dal vento e le sue braccia la reggevano quando perdeva l’equilibrio.
  • Benissimo. – disse, guardandolo. – Grazie, Edward. Mi stai salvando.
  • Di niente.
Sorrise e abbassò per un attimo lo sguardo su di lei, trovando i suoi occhi verdi. Dimenticò le sue mani congelate sul manubrio. Stava riaccompagnando la sua amica a casa.
Il tragitto fu silenzioso, il freddo non invitava alla conversazione e quando furono in Grimace Street, Marina gli disse di rallentare, facendolo fermare all’ingresso di un vecchio palazzo sgangherato.
  • Bello spettacolo, vero? – disse, scendendo dalla bici e voltandosi verso di lui.
  • Ho visto di peggio.
Lo guardò, non sapendo cosa dire. Una folata di vento e neve li scosse entrambi.
  • Vai, Edward e grazie, non so come avrei fatto senza di te.
Marina posò una mano sulla sua spalla, per ringraziarlo e aspettò che lui la salutasse, ma Ed era quasi incerto se andarsene o meno. Non sapeva nemmeno cosa significasse quell’indecisione, sapeva solo che stava arrivando la vera tormenta e doveva correre a casa.
  • D-di niente, Marina. – gli piaceva il suo nome.
È a questo che servono gli amici, si disse. Lei gli sistemò il cappuccio e prima di andare via, gli disse:
  • Stai attento!
Poi corse verso il portone salutandolo con la mano.
Prima che qualcos’altro lo fermasse, riprese a pedalare, senza sapere se il giorno dopo l’avrebbe rivista.
Senza di lei sulla bici, riuscì ad aumentare il passo e ad arrivare a casa giusto in tempo. Era riuscito a stento ad aprire il cancello e ad arrivare alla veranda. Quando entrò in casa, il silenzio lo avvolse. Non c’era Jef sulle scale, né Ben in salotto. Dove diavolo erano finiti?
Si diresse in cucina per prendere un bicchiere d’acqua, ma la presenza di un foglio sul tavolo lo fermò dalla sua avanzata verso il frigo. Lo prese tra le mani, chiedendosi come mai Ben avesse lasciato qualcosa in cucina, il suo regno. Lesse l’intestazione e le prime righe di quello che sembrava un documento:
“Si attesta, col supporto dell’Avv. Foster, che il signor Benjamin Storm non è in possesso del documento richiesto dalla controparte per la verifica dell’effettiva sussistenza del testo originale, pertanto, in assenza di altri duplicati, viene richiesta la perizia pubblica dei beni e l’attestazione della proprietà…”
Il rumore della porta che si apriva gli fece gelare il sangue. Ripose immediatamente il foglio, lasciando che le parole che aveva letto si depositassero nella sua memoria mentre si dirigeva al frigorifero, per simulare indifferenza. Prese la bottiglia d’acqua e ne versò un po’ nel primo bicchiere che riuscì a prendere e se lo portò alla bocca.
Sentiva dietro le sue spalle la presenza di qualcuno e infatti la voce di Ben rimbombò nella casa vuota.
  • Fuori di qui, ragazzino.
Si voltò verso di lui e lo vide entrare nella stanza, diretto verso il tavolo. Non se lo fece ripetere due volte e sgattaiolò fuori dalla stanza, facendo finta che quel foglio non fosse mai stato lì. Si scontrò con Jeffry all’inizio delle scale e vide il suo fratellastro chiaramente infastidito. Se avesse potuto, gli avrebbe chiesto immediatamente dove fossero stati, ma meno si accorgevano del suo interesse, meglio era per lui.
Jef lo trattò in malo modo, ma lo ignorò e corse in camera sua.
Ben stava davvero cercando di combinare qualcosa, ormai ne aveva la certezza: il suo intuito non aveva sbagliato. Cosa poteva fare? Come poteva scoprire le sue intenzioni?
Come avrebbe potuto impedirgli di fare qualunque cosa stesse per fare?
Perché di una cosa - e solo di quella - era assolutamente certo: non si trattava di nulla di buono.




Angolo autrice:

Salve belli!
Innanzitutto grazie per le visite e le recensioni, siete la mia gioia.
Non vedevo l'ora di aggiornare per dare finalmente una svolta alla storia, perchè mi rendo conto che è ancora praticamente tutta sul pc e voi non avete letto praticamente niente.
Sto ancora scrivendo, sarà una cosa lunga, ma ormai ci sono dentro, spero solo che continuerete a leggere, altrimenti sarà tutto vano.
Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo e se vi va aggiungete la storia alle preferite, seguite o quello che volete. :)
Vi lascio un disegno fatto da me di Ed e Marina in questo capitolo (so che l'avevo già allegato ad un capitolo precedente e vi ho rovinato la sorpresa, ma la mia testa doveva essere fusa, perdonatemi) e spero di leggere le vostre recensioni.
Alla prossima! :)

S.



 
  
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