Attento a ciò che desideri  

Max non aveva mai davvero partecipato al viaggio di Vera, Brock e Ash. Nelle loro avventure non era mai stato necessario che il più piccolo del gruppo facesse la sua parte: né nelle lotte, né in cucina, né in qualunque altra cosa. Alle volte Max doveva ammettere di essersi sentito davvero molto sollevato da quella situazione, però allo stesso tempo aveva avvertito il bisogno di mettersi in gioco, come faceva sempre sua sorella. 
Adesso ne aveva l'opportunità. Aveva compiuto dieci anni, poteva intraprendere il suo personalissimo viaggio senza l'aiuto di Vera o di chiunque altro. La paura gli scorreva nelle vene, l'adrenalina trapassava il corpo da cima a fondo. Per quanto fosse sempre stato deciso a viaggiare da solo, non riusciva a non tremare. Si distese sul materasso volgendo lo sguardo sul letto sopra al suo, vuoto ormai da quasi due anni; in quel momento realizzò che anche lui per un bel po' non vi ci sarebbe più coricato. Issò la schiena, congiunse le gambe al petto divaricandole quanto bastava per infilarci la testa, a occhi aperti.  
«Vera...» sussurrò, calando le palpebre, ricordando come nel trailer di un film le parti migliori della loro avventura. Rammentò ancora di quando, dopo essersi addormentato sulla spalla di Ash, aveva sognato una radura infestata da Pokémon di tipo Spettro e si era sentito spaesato; poi, al suo risveglio, aveva trovato Jirachi accanto a lui e per la prima volta nella vita si era sentito davvero a suo agio: quel Pokémon per lui era stato una vera e propria sicurezza, uno sprono ad andare avanti. Fu per quel motivo che, con la voce ancora impastata dal sonno e gli occhi stanchi, si era rivolto a quel suo amico e nell'orecchio gli aveva bisbigliato: «Vorrei tanto diventare un Allenatore».
Evidentemente l'aveva sentito, l'aveva ascoltato e l'aveva accontentato, ma ora Max non era più tanto sicuro delle sue ambizioni. Era sempre stato un tipo preciso e rigoroso e per questo quell'indecisione lo stava davvero logorando. Forse non avrebbe dovuto chiederglielo, forse avrebbe dovuto aspettare il momento e decidere impulsivamente. O forse, pensò alzandosi dal letto e scrutando il paesaggio fuori dalla finestra, devo fidarmi di Jirachi e renderlo fiero di me.  
In fondo se stava succedendo, se l'aveva voluto con tutto se stesso, un motivo doveva esserci e non poteva darla vinta alle sue paure. Doveva partire, voleva partire, senza remore o ripensamenti. Si piazzò sullo stipite della porta della sua cameretta, osservandola, e un sorriso spontaneo gli illuminò il volto al pensiero che era intenzionato a non farci più ritorno per un bel po'.
Era pronto, lo era sul serio.