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Autore: Odinforce    14/09/2015    2 recensioni
La maledizione che lo aveva afflitto per anni era ormai svanita. Era trascorso più di un anno, ma Ranma sorrideva ancora compiaciuto ogni volta che si bagnava con l’acqua fredda senza subire alcuna trasformazione. Si sentiva felice come non mai, alla pari di un uomo che aveva sconfitto una malattia mortale, libero di assaporare tutte le piccole cose straordinarie che la vita ha da offrire.
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Nuovo personaggio, Ranma Saotome, Ryoga Hibiki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo specchio
 
Roma, oggi.
Un raggio di sole filtrato attraverso le tende disturbò il riposo di Ranma, costringendolo ad aprire gli occhi. Strizzando le palpebre li richiuse subito dopo, voltandosi dall'altro lato... non aveva alcuna voglia di alzarsi. Poi, dopo qualche secondo, si ricordò di dove si trovava e con chi, e un sorriso affiorò sulle sue labbra. Rose dormiva beata tra le lenzuola al suo fianco: il suo volto era celato in parte dalla sua chioma scompigliata, ma riusciva a vedere su di lei un dolce sorriso.
Stava pensando a come svegliarla con delicatezza, ma non ce ne fu bisogno. Rose aveva appena aperto gli occhi, simili a splendidi zaffiri, trovando subito quelli neri di lui.
« Buongiorno. »
Ranma le rivolse un sorriso, mentre lei continuava a fissarlo con espressione indecifrabile. Rose non rispose, si limitò ad avvicinare le labbra alle sue, posandovi un dolce bacio.
Rimasero così per alcuni, lunghi minuti, incapaci di trovare qualcosa da dire. Si sentivano entrambi a corto di parole, o di pensieri, come se avessero già detto tutto la sera precedente. Il silenzio fu rotto infine da un rumore, un familiare brontolio che proveniva dallo stomaco di Ranma; lui si lasciò sfuggire una risata imbarazzata, ma Rose continuò a sorridere come se nulla fosse.
« Anch’io ho fame » ammise. « Mangiamo qualcosa? »
Alla risposta positiva di Ranma, lei balzò in un attimo fuori dal letto, con un’energia e un entusiasmo mai visti prima. Indossò una vestaglia e invitò il ragazzo a raggiungere la cucina, per fare colazione insieme; lui, dopo aver abbandonato lo stato di sorpresa, la seguì a ruota con un sorriso.
Rose tirò fuori tutto ciò che aveva per una colazione degna di questo nome: latte, biscotti, marmellata, fette biscottate e della crostata acquistata il giorno prima. Non era la roba di cui Ranma era solito nutrirsi al mattino, ma non osò rifiutare nulla: dopotutto era un ospite in casa altrui... una condizione in cui si era trovato per più di due anni prima di cambiare vita.
In quel momento non fece caso al modo in cui Rose mangiava, ma alla fine della giornata avrebbe  aggiunto anche quel piccolo dettaglio alla lista di cose strane a cui stava per assistere.
I due ragazzi lasciarono insieme l’appartamento, ma i loro impegni li costrinsero a prendere ben presto due direzioni diverse. Ranma aveva una lezione in palestra, mentre Rose doveva recarsi in centro per un giro di acquisti. I due si fermarono a un incrocio prima di salutarsi con affetto.
« Ci vediamo più tardi. »
E dopo essersi scambiati un altro bacio, presero direzioni diverse. Ranma non resistette alla tentazione di seguire Rose con lo sguardo, dopo che lei gli aveva già voltato le spalle, ma non appena la vide rimase senza fiato: la ragazza si era arrampicata su un muretto e ci camminava sopra tranquillamente, con la stessa naturalezza di chi cammina sul marciapiede.
Ranma non credeva ai suoi occhi. Lui stesso, in passato, aveva il vizio di camminare su muretti o recinzioni, ovunque volesse andare; ormai non lo faceva più così spesso, dato che gli italiani non erano così tolleranti come il suo popolo, ma qualche giorno prima si era divertito a stupire Rose con questo pittoresco talento.
« Mai tenterò di fare una cosa del genere in vita mia! » aveva detto lei con aria sbalordita, se lo ricordava benissimo. Eppure era proprio lei in quel momento, la stessa Rose che aveva baciato pochi attimi prima, ora intenta a imitarlo in maniera perfetta su quel muro...
Ranma scrollò le spalle e attraversò la strada, cercando di non pensarci; aveva scelto di non fare caso a questa stranezza. Dopotutto, aveva ben altro a cui pensare in quel momento: finalmente, Ranma riusciva ad ammettere di essere contento di avere una ragazza. Dopo tutto quello che aveva passato con suo padre e la famiglia Tendo, si era quasi rassegnato all’idea di dover evitare il sesso femminile per un sacco di tempo; ora invece si sentiva libero, leggero... in grado di toccare il cielo con le dita.
Forse Rose era davvero la ragazza giusta per lui, e voleva crederci fino in fondo. Anche se i loro interessi erano diversi, lei aveva dimostrato di essere in grado di capire il ragazzo, meglio di chiunque altro... e lui riusciva a fare altrettanto nei suoi confronti. Erano diversi, ma nel contempo simili, come se l’una si rispecchiasse nell’altro e viceversa.
Ancora ignorava che le sorprese non fossero finite.
Rose fece ritorno nel primo pomeriggio, con un sorriso radioso dipinto sul suo volto. Dal momento che Ranma non aveva ancora pranzato, lei lo convinse a fermarsi in un ristorante giapponese nei pressi del Laghetto. Il ragazzo rimase sorpreso dalla proposta, poiché Rose non aveva mai mostrato interesse verso la cucina giapponese prima di allora.
« Oggi ho voglia di tentare la sorte » annunciò la ragazza divertita, prima di afferrarlo per una mano e trascinarlo verso la meta. Ranma era troppo contento di essere di nuovo insieme a lei per preoccuparsi, ma non poté comunque impedire ai suoi sensi di restare in guardia; anche se inconsciamente, sentiva che la situazione stava prendendo una strana piega. Ne ebbe una nuova conferma nel momento in cui Rose mangiò una porzione di riso... cibo che lei aveva ammesso, giorni prima, di odiare con tutto il cuore.
A pensarci bene, Rose stava mangiando le stesse cose ordinate da lui.
Ranma cominciò allora a preoccuparsi davvero, così decise di parlarne con Rose poco più tardi, dopo il pranzo. I due erano rimasti nei pressi del Laghetto per una passeggiata digestiva: il sole era oscurato da grosse nuvole che limitavano la sua luce sulla Capitale, rendendo l’atmosfera decisamente più cupa di quella dei giorni precedenti. Rose, insensibile al nuovo clima, continuava a camminare con aria allegra lungo il prato, seguita a ruota da Ranma.
« Va tutto bene, Rose? » osservò lui in quel momento, cercando di apparire tranquillo. « Oggi ti comporti in modo strano. »
« Oh? Che vuoi dire? »
« Be’, è da stamattina che ti vedo fare cose bizzarre... almeno per te. Camminare sul muretto, mangiare il riso... e ho avuto persino l’impressione che imitassi il mio modo di mangiare. Non è da te fare così... allora qual è il senso in questo tuo comportamento? »
Rose smise di camminare. All’improvviso aveva perso l’allegria sul suo volto, chinando il capo per fissare l’erba. Ranma la guardò confuso, incerto su cosa dovesse aspettarsi: ora era lei ad apparire preoccupata, in una misura forse maggiore.
« Hai ragione, Ranma » dichiarò lei, senza guardarlo. « Ciò che mi hai visto fare non è da me... significa che sta succedendo di nuovo. Ormai ci ho fatto l’abitudine, a tal punto da non accorgermi quando ricomincio ad adattarmi. »
Ranma rimase in silenzio, ma quella risposta non fu sufficiente a sciogliere i suoi dubbi.
« Rose... ma di cosa stai parlando? »
La ragazza si voltò a guardarlo, sempre più cupa in volto. Aprì la bocca per rispondere, quando una voce estranea attirò l’attenzione di entrambi.
« Torna qui, Marshall! »
Ranma e Rose si voltarono, appena in tempo per notare una ragazzina correre lungo il prato, intenta ad inseguire un gatto che puntava veloce contro di loro. L’animale schizzò tra le loro gambe, per poi allontanarsi in tutta fretta; Ranma urlò per lo spavento, ma non fu nulla in confronto al grido lanciato contemporaneamente da Rose, che si aggrappò a lui in preda a un improvviso terrore.
« Ehi, ma che ti prende? »
La risposta non arrivò mai, perché svenne subito dopo tra le sue braccia.
Nel frattempo la padroncina del gatto responsabile dell’accaduto era accorsa sulla scena, improvvisamente preoccupata.
« Che è successo? Si è sentita male? »
Ranma non rispose, limitandosi a controllare le condizioni di Rose; gli occhi erano serrati e il corpo molle, ma respirava ancora. Ne sapeva abbastanza per capire che si trattava di un semplice svenimento. Rassicurò la ragazzina, che tornò ad inseguire il gatto, dopodiché si caricò Rose sulle spalle e lasciò il Laghetto, dirigendosi verso casa.
Ci mancava solo questa, pensò Ranma, incredulo e furibondo allo stesso tempo. Aveva trascorso mesi nella tranquillità più totale, ormai certo di aver detto addio per sempre a un mondo intero di stranezze... e ora stava succedendo di tutto in appena mezza giornata. Doveva scoprire la verità, prima di impazzire in modo irreversibile.
Mentre Rose riposava sul letto, Ranma cercò di rifletterci sopra, aspettando che lei riprendesse i sensi. Nell’appartamento regnava una calma piatta, ma nella mente del ragazzo infuriava un vero caos: una marea di dubbi e di domande che vorticavano al centro di un unico pensiero, o meglio di una persona... la stessa alla quale stava seriamente pensando di dare il suo cuore.
Rose...
Che cosa le era accaduto? Il suo improvviso cambiamento non era naturale: il modo di comportarsi, i gusti alimentari, il terrore per i gatti... elementi fin troppo familiari per Ranma, dal momento che riflettevano perfettamente il suo carattere. Si conosceva bene, a tal punto da capire almeno questo dettaglio... ma ancora gli sfuggiva il perché Rose avesse deciso di “mimare” pregi e difetti del ragazzo. Per quanto sforzasse la sua mente alla ricerca della soluzione, non riusciva a trovare uno straccio di idea; ma lui non aveva mai avuto una mente adatta ai ragionamenti, dopotutto, e rinunciò dopo mezz’ora. Lasciò la stanza e si recò nella sua palestra privata, pronto a svuotare la mente con un po’ di ginnastica; l’idea sembrò funzionare: ogni pugno e calcio sferrato al sacco lo liberava poco a poco dai pensieri più scomodi. E continuò a colpire, concentrandovi ogni fibra del suo essere; ricordando ancora una volta ciò che lui era.
Un guerriero...
Andò avanti a lungo. Poi qualcosa colpì improvvisamente il sacco dalla parte opposta, spingendolo contro Ranma. Il ragazzo interruppe l’azione, confuso: quando rivolse lo sguardo oltre il sacco, si accorse della persona che lo aveva colpito, giunta nella stanza un attimo prima.
« Rose? »
Non aveva dubbi, era proprio lei, di nuovo sveglia e con indosso una tuta presa dal guardaroba di Ranma. Aveva lo sguardo serio, determinato, proprio come quello del ragazzo; anche la posa da combattimento che aveva assunto assomigliava alla sua. Eppure, non aveva senso...
Non aveva alcun senso. Cosa stava cercando di dimostrare? Dopo i gusti alimentari e la paura per i gatti, ora cercava di imitare lo stile di combattimento di Ranma.
Dal punto di vista di quest’ultimo, aveva superato il limite. Così, senza alcun preavviso, il ragazzo si lanciò contro Rose e le sferrò un pugno; cercò di andarci piano ma fu inutile, perché lei riuscì a schivarlo. Rimase stupito per un attimo, poi colpì di nuovo; Rose schivò ancora. Sferrò un calcio, e lei lo evitò con un salto, contrattaccando subito dopo. Ranma parò il colpo, e anche quello successivo; Rose era passata di colpo all’attacco, imitando in modo quasi perfetto lo stile della famiglia Saotome.
Il ragazzo oppose resistenza, ma non poté impedire all’incredulità di offuscare i suoi sensi: come faceva Rose a conoscere quello stile di combattimento? Non erano tecniche che stava insegnando al corso di autodifesa femminile; ciononostante, lei sapeva utilizzarle bene... come se le praticasse da anni.
Ranma riuscì infine a bloccare Rose per le mani, afferrandola per i polsi. Sperava di aver posto fine a quell’assurdità, ma pagò questo errore a caro prezzo; Rose lo colpì forte al mento con un calcio, facendogli mollare la presa. Ranma indietreggiò, dolorante, ma cercò di non perderla di vista: quando riprese il contatto visivo, notò l’aria compiaciuta di Rose, di nuovo in guardia.
Non riusciva a crederci. Gli parve di trovarsi davanti a uno specchio perché, ora più che mai, quella ragazza sembrava il suo riflesso: l’immagine della persona in cui si trasformava nei giorni della maledizione. La ragazza con il codino, oggetto del desiderio di imbecilli come Kuno e di altri avversari sovrumani.
No... non sei lei... non sei lei!
E in un impeto di rabbia scattò in avanti; Rose schivò il suo calcio per un soffio, perse l’equilibrio e cadde a terra. Si rialzò subito, ma non reagì. Ranma vide che continuava a sorridere, mentre tornava in guardia.
« Niente male davvero » commentò Rose. « Sei straordinario. »
« A che gioco stai giocando? » esclamò Ranma, spazientito. « Si può sapere come diavolo riesci a tenermi testa? »
« Ci riesco perché la mia forza proviene dalla tua. Io sono forte perche lo sei tu... io sono il tuo riflesso. »
Ranma scosse la testa.
« Dovresti parlare più chiaramente, invece di comportarti da stupida! »
Stupida... quella parola echeggiò a lungo nella sua testa, e quasi inevitabilmente ridestò un gran numero di ricordi relativi ad essa. Gli parve di udire un’altra voce, da cui aveva sentito ripetere fin troppo spesso quella stessa parola.
« Ranma, sei uno stupido! »
Forse Akane aveva ragione, lo era davvero. Lo era sempre stato... e non aveva smesso di essere stupido.
Ma che sto facendo?
Abbassò la guardia. Continuare a combattere non aveva senso. Peccato che Rose si fosse appena lanciata in un nuovo attacco, replicando lo stesso calcio di Ranma. Il ragazzo prese il colpo in pieno petto, andando a sbattere contro il muro alle sue spalle.
« Oh mio Dio... Ranma! »
Rose corse subito da lui, preoccupata. Si era accorta troppo tardi della decisione di Ranma, e non era riuscita a fermarsi; cercò di aiutarlo ad alzarsi, ma lui la respinse. Il ragazzo restò dov’era, limitandosi a sedersi sul parquet con aria funerea.
« Mi dispiace tanto, scusami! » esclamò Rose, sempre più mortificata.
Ranma scosse la testa un’altra volta.
« Il mio perdono dipenderà da ciò che vorrai dirmi » dichiarò. « E spero di sentire la verità dalle tue labbra, Rose... o chiunque tu sia. In questo momento, infatti, non sono più sicuro di chi sei... anzi, che cosa sei. Dimmelo, una volta per tutte... se credi che io sono importante per te. »
Rose lo scrutò accigliata: le sue labbra si mossero come se stesse masticando le parole che tratteneva da un’eternità. Poi, lentamente, si sedette di fronte a Ranma e raccontò ogni cosa.
« Tutti quelli a cui ho raccontato questo hanno pensato che fossi pazza, o roba del genere. Ma ciò che sto per raccontarti non è follia, è verità... la mia storia; e sono certa che tu mi crederai, perché so che tu sei speciale... sei diverso, proprio come me.
« La verità è che io sono uno specchio, nel vero senso della parola. Sono dotata fin da piccola di una strana capacità, che molti definirebbero mistica o sovrannaturale: sono in grado di imitare ogni azione, talento o carattere delle persone che osservo. I miei occhi osservano le azioni; la mia mente le registra; e il mio corpo, successivamente, le riflette, come se fossi uno specchio. Se guardo una persona mentre suona il pianoforte, per esempio, in seguito posso replicare alla perfezione lo stesso brano che ha eseguito, senza aver bisogno di impararlo in precedenza. Questo è accaduto quando avevo sette anni, in effetti, dopo aver visto un concerto di musica classica in TV: il giorno dopo ebbi l’impulso di suonare il piano a scuola, replicando Mozart sotto lo sguardo esterrefatto degli insegnanti. »
Ranma tacque, ma la sua espressione fu abbastanza eloquente. Era sorpreso, come non lo era da molto tempo.
« Mio padre, resosi conto della mia capacità, decise di sfruttarla per farci ottenere fama e ricchezza. Una bambina prodigio attira molta attenzione, dopotutto, specie se è in grado di suonare divinamente, di parlare qualsiasi lingua ascolti, o di danzare al livello di un campione mondiale. Mi bastava osservare ciò che facevano gli altri... e riflettevo i loro talenti, facendoli miei. All’inizio le cose andarono bene: ben presto divenni un fenomeno nazionale, il mio nome era sulla bocca di tutti. Nessuno conosceva la verità sul mio dono, ovviamente. Mio padre investì il denaro guadagnato nella fondazione della sua azienda, e questo ci permise di sistemarci per sempre... almeno dal punto di vista economico. Tuttavia, fu proprio allora che scoprii il lato negativo del mio talento.
« Avevo sedici anni » proseguì Rose. « Un’età che per molti segna l’ingresso verso un mondo più ampio: nuovi interessi, primi amori, e una maggiore comprensione delle cose... e di se stessi. Dopo che mio padre fondò la sua azienda non avevo più bisogno di mostrarmi in pubblico, così mi allontanai dai riflettori, in cerca di una vita normale. Ma non potevo “spegnere” il mio dono, e questo ebbe effetti negativi su chi mi stava vicino: con il tempo ero arrivata a imitare perfino la personalità degli altri. Ogni volta che provavo a relazionarmi con qualcuno... con un ragazzo, ad esempio... in breve tempo finivo per comportarmi esattamente come lui: riflettevo ogni aspetto della sua personalità, i pregi... e i difetti. Non lo facevo apposta... accadeva automaticamente, senza riuscire ad impedirlo. A nessuno, tuttavia, piace guardarsi allo specchio così a fondo: nessuno sopportava di vedere la parte peggiore di sé, riflessa senza volerlo dal mio corpo, e per questo finivano tutti per allontanarsi da me. »
La ragazza s’interruppe per riprendere fiato. Agli occhi di Ranma apparve evidente che non raccontava la sua storia da molto tempo... come un peso rimasto sulle sue spalle troppo a lungo.
« Il mio dono era diventato una maledizione » riprese. « Questo ha causato problemi anche con mio padre, alcuni anni fa, durante una nostra discussione: ormai era diventato un uomo avido, arrogante e senza scrupoli... e questi aspetti del suo carattere vennero alla luce attraverso me. Non poteva sopportare la consapevolezza di essere diventato un tale stronzo, né che fossi io a dimostrarglielo ad ogni nostro scambio di battute. Così mi sono allontanata anche da lui, e dalla mia città.
« Certo, mio padre mi vuole ancora bene » puntualizzò subito, « e il minimo che può fare è mantenermi a distanza... per assicurarsi che io tiri avanti; ma da quel giorno non l’ho più rivisto... da quando ho iniziato a viaggiare ininterrottamente per il mondo. Ricordi quello che ti ho detto il primo giorno? Viaggiare è il modo migliore per trovare ciò che stai cercando, e decidi di fermarti solo nel momento in cui lo hai trovato. Be’, io sto cercando il mio posto in questo mondo: un posto in cui io possa sentirmi normale, senza sentire il peso della mia maledizione; un posto in cui la gente non fugga da me dopo aver visto ciò di cui sono capace; un posto in cui possa trovare finalmente... qualcuno che mi ami. »
Rose sospirò, gli occhi diventati ormai umidi. Non ci badò e riprese a raccontare.
« Ho viaggiato per anni, inseguendo senza sosta il mio obiettivo; era facile adattarmi, dato che posso apprendere facilmente ogni lingua straniera. Ma la storia si ripeteva ovunque andassi. Conoscevo delle persone, dei ragazzi, ma poi scappavano tutti dopo aver “rispecchiato” il loro carattere. Erano spaventati... per non dire disgustati da me. E ogni volta riprendevo a viaggiare, per riprovare da un’altra parte. Ho attraversato gli USA, il Messico, il Brasile; poi mi sono spostata in Europa... fino ad arrivare qui, poche settimane fa. »
Fissò lo sguardo su Ranma, facendo un sorrisetto.
« Sai, in tutti questi anni non avevo mai imparato le arti marziali » ammise, « ecco perché non ho saputo difendermi quando fui aggredita quella notte. Credevo di aver già sofferto più di qualsiasi altra persona al mondo, a causa di tutto quello che le mie capacità mi avevano fatto passare. Mi sbagliavo, ovviamente, ma lo capii solo mentre quei balordi si avventavano su di me per violentarmi. Capii di avere ancora molto da imparare sulla vita, e quella notte avrei perduto l’occasione per rimediare... se non fossi arrivato tu a salvarmi.
« Sei diventato subito il mio eroe, dopo ciò che hai fatto per me. Non avevo mai conosciuto qualcuno come te. Mentre lottavi ho sentito subito che avevi qualcosa di speciale... di diverso; forse un dono come il mio, o una maledizione... non ne ero sicura. Ma ero sicura che il nostro incontro dovesse accadere, prima o poi; e qualunque cosa fosse ciò che ti rendeva speciale, avresti potuto guidarmi. Così, quando ho ripreso i sensi e ci siamo conosciuti in quella stanza d’ospedale, avevo già deciso di restare al tuo fianco. »
Rose chinò il capo e tacque, ponendo fine così al suo racconto. I due ragazzi rimasero a lungo in silenzio, in quella camera che all’improvviso sembrava lontana anni luce dalla Città Eterna. Due individui fuori dal comune, intenti a studiarsi come per stabilire ognuno il destino dell’altro.
Ranma aveva ottenuto ciò che voleva: la verità. Ecco perché Rose aveva imitato il suo comportamento durante le ultime ore; spiegava anche il fatto che avesse appreso così rapidamente le arti marziali; le bastava osservare le dimostrazioni, e poi eseguiva tutto alla perfezione. Era riuscita a imitare persino il suo stesso stile di combattimento... lo aveva osservato in precedenza durante altre lezioni. Sicuramente era rimasto sorpreso da tutto questo.
Ma non era una verità non così sorprendente. Aveva sentito storie ben più incredibili, a cui aveva dovuto credere per cause di forza maggiore... come nel caso delle Sorgenti Maledette, che avevano creato scherzi della natura ben peggiori di lui. Una verità crudele, nonostante tutto. Rose era priva di una personalità propria: era come un libro vuoto, o uno specchio inanimato in attesa di riflettere l’immagine di qualcun altro; riusciva a riempire il suo vuoto solo osservando gli altri, prendendo le loro doti per farle sue.
Non era la verità a renderlo ancora diffidente nei confronti di Rose, ma un altro dubbio, strettamente legato ad essa.
« Ti credo, Rose » mormorò, ponendo fine al silenzio. « E credo anche di poterti capire, almeno in parte. Capisco perché sei venuta da me, subito dopo esserti ripresa; capisco perché hai seguito le mie lezioni e mi sei rimasta vicino. Volevi qualcuno come te al tuo fianco, e credo di averti accontentato. Ma se avevi intuito fin da subito che sono “speciale” come te, perché non mi hai detto subito la verità? Perché hai aspettato... be’... fino ad oggi, dopo tutto quello che è accaduto tra noi? »
Rose sospirò ancora.
« Ho sempre fatto così, in passato » spiegò. « Aspettavo di “adattarmi” alla persona con cui stavo, prima di rivelargli ogni cosa. È più facile raccontare una storia assurda quando puoi mostrare al pubblico delle prove tangibili, no? Adattarmi a te, tuttavia, è stato più difficile del solito; tendevi a mostrarmi poco della tua personalità, del tuo passato... come se temessi l’idea di aprirti più del dovuto. Ma sono stata paziente, finché... be’, lo sai. »
« Che significa? » domandò Ranma. « Vuoi dire che quello che è nato tra noi faceva parte del tuo “piano”? Che avevi deciso di avere una storia con me fin dall’inizio? »
« No, Ranma... te lo giuro. Non lo avevo deciso... ma non potevo negare il fatto che mi piacevi. Tu sei buono, gentile, coraggioso, misterioso... il tipo di ragazzo che tutte vorrebbero avere. Immagino che mi saresti piaciuto anche se non avessi avuto questa capacità che ci rende così simili. »
Stavolta fu Ranma a sospirare, e nel frattempo si alzò in piedi, visibilmente accigliato.
« Simili » ripeté, guardando Rose dall’alto. « Continui a ripetere che siamo simili, ma non sai nemmeno perché lo siamo. Non puoi nemmeno immaginare che cosa mi ha reso così speciale, così diverso dalla gente comune... la maledizione che mi ha tormentato per due interi, lunghi anni. Che cosa credi di sapere su di me, Rose? Credi davvero che sono gentile, coraggioso e misterioso? Non sei la prima ragazza a cui sono piaciuto per questo... e nemmeno la seconda, purtroppo. Sono fuggito da una vita che mi aveva procurato un sacco di casini, per colpa della mia maledizione. Ora, però, sembra che io abbia un nuovo casino di cui preoccuparmi. »
Si avvicinò a lei, porgendole una mano per farla alzare.
« Dopo aver lasciato il Giappone » proseguì Ranma, « mi sono promesso che non sarei mai più fuggito, da niente e da nessuno. Ecco perché non fuggirò da te, Rose. Non è più da me voltare le spalle agli altri, e non intendo riprovarci. Tuttavia devo chiederti di lasciarmi da solo, almeno per un po’... ho bisogno di tempo per schiarirmi le idee. Sai... non è facile riuscire a digerire una cosa del genere. Dammi un po’ di tempo, per favore. »
Rose tirò un profondo respiro. Il suo cuore aveva palpitato all’impazzata durante il discorso di Ranma, ma per fortuna l’esito le aveva permesso di rilassarsi. Lei aveva detto tutto... ora sapeva di non poter fare altro che aspettare, sperando in un esito altrettanto positivo. Si avvicinò a lui e gli accarezzò la guancia, recuperando il suo famoso sorriso gentile.
« Ti aspetterò » dichiarò. Poi uscì dalla stanza, lasciando Ranma da solo.
Il ragazzo rimase fermo al suo posto, l’aria ancora cupa, ascoltando il rumore di passi che si allontanava sempre di più; poi quello della porta d’ingresso mentre veniva aperta; il tonfo successivo pochi attimi dopo, che indicò la sua chiusura.
Ranma guardò fuori dalla finestra. Il sole era tramontato da un pezzo; troppo presto, a causa dell’ora solare... scomoda invenzione dell’umanità che non aveva mai sopportato. Sotto il suo naso, un sacco di gente comune proseguiva ignara la propria vita, fatta di impegni, progetti e conti da pagare. Vite semplici, molto lontane dal mondo in cui lui era rimasto invischiato anni prima... lo stesso mondo che all’improvviso aveva deciso di fare un salto nella sua nuova sistemazione, per disturbare la sua quiete. Un mondo fatto di maledizioni, genitori opprimenti, spasimanti varie e scocciatori... rappresentato ora da quella giovane dai capelli rossi che aveva rivoluzionato i suoi ultimi giorni.
Le aveva dato della stupida... ma ora capì di essersi dato dello stupido da solo, dato che era il suo riflesso.
Akane aveva ragione. Era uno stupido.
   
 
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