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Autore: holyground    14/09/2015    1 recensioni
Tauriel torna nel Reame Boscoso distrutta dalla morte di Kili. Teme di affrontare il lutto, teme l'oblio, teme il dolore. Così si rivolge a chi ha permesso al suo cuore di diventare di ghiaccio pur di superare la sofferenza: Thranduil.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tauriel, Thranduil
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
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  Il Capitano Belthil era un’elfa dai capelli castani e gli occhi verdi come le foglie a primavera. Tauriel la conosceva, ma non si era mai allenata con lei. In quel momento, il Capitano stava gridando qualcosa dall’alto di una roccia ai soldati che la fissavano con la massima attenzione a testa alta.
  “Questo non è un gioco, signori. La sicurezza del Reame Boscoso è nelle vostre mani. I tempi dell’Accademia Militare sono finiti. Ora si fa sul serio.”
  Tauriel impietrì e sgranò gli occhi. Accademia Militare? Quei soldati erano appena usciti dall’addestramento base. Thranduil aveva voluto rimandarla ad un livello in cui lei non era mai stata. Era stata addestrata dagli insegnanti personali del re, dai migliori spadaccini e dai migliori arcieri. Era stata addestrata dal re in persona. Ed ora si ritrovava in mezzo a quei soldatini. Il suo orgoglio era più che ferito.
  Il Capitano ordinò alla truppa di imbracciare le armi e scese dalla roccia, avvicinandosi a Tauriel non appena la vide.
  “Capitano Tauriel.” la salutò. “O forse dovrei dire soldato.”
  Qualsiasi simpatia Tauriel avesse mai potuto pensare di poter provare nei confronti di Belthil era completamente sparita. Guardò l’elfa in cagnesco, salutandola con un inchino e senza osare aprire bocca. Doveva ricordarsi che adesso Belthil era un suo superiore. Che ora lei si trovava nel gradino più basso della scala gerarchica militare.
  “Benvenuta nella mia truppa. Prendi le tue armi, faremo un giro di ronde nella foresta.” la informò, poi si allontanò per radunare i soldati.
  Le mie armi. Tauriel non vedeva i suoi pugnali dalla battaglia. Si guardò intorno per capire dove avrebbe potuto trovarli; ben presto si rese conto che non avrebbe usato le sue armi. Vide i suoi compagni che si rifornivano tutti nello stesso punto. Si avvicinò e vide degli armamenti ammassati in un angolo. Il suo volto, forse inconsapevolmente, assunse una smorfia di disgusto. Avrebbero dovuto usare delle armi comuni. No. No, lei si sarebbe rifiutata. Aveva i suoi pugnali, aveva il suo arco, li aveva sempre avuti e si era sempre allenata con quelli.
  Il suo primo pugnale era stato un regalo del re. Per lei e per Legolas. Pugnali gemelli. Gemme verdi, come i suoi occhi, sul pugnale del principe e gemme azzurre su quello di lei. Come gli occhi di Legolas.
  Non sarebbe scesa in campo senza gli occhi di Legolas.
  Approcciò il Capitano tentando di nascondere la sua aggressività.
  “Non posso usare quelle armi.” le mormorò alle spalle.
  Belthil si voltò verso di lei.
  “Come dici, soldato?”
  “Non posso usare quelle armi, ho già le mie.”
  “Mi dispiace, soldato, non siete autorizzati ad avere armi personali per ora.”
  Tauriel dubitava fortemente che quella fosse una legge vera.
  “Ora equipaggiati e sbrigati, o la truppa partirà senza di te.” la avvertì prima di allontanarsi.
  Tauriel strinse i pugni e trattenne la rabbia. Va bene, avrebbe usato delle armi comuni come tutti gli altri quel giorno. Ma quello seguente si sarebbe presentata con i suoi pugnali.
  Osservò bene gli archi. Erano tutti in ottime condizioni, ovviamente, ben lavorati e finemente intagliati. Ne scelse uno di legno scuro con incisi fiori e foglie che sembravano mossi dal vento e osservò la corda tesa e quasi trasparente alla luce del sole. Si accorse di avere i palmi sudati mentre se lo rigirava in mano. Provò ad impugnarlo e sembrava semplicemente sbagliato. Per questo aveva bisogno delle sue armi. Sbuffò e scosse la testa, imprecando mentalmente contro il re. Afferrò una faretra con delle frecce e raggiunse la truppa, che aveva già iniziato ad inoltrarsi nella foresta.
 
 
  Il Capitano Belthil fece percorre ai soldati l’intero perimetro del palazzo, spiegando loro i compiti che avrebbero svolto e i ruoli che avrebbero ricoperto.
  Tauriel aveva roteato gli occhi e sospirato per tutti il tempo, ricevendo continue occhiate dai suoi commilitoni. Quando il re l’aveva riaccolta nel suo reame sapeva che non avrebbe potuto mantenere il un ruolo di Capitano e lo aveva anche accettato. Avrebbe accettato di tornare ad essere solo un soldato per arrampicarsi di nuovo fino alle posizioni più alte come aveva fatto centinaia di anni prima. Ma essere relegata a soldato semplice, essere accomunata a elfi appena usciti dall’Accademia, essere riaddestrata... Era troppo.
  La voce del Capitano la scosse dai quei pensieri.
  “Soldati, puntate!” stava gridando.
  Il panico era perfettamente visibile negli occhi di Tauriel. A cosa avrebbe dovuto puntare? Possibile che neanche quella volta si fosse accorta del pericolo? Si guardò intorno, osservò gli altri soldati e vide che stavano tutti mirando a dei bersagli alle sue spalle. Si trattava di un’esercitazione.
  Si voltò impugnando l’arco e afferrando una freccia dalla faretra. Le sue mani erano ancora sudate. Faticò a posizionare la freccia e a tenerla in equilibrio. Gli elfi intorno a lei avevano già tirato e stavano cambiando freccia. Perché erano così veloci? Sentì il panico farsi strada nella sua mente. I suoi occhi ritornarono sul bersaglio, ma le sue braccia avevano iniziato a tremare. Abbassò l’arco ed inspirò per tentare di calmarsi. Ripuntò verso il bersaglio, ma quando fece per lasciar andare la freccia tutto quello che vide fu il corpo di Kili trafitto dalla lama dell’orco. Le sue orecchie, prima ovattate si riempirono del grido di dolore del nano. E anche lei gridò mentre lasciava andare la freccia; che si andò a conficcare nella gamba di un soldato vicino. Le ginocchia di Tauriel cedettero e lei cadde a terra.
  “Che sta succedendo qui?” Belthil si avvicinò.
  Tauriel si coprì le orecchie con le mani. Troppo rumore, rumore di frecce che fendevano l’aria, rumore di armature, rumore di grida e urla di dolore. Respinse tutte le mani che stavano cercando di afferrarla. Non l’avrebbero avuta, gli orchi non l’avrebbero mai avuta. Doveva alzarsi, doveva vendicare Kili. Doveva...
  Il suo cuore ormai era spezzato, perché sentiva ancora lo stesso dolore?
  Gli elfi intorno a lei la stavano soffocando, assillando, doveva andarsene. Si alzò da terra, scostando la folla a gomitate, e corse via.
  Lei non stava male. Stava benissimo. Era solo colpa di quello stupido arco. Una volta riprese le sue armi sarebbe tornato tutto normale. Aveva solo bisogno di sentire il metallo familiare, di stringere le dita intorno al legno consumato. Mise a soqquadro la sua camera da letto: trovò i pugnali in un baule, insieme alla sua divisa; tutto ciò che aveva indossato in battaglia.
Sollevò la mano per afferrare un pugnale. Si bloccò. Era semplice, era così semplice. I pugnali erano per lei come estensioni degli arti superiori. Era cresciuta con i pugnali in mano. Le dita si allungarono verso l’impugnatura dell’arma, ma non appena avvertì il metallo freddo sul polpastrello scattò indietro come se avesse preso una scossa. Come se impugnare armi le provocasse dolore. Rivide gli occhi di Kili. Poi scappò via.
 
 
  Thranduil si stava versando un calice di vino quando Tauriel fece irruzione nella stanza. Dietro di lei, i due elfi a guardia della sala del trono, mentre all’interno le guardie del corpo del re puntarono le loro frecce contro di lei. Il re si voltò lentamente verso quel trambusto, come se la cosa non lo toccasse. L’elfa dai capelli ramati era in ferma in mezzo alla stanza, con almeno sei archi rivolti contro di lei. I suoi occhi erano fissi in quelli del re.
  “Averti così a portata di arco è una tentazione fin troppo forte, Tauriel.”
  Di nuovo quella sensazione: dolore. Era ovunque, e lei voleva che smettesse.
Con un semplice gesto della mano, il sovrano fece cenno ai soldati di abbassare le armi e di lasciarli soli. Con riluttanza, gli elfi obbedirono.
  “Ho bisogno del tuo aiuto.” sibilò
  Thranduil rise sprezzante.
  “Il mio aiuto?” Lei annuì. “Cosa ti fa pensare che tu possa meritare il tuo aiuto?”
 Il re era l’unico con un cuore talmente freddo da essere di ghiaccio.
  E questo era ciò che Tauriel voleva: un cuore gelido, duro, un cuore che non avrebbe sentito sofferenze.
  “È tutto questo dolore.” replicò implorante, con le lacrime agli occhi.
  Il re distolse lo sguardo da lei e sorseggiò il suo vino.
  “Devi farlo smettere. Non posso più sopportarlo.”
  “Il dolore è parte della nostra esistenza, Tauriel. Devi imparare convivere con esso. E crescere.”
  Tauriel strinse i pugni. Continuava a trattarla come una bambina, come la giovane sconsiderata che era stata un tempo.
  “Non si tratta di questo, io non posso...”
  “Dovresti smetterla di lamentarti.” continuò lui, senza dare sento di averla ascoltata. “Sei cambiata. Una volta non avresti osato protestare così. Quel nano ti ha cambiato.”
  “*Lasto!” la sua voce risuonò nella sala e riuscì a lasciare il re a bocca aperta. Le lacrime di lei sgorgavano copiose sulle sue guance, mentre lui la fissava ad occhi sgranati. Sembrava sconvolto. Vedere Tauriel così lo disturbava.
  “Io non riesco più ad impugnare un’arma.” spiegò l’elfa a denti stretti. “Continuo a fare sogni, continuo a vedere i suoi occhi... Non riesco a liberare la mente dall’immagine della sua morte. È come se morisse mille volte ancora.” Chiuse gli occhi e lasciò andare un singhiozzo.
  “Devi aiutarmi. **A laita.”
  Thranduil la fissava, è tutto ciò di identificabile nel suo volto gridava dolore. La guardava col dolore dipinto in viso.
  “Che cosa mi stai chiedendo, Tauriel?” chiese con cautela, la voce bassa come se avesse paura della sua stessa eco.
  “Ti sto chiedendo... Di far sparire questo tormento.”
  Tauriel riaprì gli occhi e inchiodò lo guardo straziato a quello del suo re.
  “Insegnami a non soffrire. Insegnami a non amare. Impietrisci il mio cuore.”
 
 
 
 
   *Ascolta
**Ti prego
  
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