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Autore: carachiel    14/09/2015    6 recensioni
Tratto dal testo:
(…)
Tron, come ogni altro giorno era seduto su quella sedia dall’alto schienale, lo sguardo rivolto alla moltitudine di cartoni, sembrava non si neppure fosse accorto di non essere solo.
“Dannazione, ti sei accorto che sono qui ? Andiamo, dì qualcosa..” pensò, ma niente.
(…)
Qualcosa dentro di me vorrebbe insultarti, ferirti e farti sentire sulla tua stessa pelle quanto possa far male essere usati, traditi e ingannati dall’uomo che una volta chiamavo padre.
Ma non ci riesco, qualcosa mi blocca dallo scaricarti addosso tutta la mia rabbia.
Per quanto non sopporti più la vista del tuo viso mi fa troppo male dedicarti il mio rancore.
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Una one-shot su Four, scritta in collaborazione con Lady Serperior 04, in cui ci siamo alternate in flashback introspettivi, ricordi e speculazioni sul futuro.
In particolare, concentrandoci sul suo rapporto con Tron abbiamo cercato di ricostruire, il più fedelmente possibile, le ipotetiche situazioni che hanno visto confrontarsi questi due personaggi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Byron Arclight/Tron, Thomas Arclight/ Four
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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"Regrets” 

Four aprì lentamente la porta della camera di Tron, una stanza enorme dal pavimento a scacchi.
La luce che filtrava dai pesanti tendaggi scuri e gli schermi erano le uniche fonti di luce nell’ambiente buio.
Tron, come ogni altro giorno era seduto su quella sedia dall’alto schienale, lo sguardo rivolto alla moltitudine di cartoni, sembrava non si neppure fosse accorto di non essere solo.
“Dannazione, ti sei accorto che sono qui ? Andiamo, dì qualcosa..”  pensò, ma niente.
Tron continuava a fissare lo schermo, ridendo istericamente poi, dopo qualche istante si rese conto di non essere solo e si voltò.
“Ah Four, sei già tornato !”  
“Si”replicò atono fissando l’essere che solo pochi anni fa era stato suo padre che ricambiava lo sguardo.  

Mi guardavi, ma non mi vedevi.
Ma anche se l’avessi fatto, cosa avresti visto ?
No, non tuo figlio, nè una persona…     
                                                                                                                                                     
Solo un burattino.
Ironico, io che credevo di essere il burattinaio sono diventato il burattino.


“Hai sconfitto lo sfidante ?”domandò, il tono palesemente annoiato. “Sì, non aveva carte Numero, è stato un duello talmente facile da risultare quasi noioso.”

Dubito che realmente ti importasse quante vittorie io accumulassi ogni giorno, quanti avversari forti sconfiggessi o quante carte Numero collezionassi… Per te io sarei comunque rimasto un mero strumento di vendetta, esattamente come i miei fratelli.
Pedine da muovere in un’immensa scacchiera.

Da quel giorno ho capito che razza di persona eri diventato.

Il giorno dell' incendio, tornai a casa con il volto sanguinante e il cuore macchiato dalla consapevolezza del fatto che stavo per uccidere una ragazza innocente. 
Per ordine tuo. 
Sapevo che era una follia ma l' avevo fatto ugualmente. 
Per te. 
Mi ero illuso che ubbidendo a quell' ordine folle avresti iniziato a considerarmi un po' di più... 
E invece non è stato così.

Tornai a casa barcollante, pieno di bruciature e con il volto lacerato. Speravo che ti saresti preoccupato per il mio stato ma, una volta varcata la soglia, l'unica cosa che ottenni da te fu un ghigno soddisfatto.
Sembrava che quasi ti piacesse vedermi ridotto in quelle condizioni. 
A te interessava soltanto che la povera Rio penzolasse, appesa a un filo, tra la vita e la morte. 
Pur di appagare la tua sete di vendetta non ti sei fatto scrupoli a coinvolgermi in questa situazione.
Puoi dire ciò che vuoi ma il mio perdono non lo otterrai mai.

E ora sei qui, in piedi davanti a me. Le braccia lungo i fianchi e la testa china, quasi avessi paura di incrociare il mio sguardo.
Non dici niente, neppure ti scusi, lasci che solo il silenzio colmi quei cinque anni trascorsi nell’angoscia e nel dolore.
Qualcosa dentro di me vorrebbe insultarti, ferirti e farti sentire sulla tua stessa pelle quanto possa far male essere usati, traditi e ingannati dall’uomo che una volta chiamavo padre.
Ma non ci riesco, qualcosa mi blocca dallo scaricarti addosso tutta la mia rabbia.
Per quanto non sopporti più la vista del tuo viso mi fa troppo male dedicarti il mio rancore.


Tu alzi appena gli occhi e dopo qualche secondo parli:
“Four, so bene che non ti basterà un semplice “Mi dispiace” a cancellare tutte le mie colpe. Credo di poter immaginare cosa provi…”

A quelle parole i miei nervi scattano come una molla compressa fino allo stremo “No che non lo puoi immaginare !
Tu non hai idea di cosa possa significare tutto ciò per noi !
Tu non sai che cosa possa significare finire in un’ orfanotrofio quando sai fin troppo bene che tuo padre è vivo !” grido, cercando di imprimere in quelle parole ogni goccia del veleno che ho in corpo.
“Hai ragione, io non lo so. “

Io ti guardo stranito, mi aspettavo che replicassi o che tentassi di difenderti.
Ma si vede che non desideri il mio perdono, se mi rivolgi queste parole.

“Non posso capire fino a che punto sia profondo il vostro dolore e la vostra sofferenza.
Non ti impedirò di rinfacciarmi tutto ciò che ti ho costretto a subire, dopotutto è solo colpa mia se porti sul viso quella cicatrice…
Quindi avanti, insultami, se questo ti fa stare meglio.
Non ti chiedo di perdonarmi, dopo quello che hai passato sarebbe chiederti troppo, ma solo di accettare la mia presenza.” dici facendo un passo indietro.

Ti guardo.
Hai gli occhi rossi di pianto e le spalle chine sotto il peso di troppi rimpianti, le labbra serrate.
A vederti così la maschera di crudeltà e insensibilità che avevo indossato fino a quel momento per nascondere il dolore celato nel profondo del mio cuore si incrina fino a spezzarsi, perché mi rendo conto che quel pentimento, quella stessa sofferenza  che vedo riflessa nei tuoi occhi verdi è sincera.
Prima di rendermene conto ti abbraccio, le mie braccia strette attorno a tuoi fianchi.


“Mi sei mancato tanto.” sussurro prima di lasciami andare ad un pianto convulso  
“Anche tu, Thomas” replichi dolcemente accarezzandomi i capelli.

Non so per quanto tempo rimanemmo abbracciati ma una cosa la so.
Non mi sarei mai voluto sciogliere da quell’abbraccio. 
   
 
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