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Autore: Elwing Lamath    15/09/2015    5 recensioni
L'aveva cercato ovunque. Non aveva mai smesso di cercarlo. Da quando aveva recuperato la memoria, dissipando la nebbia di quei sogni di un passato lontano che lo avevano sempre avvolto sin dall'infanzia, non aveva mai abbandonato quella ricerca che diventava più disperata e meno sensata ogni giorno che passava.
Perché Arthur sapeva che Merlin era là fuori da qualche parte.
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Freya, Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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[Questa storia è stata ispirata da "The Once and Future Contest" indetto da Elisaherm & Chloe R Pendragon sul Forum di EFP]

 

NOTE DELL'AUTRICE: Buongiorno a tutti voi! Sono ritornata a rompervi le palle dopo un periodo di silenzio e di blocco della scrittura. XD Questa storia, che sarà completa in 3/4 capitoli, doveva originalmente partecipare al contest sopra citato. Purtoppo non sono riuscita neanche lontanamente a terminarla entro la scadenza. I miei giudici sono però stati anche troppo buoni, e quindi eccoci qui, pubblico comunque questa storia con il loro permesso, nella speranza che l'apprezziate. Ho voluto fortemente continuarla e pubblicarla perchè mi ci sono affezionata sin dal primo momento in cui l'ho pensata (mi capita spesso XD).

Non anticipo nulla sulla trama, inizierete a capirla dopo le prime righe penso, spero.

Due parole invece sul titolo. Confesso che per molto tempo non avevo la minima idea di come intitolare questa storia. Poi, l'altro giorno ero in macchina con un mio amico e stavamo ascoltando un cd di Katy Perry, ed ecco che parte "The one that got away". Bang! Questa canzone è Merthur, puro Merthur. Non solo, si adattava anche alla mia storia... Ed eccomi sistemata. Le citazioni all'inizio dei capitoli sono appunto prese anch'esse da lì.

Non mi resta che augurarvi buona lettura! Qualsiasi opinione e commento è più che gradito.

Al prossimo capitolo! Un bacio...

Elwing...

 

THE ONE THAT GOT AWAY


Capitolo I

 

Never planned that one day

I'd been losing you...

(The one that got away - Katy Perry)

 


L'aveva cercato ovunque. Non aveva mai smesso di cercarlo. Da quando aveva recuperato la memoria, dissipando la nebbia di quei sogni di un passato lontano che lo avevano sempre avvolto sin dall'infanzia, non aveva mai abbandonato quella ricerca che diventava più disperata e meno sensata ogni giorno che passava.

Perché Arthur sapeva che Merlin era là fuori da qualche parte, che era rimasto in quel vasto mondo per tutti quei lunghi secoli, attendendo. L'aveva visto, da Avalon. Nel suo sonno di morte gli erano stati svelati i segreti e le profezie delle quali era rimasto sempre all'oscuro mentre era vivo. Gli era stata mostrata l'altra faccia della medaglia, destinata a rimanere sospesa e incompleta come lui, aldilà del velo, nell'altro mondo, in cui non gli era ancora concesso tornare.

Tutto questo gli era affiorato alla coscienza lentamente, sotto forma di sogni e visioni sin dai primi anni dell'infanzia, per poi emergere prepotentemente una mattina d'agosto. Era il suo ventesimo compleanno: Arthur si era svegliato di soprassalto convinto di essere ancora a Camelot, ricordandosi tutto e prendendo piena consapevolezza della sua vera identità. Da quel momento la sua strana, nuova e apparentemente tranquilla esistenza nella provincia inglese era mutata completamente. Quel giovane con lo spirito di un re millenario doveva compiere il suo destino e ritrovare colui che lo aveva atteso per tutto quel tempo.

Arthur si aspettava che fosse Merlin in qualche modo a trovarlo, proprio come gli era stato profetizzato dalla Dama del Lago mentre era ad Avalon. Pensava che con la sua magia, l'amico si materializzasse inatteso alla sua porta nel Devonshire un giorno come un altro, riaccogliendolo con quelle sue improbabili orecchie a sventola e quel sorriso in grado di illuminare tutta la stanza.

Ma questo non era mai accaduto. Aveva atteso un anno intero, continuando la sua vita più o meno come prima, nella casa di quelli che ormai considerava i suoi genitori adottivi, i suoi secondi, meravigliosi, amorevoli genitori.

 

 

Quando iniziò a realizzare che le sue speranze erano vane e che Merlin probabilmente non l'avrebbe mai raggiunto lì, decise di partire alla sua ricerca. Raccattò tutto ciò che gli poteva servire per un lungo viaggio e se ne andò con una bugia, per non spezzare il cuore di sua madre. Si mise in strada, pur senza saper bene dove dirigere i piedi. Come trovare un solo uomo in un vasto mondo, senza alcun riferimento, senza nemmeno una sua immagine, tranne quella che viveva nei suoi ricordi?

Arthur ripercorse tutti i sentieri sui quali avevano camminato insieme, tornando nei luoghi antichi e abbandonati in cui aveva vissuto quella che lui sentiva essere l'unica vita che gli fosse veramente appartenuta. Vi trovò solo solitudine e un dolore vecchio e consumato dallo scorrere dei secoli.  Pianse a lungo sulle poche pietre grigie divorate dalla vegetazione che rimanevano delle possenti mura di Camelot, un muricciolo inconsistente là dove un tempo si ergeva la perla di tutta la Britannia.

Tornò al lago presso il quale aveva esalato il suo ultimo respiro, convinto che Merlin potesse trovarsi ancora lì, richiamato dal potere che quel luogo aveva su di loro. Ma ancora una volta non trovò nulla.

 Nel piccolo pub del paese che era sorto su quelle sponde chiese sue notizie, descrivendo sia il ragazzo che aveva conosciuto che il vecchio che aveva visto da Avalon.

L’unica a rispondergli fu una vecchia, secca e ricurva, che si ostinava a non alzare mai lo sguardo su di lui mentre gli parlava, come se volesse nascondere i suoi stessi occhi, dei quali riuscì a scorgere solo un breve riflesso blu.

“Mi ricordo di lui. Un bravo ragazzo, senza dubbio.” Gracchiò con voce stanca la donna. “Saranno un paio d’anni che è morto.”

Arthur sentì tutto il suo essere vacillare a quelle parole, ma il suo cuore in qualche modo sapeva che quella non poteva essere la verità: “No, ti sbagli. Questo non è possibile.”

La vecchia si alzò dal suo tavolo, dandogli le spalle e iniziando ad allontanarsi con passo malfermo. “Invece è proprio come ti dico. Io la smetterei di cercarlo se fossi in te. Torna a casa, ragazzo, e goditi la tua giovane vita.” Concluse lasciandolo solo nel pub.

Lacrime di frustrazione lottarono per sgorgare dai suoi occhi. Arthur le ricacciò indietro con un nodo alla gola. Ordinò un whisky, o forse due, o tre. Quella sera voleva solo allontanare disperatamente il fantasma di quella prospettiva agghiacciante.

“Merlin non può morire.” Ripeté a sé stesso a denti stretti, buttando giù l’ennesimo bicchiere.

Crollò mezzo svenuto e mezzo addormentato sul bancone, risvegliandosi il mattino dopo buttato in strada col suo zaino a fianco senza tante cerimonie. Si rimise in strada borbottando qualcosa contro il mal di testa. Non avrebbe mollato tanto facilmente. Ad Avalon gli era stato rivelato che Merlin era immortale, perciò non poteva essere come gli aveva detto la vecchia, era stata una bugiarda, o doveva averlo confuso con qualcun altro.

Dopo un altro mese di ricerche infruttuose che lo avevano spinto fino alle Highlands scozzesi, un’idea angosciante si era ormai annidata nella mente di Arthur: Merlin poteva non essere morto, ma il fatto che non si trovasse da nessuna parte poteva solo voler dire che si trovava in grossi guai, che gli era successo qualcosa di terribile che gli impediva di ricongiungersi al suo re.

Questa paura diventò giorno dopo giorno sempre più simile ad una vera e propria ossessione, che rese la ricerca del mago quasi spasmodica, senza più un vero metodo razionale. Arthur si preoccupava solo di coprire più chilometri possibile e di interrogare tutte le persone che gli capitavano a tiro. Mangiava sporadicamente e a malapena dormiva.

Un anno dopo l’inizio del suo viaggio sbarcò a Calais, spostando la sua ostinata ricerca sul continente. Attraversò buona parte dell’Europa viaggiando con mezzi di fortuna, dormendo dove gli capitava, senza curarsi minimamente di sé, ma solo di ciò che stava cercando, sempre più consumato dalla paura e dalla frustrazione, determinato in maniera quasi ossessiva ma ogni giorno più abbattuto nell’animo.

Fece ritorno in patria a ventitré anni, con lo spirito di un guerriero sconfitto e il cuore calpestato da tutti i chilometri che aveva percorso senza il minimo risultato. Decise di fermarsi a Londra, perché non ancora pronto a lasciare definitivamente quella ricerca, e anche perché nel fracasso di una grande città il silenzio del proprio cuore martoriato sembra sentirsi meno.

 

 

Dopo qualche tempo, ricevette una telefonata del tutto inaspettata. Quando vide un numero sconosciuto sul cellulare, Arthur fu tentato di non rispondere, ma vista l’insistenza degli squilli si rassegnò a premere il tasto verde:

“Pronto?”

“Ehm Pronto?... Arthur?” Fece incerta una voce maschile.

“Chi parla?” chiese non riconoscendo il suo interlocutore.

“Sono Billy. Forse non ti ricordi di me, sono il proprietario dell’ Enchanted Inn di Glastonbury, hai alloggiato qui un paio d’anni fa.”

Arthur ci mise un po’ a mettere a fuoco, con tutti i luoghi in cui era stato e tutti gli ostelli in cui aveva alloggiato. Poi però riuscì a ricordare: un ragazzo mingherlino, capelli rossi, pieno di lentiggini, non particolarmente sveglio, ma molto gentile.

“Ah, sì, certo. Billy… Mi ricordo.” Disse dopo qualche attimo di silenzio.

“Ecco sì… forse ti sembrerà strano, ma io ho ancora con me il disegno dell’amico che stavi cercando, me lo lasciasti quando alloggiasti qui da me.”

“Non è un problema.” Lo interruppe Arthur, la voce scuritasi improvvisamente. “Tienilo pure, non penso quella persona tornerà mai, è meglio che inizi a dimenticare come si disegna il suo viso.” Disse più a sé stesso che al suo interlocutore.

“No, no! Non è per questo!... Ti ho ricercato nei miei archivi perché, lo so che sembra strano, ma credo di aver visto il tuo amico.”

Arthur si bloccò sul posto, tutto il suo corpo irrigidito e immobile nel bel mezzo della fiumana di gente in Oxford Street. La voce gli si era improvvisamente incastrata in gola.

“Pronto? Arthur, sei ancora lì?”

“Cosa?.. Sì…” Riuscì a gracchiare frastornato, riprendendosi subito dopo. “Billy, io ti ringrazio, ma sei sicuro di non esserti sbagliato? Quello che mi stai dicendo è estremamente improbabile…”

“Ti dico che era uguale al ritratto che hai fatto tu. Ha chiesto una camera qui alla locanda per due settimane. Si è firmato come Martin Emrys, ti dice qualcosa?”

Il nome di Emrys risuonò in Arthur come se la sua scatola cranica si fosse improvvisamente svuotata per fare posto unicamente all’eco di quella parola. Il nome immortale di Merlin, quello che aveva udito tante volte mentre si trovava ad Avalon. Nessun altro avrebbe mai potuto usarlo.

Questa volta gli mancò anche il respiro, e se per miracolo riuscì a non far cadere il cellulare, la tazza di caffè Starbucks che aveva tra le mani rovinò a terra, riversando tutto il suo contenuto sulla pavimentazione grigia di Oxford Street.

Arthur praticamente si precipitò alla stazione e prese il primo treno per il Somerset. Non importava se Billy aveva detto che avrebbe alloggiato lì per due settimane, lui non avrebbe potuto attendere un giorno di più se davvero aveva ritrovato Merlin.

 

 

Con il cuore in gola e il passo più deciso che mai, Arthur stava per varcare la soglia dell’Enchanted Inn, quando riconobbe il giovane proprietario intento a curare i fiori fuori dalla locanda. Dal sorriso col quale lo accolse, fu evidente che anche lui lo aveva riconosciuto.

“Billy, non è vero?” si sincerò Arthur porgendogli la mano.

Il ragazzo annuì, ricambiando la sua stretta. “Non pensavo saresti arrivato tanto in fretta. In realtà, dopo la telefonata non pensavo saresti venuto affatto.”

“Ti ringrazio per quello che hai fatto, non puoi immaginare quanto sia importante per me. Però non ho molto tempo, potresti dirmi dove posso trovare il mio amico?” Gli rispose in modo più apprensivo e meno cortese di quanto avrebbe voluto, ma non riuscì a fare altrimenti.

Billy però non sembrò risentirsene, annuì di nuovo, per poi rispondere abbassando la voce in modo confidenziale: “Ti chiedo solo di mantenere il segreto. Tu mi stai simpatico Arthur, ma devi capire che quello che ho fatto non è strettamente professionale. Ho capito che la tua preoccupazione è sincera, ma in teoria non dovrei dare a destra e a manca le generalità dei miei clienti…”

“Capisco. Capisco.” Cercò di tagliar corto.

“Molto bene.” La sua attenzione si focalizzò per un momento su un punto alle spalle di Arthur. “Ecco, proprio adesso sta venendo verso di noi. Parka nero, alle tue spalle.” Concluse con un mezzo sorriso.

Arthur si voltò di scatto, appena in tempo per vedere la figura slanciata del ragazzo descritto da Billy voltarsi e iniziare a camminare con ampie falcate nella direzione opposta.

L’antico re istintivamente lo seguì, dapprima camminando alle sue spalle e mantenendo la distanza. L’andatura, le gambe lunghe e magre, il modo di tenere le spalle, la chioma scura e scompigliata: tutto in lui gli parlava del suo vecchio amico.

Così lo chiamò: “Merlin!”

L’uomo non si voltò, ma iniziò ad accelerare il passo, dirigendosi verso il parco dell’abbazia.

Lo chiamò ancora e quello si mise a correre verso le rovine dell’antica chiesa.

“Merlin! Merlin! Fermati!” gli gridò dietro, e l’uomo misterioso accelerò ancora, scappando via in una corsa folle.

“Ti prego!” urlò Arthur.

Fu allora che l’uomo si fermò di colpo sotto un pesante arco di severa pietra grigia, desistendo improvvisamente dalla sua fuga, come se quelle due semplici parole avessero risvegliato in lui qualcosa che gli aveva impedito di andare oltre. Anche Arthur si bloccò a pochi metri di distanza, il fiato corto e il cuore in gola, quasi trattenendo il respiro.

Il ragazzo dalla chioma corvina prese un respiro profondo e iniziò a voltarsi lentamente, quasi al rallentatore, come se quel semplice movimento gli costasse una fatica immane.

“Merlin.” Emise Arthur in un sussurro spezzato. Fu allo stesso tempo come ricevere un pugno allo stomaco e sentirsi librare nell’aria più tersa. Gli mancò il fiato e il cuore gli salì fino in gola, il mondo vorticò attorno a sé in una paurosa vertigine. Merlin era proprio lì davanti a lui, a fissarlo ansimante, i capelli più lunghi e scompigliati di quanto li ricordasse, un accenno di barba incolta, gli stessi lineamenti giovani e decisi di quando avevano vissuto a Camelot insieme, ma un paio d’occhi blu, bellissimi e lucidi di pianto, che parevano aver perso qualcosa della loro luce originale, tanto da sembrare troppo vecchi e stanchi per il volto su cui erano incastonati.

“Merlin.” Ripeté appena più forte Arthur, sciogliendosi ora in un sorriso ampio e luminoso come non aveva più da anni.

Ma l’altro, per grande sorpresa di Arthur, non reagì in alcun modo, rimanendo immobile con i pugni stretti lungo i fianchi e le spalle leggermente ricurve, fissandolo con quello sguardo vacuo e pieno di rimpianti.

Il biondo cercò di non farci caso, accecato dalla gioia di aver ritrovato finalmente il compagno di una vita.

“Pensavo di averti perso.” Disse semplicemente, ancora con quel sorriso stampato in volto e nel cuore.

Coprì la distanza che li separava con poche veloci falcate, avvolgendo Merlin in un abbraccio e stringendolo a sé con tutta la forza che aveva in corpo, come solo poche volte si era concesso di fare in vita sua. Respirò a fondo il suo profumo che trovò immutato dal passare dei secoli, cercò di imprimerne ogni forma sulla propria pelle, come se il suo corpo potesse trasformarsi in una forma d’argilla per accogliere quello di Merlin.

Ciò che lo stupì veramente però, fu la reazione dell’altro. O meglio, l’assoluta assenza di reazione. Arthur non seppe dire che cosa si sarebbe aspettato esattamente, ma di sicuro tutto tranne che ritrovarsi a stringere tra le proprio braccia un corpo rigido come un pezzo di legno, teso e immobile, come se Merlin rifiutasse quel contatto con ogni muscolo e nervo. Come se con quella freddezza volesse staccarlo e far terminare l’abbraccio il prima possibile.

Arthur non seppe mai che quando si era ritrovato improvvisamente stretto in quell’abbraccio dolorosamente famigliare, Merlin avrebbe solo voluto buttargli le braccia al collo, tenerlo stretto a sé fino alla fine dei secoli e versare tutte le lacrime che si era negato. Invece rimase immobile, solo i suoi occhi lo tradirono. Oltre la spalla di Arthur, non riuscì a non strizzarli fino a farsi male, non riuscì a trattenere le lacrime che sgorgarono silenziose fino a bagnare il cappotto blu del suo re.

A quell’inaspettato comportamento, Arthur si staccò da lui quasi bruscamente, come se fossero diventati due poli magnetici dello stesso segno, che inevitabilmente finiscono per respingersi. Merlin tenne lo sguardo basso, fisso sull’erba bagnata ai loro piedi, ancora una volta, Arthur non capì cosa stesse succedendo. Gli mise entrambe le mani sulle spalle, chinandosi col capo abbastanza da costringere Merlin a riportare l’attenzione su di lui.

“Merlin, cosa c’è?” Gli chiese con un nodo in gola che fece uscire la sua voce come un rantolio incrinato.

Il mago non diede alcun segno di risposta.

Arthur strinse la sua presa sulle spalle, e con più decisione, facendolo suonare quasi come un ordine, gli disse: “Guardami.”

A quel punto, quando l’inflessione nella voce di Arthur si fece così dolorosamente simile a quella che ricordava essere appartenuta al suo re negli innumerevoli giorni passati insieme, Merlin finalmente alzò lo sguardo, e con esso tutta la sua figura, che per un momento si era incurvata sotto il tocco del vecchio amico.

“Torna a casa.” Gli comunicò con voce atona.

“Come?” Un lampo di disappunto misto ad incredulità attraversò il volto di Arthur.

“Torna a casa, Arthur. Torna dai tuoi genitori, sai anche tu quanto siano in pena per te.”

“Cosa stai dicendo? Ti ho ritrovato finalmente…Tu… Tu verrai con me, non è vero?” provò ancora ad accennare un sorriso.

“No. Dimentica di avermi visto. Vattene via, Arthur.”

A quel punto Arthur si ritrasse da Merlin come se fosse appena rimasto scottato da un ferro ardente. All’incomprensione, presto sul suo volto si sostituì lo sgomento, che a sua volta in pochi attimi si trasformò in rabbia. Tutto il suo corpo si tese, come sul punto di esplodere, ed il cielo dei suoi occhi si trasformò in una tempesta livida.

“Come sarebbe a dire ‘vattene’?” ringhiò a denti stretti. “Io ti ho cercato in lungo e in largo. Per tre fottuti anni non ho fatto altro che cercarti. Ti ho creduto morto, ferito, prigioniero chissà dove. Ho temuto il peggio in tutte le sue forme, perché ho sempre ritenuto impossibile che se tu fossi stato là fuori da qualche parte non avresti fatto di tutto per cercarmi, esattamente come io ho fatto con te. E invece adesso tu mi dici di andarmene?”

Ora Arthur urlò, tutta la gioia definitivamente trasformata in furia: “Per tutto questo tempo hai giocato a nascondino con me!? Te ne sei fregato della profezia, di tutto ciò a cui eravamo destinati! Te ne sei fregato di me, della lealtà, della fiducia che, evidentemente a torto, ho sempre riposto in te. Te ne sei fregato dell’am… Di tutto ciò che ci ha sempre legato.

Se anche Merlin fu sul punto di piangere in quel momento, fu molto bravo a nasconderlo dietro un muro di ghiaccio. “Non puoi capire.” Rispose laconico.

“Ah, no!?” lo fulminò Arthur. “Beh, certo, io torno dopo più di mille anni dal regno dei morti, ma non posso capire?!” gli sputò addosso sarcastico.

Per la prima volta, anche Merlin sfondò quella muraglia di freddezza di cui si era cinto, sbottando: “Già. Ti ricordo che tu sarai anche morto, ma io sono rimasto per tutto il tempo qui a marcire ed invecchiare, pur senza mutare di neanche una ruga, bloccato in questo corpo. Ho visto tutte le persone che ho amato morire sotto i miei occhi, spazzate via dalla furia del tempo, mentre io ero costretto a rimanere qui ad aspettare cosa? Te?”

Arthur rimase talmente scioccato da quelle parole e dalla loro durezza, da non riuscire a trovare il fiato per replicare. Rimase attonito, a fissare l’uomo che era davanti a lui, non riconoscendovi per la prima volta il compagno di una vita.

Perciò Merlin continuò, come se la diga fosse ormai stata aperta: “Tante cose sono cambiate.” Sorrise di un sorriso amaro. “Dio mio, persino le terre sono cambiate mentre tu schiacciavi il tuo pisolino di bellezza ad Avalon. Perciò non mi chiedere di capire. Perché ci sono cose che no, tu non puoi capire. E ora… Vattene, e lasciami perdere.” Concluse secco.

Arthur indietreggiò di due passi, come se non riuscisse a sopportare la sua vicinanza un attimo di più. In viso, un’espressione ferita ed insieme furente come mai Merlin gli aveva visto, nemmeno quando gli aveva confessato di avere la magia.

Annuì con una smorfia, poi disse, tagliente: “Hai ragione. Tu sei cambiato. Tu non sei più l’uomo che conoscevo. Mi dispiace… Mi dispiace di aver sprecato con te metà della mia vecchia vita, e anni di questa a cercarti. Mi dispiace di aver perso tempo prezioso a pensare e preoccuparmi per qualcuno che evidentemente è più morto di quanto non lo fossi io. Non ti preoccupare, d’ora in poi sarai cancellato.” Un ultimo attimo di debolezza, lasciò affiorare la parte che non era disposta a lasciarlo andare. Ne uscì una sorta di minaccia: “Se mi lasci voltare e andare via, ti giuro che non mi vedrai mai più.”

Un sospiro trattenuto nel petto, le parole che uscirono in un ringhio forzato: “Addio, Arthur.”

“Vai al diavolo, Merlin.” Rispose con la voce vibrante di rabbia, trafiggendolo un ultima volta con lo sguardo, per poi girare i tacchi e allontanarsi definitivamente a passi decisi.

Arthur non si voltò indietro nemmeno una volta, ferito nell’orgoglio e accecato dalla rabbia. Le guance arrossate, rigate da lacrime di frustrazione e dolore che scendevano ora liberamente. Riuscì a fermarle solo appena prima di giungere all’Enchanted Inn, Salutò brevemente il proprietario, recuperò il bagaglio e volò via come una furia alla volta della stazione, determinato a lasciarsi Glastonbury alle spalle il prima possibile.

Solo quando fu assolutamente certo di essere da solo, avendo visto Arthur allontanarsi dal parco e sparire oltre l’angolo della via, Merlin si concesse di crollare. Cadde in ginocchio sul prato umido e freddo, stringendo le palpebre e trattenendo il respiro per non urlare fino a farsi male. Si piegò su sé stesso, raggomitolandosi nel suo dolore, fino a cadere carponi sul terreno, la fronte a contatto con le foglie ancora bagnate di pioggia.

 


P.S. AUTRICE: Ok, forse adesso vorrete picchiarmi... XD

  
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