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Autore: Osage_No_Onna    16/09/2015    3 recensioni
"Somehow I cannot hide
Who I am
Though I' ve tried
When will my reflection show
Who I am inside?"
Avete riconosciuto queste parole? Esatto: sono della evocativa canzone "Reflection" dal film "Mulan".
Canzone che dice poeticamente una grande verità: possiamo indossare tutte le maschere che vogliamo e impersonare ruoli di personaggi anche molto differenti rispetto a noi, ma prima o poi il nostro vero io verrà rivelato.
In fondo, tutti vogliamo essere amati per quel che siamo.
Allora metteremo via le maschere, i lustrini e i costumi per essere solo noi stessi, così come siamo, per ritornare ad essere felici.
E ritornare ad essere felici è proprio il desiderio degli Arclight, rappresentati come molti altri personaggi proprio nelle parole di questa canzone.
Questa raccolta, sulle note di varie versioni (principalmente cinesi) di "Reflection", è incentrata proprio su di loro e sui loro sentimenti inespressi...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Byron Arclight/Tron, Christopher Arclight/ Five, Michael Arclight/ Three, Thomas Arclight/ Four
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note per la lettura: Questo capitolo è stato scritto ascoltando la versione cantonese di "Reflection", tuttavia il testo riportato ne è la traduzione in inglese, poiché non sono riuscita a trovare la traslitterazione in alfabeto latino degli ideogrammi.
Il testo della fanfiction vera e propria, inoltre, pur essendo basato in parte sul testo della canzone, non sempre concorda con essa.
Nonostante questo, spero vi piaccia comunque.
Buona lettura :)
-Osage_No_Onna



 
Spiegelbild
 
01: Like a new-born flower
 


“Does it look like me?
Do I look more beautiful when I put my makeup on?
But I’m not good at it.
I thought I could
Get my friends and my family to applaud me…”


“Buongiorno, Three!” disse il Michael riflesso nel grosso specchio a quello che si ergeva davanti ad esso.
“Buongiorno, Michael…” fu la quieta risposta, accompagnata da un sorriso strozzato e fuori allenamento. “Come stai oggi?”
“Tutto magnificamente, come al solito! Tu invece hai proprio una brutta cera, bello mio… Non credi che sia l’ ora di finirla?”

Il ragazzo si colpì le guance paffute con le mani, imponendosi di smetterla di perdere tempo e di fantasticare davanti a quella grossa superficie di vetro, come ormai faceva da tempo: un piccolo rituale mattiniero, quello, facente parte di un grossa gamma di attività piacevoli e rilassanti che, da cinque anni a quella parte, lo aiutavano a vivere al meglio ogni giornata.
Da un po’ di tempo, però, mentre guardava il suo riflesso eseguire tutti i suoi movimenti, dai più ampi a quelli più precisi e minuziosi, provava uno strano senso di disagio.
In particolare, la fase della vestizione era una continua presa di coscienza dell’inutile farsa che tutta la famiglia, chi più chi meno, si ostinava a portare avanti da ormai troppo tempo.
Quel giorno la sua memoria volò rapidamente al momento in cui Tron, che del loro amato padre non era che un minuscolo frammento malridotto, li aveva convocati tutti e tre non per riabbracciarli, come si aspettava, ma per spiegare loro il suo piano di vendetta e per trasformarli, grazie ad una lunga serie di spossanti allenamenti e rituali, nei suoi infaticabili schiavetti.
Aveva accettato quella situazione surreale con cieca fiducia, confidando nella fortuna e sperando che a suo padre ritornasse il buon senso che era tipico di ogni buon capofamiglia e che, in tempi precedenti, non era mancato, facendo di lui una della persone più stimate della città.
 
 
“But I know
if I completely follow my heart and mind
I will disappoint my parents…”


Realizzare di volta in volta, giorno dopo giorno, che probabilmente Tron non sarebbe rinsavito era come sprofondare in un baratro sempre più profondo senza avere una minima possibilità di risalire. I primi tempi si era concesso il lusso di sognare un po’, ma riemergere dall’ atmosfera dolce e piena d’ amore, quasi troppo zuccherosa, di quelle speranze per entrare in quella asettica e fredda della realtà di cui faceva parte aggravava il suo senso di oppressione e favoriva ulteriormente la sua caduta.
Così vi aveva presto rinunciato, aveva spinto tutte quelle mere illusioni in un angolino del proprio cuore e di sogni non aveva più voluto parlare, eccetto uno.
Il sogno comune, quello in virtù del quale anche i suoi fratelli, probabilmente, riuscivano a tirare avanti: compiere la propria vendetta e riportare la sua famiglia agli antichi fasti e all’ antica gioia.
Non voleva ammettere a sé stesso, però, che avrebbe preferito farlo in tutt’ altro modo, né l’ avrebbe mai riferito a tutto il resto della famiglia: a che pro opporsi?
Solo per vederli soffrire? Dopo tutto quello che avevano dovuto patire?
Era inammissibile che fosse proprio lui a deluderli, lui che non voleva altro che la loro felicità.
Avrebbe continuato a eseguire fedelmente tutti gli ordini che gli venivano dati, l’ aveva deciso ormai da tempo e non aveva più intenzione di ripeterselo ancora.

“The girl in the water and I
Stand face to face

I am not that
Why am I so different from the person I’m supposed to be?”


Quella mattina, però, la situazione sembrava più grave del solito.
Impossibile tenersi ancora tutto per sé, Three aveva bisogno di sfogarsi in qualche modo prima di presentarsi, come un suddito, al cospetto di quel bambinetto sanguinario che aveva preso il posto di suo padre.
Decise di svignarsela per fare una passeggiata: avrebbe costeggiato a lungo le rive del fiume che attraversava la città da nord a sud, alla stregua dei cardi nelle antiche città romane che tanto gli piacevano, fino ad arrivare alla spiaggetta che ne ospitava la foce a delta.
Attraversò in fretta il corridoio, ignorando il sonno dei suoi fratelli, si fiondò nell’ ascensore e dopo poco già imboccava uno dei tanti desolati vicoli che conducevano al fiume.
Camminando volgeva spesso il proprio sguardo sereno al suo riflesso sullo specchio d’ acqua: i vestiti che aveva indosso, dalla giacca bordata d’ oro agli alti stivali di cuoio, che nessuno dei viandanti mattinieri aveva preso la briga di guardare o commentare, gli sembravano più che mai i simboli della disperazione in cui tutti loro erano precipitati.
Un’ inutile ostentazione di lusso ed orgoglio che non doveva far trasparire alcun segno di degrado.
Ma perché fare tutto quello che avevano fatto e continuavano a fare? Perché non potevano semplicemente lasciarsi il passato alle spalle e provare a vivere serenamente, come avevano sempre fatto?
Ma soprattutto, perché continuava a farsi male in quel modo? Perché era rimasto sensibile com’ era da bambino e non si era trasformato in un freddo e spietato Number Hunter come i suoi fratelli?
Avrebbe procurato molte più soddisfazioni.
Dal momento che la sua indole non era adatta al compito che gli era stato assegnato aveva provato spesso ed emulare i comportamenti di Four e Five, sempre così compresi nei loro ruoli, soddisfatti di quel che facevano e di quanto accadeva, fallendo su tutti i fronti.
Se ne doleva, ma non lo dava a vedere: almeno non dava preoccupazioni, se non poteva rendere appieno felici tutti i suoi cari.

“But how can I hide myself?
The flower in the water
The reflection in the mirror
When can my reflection
show my heart?”


Non arrivò alla spiaggia come si era prefissato, ma si fermò su un prato ancora costellato di rugiada: uno di quegli angoletti di natura che non si erano piegati alla furia del cuore tecnologico di Heartland City, sempre più desideroso di chip e cemento, e si ergeva selvaggio ma delicato nei suoi colori teneri tra tutto quel metallo e quelle insegne luminose.
Si sedette e respirò a pieni polmoni l’ aria frizzante del mattino, quietando così il suo animo in tempesta.
Nella pace di quella silenziosa mattina si sentì rinato e, ammirando i boccioli ancora chiusi dei vari fiori selvatici che crescevano lì intorno, riuscì a realizzarlo appieno: non poteva essere come i suoi fratelli e probabilmente non ci sarebbe mai riuscito perché non voleva perdere quel lato di sé che, a dispetto di quanto aveva creduto fino a poco prima, non gli procurava dolore, ma gioia.
Non poteva portare sempre la maschera del paggetto né tantomeno lo voleva, perché quello non era lui.   
Voleva, invece, continuare ancora a sperare che tutto si sarebbe risolto per il meglio ed essere il depositario dei segreti celati negli occhi e nei cuori dei fratelli, dei quali era un silenzioso confidente.
Non poteva fare a meno di sorridere quando veniva chiamato per sentire quelle parole che esplodevano per la rabbia, tacevano per un po’, ritornavano accorate, si dipanavano incerte e dolorose mano a mano che le conversazioni andavano avanti, carezzavano le corde del suo cuore con tenera disperazione e si gonfiavano all’ improvviso di nuovo ottimismo nonostante acquisissero, nella maggior parte dei casi in cui venivano adoperate, la piattezza di quelle scritte sul vocabolario.
Non vi avrebbe mai rinunciato.



“When will this flower in the water truly look like me?”

Prima di rialzarsi si chiese però, con una punta di rammarico, quando avrebbe dismesso quei panni per poter rinascere come le foglie in primavera e sbocciare come le primule che poco prima lo avevano confortato così tanto.
Avrebbe voluto farlo presto e togliere quella maschera di vetro che gli avevano ordinato di tenere perennemente addosso, essere nient’ altro che lui stesso con tutti i suoi pregi e difetti.
“Accadrà presto, lo so.” mormorò fiducioso.
Poi abbracciò con uno sguardo carezzevole tutto ciò che si stagliava lungo la linea dell’ orizzonte, si rialzò e si apprestò a ritornare a casa guardando di tanto in tanto il cielo terso di quella giornata primaverile.
 
   
 
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