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Autore: The Writer Of The Stars    17/09/2015    5 recensioni
Le luci della notte sono accecanti, è vero, e feriscono gli occhi delicati, le iridi in cui il carattere recessivo ha avuto la meglio su quello dominante, ma quando i fari accecanti della città si gettano su quelle iridi verdi, le palpebre restano spalancate, rifiutandosi categoricamente di chiudersi. Non è ancora ora, quello avverrà fra poco.
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“E lo sai, Kazuha, per te sarei rimasto in piedi tutta la notte, se solo avessi saputo come salvare una vita …”
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heiji Hattori, Kazuha Toyama | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ispirata da "How to save a life" dei The Fray.

Il vento gelido di dicembre sferza i volti della gente con uno schiaffo muto, un riverbero della rabbia buia del cielo plumbeo, catapultandoti in un catatonico stato di confusione tra le facce rosse di freddo della gente che cammina menefreghista per i marciapiedi, fingendo di non sentirlo, il vento. Ma più sali in alto e più lo senti il vento, eccome se lo senti. Si fa più distinta quella violenza inspiegabile che ti fa pizzicare gli occhi e condensa lacrime capricciose agli angoli degli occhi, diventa un gesto di gratiuita rabbia e al contempo di indispensabile utilità, perché se il vento ti fa male, se lo senti ancora sulla pelle, allora vuol dire che ci sei, sei ancora vivo. Dalla cima di un palazzo l’ululato del vento è ancora più forte del chiacchiericcio incostante delle auto sotto di sé, che agli occhi non risultano che minuscoli puntini di luci rosse, blu e gialle in un caotico connubio di smog, affollamento e vita vissuta tra i marciapiedi. Ma è diverso, non è lo stesso effetto che si prova a starsene in mezzo alla gente, a contatto con gli estranei infagottati nei loro cappotti di lana. Dal tetto di un palazzo l’eco del mondo ti giunge ovattato, quasi inesistente eppure presente, come il laborioso andirivieni di una formica verso il suo formicaio, che fatica ma in silenzio, senza costringerti ad osservarla rapito. Guardare una metropoli come Osaka dal tetto di un palazzo è un’esperienza che, in verità, non tutti hanno il piacere di provare, perché troppo impegnati a vivere il presente dei taxi e dei marciapiedi, gettando incuranti veleno e cattiveria su chi, invece, ha avuto il coraggio di guardare il mondo non per come è, ma per come dovrebbe essere. Le luci della notte sono accecanti, è vero, e feriscono gli occhi delicati, le iridi in cui il carattere recessivo ha avuto la meglio su quello dominante, ma quando i fari accecanti della città si gettano su quelle iridi verdi, le palpebre restano spalancate, rifiutandosi categoricamente di chiudersi. Non è ancora ora, quello avverrà fra poco.

“Kazuha!” le iridi verdi si spalancano ancora di più, colte da un sussulto al petto che si riverbera anche nello scarso equilibrio di quelle gambe slanciate poggiate sul cornicione del palazzo, e Heiji si maledice da solo in tutti i dialetti che conosce per aver dimenticato la regola più importante da seguire in quei casi, ovvero mai urlare a qualcuno che si trova in bilico con lo sguardo perso nel vuoto caotico sottostante, al trentesimo piano di un freddo grattacielo. Eppure, sebbene sia un detective e si vanti sempre di esserlo, ci sono circostanze che gelano ancor di più il suo sangue freddo e lo portano a dimenticare qualcosa di così basilare come quello. Ma è più forte di lui e lo sa, perché vedere la propria migliore amica vicina al compiere una pazzia, non è roba da detective di diciassette anni innamorato.

“Vattene.” La voce di Kazuha è sempre la stessa nota soave di miele selvatico che scivola giù per la sua gola arrochita, addolcendo i noduli di lacrime che minacciano di venire fuori. E non è un ordine quello di Kazuha, nemmeno una richiesta decisa. Solo una supplica. Una dolorosa e peccaminosa supplica.

“Fermati, Kazuha. Non fare cazzate.” La voce di Heiji invece non risuona dura e composta come sempre, né beffarda come quando scherza con quella ragazza dagli occhi smeraldo che lo tedia sempre ma che lui, anche se non lo ha mai detto, ama più di se stesso. E non è nemmeno una richiesta decisa. Solo una supplica. Un’accorata e tremenda supplica.

“Heiji, vattene. Non voglio che tu mi veda dire addio a tutto.” Ripete Kazuha con una nota di decisione e di rimpianto nella voce strozzata. Heiji scuote il capo, respirando a pieni polmoni l’aria gelida di dicembre e alzando lo sguardo sulla schiena esile della ragazza a pochi metri da lui. Indossa solo un leggero cappotto autunnale. Si prenderà un colpo, accidenti a lei.

Primo passo: dobbiamo parlare.

“Kazuha, dobbiamo parlare.” Proclama solenne Heiji, sperando in una qualunque reazione da parte sua. Kazuha sorride amara ed educata, un sorriso di circostanza effimero e inutile perché Heiji non può vederlo, perché sta solo parlando con le sue spalle esili e non con i suoi occhi verde smeraldo, che se lui avesse guardato con più attenzione tempo prima, avrebbe capito colmi di quel desiderio di andarsene di cui solo ora si rendeva conto.

“Non ho niente da dire.” Esclama e Heiji la fissa in silenzio, sentendo il cuore salirgli alla gola, tra le linee della paura e della colpa. E allora il grande detective dell’Ovest capisce di essere stato solo un idiota. Perché Kazuha glielo aveva detto tante volte che era stanca, che non ne poteva più dei bulli che la perseguitavano, che era troppo spaventata da quei messaggi di scherno in internet che la bombardavano ogni giorno, senza sosta, che non voleva più vedere suo padre attaccarsi al collo della bottiglia di Vodka e gettare tutta la sua vita al vento, perché sua madre non era stata abbastanza forte e allora nemmeno lui voleva esserlo più, nemmeno per la sua bambina. Kazuha non glielo aveva detto a parole, non l’avrebbe mai fatto, troppo timida e abituata a caricarsi tutte sulle esili spalle e a mascherare tutto quello che c’è dietro ad un quartiere malfamato con un sorriso di falsa cortesia. Ma si era confidata con gli occhi, lo aveva supplicato di aiutarla ogni qualvolta che lo fissava con quelle iridi troppo grandi e troppo profonde per lui, fermo solo alla superficiale apparenza della vita. E lui non ci aveva capito niente, come al solito, scambiando quelle occhiate disperate con il principio di un amore troppo profondo, che pure c’era, ma non era ciò che voleva dirgli, e lui invece era scappato via, codardo, spaventato da quell’amore che aveva avvolto anche lui ma che non poteva ammettere esistesse, perché c’era la facoltà di giurisprudenza che suo padre gli aveva imposto al termine del liceo a pesare sopra quell’unione romanzata.

“Quella ragazza non mi piace.” Glielo diceva sempre suo padre, ogni giorno, quando lui usciva di casa senza dire mai dove andasse ma col sorriso stampato in volto che gridava per sé, “Esco con Kazuha – chan!”
E sapeva che non gli piaceva perché era diversa da lui, perché non viveva sulla strada a destra ma su quella a sinistra di Osaka, non tra la bella borghesia urbana a cui era abituato lui, ma dalla parte di quelli che non andavano avanti ma tiravano avanti, arrancando come meglio potevano per un pezzo di pane al giorno, e sapeva anche che suo padre aveva detestato il giorno in cui gli avevano messo quella ragazzina timida dagli occhi verdi al suo fianco, a condividere lo stesso banco, e poi le loro vite, per il resto dell’anno.

Kazuha ci aveva provato in tutti i modi a chiedergli aiuto nella maniera che le era risultata meno dolorosa, con gli occhi e non con le labbra, perché mendicare un’ancora di salvezza non le sarebbe mai riuscito. E lui invece aveva fatto finta di non vederle quelle lacrime infondo alla cornea, si era voltato di scatto davanti ai lividi che ogni tanto recava sulla sua pelle bianca la mattina, quando la sera precedente suo padre aveva bevuto nuovamente troppo. Aveva finto che tutto andasse bene e che niente sarebbe dovuto cambiare, quando invece Kazuha stava già morendo, ma dentro, senza farglielo vedere davvero.

Ora invece glielo stava mostrando, eccome se glielo stava mostrando. Ma forse era troppo tardi.

“Vieni, ti accompagno a casa.” Le dice, cercando di convincerla.

“Ci hanno sfrattato oggi, non ce l’ho più una casa.” Confessa Kazuha con le lacrime di amara rassegnazione agli occhi e a sentirla così debole e indifesa, Heiji ha l’impulso di fregarsene di suo padre e del fatto che doveva stare alla larga da quella ragazzina, volendola abbracciare senza lasciarla mai andare, baciarla disperato e chiederle scusa per essere un idiota che non riesce ad ammettere di amarla. Ma non fa nessuna di queste cose.

“Io comunque ti amo.” Esclama Kazuha dopo attimi di freddo silenzio, intervallato solo dall’ululare impetuoso del vento. Heiji spalanca gli occhi blu come il mare, sentendoli colmi di lacrime.

“E scusa se ai tuoi non piaccio, ma di solito la gente mi odia, eppure io non lo faccio apposta.” Continua, sospirando e lasciandosi sfuggire una lacrima sul naso rosso per il raffreddore mai curato.

“Ma a me piaci! Io ti … Io …” balbetta in un moto di coraggio che si gela subito dopo, nel tentativo effimero di dirle che anche lui la ama.

“Non serve che tu dica niente. Grazie.” Lo interrompe con un sorriso amaro Kazuha, voltandosi leggermente a guardarlo. Gli occhi blu si perdono in quegli specchi verdi per l’ennesima – e
Heiji lo sa – ultima volta, mentre senza dire nulla Kazuha gli dice tutto quello che vorrebbe dire.

“Scusami …” sussurra con voce rotta Heiji, sentendo che una lacrima è riuscita a sfuggire al magistrale controllo del suo orgoglio.

“Non fa niente …” sussurra di rimando Kazuha, ultimo timido sorriso a illuminarle il volto stravolto dal freddo e dalle lacrime, dalla vita e dalla morte.
Le luci della città sotto di lei la richiamano e Kazuha, portandosi due dita alla fronte in segno di saluto militare, come facevano sempre tra di loro, quando scherzavano per i toni a volte dittatoriali di Heiji, gli dice addio, il sorriso di chi è sconfitto sulle labbra morbide che porteranno per sempre il rimpianto di non essere mai state baciate da quelle sottili del ragazzo. Poi il vuoto arriva sotto i piedi e in un attimo, ad accoglierla non ci sono più gli occhi sgranati e il grido disperato di Heiji, ma solo il buio dell’oblio e i clacson imperterriti delle automobili in strada.
 
“E lo sai, Kazuha, per te sarei rimasto in piedi tutta la notte, se solo avessi saputo come salvare una vita …”

Where did I go wrong, I lost a friend
Somewhere along in the bitterness
And I would have stayed up with you all night
Had I known how to save a life...
 
 

Nota autrice:
I’m back, bitches!
No aspetta, ho sbagliato.
Volevo dire: sono tornata! Sì, ero scomparsa dal fandom, e sì, fare ritorno con una roba del genere è praticamente ai limiti del sopportabile sadismo umano, ma ormai mi conoscete, se non li faccio soffrire non sono contenta. Sky Dream sii fiera, ho preso tutto da te, cara. ;)
Fatemi sapere a quale livello sia arrivata la vostra voglia di uccidermi per questa storia (secondo me over nine thousand) con una recensione, se vi va! :)
Alla prossima!
Letizia
   
 
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