Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |      
Autore: Migi_Te    17/09/2015    2 recensioni
Tutti sognano il successo per scampare alla realtà povera e misera di una società ingiusta o monotona, o forse è meglio dire, che chiunque potrebbe rinnegare una vita felicemente semplice per ottenere una grande notorietà, essere considerato da un ampio pubblico e da giornalisti invadenti oppure esser ammirato morbosamente dai propri fans.
Per i “Fratelli Vargas” non fu mai così!
Feliciano e Romano furono amati sin dal loro primo debutto nel mondo dello spettacolo ma quando chiunque cominciò a pretendere troppo da loro, gli privarono la gioia di vivere in libertà.
Tra ritrovamenti, nuovi incontri, riscontri e lettere anonime, Feliciano cadrà in un periodo di profonda tristezza mentre Romano sembra che nasconda qualcosa.
… Nella notte del 15 agosto 1989, a Londra, dopo uno show al Barbican Theatre, Antonio con orrore, troverà i due fratelli italiani giacere in una pozza di sangue nel loro appartamento.
Chi ha desiderato la morte dei “Fratelli d’Italia"? Tentato suicidio o omicidio?
Genere: Angst, Drammatico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salve. Sono nuova e questa è la mia prima Fanfiction. Era da tanto che quest’idea mi ronzava nella testa, ma per un bel po’ ho esitato a pubblicare questa storia a causa della mia dannata insicurezza! Chiedo scusa in anticipo per presunti errori di battitura, grammatica e ortografia e spero che vi piaccia. Accetto qualsiasi commento e opinione, anzi mi farebbe molto piacere avere dei consigli se c’è qualcosa da modificare per migliorare la leggibilità!
Ovviamente Hetalia e i suoi personaggi non mi appartengono, solo questa storia è frutto della mia immaginazione.


 
Giallo in una meravigliosa Londra del 1989.
The case of "Italian brothers".


 
Prologo: I “Fratelli d’Italia”.

 
Venezia 1986.

 
Famosi - furono i loro nomi per le loro grandi performance intrapresi sui palchi teatrali della penisola italiana e internazionali -  erano i così soprannominati “Fratelli Vargas” o “i Fratelli d’Italia”. Giovani, a quel tempo, dalla pelle fragile come i petali di un fiore rivolto al sole d’estate, avevano quegli innocenti occhi che ricordavano le piccole nocciole appena raccolte sulle fronde degli alberi e dei capelli dal color del rame di cui si poteva invidiare la loro morbidezza al tocco di una mano.
L’aspetto dall’aria fanciullesca richiamava la cultura Mediterranea e dalle membrane si potevano fiutare, al solo passaggio, l’odore naturale del mare che bagna gentilmente le coste del Bel Paese.
Ammaliavano le persone con le loro delicate gesta, somiglianti ai rami degli aranci e dei limoni che, sinuosi, danzano al via vai dello zefiro tenue in primavera.  
Entrambi gli opposti con simili volti, come lo Yin e lo Yang della lontana Cina, furono legati dalla reciproca e unica passione per il teatro melodrammatico.
Pochi al mondo potevano descrivere la raffinatezza che destava dalle voci melodiose dei loro canti. Con esse rapivano i sentimenti di molti uomini, tra tanti, esperti di opere liriche teatrali e addirittura cinematografiche o semplicemente amanti dell’arte della buona musica.
I due non furono mai attratti dal mondo del cinema fin quando il regista americano, Alfred F. Jones, giunse in Italia interessato a conoscere quelli che erano come un tesoro per quella bella Nazione, proponendo ai due attori fiorenti di recitare come protagonisti in un suo prossimo film.

– Vedremo. – sussurrò noncurante Romano, il maggiore della coppia fraterna, nella notte del 1986, anno in cui l’americano assaporò con i propri occhi, per la prima volta, un loro spettacolo con piacevole gusto.  Alfred fu particolarmente affascinato dalla bravura dei due italiani e, ovviamente, ne ammirò la loro naturale bellezza.
Egli perciò volle conoscerli personalmente e congratularsi con loro presentandosi nei camerini.
Strinse a loro le mani elegantemente leggere come piume e annusò una fragranza di un profumo maschile che emanavano le loro pallide pelli.  
Feliciano, più giovane di Romano di soli due anni, al contrario di suo fratello, si mostrò subito entusiasta e incredulo a quella proposta.

–Ehi, Ehi! Vacci piano, amico. – qualcuno rimproverò il regista alle sue spalle – Vorresti portarmeli via? Loro sono le mie stelle! – Esclamò tra perpetue risa, Gilbert Beilschmidt, regista tedesco della compagnia teatrale ove recitavano i “Fratelli Vargas”.  Era un uomo dalla capigliatura albina e occhi scarlatti, aveva un carattere al quanto frizzante ed era in ottima amicizia con l'uomo americano.
Discutendo tra di loro, una bellissima donna dai gracili tratti femminili si unì al gruppetto sistemandosi i lunghi capelli castani sulle spalle nude. Si era appena cambiata dai suoi abiti di scena e affiancò Gilbert con sorriso perspicace che la presentò con occhi brilli al suo caro amico. Molti scommettevano su una loro presunta relazione, litigavano spesso come marito e moglie e tutti teorizzavano che entrambi, segretamente, si piacessero. 
Si conoscevano da molto tempo, ancor prima che i “Fratelli Vargas” salissero sul palco di un teatro in sud dell’Italia per la loro prima audizione nel 1982. Ebbero allora un immediato successo, conquistando l’interesse di Gilbert in compagnia di quella graziosa attrice ungherese dagli occhi vispi.
– Ah, lei è Elizabeta Hédervàry! – le strinse una mano – Complimenti anche per la vostra bravura, signorina. Ha interpretato il vostro personaggio in maniera impeccabile. – le regalò un nobile baciamano mentre lei rise sonoramente tra le labbra da poco struccate.
– Sono lusingata, Mister Alfred, ma non posso competere con le abilità artistiche e teatrali dei “Fratelli Vargas” – disse modesta indicandoli con affetto.
I giovinetti italiani erano per lei come i suoi fratelli o addirittura figli. Rimembrò il giorno in cui si disposero silenziosamente e per la prima volta al centro di quel teatro, accecati dalle luci dei riflettori. Romano, sempre accigliato da quel dolce viso imbronciato e torvo, indossava una vecchia coppola appena appoggiata sui suoi capelli ramati. Faceva ombra sugli occhi orgogliosi e superbamente ambrati, dal taglio lussurioso che parevano quasi ucciderti al solo sguardo. Feliciano, diversamente, apparve come un bambino indifeso che cercava protezione dal suo amato fratello. Teneva stretto tra le dita il braccio del maggiore con occhiate deliziosamente timide che nascondevano quello che nel 1986 fu diventato. Raccontò del volto compiaciuto di Gilbert che fu immediatamente colpito dalle personalità dei due fratelli tanto che li assunse nella sua compagnia teatrale senza pensarci due volte.
– Sono così spontaneamente espressivi anche nei momenti di pura quotidianità.  E’ come se già il mondo fosse stato per loro un enorme teatro sin dalla nascita, raccontando inconsapevolmente le proprie vite imbevuti in un oceano di personaggi secondari. –
– Avanti, Elizabeta! Abbiamo molto altro da imparare! – disse Feliciano grattandosi la testa imbarazzato mentre Romano si recò nel suo camerino ignorando il resto del discorso.
Sbuffò guardandosi allo specchio mentre aprì il rubinetto del lavandino del bagno. Tirò su le ciocche della frangetta con una forcina e sciacquò il viso accuratamente liberandosi del trucco di scena.
Il volto privo di cipria rivelò la pelle leggermente più scura da quello del fratello e gli occhi acquisirono una scontrosa morbidezza eliminando tracce di matita nera. Gonfiò una guancia mentre passò l’asciugamano sulla faccia per poi riordinare le ciocche dei capelli sulla fronte e il suo ciuffo ribelle con un veloce gesto di mani. Quando cercò di sfilarsi il vestito da sopra la testa, un grido acuto di Feliciano raggiunse le sue orecchie. In un sobbalzo si precipitò verso la porta ascoltando la voce raggiante del fratello.
 


Avevano bussato lievemente alla porta centrale, prima che qualcuno fosse entrato scusandosi per il disturbo con voce grave ma cordiale.
Un uomo alto, dal corpo robusto, capelli dal color dell’oro e dalle iridi fredde come i due poli della Terra, si ritrovò con il collo cinto dalle braccia strette di Feliciano.
– Ciao, Lud! – lo salutò appiccicandosi sulla sua grossa schiena. 
Gilbert, intanto, rideva con Alfred a morte guardando suo fratello, Ludwig, combattere con tutte le sue forze per liberarsi dalla ferrante presa dell’italiano invadente.
– Sono venuto per,– tossì – Feliciano, non respiro!- lo rimproverò il tedesco più giovane mettendolo con i piedi per terra per poi guardare altrove imbarazzato.
– Mi scusi, lei dovrebbe essere Alfred F. Jones, – si voltò il tedesco verso l’americano – Mio fratello mi aveva informato che questa sera ci sarebbe stato un ospite speciale. E’ un piacere conoscerla di persona. –
– Il piacere è tutto mio. Ehi, dammi del “tu”. – Ludwig sorridendo annuì afferrando la mano che Alfred gli porse.
Elizabeta informò Ludwig della proposta che Alfred face ai due italiani il quale mostrò un’immediata sorpresa. Fissò il volto del suo amico sorridente passandogli una mano timida tra i suoi bei capelli, un modo semplice e goffo per riconoscere i suoi meritati progressi.
Trascorse un bel po’ di tempo in quella stanza quando l’americano se ne andò dal teatro con gli affari conclusi a buon fine. L'inizio delle riprese furono fissate nel Marzo del 1986 in America una volta che il tour teatrale di quell'anno fosse terminato.
Da quel momento, Feliciano finalmente si adagiò comodo sulla poltrona della sala. Cadde completamente in uno strano silenzio, prese il bicchiere di champagne che Gilbert gli offrì per festeggiare quel prossimo successo e poi fu invaso da profondi pensieri.
Fissò il fondo del bicchiere e sorrise malinconicamente trovando buffa la vita che lo aveva portato così lontano da quello che fu un tempo nella sua giovane e umile infanzia. Osservò poi se stesso sul lucido cristallo notando il riflesso del suo viso mascherato da un signorile trucco di scena mutarsi nei ricordi di quando era bambino.
Lui e Romano vissero in una piccola casa sulle sponde del mare, molto lontana dal centro urbano e da qualsiasi altra città circostante. Dietro alle poche abitazioni del paesino accogliente si estendevano le campagne, immensi orti e vigneti, dove anche la loro mamma e il nonno vi lavorarono.
La povertà non ostacolò mai la loro possibilità di sognare in grande. Possedevano la libertà di dare sfogo alle loro fantasie divertendosi proprio su quelle fertili terre e sulle pietre delle coste azzurre nelle ore pomeridiane di ogni giorno. Col passare degli anni i loro giochi si tramutarono in passioni per poi ambizioni per il futuro e fu grazie alla loro madre che appoggiò in ogni momento i suoi bambini nelle loro aspirazioni per la carriera adulta e credere nelle loro capacità. Forse, se non fosse stato per lei a spingerli a guardare sempre in avanti, probabilmente neanche sarebbero stati lì a bere un pregiato champagne con i loro amici.
Lei però, il loro più grande sostegno, tristemente morì giovane per una grave malattia, e il nonno si prese la responsabilità di accudirli fino a quando anche lui non diede il suo ultimo respiro di vita. Toccò perciò a Romano, appena sedicenne, prendersi cura di lui fin da allora. Poteva comprendere le sue preoccupazioni quando il più giovane stringeva nuove amicizie o si allontanava da lui anche per pochi istanti. Notò immediatamente il suo particolare odio provato nei confronti di Ludwig ma capì solo dopo tanto tempo che, oltre a voler proteggere il suo unico fratello, c’era quel silenzioso ma celato timore di restare solo, in solitudine in qualche parte del mondo.
Romano era più forte rispetto Feliciano, ma il primo costruì interminabili muri nei suoi sentimenti.
Fu come se avesse avuto il terrore di aprirsi agli altri per costruire sempre nuove relazioni, fare degli amici su cui contare ma vi era solo una fiducia per suo fratello perché sapeva che almeno lui non l’avrebbe mai tradito e mai gli avrebbe voltato le spalle in un giorno o nell’altro.
Con la rumorosa risata di Gilbert, Feliciano ritornò alla realtà fissando i suoi amici con aria disinvolta e finì il suo champagne in un unico e grosso sorso assaporandone il meraviglioso gusto dolciastro.

– Comunque, questa sera sono venuto in compagnia. – spiegò improvvisamente Ludwig con serietà.
Feliciano posò il bicchiere corrugando la fronte così come Gilbert che si accigliò confuso.
– Ieri, tra le strade di Venezia, ho conosciuto una persona molto particolare. Parlando di voi subito ha voluto seguirmi per vedere il vostro spettacolo, questa sera. Gli ho offerto l’entrata gratuita e pensavo di unirlo alla nostra troupe. – si rivolse a Feliciano e a Romano che, con braccia conserte al petto, poggiava una spalla al cornicione della porta del suo camerino. 
Inspiegabilmente, guardò anche Gilbert.
– Chi sarebbe? – chiese curiosamente l’albino.
– Lo conoscete molto bene, vedrete. Mi ha detto che voleva aspettare un po’ prima di scendere qui… sembrava stranamente nervoso … –
Qualcuno, proprio in quel momento, stava appunto scendendo le scale con passi insicuri e ascoltava le voci provenienti dal salone che portava ai camerini degli attori. Strinse una mano in un pugno ed ebbe quasi il timore di incontrare quelle persone che furono a lui preziose in passato, ma brulicava da una voglia feroce di rivederli dopo anni che non si erano mai più visti. Sentì la voce spinosa di Romano e un ampio sorriso di gioia dipinse il suo volto abbronzato.


 
– Buonasera, ragazzi! – una voce allegra risuonò nella stanza.
Antonio, uomo dagli occhi verdi come le deliziose olive mediterranee, si ritrovò completamente il corpo invaso da calorosi abbracci di Feliciano e Gilbert.
–TONI!!! – gridò l’uomo tedesco soffocandolo – Che bello rivederti! Diamine, quanto tempo è passato? Sei davvero tu? Sto sognando? – Gilbert scosse violentemente il suo vecchio amico strattonandogli la camicia bianca.    
–Qualcuno lo fermi, gli sta distruggendo le ossa del collo! – esclamò Elizabeta scherzosamente.
Il ragazzo spagnolo rise calmandolo –Ma certo che sono io, chi altro dovrei essere? –
– Datemi un fazzoletto, che sto per piangere. Oh, scusa, Lutz – Gilbert prese la maglia del fratello soffiandosi il naso rumorosamente.
– EHY! – gridò l’altro tra le risa asfissianti di Antonio e dal resto degli attori che, sentendo un improvviso trambusto, corsero a vedere cosa stesse succedendo.
Nel percepire dei singhiozzi dietro le sue spalle, lo spagnolo si concentrò sul volto arrossato di Feliciano pronto a scoppiare in uno strozzante pianto di felicità.
–Ciao, Feli! Come stai? – domandò alzando il viso dell'italiano.
–Beh, b-bene– balbettò torturandosi gli occhi con le mani tremanti.
–Ne è passato di tempo, eh ? – chiese con un ampio sorriso brioso scompigliando i capelli rossastri dell’italiano.  Feliciano annuì impetuosamente mentre tentava di trattenere le lacrime agli occhi.
Antonio lo abbracciò a se in un affettuoso gridolino. –Quanto mi sei mancato! – quasi strillò.
Feliciano ridacchiò asciugandosi le lacrime e si ricompose guardando il suo vecchio amico negli occhi.  
– Dove sei stato tutto questo tempo? Non ti sei fatto più sentire. Sono stato molto preoccupato, sai. –
Antonio per un istante abbandonò il suo effervescente sorriso. Il suo occhi divennero cupi e osservò il vuoto al suo fianco come se volesse evitare di incrociare le iridi castane dell’altro. Feliciano notò quello sguardo fuggitivo e contemplò quella breve esitazione cercando di capire cosa l'avesse improvvisamente turbato. Quello che poté scorgere da quel semplice movimento fu la sensazione di senso di colpa e rimpianto per qualcosa di sconosciuto a tutti.
–È una storia lunga da spiegare … – rispose ma improvvisamente si risvegliò poggiando le mani sulle spalle del ragazzo – … Feliciano… dov’è tuo fratello? Devo vederlo! –
Tutti si guardarono intorno e, in effetti, Romano era sparito.
–Di sicuro è nel suo camerino. – disse Ludwig con un gesto di mano indicando la porta semiaperta dello spogliatoio dell’Italiano più grande.
 
 
 
­– Oh cazzo, merda, cazzo, merda, cazzo, cazzo, merda! – Romano farfugliò una delle sue tante poesie preferite quando vide entrare il suo amico d’infanzia nella sala principale. 
Proprio quando Gilbert e Feliciano, in un mare di lacrime, piombarono su di lui, cercò di scomparire al più presto possibile dal campo visivo dell’uomo spagnolo.
Si spostò di scatto alla destra della porta sbattendo involontariamente la schiena contro il muro.
–Il… il… il mangia Churros … –
Vissero insieme durante la loro infanzia e ai primi tempi dell'adolescenza.
Gli anni passavano veloci e tranquilli nei delicati periodi della fanciullezza con la sua piacevole compagnia. Antonio adorava stare con loro e non mancava mai ad aspettarli alle piazzette del paesino italiano per passare i pomeriggi in lunghe passeggiate. Era raro che non spendesse anche un po' di attenzioni ai due ragazzi tanto che la sua presenza al loro fianco fu abituale.
Un giorno però tutto cambiò quando lui sparì nel più completo silenzio. Non sentire più la sua voce e ne vedere il suo viso fu un duro colpo per i due fratelli ma soprattutto per Romano. Non volle credere che se ne fosse andato senza dir nulla, lo cercò in casa e d'ovunque invano con la paura che gli stringeva un doloroso nodo alla gola.
Se n’era andato lasciando un grande vuoto negli animi dei due fratelli italiani insieme all’ inquietante silenzio dell’indesiderata solitudine. Da quel momento Romano provò per lui un'immensa rabbia condita da sdegno, lo incolpò duramente per averli abbandonati ma si tormentò chiedendosi il perché delle sue azioni.
Perché se n’era andato via?
Perché li aveva lasciati soli?
 
Crebbe che fosse morto!
Crebbe che non l’avrebbe mai più rivisto, e invece era li, tra quelle persone ignoranti del suo crudele gesto e ignoranti di quello che aveva passato in quegli infernali anni a prendersi cura di suo fratello.
La rabbia bollì nel suo petto. 
Non poteva perdonarlo neanche per esser sbucato dal nulla dopo una sua lunga assenza.
Dov’era stato quell’imbecille?
Perché non si era fatto più sentire e ne vedere?
Tante e troppe domande.
Lasciò che la sua collera s’impregnasse in un muto pianto, lacrime che neanche si meritava, nemmeno un po’ . Era colpa sua che ora lui non si fidava della gente, non ebbe migliori amici da allora. Al mondo gli fu rimasto al suo fianco suo fratello, di cui solo su di lui poteva ancora contare.
Non sapeva se essere felice o essere incazzato.
Non sapeva descrivere quanto gli era mancato.
Si passò una mano sul volto al ricordo di quante volte gli pizzicò le guance trovandole incredibilmente morbide e, bizzoso com’era, gli intimava puntualmente di lasciarlo in pace.
Grugnì al solo pensiero, di quanto la sua presenza fosse stato un solo fastidio ma dentro di se sapeva che fu un grande amico, l’unico. Non lo dimenticò mai. Né lui né suo fratello.
–Che stronzo. – nascose il viso con una mano mentre nuovamente mugugnò in fastidio non sapendo come comportarsi. –Quello … Quello str…–
–Quello ? – emulò una voce profonda al suo fianco.
Romano ebbe un sussulto quando riconobbe quel modo di imitare l’italiano in un seccante accento spagnolo. Voltò la testa lentamente, incrociando quei due smeraldi lucenti che lo fissavano con una punta di malinconia contornata con un lieve sorriso nostalgico.
–Ciao, Roma… –
Nessuna risposta.
Antonio, scostandogli alcune ciocche di capelli dal viso, pizzicò lievemente una guancia, proprio lì dove Romano la sfiorò con dita.
–Come stai, Romano? Sei felice di rivedermi? –
–Tu …–
–Finalmente, dopo tanto tempo… non immagini quanto mi sei mancato ….–
–TU! –
Antonio si fece improvvisamente serio.
–Ho così tante cose da dirti … ho bisogno che tu mi ascolti, Romano. Devo spiegart…–
Prima che lo spagnolo potesse terminare la sua frase, ci fu un dolore allucinante che percepì tra il naso e il labbro superiore. Annusò per un momento l’odore del sangue, seguito da un peso sullo stomaco e le urla di Romano che cominciò a prenderlo furiosamente a pugni, accecato da un’ardente ira.  Il resto della compagnia teatrale riuscì, con difficoltà, ad allontanarlo dal povero ragazzo spagnolo, mentre quest’ultimo si alzò da terra massaggiandosi, col dorso delle dita, uno zigomo ferito. Il suo sguardo colpevole, si posò sul corpo di Romano che si dimenava furibondo tra le braccia di Gilbert, pronto a colpirlo di nuovo senza alcuna esitazione. Dalle sue labbra serrate, non uscì nemmeno un singolo lamento per ribattere a quell’uragano che tanto aveva temuto prima di arrivare lì. Tutto quello che poté fare, fu quello di ingoiare amaramente ogni insulto che l’italiano gli urlava contro.
 
 
–Allora, Allora? Come mai sei venuto a Venezia? – Chiese Feliciano gongolando seduto sul divano, affianco all’amico di vecchia data. Una volta placate le acque, rimasero negli spogliatoi quella notte i due fratelli italiani e tedeschi con Elizabeta e ovviamente l’uomo spagnolo.
Antonio non rispose subito a Feliciano.
Tenne la testa rivolta all’indietro per impedire la fuoriuscita del sangue dalle narici massaggiandosi il naso con il ghiaccio.
–Già, dove sei finito in questi cinque anni? –domandò Gilbert accavallando le gambe.  
–Eh? Anche Romano ed io non lo abbiamo ne visto e ne sentito per cinque anni! – spiegò perplesso Feliciano.
–Come fate a conoscervi tu e Antonio? –domandò Ludwig al fratello maggiore.
–Lo conobbi per puro caso proprio in Italia, al sud, insieme un altro ragazzo francese con cui frequentai insieme le scuole superiori. Ora, quest’altro, è diventato un grande critico d'arte, di cinema e teatro. –
–Stai parlando di “François Bonnefoi”, per caso? – chiese Elizabeta.
Gilbert annuì – Combinavamo un mondo di casini con Antonio, nonostante fosse il più giovane di me e di François – fece un risolino – eravamo delle vere pesti! Comunque, non ricordo se tu mi parlasti di Feliciano e Romano in quegli anni, ma a giudicare dalla vostra differenza di età, penso che loro due siano stati solamente dei bambini quando stringemmo amicizia, non è così? –

Antonio tenendo sempre il mento all’insù, guardò di sott’occhio l’albino –Si, quando conobbi la famiglia di Romano, lui aveva appena compiuto cinque anni mentre Feliciano tre. Dovevate vedere com’erano carini– sghignazzò al ricordo.
Romano, per evitare di rompergli direttamente il naso con i suoi soliti scatti impulsivi, voltò il capo verso il vuoto socchiudendo gli occhi. Nel trattenere il nervosismo, cominciò a battere un piede per terra e a grugnire nella gola.
–Quando sono partito per l’America, per poi ritornare in Germania per alcuni anni, restammo sempre in qualche modo in contatto benché la difficile situazione del mio Paese... anche oggi io e Lutz siamo costretti a tornare a volte in patria per rinnovare i permessi per la nostra permanenza all’estero…. ma poi, tu … all’improvviso sei sparito. Che cosa è successo? –domandò Gilbert.
–Si vede, allora, che sia abituale per lui abbandonare gli amici senza dire neanche una parola. – sputò teatralmente Romano rompendo il suo silenzio.
Antonio lasciò cadere la busta del ghiaccio sul ventre guardando tristemente, per qualche scarso minuto, il viso impassibile del ragazzo davanti a lui. Fece il possibile per cercare, seppur difficilmente, di mandare giù quella sua solita lingua pungente.
–Romano, smettila. – lo rimproverò Feliciano.
–Non preoccuparti, – lo rassicurò Antonio portando di nuovo il ghiaccio sul naso arrossato – ha tutte le ragioni per essere arrabbiato. –
–Menomale. – bofonchiò l’italiano più grande in una smorfia.  
Lo spagnolo tralasciò i commenti sussurrati dal medesimo ragazzo portando l’attenzione su altri argomenti ma Romano ancora parlò e domandò risentito –Allora, dove sei stato? Dove? – ­

Antonio abbassò lo sguardo.
Spiegare, probabilmente, non avrebbe mutato quella terribile situazione per molto. Conosceva Romano, e non era cambiato per nulla in quei cinque anni senza di lui. Era proprio della sua reazione di cui aveva timore e ora, infatti, ne poteva percepire le amare conseguenze sui lividi del proprio volto. Toccò il viso ancora pulsante, dove quei pugni sembrarono essersi fissati come violenti timbri nella carne.
Di quel dolore però tanto non gli importava. Tutto ciò che contava, il quel momento, era quello di aver ritrovato finalmente la sua vera famiglia.
–Sono stato semplicemente in Spagna, – spiegò con un tono di voce basso – mio padre mi costrinse ad andare via dell’Italia con lui. Devi sapere che …–

–MA PERCHE’? – urlò a un tratto Romano mentre i presenti sobbalzarono dai propri posti.

– perché tacere in tutti questi anni? Perché non ci hai più cercato? Perché non sei più tornato da me? Te ne sei andato quando avevo un disperato bisogno di te. Noi avevamo perso la mamma e il nonno, ed io, e Feliciano, avevamo solo te, l’unica speranza in questo mondo di merda che sin dalla nascita ci ha girato le spalle. Avevamo perso tutto e così anche te, il nostro unico amico!  Non ho mandato più a scuola Feliciano perché non c’erano più soldi da spendere per i libri e quel poco che guadagnavo dalla terra, era per sfamare la bocca di mio fratello! Mi hai lasciato solo. Non immagini il terrore che ho provato quando realizzai di esser stato lasciato proprio da te, avevo paura di non riuscire ad andare avanti e se non fossimo entrati in questo teatro, non immagino cosa e dove saremo stati oggi … E Feliciano, eh? Sarebbe stato ucciso dalla fame?  Ci hai abbandonati! CI HAI ABBANDONATI!!! – quasi la sua voce si spezzò in un singhiozzo angosciante prima che si fosse amplificata in tutta la sala.

– TI PREGO, ROMANO! – gridò Antonio alzandosi dal fianco di Feliciano stordito. Romano era una persona che mai desiderò l’aiuto di qualcuno. Si dichiarò perpetuamente indipendente e, se era in difficoltà, riaffermava stizzito che poteva fare tutto da solo senza l’appoggio di qualche “rompicoglioni” ai suoi piedi. Quelle parole però, trattenute sicuramente da anni, scivolate involontariamente dalla sua bocca, spiazzarono i suoi compagni di lavoro: Gilbert guardò Antonio con strani occhi pietosi, Ludwig non poteva altro che ascoltare dispiaciuto mentre Elizabeta cercò di nascondere le proprie lacrime. Loro non sapevano niente della vita passata dei due fratelli italiani, anzi, i due non ne avevano mai parlato del loro terribile passato fino in quel momento.

–Pensi davvero che io non mi sia mai importato di voi? Io ho sempre amato la vostra umile famiglia, amavo stare e vegliare su di voi, eravate la mia unica casa e nessuno ormai poteva più sostituirvi al mondo, nemmeno quella bestia alcolizzata di mio padre, quel maledetto fallito! Davvero non credi quanto per me sia stato doloroso esser stato strappato da voi, dalla vostra vita così improvvisamente? Ho perso ogni vostro contatto, ho fatto di tutto per ritrovarvi ma non potevo allontanarmi da mio padre fino a quando l’alcool non l’ha completamente ucciso! É stato un inferno vivere con lui, ogni notte morivo dal timore di non rivedervi mai più. Che cosa avrei dato ogni giorno per ritornare qui da voi, per riabbracciarvi di nuovo come da bambini! Vi ho sempre amato e a chiunque avessi avuto di più caro su questa penisola! Non avrei mai voluto lasciarvi, credimi… Romano, non sei stato l’unico ad aver avuto paura di rimanere solo per sempre in questi anni e, ti giuro, mi dispiace! Mi dispiace per avervi fatto soffrire…io non volevo tutto questo … perdonami… –

Cercò di afferrargli le spalle ma questo lo evitò issandosi anche lui dal divano.
–Sei un idiota! Pensi davvero che io ti perdoni così facilmente? Perché non ti sei mai confidato con me, eh? Non mi hai mai parlato di quello che passavi a casa con tuo padre dopo il suo divorzio con tua madre, e ora pretendi che io ti perdoni? Che io ti ascolti e ti capisca? Perché hai tenuto nascosto le verità, eravamo amici, CAZZO, avevo tutto il diritto di conoscere la tua vita come tu conoscevi la mia, perciò, non avrai mai le mie scuse! Sei uno stupido, un perfetto stronzo! La colpa è tutta tua, bastardo! –
– BASTA, ROMANO! Non capisci che quello che stai dicendo è insensato? Smettila di cercare scuse per proteggere il tuo orgoglio e gettare le colpe sugli altri! Sei tu lo stupido in questo momento! ­­– ribatté Feliciano.
–Perché lo difendi? Ci ha abbandonato! –
–Lui non ci ha mai abbandonato, lui non l’ha mai voluto e non l’avrebbe mai fatto, questo è quello che ti basta sapere per riaverlo di nuovo qui dopo tutto questo tempo. Anche gli altri soffrono nella vita! Pensa al presente, ora che è ritornato. –
Romano tacque ma poi brontolò sottovoce acquisendo un’apparente e fragile calma.
– Come ci hai trovati? – grugnì scostando suo fratello da una spalla.
Antonio alzò lo sguardo ricco di sensi di colpa. Ancora una volta non rispose subito ma poi bisbigliò  – Grazie alla vostra fama qui in Italia che è riuscita ad arrivare sulle terre spagnole. Lessi un giornale del 1984 dedicato agli spettacoli nazionali ed esteri, e c’era proprio un annuncio riservato su un vostro tour.  Da allora vi ho seguito tramite queste notizie per sapere in quali luoghi voi vi sareste esibiti. – si massaggiò delicatamente il naso – Ho atteso qualche anno prima di raggiungervi. –
­– Perché? – domandò Romano prima che Gilbert gli avesse formulato un’altra domanda.
–Te l’ho detto prima, no? Fin quando mio padre fosse stato vivo, io non potevo muovermi in nessun altro posto. Solo alla sua morte sono rimasto solo in Spagna. L’unica cosa che potessi fare è stata quella di separarmi da tutto ciò che avevo lì per ritornare, finalmente, da voi.– l'uomo sorrise amaramente.
–Ts! Ormai a me non interessa più che tu sia di nuovo con i “tuoi vecchi amici”. Per me puoi andartene anche adesso all’aeroporto per non perdere il primo volo diretto per la tua Spagna, spero tanto che tu non soffra di voltastomaco, oppure trovati un altro mezzo, o fai come ti pare, l’importante e che sparisci subito, non voglio più vederti!– Terminò Romano, dichiarando chiusa la conversazione mentre tutti tirarono un lungo respiro –anzi, ora me ne vado anch’io, che mi sono stancato di innervosirmi, oggi. – aprì la porta del retro della sala voltando le spalle –ah, Feliciano! Te lo ordino! Non fare cose stupide e strane con il “mangia patate”, torna subito a casa, capito? ­– e andò via senza salutare.

Ludwig neanche gli diede ascolto e ritornò a rilassarsi non appena si alleggerì l’atmosfera. Tutti guardarono Antonio mentre fece spallucce con un riso nervoso per nascondere il suo malumore.
Elizabeta gli diede una forte pacca sulla spalla con un ampio sorriso sulle labbra. – Non preoccuparti, lui è fatto così ma vedrai che gli passerà, è solo arrabbiato, dà a lui un po’ di tempo. Solo che… mi dispiace per i lividi e per il naso, ti ha conciato davvero male. Menomale che non te l’ha rotto. La forza di Romano e spaventosa. Penso che tu abbia avuto solo fortuna! –
–mai quanto la tua di forza … – sotto sotto bisbigliò Gilbert sperando che la ragazza non lo avesse sentito.
–Oh– Antonio guardò la punta del suo naso –Non è un problema, ne ho avute di peggio ma … mi aspettavo questa reazione da parte sua. Non è cambiato per niente … – mentre i suoi pensieri vagavano nella sua mente, gettò un’occhiata all’orologio stretto al polso destro.
­– Forse è meglio che veramente vada. Si è fatto tardi e vi ho trattenuto troppo. –
–Non preoccuparti, non sei di disturbo. ­– lo accertò Ludwig.
–Dove dormirai, Toni ? –chiese Gilbert.
–Ho preso una piccola stanza in un Hotel in periferia, si trova qualche chilometro da qui. –
–EHY, ti va di venire da noi? – domandò l’albino con entusiasmo ma l’amico cordialmente dissentì nonostante che Gilbert si era messo addirittura in ginocchio a pregarlo.
 Lo spagnolo aveva un profondo bisogno di stare solo per pensare.
–E va bene, se non vuoi stare da noi, almeno lascia che ti dia un passaggio. Non accetto obiezioni.– si offrì Ludwig – devo anche accompagnare Feliciano a casa sua, da Romano, e anche Elizabeta, perciò puoi aggiungerti senza alcun problema. –
 
 

 
In auto Gilbert parlava del più e del meno ascoltato da suo fratello al volante e anche dalla donna ungherese seduta affianco al finestrino, sul lato destro del veicolo. Feliciano, al centro, tra la veglia e il sonno, fu attirato dallo strano silenzio di Antonio, assopito nei suoi pensieri mentre guardava il nulla fuori dal finestrino.  
Sembrava un’altra persona quando il suo viso diveniva inquieto e riflessivo.
Era certamente contento di aver ritrovato i suoi amici dopo tanto tempo, ma poteva definirsi completamente felice solo una volta ottenuto il perdono di Romano, se solo l’avesse capito.
Il pugno che premeva una guancia sfiorò un livido sulla pelle e poggiò il capo sul vetro trasparente chiudendo gli occhi. Feliciano, così, fece un risolino richiamando l’attenzione dello spagnolo che, fissandolo, allargò le sue labbra in un ampio e splendido sorriso raggiante.
Si. Era proprio così che ricordava Antonio, il ragazzo che si prese con pazienza cura di lui e di suo fratello. Fu per loro una guida e rimembrò le lunghe giornate a correre a giocare sulle fertili pianure baciate da un caldo sole all’orizzonte. Da allora la mente di Feliciano si ubriacò di soli ricordi felici e niente più, così anche del giorno che incontrò la compagnia teatrale di Gilbert e della prima volta che incrociò lo sguardo profondo come il blu di un misterioso oceano di Ludwig.






*Angolo Autrice*
Mmmh, spero che questo prologo non sia stato noioso ma è fondamentale per descrivere un po’ quali sono i personaggi principali con i loro specifici ruoli e raccontare un pò del loro passato e così via. Non mancheranno altri protagonisti, tra cui il nostro amato INGHILTERRA verso il secondo capitolo (e alcuni inventati) mentre non ho chiamato Romano con il suo nome umano perché, sinceramente, “Lovino” non mi piace molto come suona sul suo personaggio.  
I fatti più interessanti si svilupperanno in seguito, ve lo posso assicurare *credo* !
Ok, basta, meglio che vada se no mi dilungo troppo !
Grazie per aver letto questo capitolo.
Migi_Te
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: Migi_Te