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Autore: Oppa_Redz    19/09/2015    2 recensioni
Un rumore. Vicino. Molto vicino. Un rumore goffo. Sicuramente non apparteneva ad un Elfo.
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«Ora mi dirai chi sei e cosa ti ha portata qui?» chiesi avvicinandomi a lei. Guardandola da vicino mi resi conto che aveva un paio di graffi sulle braccia e che la treccia che avrebbe dovuto tenerle i capelli raccolti non aveva affatto impedito a questi di raggrupparsi a formare una specie di nido, tipo quello sulla testa di Radagast, solo un po’ meno nido e un po’ più cespuglio deforme.
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Una robina scritta in fretta, dedicata a mia sorella perchè oggi diventa vecchia e bisogna festeggiare(?)
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Legolas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CASTLE IN THE WOODS
 
Un rumore. Vicino. Molto vicino. Un rumore goffo. Sicuramente non apparteneva ad un Elfo.

Mi tirai su di scatto dal letto su cui riposavo e impugnai l’arco, poggiato di fianco alla finestra, sfilando una freccia dalla faretra posta accanto. Incoccai puntando fuori dalla finestra e spostai lo sguardo sulla radura illuminata dalla Luna scrutandone ogni anfratto. Non si poteva ancora abbassare del tutto la guardia, nonostante la Pace ormai raggiunta giravano ancora piccoli gruppi di Orchi e qualche Uruk-hai solitario. Non che non mi fidassi delle sentinelle ma preferivo avere la situazione sotto controllo.

Nel vagare cercando minacce, però, i miei occhi incontrarono quelli verde prato di una ragazza. Barcollava leggermente ma non sembrava ferita, solo tremendamente stanca.
Quando si accorse del mio sguardo lo ricambiò e il suo corpo minuto e sottile ebbe un tremito. Poi continuò il suo lento percorso, impacciata dalle foglie autunnali cadute come un manto di protezione sul terreno.

In quel momento mi tornò in mente che le sentinelle erano ancora in posizione e non l’avrebbero lasciata certo entrare. Non senza un ordine mio o di mio padre, almeno. Perché io volevo che lei entrasse. Sorrisi senza accorgermene, pensando a come sarebbe stato ospitarla, godere della sua compagnia, mostrarle il Bosco o semplicemente parlare del più e del...oh ma cosa andavo a pensare. Sembravo Aragorn quando, durante le soste dell’impresa, col pensiero tornava ad Arwen –sì, gli ho letto spesso la mente, anche se lui questo non lo sa- e immaginava i momenti che avrebbe condiviso con lei. No sicuramente la somiglianza non c’era. Insomma, Aragorn amava Arwen, io non potevo essermi innamorato di quella ragazza solo dopo aver letto, nonostante la stanchezza e la paura, un lampo di curiosità nei suoi occhi luminosi. No, sicuramente era solo dovuto al fatto che la mia mente non era completamente lucida.

Mi passai una mano sul volto, scacciando quei pensieri che mi turbavano e indossai velocemente una casacca azzurra e gli stivali per poi correre al portone.

La ragazza era arrivata a pochi passi dal portone, le guardie dubbiose con una mano sull’arco.
Diedi ordine di spalancare il portone mentre la ragazza saliva i pochi gradini che le mancavano. Appena aperto il meccanismo che la teneva sigillata, dalla mia postazione, ovvero un incavo che terminava con una finestrella, la vidi appoggiare una mano al portone, abbandonandosi al suo sostegno come se fosse stata caricata all’improvviso di un peso insostenibile.

«Vi prego fatemi entrare» la sentii mormorare con un fil di voce, prima che il portone cominciasse a muoversi. Balzai giù dall’appoggio e la osservai entrare lentamente, l’equilibrio precario e lo sguardo sui piedi. Quando lo rialzò e si guardò intorno però fu come se la stanchezza si fosse dissolta, la bocca leggermente aperta e gli occhi luccicanti, in una posa di sorpresa e ammirazione.

«Dove sono finita? È tutto così...siete tutti...» disse arrestandosi di fronte a me e poggiandomi una mano chiara e affusolata sul braccio, provocandomi un brivido «è tutto così magico...cosa siete?» domandò fissandomi negli occhi. Non si era nemmeno accorta dei dieci archi tesi nella sua direzione. Che poi non ho capito cosa avrebbe potuto farmi una creatura così ingenua. Ce ho capito che ero il principe e tutta la pantomima ma mi sembrava un po’ eccessivo puntare dieci frecce su una persona. Persona, tra l’altro, che sarebbe crollata con mezza freccia.

Fulminai il comandante e poggiandomi la mano sul petto nel tradizionale saluto elfico le dissi «Benvenuta a Bosco Atro, sarete stanca, seguitemi» e la presi per una mano guidandola attraverso scale e ponti fatti di tronchi attorcigliati.

«Cosa sei?» mi ripose la domanda con la stessa voce infantilmente curiosa per poi aggiungere «e dove mi stai portando?», il tutto senza usare un briciolo di linguaggio consono. Mi sorpresi a non provare fastidio per questa mancanza di rispetto.

Già. Dove la stavo portando? Il mio corpo si era mosso in automatico e solo in quel momento avevo realizzato di essere ormai arrivato davanti alla porta delle mie stanze. Ringraziai i Valar perché mio padre era partito per andare a trovare sire Elrold a Granburrone e non avrei dovuto ripercorrere la strada a gambero per informarlo della sua presenza.

Stavo rimuginando sulla mia fortuna quando una mano entrò nel mio campo visivo accompagnata da un «Ehi, ci sei? Mi rispondi o no?». Ingenua e curiosa ma anche logorroica.

Spinsi la porta con un braccio mantenendola aperta per farla passare.

«Non sei tu che dovresti dirmi il tuo nome? È sempre casa mia questa» ribattei, riacquistando il comando della mia lingua, anche se non troppo dato che mi ero rivolto a lei come se fosse stata un’amica.

«Casa?! Ma se è un palazzo enorme» rispose lei automaticamente e senza nemmeno guardarmi, troppo occupata a fissare il letto argentato e le pareti di rami intrecciati.

«Non mi hai risposto però» ritentai. Avevo come la sensazione che non sarebbe stato facile farla concentrare su quello che le dicevo.

«Nemmeno tu se è per ques...» si bloccò come se avesse realizzato qualcosa. «Siete re Thr...no, impossibile, siete troppo gentile...» si girò in tempo per vedere la mia smorfia di disappunto, insomma era sempre mio padre e nonostante tutto gli volevo bene. «Chi siete?» richiese, come timorosa di scoprirlo, fissandomi.

«Legolas...» feci una pausa e mi guadagnai uno sguardo perplesso, «figlio di Thranduil» conclusi sogghignando leggermente nel vederla imbarazzarsi. Chinò leggermente il capo e rimase in silenzio. Un silenzio troppo silenzioso. Opprimente.

«Ora mi dirai chi sei e cosa ti ha portata qui?» chiesi avvicinandomi a lei. Guardandola da vicino mi resi conto che aveva un paio di graffi sulle braccia e che la treccia che avrebbe dovuto tenerle i capelli raccolti non aveva affatto impedito a questi di raggrupparsi a formare una specie di nido, tipo quello sulla testa di Radagast, solo un po’ meno nido e un po’ più cespuglio deforme. Al pensiero dello stregone pazzo mi spuntò un mezzo sorriso.

«Posso sedermi sul letto?» chiese, indicando il mobile alle sue spalle. Annuii. Decisamente non sarebbe stato facile ottenere una risposta. Mi sedetti di fianco a lei, e stavo per farle per la non-so-quantesima volta la stessa domanda quando la sua voce spezzò nuovamente l’aria. Ma questa volta il tono era triste, malinconico.

«Mi chiamo Gresya...non importa chi è mio padre. Non è comunque il mio vero padre. Cosa ci faccio qua? Semplice. Volevano farmi sposare un nobile vecchio come tu...vostro padre, senza offesa eh, e io sono scappata. Un mio amico mi ha consigliato di venire qua perché “anche se re Thranduil non è esattamente la persona più gentile e bendisposta, ha comunque un cuore e ti ospiterà”.

L’espressione attenta che avevo assunto fu sostituito da un sorriso divertito a quella descrizione di mio padre, e quando lei si voltò a guardarmi scoppiammo entrambi in una risata. Non so bene perché ridevamo, so soltanto che ne avevo bisogno e a quanto pareva anche lei.
Quando smettemmo eravamo appoggiati l’uno all’altra tenendoci la pancia.

Era strano. La conoscevo a mala pena da un’ora, non sapevo quasi niente di lei e già era come se fossimo amici da una vita. Anche se inspiegabilmente non riuscivo a pensare a lei come amica. Il mio cervello immortale proprio non si decideva a collegare Gresya con la parola amica.

Ci rialzammo barcollando, io con la mano appoggiata sulla sua spalla e lei aggrappata al mio braccio. Inutile dire che piombammo di nuovo a terra con la grazia di due bisonti scoppiando nuovamente a ridere. Dopo un buon quarto d’ora di tentativi, riuscimmo finalmente ad alzarci in piedi e a smettere di ridere.
Eravamo uno di fronte all’altra, vicini. E istintivamente, sul serio nemmeno in battaglia spegnevo così il cervello e andavo a impulsi ignoti, le presi la mano. «Seguimi» dissi soltanto. Mi era venuta voglia di andare al fiume. Il che di per se era normale visto che adoravo quel posto. Ma io avevo voglia di andarci con lei.

Uscimmo da una porta nascosta e ci addentrammo nella foresta. Nemmeno mi ero reso conto di tenere ancora la sua mano nella mia, e soprattutto che lei stesse ricambiando la stretta.
Il silenzio ci accompagnò fino a quando non arrivammo al fiume e Gresya si produsse in un “OH” estasiato e cominciò a ripetere a cantilena “mioddio ma questo posto è troppo bello”.

L’acqua cristallina scorreva, accarezzata dai bianchi raggi della Luna, circondata dai sassi bianchi che mano a mano che raggiungevano l’erba diventavano grandi.
Ci sedemmo su uno di questi e ci perdemmo a fissare il fiume. Finchè non voltammo la testa e ci perdemmo negli occhi dell’altro. Verde nell’azzurro. E fu la prima volta nella mia lunga vita che non seppi dare un nome a ciò che provavo.

Eravamo a pochi centimetri di distanza eppure mi sembrava troppo, sentivo il bisogno di averla più vicina, e in quel momento spensi definitivamente la ragione a cui mi ero affidato per tutta la vita e lasciai al cuore il comando totale.

Le accarezzai una guancia e appoggiai le labbra sulle sue chiudendo gli occhi, in un gesto totalmente nuovo ma allo stesso tempo naturale.
La sentii ricambiare quel bacio un po’ incerto e spensi completamente il cervello mentre lei si aggrappava al mio collo e io la prendevo per i fianchi portandomela addosso.Non avrei più voluto staccarmi.

E in quel momento la mia mente riuscì a elaborare una sola frase, una verità temuta e agognata.
Io la amo.
 
∼∼∼∼∼∼∼∼∼∼


Poco lontano, nascosta dai cespugli, una figura avvolta in un mantello sorrise paterna verso i due ragazzi.
L’individuo si alzò in piedi, facendo involontariamente cadere il cappuccio sulle spalle e liberando i lunghi capelli biondi. Camminò velocemente fino a una radura poco lontana e sorrise nel vedere una sagoma diritta come un fuso, col mantello svolazzante e il volto alzato immerso nella contemplazione delle stelle. Arrivatogli davanti non resistette al gettarsi tra le sue braccia che prontamente lo abbracciarono, facendogli appoggiare la testa sul petto ampio. Un sussurro gli sfuggì dalle labbra perfette.
Mi sei mancato. Ti amo.
E la risposta fu un bacio.







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Angolino della tarma disagiata
Allora...intanto ribadisco che questa cosa è dedicata a mia sorella perchè oggi è il suo compleanno e diventa vecchia (e ora giustamente mi dirà di piantarla di darle della vecchia ma quando mai ho fatto quello che mi hanno chiesto?)
Siccome la mia conoscenza di lotr è parecchio ma molto parecchio limitata questa sottospecie di os si prende una bella manciata di licenze scrittoriali(?) e grammaticali visto che non l'ho riletta e niente, ringrazio chiunque sia arrivato fino a qua a leggere e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate

La Redz
   
 
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