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Autore: Kaguya    19/09/2015    3 recensioni
...Kaede realizzò che ultimamente il rosso finiva in qualche rissa sempre di venerdi sera, giorno in cui i suoi partivano per gli abituali weekend fuori, a cui lui non partecipava mai.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Venerdi



Era successo tutto all'improvviso.
Un attimo prima si stava esercitando nei tiri da tre punti. Un attimo dopo si trovava coinvolto in una rissa.
Era al campetto vicino la spiaggia, illuminato da un lampione tremolante. Attorno solo il rumore del vento, delle onde, e il ritmico rimbalzare della palla. Poi il rombo delle moto, schiamazzi e grida di dolore. Erano in sei, mandati da qualcuno a cui probabilmente aveva pestato i piedi nella sua carriera da teppista. Riuscì a stenderne due a testate prima che gli altri lo raggiungessero e iniziassero a fargli piovere addosso pugni e calci, presto ricambiati. Erano dei codardi, ma lui era solo e stava avendo la peggio, pur continuando a colpire ogni volta che gli si presentasse l'opportunità.
Poi nel fracasso che stavano facendo si udi un trillo. Un allegro scampanellio del tutto fuori posto.
In un attimo uno degli aggressori fu travolto da una bicicletta.

“Do'hao”

Lo salutò Rukawa, mentre i tre ragazzi rimasti facevano l'errore di voltarsi a guardarlo, dando le spalle al loro bersaglio. Hanamichi approfittò del momento per assestare loro delle poderose testate dietro la nuca.

“Tsk...pensare di sopraffare il Tensai...”

Borbottò, alzando infine lo sguardo sul compagno di squadra.
Il moro era ancora in sella alla bicicletta, con una tuta blu notte addosso. Probabilmente era arrivato lì con l'idea di allenarsi.

“Non avresti dovuto impicciarti, Kitsune!”

Protestò, consapevole di doverlo ringraziare, e per questo ancora più nervoso.
Dal labbro spaccato continuava a uscirgli sangue, cosi come dal sopracciglio destro, che aveva fatto la stessa fine. Anche le nocche delle mani erano escoriate, riuscì a notare Kaede, un attimo prima che il rosso le nascondesse nelle tasche dei bermuda neri.

“Nh...sali.”

Gli rispose, di poche parole come al solito.
Hanamichi lo fissò corrucciato, incrociando le braccia al petto. Avrebbe voluto mantenere quel cipiglio, ma il movimento gli strappò un piccolo ululato di dolore, molto poco dignitoso. Forse gli avevano incrinato una costola. Fissò quei teppisti ai suoi piedi con astio. Se non avesse potuto giocare a basket per le prossime partite a causa loro sarebbe personalmente andato a cercarli.

“Do'hao...muoviti.”

Intimò nuovamente Kaede.
E sebbene al rosso sembrasse strana quella premura da parte della Volpe, che pareva intenzionata a scortarlo a casa, cosi come era strana la sensazione che provava all'idea, si ritrovò a salire sulla bici, rimanendo in piedi alle spalle dell'altro che cominciò a pedalare senza dar segno di accusare alcuna fatica a trasportare entrambi i loro corpi.
Tuttavia, l'idea che si era fatto Hanamichi si rivelò ben presto errata. Rukawa infatti non lo riportò a casa. Almeno non alla sua. Piuttosto si fermò davanti la propria villetta.

“Entra.”

Ordinò ancora al rossino, decisamente scettico, che lo fissava imbambolato, mentre lui apriva la porta per poi precederlo dentro.

“Ehi Kit...che ci dovrei fare a casa tua?”

Domandò sospettoso. Ovviamente senza avere risposta. Borbottò qualcosa riguardo le stupide volpi artiche e si decise a seguire il moro all'interno.
Casa Rukawa sembrava uscita da una rivista. Linee moderne e arredi tradizionali erano sapientemente mixati rendendo l'ambiente elegante, senza farlo risultare affettato o asettico. Gettò appena un'occhiata a una vecchia foto di famiglia posata su un cassettone all'ingresso, per poi proseguire lungo il corridoio che portava al salotto.

“Permesso...”

Disse, pensando di palesarsi agli altri abitanti. Ma c'era solo Kaede.

“Do'hao...non c'è nessuno...siediti...”

Hanamichi stava davvero accarezzando l'idea di prenderlo a testate. Come si permetteva di dargli tutti quegli ordini? Si aspettava che obbedisse solo perchè era intervenuto? Non gliel'aveva certo chiesto lui...E poi non era stato affatto d'aiuto...Fosse arrivato Yohei si sarebbe sicuramente lanciato nella mischia a sua volta.
Il padrone di casa intanto aveva già recuperato la cassetta del pronto soccorso, chiedendosi cosa avesse da fissarlo il rosso, ignaro, ma forse neanche poi tanto, di cosa gli stesse passando per il cervello.

“Non farmi ripetere...”

Gli sibilò contro, minaccioso, gli occhi blu ridotti a due fessure.
E l'altro parve finalmente notare il kit con bende, garze e disinfettanti. Le orecchie gli divennero subito del colore dei capelli per l'imbarazzo e lo stupore e quasi istintivamente, obbedì e si accasciò sul divano.

“Non c'è bisogno...”

Iniziò a protestare, subito zittito da un'occhiataccia della Volpe, che aveva preparato un batuffolo d'ovatta impregnato di disinfettante.

“Nh...vuoi farti vedere cosi a casa...?”

Gli fece notare. E probabilmente era una delle frasi più lunghe che gli avesse mai rivolto. Oltre che stranamente premurosa.
Rukawa si sedette accanto a Lui, che si voltò di scatto a fissarlo, diffidente. Lo fissò per un attimo dritto negli occhi, prima di sporgersi e poggiargli l'ovatta contro il sopracciglio.
Hanamichi sobbalzò appena a quel contatto. Il disinfettante bruciava. O almeno era quello che si ripeteva, mentre da sotto le ciglia seguiva i movimenti dell'altro. Ne osservò il viso concentrato. La pelle perfetta e diafana. Il modo in cui le labbra si schiudevano appena, mentre si dedicava a medicarlo. Il silenzio calato come una cappa pesante fra loro, interrotto solo dal fruscio della felpa del moro a ogni suo gesto.
Kaede dal canto suo riusciva a non arrossire per quella vicinanza solo perchè erano anni che perfezionava la sua espressione indifferente. Però respirava il minimo indispensabile per non lasciarsi intossicare dall'odore del rosso.
Una volta finito col sopracciglio vi applicò sopra un cerotto e preparò un secondo batuffolo di ovatta. Resistere, mentre stavolta gli tamponava il labbro gonfio, fu più difficile. Il respiro gli si bloccò in gola del tutto.
Hanamichi rimase zitto tutto il tempo, un evento straordinario, mentre il moro lo medicava. Il suo tocco era leggero e delicato. Non se lo aspettava affatto cosi. Non si aspettava affatto quella situazione a dirla tutta. La sua nemesi che si prendeva cura di lui in quel modo. Avrebbe davvero dovuto dargli una testata appena entrato in casa. Magari sarebbe servito a smetterla con quegli strani pensieri su quanto Kaede fosse bello. Nel momento in cui realizzò di aver davvero pensato al suo rivale in quel modo, il rosso scattò in piedi, interrompendo cosi il contatto.

“Sono un Tensai, sto già benissimo cosi...”

Dichiarò spavaldo, motivando cosi quel cambio repentino, guadagnandosi un monosillabo non meglio specificato in risposta.

“Beh? Non mi credi? Devo dimostrartelo con una testata volpaccia?”

Sbraitò ancora. Le mani gli prudevano. Avrebbe voluto prenderlo a pugni. Toccarlo. No, colpirlo. Forse.

“Do'hao”

Lo apostrofò Rukawa, alzandosi a sua volta e rimettendo in ordine.

“Tsk...Dovrei anche ringraziarti magari...”

Borbottò, dirigendosi verso l'ingresso.
Kaede non lo fermò. Non avrebbe saputo come fare nemmeno volendo. O meglio un modo c'era, ma non era pronto a mettersi in gioco. Non in quel gioco. Cosi ascoltò il rumore della porta che si chiudeva e i passi del compagno di squadra che si allontanavano.
Quindi si accasciò sul divano, inspirando profondamente. Aveva rischiato di impazzire. E la colpa era solo sua che si era impicciato. Vederlo lì, sopraffatto da quei teppisti, non gli aveva permesso di ragionare lucidamente. Lo avevano toccato. Si erano picchiati anche loro innumerevoli volte. E non voleva che quel contatto fosse di qualcun altro. Nessun contatto in realtà.
Dal canto suo Hanamichi, ritornato a casa, non ebbe il tempo di riflettere che sua madre, prese a strepitare vedendolo col viso tumefatto. Lo aspettava sempre sveglia, avvolta nella vestaglia, seduta sul divano sgangherato nel piccolo salottino. La tranquillizzò, indicando i cerotti per rassicurarla che stava bene e che già aveva provveduto a pulire i tagli, ma non potè sfuggire alla solita ramanzina. Sua madre era fin troppo comprensiva con lui, nonostante tutto. Quando ebbe sfogato la sua ansia lo strinse forte e andò a dormire.
Anche il rosso si ritirò finalmente nella sua stanza. Accasciato sul futon però i ricordi della serata tornarono prepotenti a galla, scatenando mille e più domande riguardanti la Volpe.
Quella notte nessuno dei due dormì sonni tranquilli.

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A quel primo episodio ne seguirono altri.

La settimana dopo Hanamichi si presentò alla porta di Kaede pesto quanto la prima.
Borbottò qualcosa che sembrava una richiesta per avere il kit del pronto soccorso in prestito. Ma, come prevedibile, senza dire una parola, fu il moro in persona a prendersi cura delle ferite, nella stessa atmosfera che li aveva avvolti alcuni giorni prima.

La terza volta Kaede realizzò che ultimamente il rosso finiva in qualche rissa sempre di venerdi sera, giorno in cui i suoi partivano per gli abituali weekend fuori, a cui lui non partecipava mai.

La quarta volta non si erano detti niente nemmeno sotto l'arco della porta.
Rukawa aveva aperto e Hanamichi si era semplicemente accomodato all'interno della villa, in attesa di cure.

Ci furono una quinta e una sesta volta, più o meno con lo stesso copione.

Alla settima, il rosso appariva meno conciato...aveva solo un taglietto sulla guancia. Addirittura trascurabile. Ciò che aveva attirato l'attenzione di Kaede era stata la busta che reggeva in una mano.

“Take away...”

Aveva spiegato Sakuragi, palesemente imbarazzato.
Kaede interpretò quel gesto come una specie di ringraziamento da parte della Scimmia. Ma sentiva nello stomaco, nel sangue, nelle ossa, in ogni parte, la strisciante sensazione che qualcosa stava cambiando fra loro.

Per le tre settimane seguenti Hanamichi si presentò a casa sua spontaneamente e stranamente sano, ma sempre con qualcosa di diverso fra le mani: cibo, registrazioni di storiche partite di basket che finivano per guardare insieme, biscotti preparati da sua madre...
Solo una cosa non cambiava mai: mentre erano insieme regnava il silenzio.
Ogni movimento era misurato per non invadere lo spazio dell'altro, ma sentivano entrambi con fin troppa chiarezza che ignorarsi diventava sempre più difficile.
Cosi man mano iniziarono a rompere il silenzio con qualche insulto. Era rassicurante riportare quello strano rapporto che andava instaurandosi a un livello più familiare.
Il chiasso del rosso e le risposte algide del rookie. Come era sempre stato.
Ma con una piacevole leggerezza che rendeva un “Do'hao” quasi una carezza per le orecchie.

Poi successe, alla tredicesima settimana.
Erano seduti sul divano a guardare una partita. Sul tavolino davanti a loro erano sparsi snack vari e alcune lattine di coca cola. Il rosso fece un commento sui movimenti di un giocatore. Rukawa lo contraddì.

“Stupida volpe, è come dice il Tensai!”

Sbottò il rosso, allungando un piede per tirare un calcio nello stinco all'altro, guadagnandosi un'occhiata di ghiaccio e uno schiaffo dietro la testa.
Fu il segnale.
Fece partire un pugno alla volta del moro, subito ricambiato. Ma non sentiva dolore. Si sentiva quasi sollevato: erano in tregua da troppo tempo e troppi pensieri pericolosi si erano accumulati nel frattempo. Cosi continuarono a colpirsi per un po', scambiandosi epiteti poco cortesi, finchè non caddero dal divano.
Kaede si ritrovò disteso sul tappeto, con Hanamichi addosso. Si fissarono per un attimo stupiti.
Niente occhi neri, né lividi, solo un comune rossore sulle guance. La sensazione strana della pelle contro la pelle. Di una pelle estranea, ma conosciuta, contro la propria. E calore. E una strana voglia. Quella di conoscerla ancora meglio quella pelle.
Il rosso era come ipnotizzato dall'espressione spaesata dell'altro, dal collo sottile, dalle braccia intrappolate fra i loro corpi. Le mani di Kaede sul suo petto che non lo spingevano via erano ustionanti.
Non si rese conto di essersi mosso, quando con l'indice tracciò la linea della clavicola di Rukawa, lasciata scoperta dalla canottiera nera. La sua pelle era liscia e soffice.
Il moro sospirò a quel tocco e le sue mani si strinsero in risposta alla maglietta del compagno di squadra.
Aveva pensato a lui in mille modi diversi in quei mesi. Quando si era reso conto di averlo lasciato entrare non solo in casa sua, ma anche nella sua testa, era già troppo tardi.
Socchiuse gli occhi, senza il coraggio di guardare in faccia Sakuragi, che intanto lasciava scorrere i polpastrelli sul suo collo con una delicatezza che non pensava potesse appartenergli, come se fosse timoroso di spezzarglielo. O forse di spezzare il momento.

“Cosa mi hai fatto...?”

Solo un bisbiglio a malapena udibile, ma lo costrinse a riaprire gli occhi. Due pozze blu a scontrarsi con l'incendio che vedeva negli occhi nocciola del ragazzo che lo sovrastava.
Tormento. Si senti mancare l'ossigeno all'espressione sofferente di Lui. Poteva leggervi facilmente tutti i dubbi, le domande, le incertezze, i desideri, i timori, le angosce, le voglie. Poteva vederli chiaramente perchè erano anche i suoi.
E si lasciò sopraffare.

“Do'hao...”

Soffiò sulle sue labbra, sollevando appena la testa per baciarlo. Finalmente.
E Hanamichi per poco non lo schiacciò del tutto col suo peso, mentre si perdeva nel suo sapore. La testa vuota e le mani che dal collo del moro risalivano a sfiorargli le guance. Un unico pensiero fisso nella mente. E' bello. Kaede è bello, baciarlo è bello, la sua pelle è bella, stare vicini è bello, toccarlo è bello.
E ci furono tanti di quei baci quella sera.

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Quella settimana non riuscirono a vedersi molto, nemmeno a scuola. Cercavano di nascondere agli altri quella trasformazione, ma erano consapevoli di non poterlo fare se si fossero ritrovati troppo vicini. Si evitarono quasi per un silenzioso accordo.

Solo che giunse il venerdi e Hanamichi non bussò alla sua porta. Lo aspettò sveglio, raggomitolato sul divano in salotto, in quella casa tremendamente vuota. Ore. Non arrivò.

Continuarono a ignorarsi a scuola anche quella settimana. Stavolta soprattutto per volere di Kaede. Non che il rosso lo avesse cercato. Venerdi venne e sparì come quello precedente, senza la sua visita.

Erano diventati intrattabili.
Gli allenamenti erano il solito caos. Ma aleggiava su di loro una sensazione di malessere che coinvolgeva il resto della squadra, rendendo tutti nervosi.
Mitsui aveva afferrato Rukawa per la canotta a un certo punto, pronto a una sana scazzottata, evitata solo grazie all'intervento di Akagi.
E lui si era sentito bruciare da dentro. Hanamichi aveva rischiato di impazzire di gelosia, vedendo il teppista toccare Kaede. Non si erano più parlati da quella sera. Lui non era più andato a casa sua.
Aveva cercato di riordinare i pensieri, ma quella volpaccia gli rendeva il compito impossibile. Le sensazioni che avevano provato se ne stavano in agguato, si erano scavate una tana in un punto non meglio precisato fra il suo stomaco e il suo cuore. Gli facevano il solletico ogni volta che incrociava il moro. E ogni volta che chiudeva gli occhi.

Rukawa ormai non lo aspettava più. Ci provava.
Era venerdi, ma si imponeva di soffocare quel senso di aspettativa che lo aveva attanagliato nelle due settimane precedenti. Aveva già scaldato del ramen confezionato nel microonde e aveva apparecchiato il basso tavolino in salotto per cenare davanti alla registrazione di una partita. Una di quelle che gli aveva regalato Lui.
Era all'incirca a metà quando fu interrotto dal trillo del campanello. Il cuore per poco non gli schizzava fuori dal petto. Dovette far ricorso a tutto il suo self control da ghiacciolo umano per non scavalcare il divano con un salto e correre alla porta. Cercava di essere cauto. Di non sperare troppo.
Ma lui era li quando aprì la porta con calma ostentata. Lo sguardo chino sulle scarpette da ginnastica. I capelli rossi in disordine.

“Nh...”

Sakuragi alzò la testa sentendo il grugnito del ragazzo.
Gli era mancato davvero. Se ne accorse in quel momento, quando il peso che si era sentito sul petto in quelle settimane evaporò solo per uno sguardo.

“Sono in ritardo...scusa...”

Trovò la forza di dirgli.
Avrebbe voluto fare un bel discorso. Spiegarli che aveva avuto paura di quei sentimenti. Che era stato colto alla sprovvista. Ma sarebbe stata una bugia. Li aveva coltivati con ogni visita. Era arrivato a farsi picchiare da Mito nelle ultime volte, per avere una scusa per tornare da lui. Yohei aveva riso della sua idea, ma gli aveva mollato un pugno senza pensarci troppo su. Solo dopo gli aveva suggerito che magari poteva anche fargli visita senza farsi pestare.
E aveva rischiato di rovinare tutto. Davvero avrebbe voluto essere più bravo con le parole. Però la Volpe lo capì. Lo fiutò forse. E si fece da parte per farlo entrare.
Quando la porta si richiuse Kaede vi si appoggiò con la schiena, osservando l'altro, palesemente imbarazzato.

“Ti ho aspettato...”

Ammise, in un sospiro, con un leggero tono di accusa.
Avrebbe voluto chiedergli cosa lo aveva fatto scappare. Ma le parole gli rimasero bloccate in gola quando, con uno scatto, Hanamichi lo afferrò per un polso, tirandolo contro di sé, per stringerlo forte.

“Grazie...”

Un mormorio fra i suoi capelli. Si rilassò in quell'abbraccio, poggiando il viso contro il collo della Scimmia, mentre sollevava le braccia per aggrapparsi con le mani alla sua schiena.
Rimasero stretti e in silenzio per un bel po' prima di riuscire a sciogliere l'abbraccio.
Kaede intrecciò le dita con quelle della sua mano, trascinandolo in salotto. E Hanamichi in quella morsa dolce e decisa si sentì vinto. Le loro mani si incastravano alla perfezione. Si appartenevano.
In quelle settimane aveva pensato agli stralci di vita che avevano vissuto insieme a partire dal primo incontro. Aveva riletto tutto alla luce della nuova consapevolezza che gli gonfiava il cuore. Ed era giunto a una conclusione, quella che l'aveva fatto correre, volare, fino alla sua porta.
Si erano sempre appartenuti in fondo. C'era sempre stato solo Rukawa. L'aveva addomesticato con i suoi silenzi, con le sue occhiate gelide, anche con i pugni...
Si lasciò sfuggire una risata, incuriosendo il compagno che ancora gli stringeva la mano.

“Sei una maledetta volpaccia, Kaede Rukawa...”

Lo accusò, divertito. L'aveva fregato davvero per bene.
E Kaede, forse intuendo il corso dei pensieri di Hanamichi, si sciolse in un sorriso che lasciò il rosso di stucco.

“Mi ami per questo, Hanamichi...”

Sicuro di sé come sempre, il numero undici dello Shohoku.
E Sakuragi scosse la testa divertito. Senza negare.

“Baka Kitsune...”

Soffiò, attirando il moro in un bacio.

"Chi sei?" domandò il piccolo principe, "sei molto carino..."
"Sono una volpe", disse la volpe.
"Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, sono così triste..."
"Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomesticata"
"Ah! scusa", fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
"Che cosa vuol dire 'addomesticare'?" […]
"E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire 'creare dei legami'..."
"Creare dei legami?"
"Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo. […] Se tu mi addomestichi, la mia vita sarà illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano..."
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
"Per favore... addomesticami", disse. […]
"Che cosa bisogna fare?" domandò il piccolo principe.
"Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe. "In principio tu ti sederai un pò lontano da me, così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un pò più vicino..."
Il piccolo principe ritornò l'indomani.
"Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora", disse la volpe.
"Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore...”



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Disclaimer: i personaggi non sono miei e non è mio il brano corsivo finale che è tratto da “Il piccolo principe” di Antoine de Saint Exupery (sono sicura sia superfluo specificarlo)

Questa è la mia prima ff su Slam Dunk. Ovviamente RuHana, perchè questi due sono bellissimi insieme. Spero di non averli presi e rovinati che mi sentirei troppo male. Forse è un po' fluff e un po' ooc. Ma mi è uscita di getto cosi e non riesco proprio a pensarla diversamente. Abbiate pazienza.
Grazie a chi dedicherà il suo tempo a leggerla.

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