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Autore: _eco    20/09/2015    4 recensioni
Jemma lo ha riportato in superficie, mille volte metaforicamente parlando, una volta nel vero senso della parola. E Fitz, nella penombra del garage, si chiede se forse non sia diventato un peso morto per lei.
È per questo che è andata via?
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jemma Simmons, Leo Fitz
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Waves







 


La prima volta che Fitz le diede una timida pacca sulla spalla - o forse era la terza?  -, Bryce Cooper, dal fondo del corridoio, aveva fischiato e urlato:"Non si rimorchia con una pacca sulla spalla, Fitzy. Prova un po' più in basso."
Le guance di Leo erano diventate di porpora, gli occhi lucidi d'ira e un pizzico di vergogna.
Jemma, che, quando Fitz le aveva sfiorato la spalla non aveva percepito alcun imbarazzo, si irrigidì d'istinto.
Era davvero questa l'impressione che davano agli altri? I due pivellini innamorati? In realtà, a Jemma era più congeniale l'idea che agli altri apparissero semplicemente come due bambini prodigio, forse un po' troppo diffidenti nei confronti dei più grandi per espandere la loro cerchia, o meglio il loro duo.
Non che le desse fastidio, in effetti. Non le dava fastidio che pensassero questo di loro. Solo... non ci aveva mai pensato. Il commento di Bryce era solo stata l'ulteriore conferma della sua infinita stupidità. Certi casi umani forniscono agli scienziati dati incontrovertibili e facilmente percettibili. Bryce era uno stupido, chiunque lo avrebbe capito.
Però Fitz era troppo impegnato a lasciarsi divorare dal senso di inadeguatezza e imbarazzo per pensare alla cosa più ovvia, che Bryce fosse un inetto, per l'appunto.
- Oh Fitz. - aveva sospirato Jemma, poggiando la mano su quella del ragazzo, nell'esatto istante in cui quest'ultimo la stava per allontanare dalla sua spalla. - La gente sottovaluta le pacche sulle spalle. - aveva poi ammesso, con tutta la naturalezza del mondo, mentre continuava a leggere distrattamente il fascicolo che teneva con la mano libera.
La risposta di Fitz era stata appena udibile, un mugolio non molto convinto. A quel punto, Jemma aveva del tutto distolto l'attenzione dai fogli freschi di inchiostro, puntando gli occhi sulle iridi azzurre di Leo. - Dico sul serio. - aveva insistito, annuendo e sollevando le labbra in un sorriso materno. Un altro mugolio si fece spazio fra le labbra leggermente screpolate di Fitz, che ben presto si trovò a fissare un punto impreciso del pavimento.
- Sì, servono a incoraggiare gli altri. - aveva continuato Jemma, con una voce forse troppo acuta perché le sue parole potessero essere prese con serietà.
- Non lo faccio per... ecco... lo sai, non lo faccio per...-
- Rimorchiare? - aveva completato Simmons, virgolettando con le dita e facendo il verso a Bryce.
Fitz aveva annuito, un timido sorriso sul volto, le guance ancora rosse in contrasto con la pelle color latte.
- Lo so, Fitz. - lo aveva tranquillizzato lei, inclinando appena appena il collo. - Lo so. - aveva ripetuto, poggiando la mano sulla spalla del ragazzo, confortata dal contatto con la lana morbida del suo cardigan azzurro.
Lo so, si era chiesta, nel momento in cui Fitz, prima incerto, poi con disinvoltura, aveva coperto la sua mano sottile con la propria.
 
Le pacche sulla spalla erano diventate sempre meno "pacche sulla spalla", con il tempo. Erano semplici carezze, leggeri contatti, piacevoli tepori. Non erano meri gesti di incoraggiamento, di supporto. Erano tacite presenze nei momenti in cui le parole non bastavano né servivano.
Erano onde che si propagavano dal corpo di Fitz al suo, e viceversa, e li pervadevano fino alle punte dei piedi. E, quando l'uno copriva la mano dell'altro, come per suggellare la sacralità del loro gesto abituale, le onde si fermavano, tutto diventava distante. Era come se ogni arto non coinvolto in questa azione si addormentasse. Rimanevano solo le loro mani.
Ancore.
Le onde sparivano. Tutto era equilibrio.
 
Fino a due secondi prima che Fitz facesse esplodere la capsula in fondo al mare, Jemma aveva tenuto la mano ben salda sulla sua spalla. E Fitz voleva davvero completare il loro gesto rituale, ma avrebbe significato troppo farlo in quel momento.
Avrebbe significato "andrà tutto bene."
E sì, Fitz lo sapeva che sarebbe andato tutto bene, almeno per Jemma. L'esplosione l'avrebbe spinta verso l'alto, poi avrebbe nuotato per qualche metro. Sarebbe stata salva. Fitz aveva assistito alle sue gare di nuoto in Accademia. Come se essere un genio assoluto in biologia e chimica non potesse bastare, per lei.
Sì, Jemma sarebbe stata bene. Ma una parte di Fitz sapeva che, se lui fosse morto, qualcosa in Jemma si sarebbe spento. Per un mese, tre, forse un anno. Ma poi avrebbe ricominciato, no?
Tuttavia, coprire la mano di Jemma con la sua, agli occhi di lei - e Fitz lo sapeva bene - avrebbe assunto un significato che lui non poteva permettersi. Sarebbe stata una tacita promessa.
Non morirò.
Ma lui che ne sapeva?
Quindi no, non poteva farlo. Non questa volta.
 
Jemma, sconquassata dalle onde e deviata dalla corrente, boccheggiava per tenersi a galla, ma soprattutto per mantenere Fitz in superficie. E pensava che le onde erano troppo forti e che l'essere umano è proprio stupido e che le navi dovrebbero avere più di una sola ancora, perché lei non ce la faceva da sola. Non era abbastanza forte da tenere a galla entrambi. E pregava quel Dio da cui agli scienziati si insegna a diffidare affinché Fitz non colasse a picco, perché il mare era infuriato e perché poteva anche continuare a essere lei l'ancora di salvataggio per entrambi, ma non per sempre.
Non per sempre.
Non per sempre.
Ti prego, ti prego, non per sempre.
 
A volte Fitz avverte lievi spostamenti d'aria alle sue spalle. Quasi sempre è perché gli spifferi si intrufolano in garage. Ma nella sua testa, nella sua testa di persona danneggiata, ritardata, sempre a un passo dall'essere abbastanza, è semplicemente Jemma.
Jemma che armeggia con un microscopio. Che trascrive su una cartella il risultato degli esami. Che sorseggia con attenzione un po' di tè alla cannella, incurante del fatto che si sia ormai freddato. Jemma che gli prende le mani e le ferma, perché tremano, tremano sempre.
Tremano troppo.
A volte Fitz la cerca attorno a sé, illudendosi che l'ombra  oltre il bancone sia una proiezione del corpo di lei e non uno strano gioco di riflessi e fantasie. A volte Fitz la cerca accanto a sé, sempre in quel preciso punto della sua spalla, dov'è è sempre stata e dove ora c'è solo la lana di uno dei suoi cardigan, che "sono tutti uguali, Fitz!"
A volte Fitz la sente parlare dentro di sé. E vorrebbe che le allucinazioni e le voci e tutto il resto finisse. Però non ci riesce, perché, perché... e se dimenticasse il suono della sua voce e l'esatto colore dei suoi occhi e la forma perfetta della piccola fossetta all'angolo della bocca, quando sorride?
Jemma lo ha riportato in superficie, mille volte metaforicamente parlando, una volta nel vero senso della parola. E Fitz, nella penombra del garage, si chiede se forse non sia diventato un peso morto per lei.
È per questo che è andata via?
 
Jemma sente dei passi dietro di lei. Se non sapesse esattamente a chi appartengono, si girerebbe di scatto, pronta a difendersi da una qualsiasi minaccia. Ci è abituata. Ipervigilanza. Nessuno le ha diagnosticato una simile patologia, o meglio tendenza. L'ha constatata da sola. Ipervigilanza, mancanza di appetito, momenti di straniamento dal mondo. È normale provare determinate sensazioni dopo un evento traumatico.
Ma Jemma sa. Perché Fitz non è mai stato noto per la sua leggiadria, ecco, e perché, da che lei ne ha memoria, ha questa pessima, tremenda, ma al contempo identificativa abitudine di strisciare i piedi contro il pavimento quando cammina.
Jemma non si volta. Irrigidisce le spalle, pronta alla discussione che sicuramente si scatenerà nel giro di un minuto. Pensa già alla risposta che darà, al tono da usare per non sembrare né ferita né eccessivamente arrabbiata né offensiva né insensibile né niente che possa infastidire Fitz, il che di recente è praticamente qualsiasi cosa lei faccia. E non può biasimarlo, no davvero, perché agli occhi di Fitz lei è scappata, lo ha mollato lì, con i suoi deficit motori e cerebrali.
Jemma sta per voltarsi, quando una mano le sfiora la spalla sinistra e i suoi muscoli, per una naturale reazione alla confortante e tacita presenza di Fitz, si rilassano ancor prima che il suo cervello possa ordinare loro di fare ciò.
Le onde continuano a urtarli, soprattutto di notte, quando gli incubi trovano più porte spalancate verso il loro subconscio. E Fitz continua a scivolare dalla sua presa, trascinato dalla corrente. E Jemma non è che un'allucinazione, una perfetta, realistica, falsa, falsa allucinazione. Di notte, le onde si divertono a farli morire e rinascere e morire e rinascere infinite volte.
Ma qui, ora, quando Jemma copre la mano di Fitz con la sua, le onde si placano, fuggono via indispettite.
E tutto è equilibrio. Tutto è perfetto. Per un attimo, ogni cosa è immobile e perde importanza.
E allora, solo allora, Jemma si rende conto che ha ripreso a respirare, perché la sua ancora la sta pian piano riportando in superficie. Lacrime salate pizzicano gli angoli dei suoi occhi castano chiaro. Jemma si lascia sfuggire un singhiozzo. È molto più semplice se Fitz non può vederla, ma solo sentirla.
- La gente sottovaluta troppo le pacche sulle spalle. - dice Fitz, in un sussurro appena udibile.
Con uno sbuffo leggero, Jemma sorride, umide scie a rigarle le guance.
- Lo so. -


________________________________________
Mi rifiuto di pensare che i produttori abbiano tagliato così tante scene Fitzsimmons da poterci fare una puntata mettendole insieme.
Comunque, ieri mi annoiavo e ho scritto sta cosa sul tablet, quindi eventuali orrori/errori sono dovuti allo stupido T9.
S.
  
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