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Autore: Curse_My_Name    20/09/2015    6 recensioni
"Certo, l’esercito aveva iniziato a mandare a Lamira una manciata di septim ogni mese, ma se si trattasse dello stipendio del marito o del risarcimento per una vedova e un orfano, la donna non lo sapeva"
Breve storia che cerca di mostrare l'altra faccia della guerra, quella di chi rimane a casa ad aspettare una notizia, un attacco, o magari un ritorno.
Genere: Guerra, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Filare è uno di quei lavori interminabili che continuerà ad esistere finché il mondo non avrà fine.
La maggior parte delle donne di Skyrim che vivono in casa, escluse le più agiate, filano ogni giorno. Appena conclusi i compiti più urgenti, come cucinare, pulire e portare avanti l'attività con cui si guadagnano da vivere, si tratti di coltivare verdure o di forgiare armi e corazze, preparano dei fiocchi di lana grezza, li lavano, li pettinano e iniziano a filare. Filano per vestire il proprio uomo, i figli, loro stesse; alcune lo fanno anche per vendere abiti a chi può permettersi di comprarli.
Anche Lamira stava filando, quel giorno, seduta su uno sgabello a tre gambe dall'aria malconcia, la mano sinistra che faceva ruotare la conocchia mentre la destra tendeva il filo per renderlo più grosso o più sottile. I suoi movimenti erano regolari e veloci, perché fin da piccola era stata abituata a quel lavoro. Era una nord dai capelli color paglia e il fisico minuto, ancora giovane, ma non si considerava più una fanciulla da molto tempo; figlia di contadini, aveva sposato Herm, contadino a sua volta, quando aveva quindici anni. Non le era dispiaciuto come marito: non era bello, certo, ma possedeva un cuore buono e due braccia forti che avevano procurato loro tutto il necessario per vivere. Arava il loro piccolo campo, lo seminava, estirpava le erbacce che rischiavano di soffocare il raccolto, portava al pascolo la vecchia mucca e le due capre che fornivano loro latte e formaggio, riparava il tetto quando le interperie provavano a distruggerlo. Nel frattempo Lamira filava, preparava da mangiare, ogni tanto usciva per aiutare il marito o faceva visita a una vicina. Negli ultimi anni, però, le energie di entrambi erano state spese per Dronan, il loro unico figlio. Ne avevano avuti tre durante i primi quattro anni di matrimonio, ma due erano morti prematuramente, mentre quello rimasto era diventato la loro più grande fonte di gioia. Renderlo felice li rallegrava; più volte Herm gli aveva costruito delle figurine di legno per farlo giocare o lo aveva preso sulle spalle lasciandosi tirare i capelli, mentre Lamira aveva impiegato il suo tempo e i suoi pochi risparmi personali per comprare della lana pregiata con cui tessergli tuniche più calde e resistenti del solito. Gli aveva sempre fatto abiti più grandi di qualche taglia, in modo che potesse usarli anche una volta cresciuto, ma Dronan aveva una corporatura molto esile, e lei si era spesso preoccupata di questo, perché temeva che avrebbe compromesso la sua salute. Herm la aveva rassicurata ogni volta che lei gli esprimeva questa paura, raccontando che anche lui era stato un bambino fragile, e promettendole che Dronan sarebbe diventato alto, forte e robusto.
Già, suo marito era davvero una brava persona, in grado di capirla e dire sempre la cosa giusta per tranquilizzarla. Aveva però un difetto, una lacuna che la gente di città avrebbe liquidato come poco importante, ma che per un uomo dei campi, a cui si chiede solo di avere senso pratico, era davvero grave. Herm era, infatti, un sognatore. Non sapeva leggere, ma aveva ascoltato molte storie di eroi e battaglie epiche, di avventure e viaggi lontani, di magia e intrighi divini, finendo per amarle a tal punto da fantasticare di diventare un uomo potente o un guerriero famoso, e di poter così offrire una vita più agiata a sua moglie e suo figlio. Spesso descriveva a Lamira quei sogni ad occhi aperti
-Pensa come staremmo, Lami, se io fossi, ad esempio, un generale. Potremmo vivere in una grande casa con muri solidi e un tetto di tegole, mangeremmo cibo delizioso e carni prelibate, potremmo anche prendere dei servitori, così tu non dovresti badare alle pulizie o alla cucina. Comprerei vestiti e gioielli preziosi per te, qualche bel giocattolo per Dronan..- la donna non era a suo agio quando lui parlava così; le sembrava inutile perdere tempo dietro a fantasie impossibili, e lo rimproverava spesso di dare false speranze a loro figlio quando gli assicurava che da grande avrebbe compiuto imprese importanti. Herm, però, rideva sempre delle sue preoccupazioni, sostenendo che:
-Tutti i bambini meritano di avere qualche speranza per il futuro, almeno finché non crescono e la dura realtà li schiaccia con il suo peso.- Lamira allora gli chiedeva irritata quando sarebbe stato lui a crescere, e Herm rideva di nuovo. Aveva una bella risata...
La porta sul retro sbatté, facendo sobbalzare la ragazza, che posò rassegnata il fuso e la conocchia e andò a riaprirla. Dando un’occhiata fuori, la nord si accorse che un forte vento stava soffiando sulla campagna, piegando l’erba e strappando i vestiti appena lavati dalla corda a cui lei li aveva stesi; alcuni erano già stati sbattuti nel fango dalle violente raffiche e Lamira si precipitò a salvare quelli rimasti, sospirando amaramente per il lavoro andato perduto. L’aria che le scompigliava i capelli e muoveva le pieghe della sua gonna era calda, brutto segno, perché significava che avrebbe portato con sé una tempesta. La nord rientrò in casa, abbandonando su un tavolo gli indumenti puliti e in una cesta quelli che avrebbe dovuto portare di nuovo al fiume, poi si lasciò cadere sul solito sgabello. Stava per riprendere il suo lavoro quando una vocetta acuta la chiamò, facendole sfuggire un sorriso stanco
-Cosa c’è, Dronan?-
-Mi racconti una storia come quelle di papà?- Lamira esitò, poi fece cenno al piccolo di avvicinarsi; lui le salì in braccio, gli occhi brillanti di aspettativa.
-Non ricordo le sue storie, purtroppo. Che ne dici se invece cantiamo qualcosa?- il bambino sembrò apprezzare il suggerimento e annuì con foga, lasciando che i folti capelli crespi gli scendessero sul viso. La donna sorrise di nuovo, intenerita, e spostò le ciocche bionde dietro le orecchie del bambino, pensando a cosa intonare. Infine scelse di cantare la storia di un re che dopo essete stato bandito dalla sua terra con un tradimento dava il via ad una disperata crociata per riprendersela. Dronan cominciò a battere goffamente le mani a ritmo e a seguire le parole della madre con la sua vocetta acuta, balbettando nelle parti che non ricordava. Lamira lo aiutò e lo corresse, divertita, ma quando arrivarono alla parte che parlava di un Re del Re di Skyrim andato in aiuto del sovrano senza terra, un nodo le strinse la gola.
Il Re dei Re. Per ottenere quella carica, un uomo aveva scatenato una guerra civile, pochi mesi prima. Quello stesso uomo aveva visitato personalmente ogni villaggio o famiglia del suo feudo, promuovendo la sua causa e promettendo vittorie, fama e ricchezze a chi si fosse arruolato nel suo esercito. Aveva parlato di libertà da un regime oppressivo, di battaglie piene di gloria, di un codice di onore che ogni vero nord era tenuto a seguire. Con il suo spirito ardente aveva attirato molti seguaci, compreso Herm, che aveva visto nelle garanzie di quel nobile condottiero la via per realizzare tutti i suoi sogni. Si era arruolato senza pensarci due volte, aveva indossato con orgoglio la sua nuova divisa e poi era partito per la guerra; lui, un contadino che in vita sua aveva combattuto solo contro le infestazioni di ratti e non aveva impugnato mai nessuna arma più affilata di una zappa. Aveva abbandonato la sua famiglia nonostante le poche speranze di sopravvivere e lo aveva fatto perché era un sognatore, ma questa era stata la sua, anzi la loro, condanna.
Certo, l’esercito aveva iniziato a mandare a Lamira una manciata di septim ogni mese, ma se si trattasse dello stipendio del marito o, come era più probabile, del risarcimento per una vedova e un orfano, la donna non lo sapeva. Erano passati sette mesi da quando Herm li aveva lasciati, e lei non aveva ricevuto alcuna notizia da parte sua, perciò si limitava ad attendere, ogni ora, ogni giorno, ogni settimana, tirando avanti con lavori infimi e faticosi, chiedendo prestiti a qualche conoscente che sapeva di non poter ripagare, pregando Mara e Kynareth di aiutarla a sopravvivere.
Lamira continuò a cantare stringendo al petto suo figlio, che no, purtroppo non stava diventando più robusto, indossava ancora vestiti dalle maniche troppo larghe, mangiava poco e chiedeva sempre di suo padre e delle sue storie, mentre la dura realtà cominciava ad avanzare per schiacciare i suoi sogni. Forse sarebbe riuscito a diventare grande, ad andarsene e fare fortuna, o forse sarebbe morto come i suoi fratelli. Forse dei banditi avrebbero notato la loro piccola casa e deciso di volerla prendere, forse invece Lamira avrebbe trovato la forza per fare i bagagli e andare in cerca di un posto migliore per lei e il bambino.
O forse, ma solo forse, Herm sarebbe tornato, ammaccato ma vivo, e avrebbe riso di nuovo delle preoccupazioni di sua moglie mentre raccontava a Dronan quanto diverse fossero le guerre vere da quelle delle storie.
Forse sarebbe andata così. O forse no. Ma fino ad allora, l'attesa sarebbe continuata.

Il tema che ho trattato in questa storia è ormai trito e ritrito, ma volevo provare a cimentarmi in qualcosa di diverso, e ricordare che c'è sempre qualcuno che paga per le ambizioni dei più potenti, qualcuno che forse nemmeno sa cosa sta accadendo fuori dalle mura di casa, che non si interessa di concordati, draghi e leggende ma vuole solo vivere in pace con la sua famiglia. Ma la guerra, si sa, non risparmia nessuno: è cieca come la fortuna, e può andare a colpire anche chi non ha mai fatto niente di male.

  
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